AMNISTIA

Enciclopedia Italiana (1929)

AMNISTIA (gr. ἄμνηστία "oblio, remissione")

Ugo Enrico Paoli

Come il più antico esempio di amnistia generale gli scrittori latini e greci ricordano la convenzione stipulata nel 403, alla caduta dei Trenta, fra gli Ateniesi sostenitori del dominio oligarchico rimasti ad Atene e i democratici che occuparono il Pireo. Le due fazioni in guerra giurarono il patto di non dar corso ad alcuna azione penale o civile relativa a fatti avvenuti sotto i Trenta; escluse le persone dei Trenta e altri pochi fra i rappresentanti del regime (i Dieci eletti dopo la cacciata dei Trenta, gli Undici e i Dieci del Pireo). Coloro che erano esclusi dall'amnistia potevano tuttavia chiedere di render conto del loro operato, e, se fossero risultati incolpevoli, potevano rimanere in Atene. L'esclusione per altro non era estesa ai figli, che quindi beneficiarono dell'amnistia (Demost., Adv. Boeot., 32 [p. 1018]).

Se non che simili provvedimenti, che miravano alla pacificazione politica, se anche non così generali, sono attestati anche in età anteriori; già in Omero troviamo menzionato l'accordo sancito da Zeus, che segue la strage dei Proci (ἔκλησις; Od., XXIV, 484), e prima della età dei Trenta Tiranni si hanno testimonianze tanto di condono di pene irrogate, come quello concesso da Solone, che però stabiliva l'esclusione dei reati più gravi (Plut., Sol., 19), quanto di concessione di impunità in determinate circostanze (Andoc., De red., 20).

Va poi osservato che quello che è considerato il primo esempio di amnistia non ha con l'amnistia, come l'intendiamo noi, identità né di nome né di contenuto. Si ha infatti la formula "non serbar rancore", μὴ μνησικακεῖν, non la parola ἀμνηστία, che appare la prima volta per un caso analogo in un'epigrafe di Mileto del 180 a. C. (Dittenberger, Syll., 3ª ed., II, 633) e in autori di età romana che chiamano ἀμνηστία la convenzione ateniese del 403. Giuridicamente poi differisce dall'amnistia del nostro diritto positivo: nella forma, perché non è atto d'indulgenza sovrana, ma rinunzia contrattuale degli appartenenti a due fazioni in guerra a valersi di mezzi concessi dalla legge; per il contenuto sostanziale, perché perentoria anche delle azioni private; nel modo con cui opera processualmente, perché non produce effetti ipso iure, ma dev'essere invocata dall'accusato o convenuto come eccezione perentoria del giudizio (ciò per altro è controverso); per l'estensione, non estendendosi, come nella citata epigrafe di Mileto, alle cause giudicate.

Negli stati ellenistici assume il carattere di atto di clemenza sovrana e si estende oltre alle cause in corso (ἐγκλήματα) anche alle cause giudicate (διαγνώσματα); neanche nei documenti che ne rimangono appare la parola ἀμνηστία, ma vi è adottata la formula οὐ μνησικακήσω (Syll., I, 306, 59) o il verbo ἀϕίημι (Wilcken, Urk. d. Ptol., n. 111; Meyer, Jur. Pap., n. 69) che vale "condonare, rimettere".

Nella Roma repubblicana si hanno provvedimenti legislativi (plebisciti con la formula ne cui fraudi esto: cf. Liv., III, 54, 15; Svet., Caes., 57) il cui scopo è d'impedire la perseguibilità di alcuni reati politici (secessione, tumulto); mancano esempî di annullamento di cause in corso o giudicate a titolo di condono (la sospensione determinata dal iustitium ha cause e scopi diversi). La proposta di pace fra i partiti, che Cicerone fece decretare al senato dopo la morte di Cesare, non ha una chiara portata giuridica e, comunque, fu superata dagli eventi (Phil., I, 1: Atheniensium renovavi vetus exemplum, Graecum etiam nomen usurpavi... atque omnem memoriam discordiarum oblivione sempiterna [traduz. etimol. di ἀμνηστία] delendam censui).

Atti di clemenza sono nell'età imperiale l'indulgentia generalis o specialis e il beneficium generale che avevano come effetto il far cessare l'azione penale a causa cominciata (Cod., IX, 22, 9: criminaliter coeptum interventu indulgentiae sopitum est), o la condanna a causa giudicata (Dig., XXVIII, 3, 6, 12: si quis damnatus capite indulgentia principis sit restitutus).

I lessicografi identificano l'amnistia con l'abolitio e con l'ἄδεια, confondendo istituti diversi. L'abolitio in diritto romano è un provvedimento decretato in occasione di lieti avvenimenti pubblici che produce, sì, l'effetto di perimere l'accusa presentata al magistrato, ma lascia all'accusatore la facoltà di ripresentarla entro un certo termine (30 giorni). L'ἄδεια in diritto attico è un provvedimento decretato dall'assemblea che sospende o abolisce gli effetti di una legge penale; la sospende in caso di "salvacondotto" (per es. l'ἄδεια decretata a favore di Alcibiade nel 411 a. C.; cfr. Tucid., VIII, 76, 7); l'abolisce in due casi diversi: 1. quando si consente per decreto di fare una proposta che una legge anteriore vietava (p. es. la proposta di reintegrare nei loro diritti gl'incapaci in seguito a pena, ἄτιμοι, o i debitori dello stato, ovvero di disporre del tesoro dei templi per usi civili) e in questo caso non si ha amnistia, ma cambiamento di legislazione; 2. quando si condonava la pena a chi denunciasse i correi (per es. l'impunità a chi avesse rivelato gli autori della decapitazione delle Erme) e qui non si ha amnistia, ma l'intervento di una causa eliminatrice della pena.

Bibl.: Per l'età attica: G. De Sanctis, L'amnistia di Solone e le origini dell'Areopago, in Saggi storico-critici, Roma 1896, fasc. 1°; Thalheim, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I, coll. 1870-71, s. v. ἀμνηστία e I, col. 354, s. v. ἄδεια. Per l'età ellenistica si veda in Wilcken, Urkunden der Ptolemäerzeit, 1927, il commento storico-giuridico al n. iii, una lettera di Tolomeo Filometore in data 22 settembre 162 a. C. circa l'esecuzione di un'amnistia elargita. Per l'abolitio e l'indulgentia in diritto romano, Mommsen, Strafrecht, p. 455 segg.

Per l'età moderna, v. estinzione dell'azione e delle condanne penali.

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