AMMONIACA

Enciclopedia Italiana (1929)

AMMONIACA (NH3)

Agostino PALMERINI
Emilio SERNAGIOTTO di CASAVECCHIA
Alberico BENEDICENTI Leonardo MANFREDI

È noto da tempi antichi il composto dell'ammoniaca con l'acido cloridrico (sale ammoniaco); solo nel sec. XV Basilio Valentino trovò che dal sale ammoniaco con alcali si libera ammoniaca; più tardi quando il sale ammoniaco fu preparato dal carbonato ottenuto distillando le unghie e le corna, l'ammoniaca fu chiamata "di corna di cervo". Nel 1774 fu isolata gasosa da Priestley che la chiamò "aria alcalina". Nel 1785 Berthollet ne accertò la composizione.

L'ammoniaca si trova libera in natura in piccole quantità, più frequentemente combinata soprattutto come cloruro o carbonato; essa trae origine dalla putrefazione di sostanze azotate animali e vegetali e dalla trasformazione dell'azoto organico delle piante per opera dei microbî di Muntz; si forma anche nell'aria dall'azoto e dal vapor d'acqua per azione delle scariche elettriche; è presente anche nelle emanazioni vulcaniche e nei soffioni boraciferi. L'ammoniaca ed i suoi composti si trovano nell'aria, nelle acque, nel suolo, in liquidi di piante e di animali.

La preparazione dei prodotti ammoniacali e dell'ammoniaca ebbe inizio con la combustione e la distillazione secca di sostanze azotate animali (escrementi, urine, corna, ecc.).

L'ammoniaca oggidì si prepara con varî processi.

Per distillazione del carbone fossile: l'azoto organico che esso contiene (0,5-1,5%) nella distillazione si trasforma in ammoniaca e carbonato ammonico che vengono trattenuti lavando il gas con acqua; da queste acque per distillazione con calce si ottiene l'ammoniaca gasosa. Il rendimento è maggiore se la distillazione del carbone fossile viene eseguita sotto azione di vapor d'acqua sovrariscaldato.

Per sintesi dagli elementi: da azoto e idrogeno riscaldati a 500°, sotto pressione di 200 atmosfere, ed in presenza di catalizzatore (ferro); circa l'8% della miscela gasosa è trasformato in ammoniaca (N2 + 3H2 ⇄ 2NH3 + 22 cal.) che si condensa e si separa liquida raffreddandola.

Per azione di vapor d'acqua sugli azoturi di magnesio o di alluminio:

L'ammoniaca si forma anche in varî processi di riduzione di composti ossigenati dell'azoto, per via elettrolitica, o per azione di idrogeno nascente in soluzione alcalina, p. es. HNO3 + 4H2 = NH3 + 3H2O.

L'ammoniaca è un gas incoloro, di odore caratteristico, irritante; i litro di ammoniaca a 0° e 760 mm. pesa gr. o,771; ha densità 0,597 (aria = 1). Si può condensare facilmente in un liquido incoloro che bolle a −33°,5 a pressione ordinaria, e si solidifica a −75°; a + 10° l'ammoniaca gasosa può venir liquefatta sottoponendola alla pressione di 6,3 atm.; la sua evaporazione è accompagnata da forte assorbimento di calore (308,6 cal. per kg. a 10°), e conseguente raffreddamento della massa a −40°; per questa proprietà l'ammoniaca viene usata in macchine frigorifere, soprattutto nella fabbricazione del ghiaccio. Temperatura critica + 130°; pressione critica 115 atmosfere. Allo stato liquido ha una forte costante dielettrica, 23; è solvente di molte sostanze e le soluzioni dei sali conducono la corrente elettrica come l'acqua.

Si scioglie in acqua: a 0° e 760 mm. di pressione, 1 litro di acqua scioglie 1148 litri di ammoniaca, cioè 875 grammi; la solubilità diminuisce molto con la temperatura, cosicché per ebollizione si può allontanare tutta l'ammoniaca da una soluzione acquosa. Il peso specifico della soluzione diminuisce con il crescere della concentrazione; a 15° la soluzione al 17% ha peso sp. 0,935 (20 Bé.); a 20% peso sp. 0,925 (22 Bé.); a 25% peso sp. 0,910 (24 Bé.); a 29% peso sp. 0,897 (26 Bé.); a 32% peso sp. 0,888 (28 Bé.); a 35% peso sp. 0,882 (29 Bé.).

L'ammoniaca sciogliendosi in acqua si combina in parte con l'acqua formando idrato di ammonio NH4•OH, cosicché nella soluzione accanto a molecole di NH3 sono presenti molecole di NH4•OH (NH3 + H2O ⇄ NH4•OH). La soluzione acquosa dà reazione basica per scissione di NH4•OH in ione NH4•, ammonio, e ione OH′.

L'ammoniaca può subire processi di ossidazione. Può essere ossidata direttamente con ossigeno, nelle migliori condizioni a 500°-700°, in presenza di catalizzatori; si formano ossido d'azoto, acido nitroso, acido nitrico, e come prodotto finale con acqua in tutti tre i casi si ottiene acido nitrico; questa combustione costituisce un metodo industriale di preparazione dell'acido nitrico. Nel suolo l'ammoniaca si trasforma in acido nitroso, e l'ossidazione è provocata dai batterî nitrificanti di Winogradsky.

L'ammoniaca si combina direttamente con gli acidi per formare sali: per esempio: NH3 + HCL = NH4Cl, cloruro ammonico; 2NH3 + H2SO4 = (NH4)2SO4, solfato ammonico; gli stessi sali si formano per neutralizzazione dell'idrato con l'acido, NH4OH + HCl = NH4Cl + H2O.

L'ammoniaca si lega ai derivati salini per dare complessi la cui esistenza si manifesta in soluzione, ed anche con separazione allo stato solido. La formazione di questi complessi, ammoniacati, è talora accompagnata da colorazioni caratteristiche (p. es. colorazione azzurro intenso dei sali di rame con ammoniaca), da aumento di solubilità (p. es. cloruro di argento con ammoniaca), ecc.

In questi complessi le molecole di ammoniaca sono legate al metallo formando un gruppo metallammonico positivo, che ha inalterata la valenza del metallo; a questo gruppo è legato il radicale acido; per esempio [Ag(NH3)3]Cl; [Ag(NH3)2]Cl2; [Cu(NH3)4Cl2; [Ni(NH3)6]Cl2; [Ni(NH3)4Cl2; [Cr(NH3)]6Cl3, ecc. In questi aggruppamenti metallammonici l'ammoniaca è legata più o meno stabilmente al metallo.

Si può fare un raffronto tra l'ammoniaca legata ai sali in questi complessi e l'acqua legata ai sali negli idrati; p. es. [Cr(H2O)6]Cl3; e l'analogia appare ancor più evidente in complessi che risultano da parziale sostituzione tra NH3 e H2O; p. es. [Cr(NH3)4(H2O)2]Cl3; [Co(N3H)3(H2O)3]Cl3, ecc.

In altri complessi oltre l'ammoniaca è legato al metallo parte del radicale acido, e al gruppo positivo che ne risulta il rimanente radicale acido; anche sulla valenza di questo aggruppamento non influisce l'ammoniaca presente, ma solo il radicale acido che ne fa parte e satura parzialmente la valenza del metallo; p. es. [ClCr(NH3)5]Cl2; [Cl2Cr(NH3)4]Cl, ecc.; come per l'acqua [ClCr(H2O)5]Cl2; [Cl2Cr(H2O)4]Cl, ecc.

L'ammoniaca può legarsi ai metalli per formare composti Me(NH3)n detti pure ammoniacati, che si ottengono per reazione tra il metallo e l'ammoniaca liquida o gasosa anidra. Sono composti assai instabili che si decompongono facilmente: il metallo reagisce con l'ammoniaca e forma ammidi metalliche, in cui un atomo d'idrogeno dell'ammoniaca è sostituito dal metallo; si formano così la sodioammide NaNH2, la calcioammide Ca(NH2)2. La sodioammide si forma direttamente per azione di ammoniaca gasosa su sodio a 300°.

Altri derivati di sostituzione dell'idrogeno ammoniacale con i metalli si possono considerare gli azoturi, che si ottengono per azione dell'azoto ad alta temperatura su metalli o su metalloidi, p. es. boro, alluminio, silicio, titanio, bario, calcio; in essi tutti i tre atomi di idrogeno dell'ammoniaca sono sostituiti; i più importanti sono gli azoturi di magnesio Mg3N2 e di alluminio AlN, che riscaldati con vapor d'acqua formano ammoniaca e l'idrato del metallo.

Sono ancora da ricordare i derivati per sostituzione dell'idrogeno ammoniacale con gruppi organici (ammine, ammidi, immidi, amminoacidi, ecc.).

L'ammoniaca con gli alogeni forma composti assai instabili nei quali l'alogeno sostituisce l'idrogeno ammoniacale. Il cloruro di azoto NC3 è un liquido oleoso che si ottiene per azione di un eccesso di cloro su ammoniaca; è fortemente esplosivo. La cloroammina NH2Cl può essere ottenuta in soluzione per azione di ammoniaca su acido ipocloroso NH3 + NaOCl = NH3Cl + NaOH. Lo ioduro di azoto NI3 è una polvere nera che si forma per azione di iodio (in soluzione ammoniacale, o in soluzione acquosa con ioduro potassico) su ammoniaca (soluzione alcoolica od acquosa); anche altri derivati si formano per sostituzione parziale dell'idrogeno, e tra questi soprattutto il composto N2H3I3. Quando sono asciutti essi sono fortemente esplosivi, anche al solo contatto.

Il gruppo ammonio, che risulta per reazione dell'ammoniaca con acqua o con acidi, e di cui si conoscono l'idrato NH4OH, e i derivati salini NH4X, non è conosciuto allo stato libero; se si cerca di separarlo per elettrolisi dell'idrato o dei suoi sali, NH4 reagisce con acqua, forma NH4OH, liberando idrogeno. Si ottiene una amalgama di ammonio ponendo l'amalgama di sodio in una soluzione concentrata di cloruro ammonico: è una massa molle spugnosa; l'ammonio NH4 in essa presente, facilmente si scompone in NH3 e H; con acqua forma NH4OH e H.

Il radicale NH4 ha carattere metallico, come risulta dalla formazione dell'amalgama, dalla basicità dell'idrato con formazione di sali molto stabili. Nelle proprietà di questi derivati il radicale ammonio si assomiglia molto ai metalli alcalini, e soprattutto al potassio, per la forma cristallina e la solubilità dei sali.

L'idrato ammonico, NH4OH, esiste nella soluzione acquosa dell'ammoniaca; non può essere isolato, perché, quando si evapora questa soluzione, NH4OH si scompone in H2O e NH3 gasosa.

Come base, NH4OH deve essere ritenuto base forte, perché le soluzioni dei sali che essa forma con acidi forti non subiscono idrolisi, e per l'analogia che i suoi derivati presentano con i derivati alcalini. La soluzione acquosa dell'ammoniaca ha reazione debolmente basica perché in essa gran parte dell'ammoniaca è contenuta come molecole NH3, solo una piccola parte è combinata in forma di NH4OH, e dalla dissociazione di queste ultime molecole risulta la reazione basica.

Cloruro ammmonico: v. ammoniaco, sale.

Solfato ammonico, (NH4)2SO4: si prepara direttamente nell'industria del gas illuminante, trattando le acque ammoniacali (di lavaggio) con acido solforico; più puro si ottiene liberando l'ammoniaca dalle acque ammoniacali con calce e raccogliendola in acido solforico. Cristalli incolori, solubili in acqua. È usato come concime.

Nitrato ammonico, NH4NO3: si prepara da ammoniaca con acido nitrico. Cristallino incoloro (a seconda della temperatura assume 4 forme cristalline), solubilissimo in acqua. Mescolato con ghiaccio costituisce una buona miscela frigorifera; 100 p. ghiaccio + 45 p. nitrato ammonico dànno una temperatura −17°. Scaldato si scompone in N2O + 2H2O. Ad alta temperatura si scompone in 2 N2 + O2 + 4 H2O. Viene usato per preparare esplosivi di sicurezza.

Fosfato sodico ammonico, NaNH4HPO4•4H2O: costituisce il sale microcosmico; cristalli incolori che riscaldati perdono H2O e NH3 e dànno il metafosfato sodico NaPO3.

Carbonato ammonico, o sale di corna di cervo: veniva un tempo ottenuto per distillazione di materie organiche azotate, come corna, unghie, pelli, ecc.; ora si prepara distillando a secco carbonato di calcio con cloruro o con solfato ammonico. Il prodotto commerciale è una miscela di carbonato acido NH4HCO3 e di carbammato ammonico NH2CO2NH4 (quest'ultimo corrisponde a 1 molecola di carbonato neutro (NH4)CO3 − 1 mol. H2O). Il prodotto commerciale si chiama anche sesquicarbonato, perché si avvicina nella composizione al prodotto (CO3)2(NH4)3H−H2O. Saturando la soluzione del sesquicarbonato con NH3 si separa il carbonato neutro (NH4)2CO3 che è instabile, poiché libera facilmente ammoniaca.

Tutti questi derivati sono polveri bianche cristalline che odorano fortemente di ammoniaca. Riscaldati sublimano facilmente con decomposizione in CO2, NH3 e H2O.

Persolfato ammonico, (NH4)2S2O8: si ottiene per elettrolisi di soluzioni di solfato ammonico in acido solforico; si separa cristallino incoloro all'anodo. È usato per le sue proprietà ossidanti.

Solfuro ammonico: saturando con H2S una soluzione di ammoniaca al 10% si ottiene una soluzione incolora di solfidrato, NH4HS; aggiungendo a questa soluzione un volume di soluzione di ammoniaca uguale al primitivo si ottiene una soluzione pure incolora di solfuro (NH4)2S. Le soluzioni di questi due sali, data la debole energia dell'acido solfidrico, sono idrolizzate, ed hanno reazione basica; contengono H2S, HS′, S″, NH3, NH4•, OH′, odorano di ammoniaca e di idrogeno solforato, e si ossidano all'aria: H2S libera zolfo, che si scioglie nel solfuro per formare polisolfuri; HS′ forma il disolfuro

Le soluzioni incolori dei due solfuri lasciate a sé diventano gialle e rossastre, per presenza dei polisolfuri che si sono così formati. Una miscela di polisolfuri (NH4)2Sn (n = 2, 3, 4, 5) si ottiene anche sciogliendo direttamente lo zolfo incoloro; l'intensità di colorazione aumenta con il contenuto in zolfo. Le soluzioni del solfuro ammonico incoloro e giallo vengono usate nella chimica analitica per precipitare alcuni solfuri metallici insolubili, e per portare in soluzione altri solfuri che formano composti solubili con il solfuro ammonico.

Riconoscimento analitico. - L'ammoniaca si riconosce per l'odore caratteristico del gas che si sviluppa, soprattutto a caldo, e perché il gas rende azzurra la cartina di tornasole, e con vapori di acido cloridrico dà fumi bianchi di cloruro ammonico. Uguali reazioni dànno i sali di ammonio, quando si liberi l'ammoniaca con idrato sodico o con calce. Reazione sensibilissima si ottiene con il reattivo di Nessler, cioè con una soluzione alcalina di ioduro doppio di mercurio e potassio; una soluzione di ammoniaca o di sali di ammonio forma con questo reattivo uno ioduro di mercurioammonio,

che si riconosce per una colorazione e un precipitato che si forma più o meno abbondante, di un colore da giallo a rosso mattone. Si usa questa reazione per riconoscere quantità piccole di ammoniaca, per esempio nelle acque; dalla quantità e colorazione del precipitato si può giudicare della quantità di ammoniaca presente: o,005 mgr. di NH3 in 50 cmc. dànno una lieve reazione con precipitato giallo. Con acido cloroplatinico dai derivati ammoniacali si ottiene il cloroplatinato ammonico PtCl6(NH4)2, precipitato giallo cristallino, poco solubile in acqua, insolubile in alcool, che calcinato si scompone in 2HCl, 2NH3, 2Cl2 e Pt (determinazione quantitativa). Con acido tartarico, con acido perclorico si formano il tartrato acido ed il perclorato di ammonio poco solubili. L'ammoniaca libera in soluzione può venir titolata volumetricamente con un acido (cloridrico, solforico) usando come indicatore l'arancio di metile; l'ammoniaca combinata nei sali ammoniacali può essere resa libera con idrato sodico, e raccolta per distillazione in una quantità nota eccedente di acido titolato (solforico o cloridrico), determinando poi volumetricamente l'eccesso di acido.

In chimica biologica l'ammoniaca ha importanza fondamentale nello scambio delle materie azotate fra il mondo inorganico e quello organico; e nella vita degli organismi animali, in condizioni normali e patologiche, ha funzioni biochimiche notevolissime come prodotto intermedio o terminale del metabolismo.

La chimica agraria studiando l'origine, la costituzione, le proprietà del terreno, dimostra quanta importanza abbiano i sali di ammonio nella nitrificazione delle materie azotate in rapporto ai processi di putrefazione e di decomposizione delle sostanze organiche. La biologia generale, nel cosiddetto ciclo dell'azoto considera come una delle fasi più importanti la produzione e la decomposizione dell'ammoniaca. Nell'organismo l'ammoniaca, oltre che dall'azione dei batterî intestinali sulle proteine, ed eventualmente dai sali di ammonio ingeriti, si origina principalmente dalla scomposizione degli ammino-acidi, derivati dalla ingestione delle sostanze proteiche.

L'azoto è distaccato dal gruppo amminico in forma di ammoniaca contemporaneamente, per ossidazione parziale, il residuo non azotato si trasforma in chetoacido. Questo processo è chiamato deamminazione. Così dall'alanina, o acido α-amminopropionico, si ottiene l'acido piruvico (α-chetoacido) e ammoniaca.

Nei tessuti l'ammoniaca insieme con l'acido carbonico forma carbammato di ammonio, carbonato di ammonio e finalmente l'urea:

Inversamente, sotto l'influenza del fermento ureasi, dall'urea si forma carbonato di ammonio. Per questa ragione le urine abbandonate a sé svolgono odore ammoniacale. Siccome il carbonato di ammonio è rapidamente trasformato in urea dai tessuti dell'organismo, solo una quantità assai piccola di ammoniaca è presente nel sangue (ammoniemia). La maggior parte dell'ammoniaca che si riscontra nelle urine serve per neutralizzare gli acidi ingeriti o che si formano nell'organismo: perciò la quantità dell'ammoniaca che si riscontra nell'urina (ammoniuria) è una misura dell'acidosi; diminuisce con la ingestione delle sostanze alcaline, aumenta con quella delle sostanze acide.

Uso terapeutico. - L'ammoniaca che si usa comunemente in medicina è una soluzione acquosa di ammoniaca gassosa che in parte si trova disciolta in forma di idrossido di ammonio NH4OH. L'ammoniaca comune è un liquido incoloro, di odore caratteristico pungentissimo, fortemente volatile, la cui azione è legata alla presenza di OH-ioni che si trovano nella soluzione. Pertanto, come gli altri alcali, l'ammoniaca rallenta i processi fermentativi (Neilson, Jacobson, Coll) e lo sviluppo dei batterî e, ingerita, provoca sulla mucosa del canale alimentare, per la sua azione locale, necrosi da coagulazione degli elementi cellulari, con produzione di escare ed eventualmente perforazione o stenosi cicatriziale, mentre l'aspirazione o l'eliminazione di vapori ammoniacali per le vie aeree determina fatti bronco-polmonari acuti e spesso mortali. L'ammoniaca e i sali ammoniacali vengono solo in piccola parte eliminati inalterati colle urine; la maggior parte si sintetizza nel fegato formando urea; iniettati producono eccitamento del sistema nervoso centrale e abbassamento della pressione sanguigna.

In terapia la fugace inalazione di ammoniaca pura o di alcool ammoniacale può essere un rimedio di urgenza nei deliquî e nelle sincopi per il riflesso provocato dalla stimolazione della mucosa nasale. A gocce, molto diluita, agisce come stimolante nell'ebbrezza alcoolica, nel morso dei serpenti, negli avvelenamenti da narcotici; esternamente si applica sulle punture da insetti e, come caustico, sul morso di rettili velenosi. In medicina gode ancora molto credito il liquore anisato d'ammonio che si prepara aggiungendo cinque parti di ammoniaca liquida a una parte di essenza d'anice sciolta in 24 parti di alcool a 90°. Il liquore anisato si somministra a gocce (12-20 pro die) come correttivo di pozioni alcaline, di decotti o di infusi espettoranti e cardiocinetici e ciò per l'azione fluidificante del muco posseduta in genere dagli alcali e per quella stimolante del respiro e del cuore propria dell'ammoniaca.

Avvelenamento da ammoniaca. - L'ammoniaca agisce come un alcali caustico. In soluzione determina lesioni e sintomi corrispondenti a quelli sopra ricordati: allo stato gassoso, inalata, induce mortificazioni sulla delicata mucosa respiratoria, seguite da reazione infiammatoria, ed essudazione fibrinosa. Queste alterazioni anatomiche sono espresse da una sintomatologia peculiare consistente in difficoltato respiro, bruciore retrosternale (tracheale), dispnea che nei casi gravi può giungere fino a cagionare accessi asfittici. L'eccitazione dei centri nervosi è cospicua; il polso è molto frequente, la pressione è bassa. Il decorso dell'avvelenamento è ancor più che per gli altri alcali influenzato dall'entità delle lesioni anatomiche, e delle reazioni flogistiche successive quando sia stata causticata la mucosa del laringe e dei bronchi. Sono pericolose le lavande gastriche: migliore perciò la neutralizzazione chimica con acidi; le vaporizzazioni con acqua, le inalazioni di acido acetico e di olî medicati potranno diminuire la gravità della irritazione sulle mucose respiratorie. Contro il collasso circolatorio, i sintomi nervosi, i dolori, vale il trattamento sintomatico (cardiocinetici, calmanti, ecc.).

La produzione industriale dell'ammoniaca sintetica.

La preparazione industriale dell'ammoniaca per via sintetica partendo dai suoi costituenti, è senza dubbio uno dei più grandi problemi industriali che si sono affacciati negli ultimi anni alla società moderna e che sono stati risolti con miglior fortuna.

I primi che si erano occupati della sintesi di questo composto, lo avevano fatto come esperienza di laboratorio, dimostrante i rapporti del numero delle molecole in eguale volume di qualsiasi gas; ed i primi tentativi di utilizzare la reazione che si compiva, effettivamente, in condizioni speciali tra l'azoto e l'idrogeno, a scopi industriali, furono considerati come una vera utopia.

Nel 1838 il Kuhlman cominciò ad occuparsi della cosa: egli tentò di far reagire l'azoto, inerte per eccellenza, facendolo passare, mescolato all'idrogeno in proporzioni di un volume a tre sopra spugna di platino arroventata; ma né le sue prove, né quelle, fatte in condizioni analoghe da suoi successori, furono mai sufficientemente dimostrative. La piccola quantità di ammoniaca che si formava al passaggio dei gas sul catalizzatore, era forse dovuta alla presenza di tracce di ossidi presenti nell'azoto adoperato.

Solo ventun anni dopo, il Morren ottenne una reazione chiara, sicura, tra i due gas, facendo agire l'arco voltaico in una miscela gassosa formata dai due componenti dell'ammoniaca, ed eliminando man mano il prodotto della reazione. Risultati più completi furono ottenuti, con mezzi analoghi, dal Donkin nel 1873.

Nel 1865 il Sainte-Claire-Deville aveva già ottenuto, dalla miscela dell'idrogeno con l'azoto, in presenza di acido cloridrico gassoso, del cloruro di ammonio. La scarica oscura, provata dal Thenard sulla miscela dei due gas, aveva prodotto egualmente dell'ammoniaca (1873).

Intanto si andavano chiarendo le idee sul comportamento dei gas nelle reazioni, e il Tellier, per primo, accennò alla probabilità che la reazione fra i due elementi si potesse compiere con maggior attività lavorando sotto pressione e preconizzò, anzi, la possibilità di arrivare, con l'applicazione di questo principio, a vere e proprie realizzazioni industriali.

Le piccolissime quantità di ammoniaca che si formavano nei tentativi dei ricercatori, quando la miscela dei gas che la dovevano comporre passava sulle sostanze funzionanti da catalizzatori o sotto la scarica elettrica, concordavano con il fatto che, per riscaldamento dell'ammoniaca gassosa, se ne otteneva la decomposizione più o meno completa a seconda delle condizioni nelle quali si operava. È noto che a 750° restano, in equilibrio con l'azoto e l'idrogeno, 0,016% parti di ammoniaca, che si riducono poi a 0,005% verso i 950°.

Fra i due gas si stabilisce un equilibrio:

che varia secondo le leggi del Le Chatelier, le quali ci fanno presente che, in un equilibrio chimico:

1) L'aumento della temperatura sposta l'equilibrio chimico nel senso favorevole alla reazione che assorbe calore.

2) L'aumento della pressione sposta la reazione nel senso che porta ad una diminuzione di volume.

3) Il procedere della reazione è favorito dall'eliminazione del prodotto di reazione, man mano che si forma.

4) La velocità della reazione può essere accelerata dalla presenza di sostanze catalizzanti.

L'equilibrio di cui sopra è rappresentato da:

dove PNH3, PN2, PH2 rappresentano le pressioni parziali dei rispettivi gas allo stato di equilibrio e K è la costante di equilibrio, che dipende dalla temperatura.

Se con P si indica la pressione totale, che è la somma delle pressioni parziali PNH3, PN2, P2, e con CNH3, CN2, CH2 le concentrazioni relative dei tre gas, cioè i rapporti tra le loro pressioni parziali e la pressione totale, la relazione precedente può scriversi

Questa equazione determina quantitativamente il modo con cui cresce la concentrazione relativa dell'ammoniaca col crescere della pressione; il primo membro di essa risulta infatti proporzionale alla pressione. Essa ci dice che la concentrazione dell'ammoniaca aumenta col crescere della pressione, a parità di tutte le altre condizioni di equilibrio.

La reazione che porta alla formazione dell'ammoniaca è nettamente esotermica:

Ora, stando alla legge di Le Chatelier, la concentrazione di ammoniaca possibile diminuisce con il crescere della temperatura, la quale deve però essere tenuta ad un minimum piuttosto elevato perché la velocità di reazione sia tale che consenta un'utilizzazione della reazione che si compie.

Si prevede senz'altro quanto possa essere utile la presenza di sostanze capaci di accelerare la reazione, la quale si compie, normalmente, in condizioni sfavorevoli.

Secondo gli studî del Haber la percentuale di ammoniaca in equilibrio coi suoi costituenti è quella che risulta dalla seguente tabella:

Ciò vuol dire p. es. che, alla pressione di 200 atmosfere e alla temperatura di 600°, la concentrazione in ammoniaca non può oltrepassare l'8,25% nella miscela con i suoi componenti.

Per le pressioni più alte, sono molto interessanti i dati raccolti dal Claude:

Molto interessanti anche gli studî fatti dal Maxted sulla sintesi dell'ammoniaca per via termica, che egli condusse facendo passare traverso ad un piccolo arco contenuto in un tubo capillare la miscela di idrogeno ed azoto.

Gli studî dimostrarono che, alla temperatura di 3000°, la quantità di ammoniaca presente è in relazione diretta col tempo durante il quale i gas erano rimasti in contatto con l'arco.

Secondo gli studî del Nernst, i calori di formazione dell'ammoniaca alle diverse temperature (calorie per grammo-molecola di ammoniaca) sono dati dalla formola

da cui si otterrebbero i seguenti valori relativi a un kg.:

Secondo il Claude, il calore di formazione dell'ammoniaca è più basso, e precisamente di 717 Calorie alla temperatura di 600°.

I primi risultati degli studî fatti nei laboratorî per chiarire le condizioni nelle quali la sintesi sarebbe potuta diventare un procedimento industriale, non furono incoraggianti. Lo stesso Le Chatelier, che aveva visto così chiaramente quali erano le condizioni indispensabili, abbandonò le esperienze che aveva cominciato nel 1901, in seguito a un incidente capitato nei suoi laboratorî, durante un esperimento. Tutto il tentabile era stato provato e si concludeva che il problema non era risolubile dal punto di vista tecnico.

È grande merito del Haber l'aver ripreso gli studî in proposito e l'averli portati, con una costanza impareggiabile, a fine, nel laboratorio della università di Karlsruhe, ove, coll'intensa collaborazione di tutta la sua scuola e l'appoggio della Badische che gli fornì mezzi inesauribili di ricerca, risolse alla perfezione il problema.

Si vide subito la necessità di introdurre, nel processo, un catalizzatore, del quale si intravvedeva già la possibilità.

I primi studî sistematici fatti dal Haber con von Oordt portarono alla esatta conoscenza dell'entità della dissociazione che subiva l'ammoniaca per l'innalzarsi della temperatura, in modo che poteva venir bene delimitato il campo entro al quale si poteva sperare di lavorare. Al di sopra di 1020° la dissociazione è praticamente totale con un rapporto di molecole dissociate pari a 999,76/1000. Come conseguenza, a tale temperatura nessun catalizzatore avrebbe potuto essere utilizzato.

Altre ricerche, condotte pazientemente fino al 1905, confermarono i primi risultati, portando anche alla conclusione che nessun catalizzatore poteva essere usato praticamente alla pressione ordinaria e si cominciò allora a ricorrere a pressioni elevate.

Mentre il Haber e il Rossignol cominciavano a far conoscere i risultati delle loro ricerche, il Nernst, trovandoli in contraddizione apparente con il suo teorema che permette di calcolare le condizioni di un equilibrio chimico dalle costanti fisiche e chimiche dei componenti, intraprese gli stessi studî, con risultati non concordanti con quelli già ottenuti dal Haber, e da ciò nacquero molte discussioni che forse giovarono allo studio del problema.

Il Haber, persuaso della possibilità di giungere ad una soluzione industriale della cosa, fissò, in un primo brevetto in data del 13 ottobre 1908, le condizioni necessarie per ottenere la sintesi dell'ammoniaca, precisandole così: 1) la reazione si compie sotto una pressione rilevante; 2) occorre una circolazione continua dei gas, con eliminazione continua del prodotto che si va formando; 3) in una fase del ciclo, i gas devono essere portati ad una elevata temperatura, in presenza di sostanza avente proprietà catalitiche.

Le condizioni indicate in questo primo brevetto sono ancora tutte quelle che, nei metodi attuali, vengono osservate come indispensabili.

I migliori risultati allora segnalati erano stati ottenuti lavorando a pressioni di 150-200 atmosfere e alla temperatura di 700° circa, usando come catalizzatore il ferro ridotto.

Fu cominciata ed eseguita una lunghissima serie di esperienze per vincere le enormi difficoltà che si erano viste sorgere nelle prime prove di laboratorio.

La scelta del catalizzatore richiese lungo tempo. Si provarono quasi tutti i metalli noti, nelle loro diverse forme di combinazione, con risultati molto variabili. Ottimi risultati si ottennero con l'osmio, che permise al Haber di ottenere rendimenti dell'8% alla pressione di 150 atmosfere, ma la quantità nella quale questo elemento si trova in natura è tale che non permette di adoperarlo utilmente. Anche l'uranio si dimostrò ottimo catalizzatore, portando ad una percentuale di 11,9 di ammoniaca, lavorando a pressioni basse e con lente correnti di gas.

I migliori risultati pratici si ottennero però con ferro. Ridotto allo stato elementare dai suoi ossidi, esso si presta bene a catalizzare la reazione, quantunque sia molto sensibile alla presenza di altre sostanze, che lo avvelenano rapidamente, facendogli perdere la proprietà catalitica. Primissime fra queste, il fosforo, il solfo, il selenio, il tellurio, il boro, l'ossido di carbonio. Bastano tracce piccolissime di queste sostanze per alterare l'azione catalizzatrice del ferro. Giova l'aggiunta di altri elementi, i quali aumentano la sua attività, e fra questi il manganese, il molibdeno, il potassio e l'alluminio, alcuni dei quali son dei veri attivatori anche in piccole quantità, e, oltre ad aumentare la resa ottenibile, prolungano la durata dell'azione.

Un buon catalizzatore deve essere efficace molto a lungo, senza modificare sensibilmente la sua attività. Deve resistere facilmente a sbalzi di temperatura che possono prodursi nelle colonne di sintesi ed essere il minimo possibile influenzabile dalla presenza di sostanze che facilmente possono trovarsi nei gas e che ne riducono l'attività.

Molto spesso, per eliminare il pericolo dell'intossicamento del catalizzatore nella colonna di sintesi principale, si fanno arrivare i gas compressi che provengono dai gasometri entro una colonna contenente del catalizzatore vecchio per distruggere le sostanze che possono nuocere alla sintesi.

Il catalizzatore è tanto migliore quanto più bassa è la temperatura alla quale lavora. In pratica finora si deve stare sopra ai 550°-600°, ma s'intravvede già la possibilità di arrivare ad ottenere delle rese buone al disotto dei 500°. Ciò sarebbe molto utile, per il minor logoramento di tutta la colonna di sintesi.

In genere, la vita del catalizzatore è tanto più lunga quanto più bassa è la temperatura alla quale esso lavora, e ciò verosimilmente per la quantità di calore che si produce su di esso al passaggio dei gas che reagiscono, e che cresce col crescere della pressione e produce forti aumenti di temperatura.

A parità di condizioni, la durata del tempo nel quale la miscela dei gas sosta sul catalizzatore sembra essere in diretto rapporto con la resa del catalizzatore.

La realizzazione industriale della sintesi dell'ammoniaca.

Risolto il problema della sintesi dell'ammoniaca dal punto di vista scientifico, il primo passo gigantesco era stato fatto.

Rimanevano però ancora degli ostacoli che a prima vista sembrarono insormontabili, perché di carattere assolutamente nuovo nel complesso delle grandi industrie chimiche già in funzione. Nessuno aveva mai osato parlare della preparazione d'idrogeno, soprattutto, e di azoto in grandissime quantità.

Si trattava di mettere le basi di una nuova forma di attività industriale, con un'attrezzatura del tutto nuova, da studiare sin dalla base.

Lo stesso problema, in forma più grave forse, si presentò alle prime prove per i metalli da adoperarsi in apparecchi, i quali, dalle premesse fatte, dovevano lavorare in condizioni eccezionalmente sfavorevoli di pressione e di temperatura.

Soprattutto, la questione più difficile era quella delle materie prime da adoperare: la sorgente dell'azoto era, logicamente, l'aria, e senz'altro si studiò la sua preparazione da questa inesauribile miniera; per l'idrogeno, la fonte naturale era l'acqua, e da essa si poteva ottenerlo secondo due metodi: o con consumo di energia elettrica, attraverso all'elettrolisi, oppure per procedimenti chimici, richiedenti il consumo di combustibili.

Possiamo ritenere che ciò che differenzia e permette di classificare i varî cicli di lavorazione che portano alla sintesi dell'ammoniaca, è soprattutto il modo di preparazione delle materie prime: i gas che devono reagire.

Produzione dell'idrogeno. - La sorgente unica di questo gas è, come abbiamo detto, l'acqua: da questa si prepara industrialmente l'idrogeno con varî sistemi i quali si possono riunire in questi gruppi:

1. Azione chimica dell'acqua sul carbone rovente.

2. Distillazione del carbone fossile e separazione dell'idrogeno dai gas sviluppati.

3. Decomposizione elettrolitica dell'acqua.

Possiamo ritenere che la ragione che può portare a scegliere l'uno o l'altro dei sistemi, è quella del costo di produzione, legata trettamente alle possibilità naturali di un paese. Per il caso delle nazioni ricche in combustibili naturali, la via della scissione chimica dell'acqua fu ritenuta subito la più logica; in Italia, invece, vedemmo senz'altro prendere il sopravvento il metodo elettrolitico, che permette di adoperare la forza idraulica anche in condizioni di non continua erogazione.

Idrogeno dal gas d'acqua. - L'idrogeno proveniente dalla decomposizione chimica dell'acqua per azione del carbone rovente è la materia prima che venne utilizzata per la preparazione dell'ammoniaca sintetica, dalla società che per prima osò l'applicazione industriale dei nuovissimi trovati, la Badische Anilin- und Soda-Fabrik.

L'impianto che occorre per giungere a un prodotto che abbia i requisiti richiesti dalla sua applicazione, è veramente di una notevole complessità, date anche le dimensioni che esso deve assumere per arrivare alla produzione d'una massa gassosa assai considerevole. La reazione che porta a produrre l'idrogeno si riassume nel seguente schema:

Il prodotto della reazione, miscuglio di idrogeno e ossido di carbonio, costituisce il cosiddetto "gas d'acqua".

Da questo si potrebbe già separare l'idrogeno, mentre l'industria preferisce mescolarlo prima a gas povero, o gas d'aria.

(Dalla miscela dei due si ottiene addirittura l'idrogeno mescolato all'azoto nella quantità richiesta dalla sintesi).

Seguiamo l'operazione in un impianto industriale, tenendo come base quello di Oppau, della Badische Anilin- und Soda-Fabrik.

Una batteria di speciali gasogeni, resi al massimo automatici, muniti di griglia rotante per lo scarico continuo delle scorie, viene alimentata, dalla parte superiore, in modo continuo, con il carbone che proviene da silos superiormente disposti, e alimentati direttamente, a loro volta, dai vagoni che giungono, carichi di combustibile. Il combustibile che entra nel forno non è in generale un materiale di prima qualità, ma è formato da mattonelle composte di lignite e polvere di coke compresse. Caduto nel forno verticale del gasogeno, il carbone viene acceso da una corrente di aria, insufflata dal fondo del forno stesso, insieme a vapor d'acqua, alla pressione di 12 atmosfere. Si compie allora la reazione (1).

Dopo tre minuti, il passaggio del vapore viene interrotto, perché il carbone tende a raffreddarsi e questo viene nuovamente acceso e portato al calor rosso dal passaggio, durante un minuto, di una corrente d'aria, che lo riporta alle primitive condizioni di temperatura. Il gas che ne deriva, e che viene analizzato continuamente da apparecchi automatici, almeno nei grandi impianti, ha normalmente la seguente composizione:

Il suo potere calorifico si aggira sulle 2400 calorie per metro cubo.

Essendo opportuno, nel caso in questione, di arrivare ad ottenere, non idrogeno solo, ma miscelato con azoto, in quantità tale che il rapporto fra i due gas sia di 3 ad 1, si fa giungere nello stesso gasogeno in cui va il gas d'acqua, anche del gas d'aria (gas povero) proveniente da forni a coke, nei quali viene insufflata dal basso una quantità d'aria sufficiente a mantenere una combustione limitata alla formazione d'ossido di carbonio, secondo la reazione già indicata.

Il gas povero che esce da tali forni ha la composizione normale di:

Le proporzioni con cui i due gas giungono al gasogeno sono tali da costituire il rapporto necessario fra l'idrogeno e l'azoto contenuti in essi, e cioè di due parti, circa, di gas d'acqua per una parte di gas d'aria.

Prima di arrivare ai gasogeni, i gas vengono accuratamente lavati con acqua in appositi scrubbers.

A questo punto è necessario eliminare dalla miscela i gas che non servono e che possono danneggiare.

Profittando del fatto che l'ossido di carbonio, alla temperatura di 450°-500°, in presenza di sostanze catalizzatrici come il ferro, è capace di trasformarsi in anidride carbonica, reagendo con vapor d'acqua, secondo la reazione:

si può trasformarlo in anidride, più facilmente separabile, generando, contemporaneamente, altro idrogeno.

La miscela dei gas è condotta in grandi torri fatte di lamiera di ferro, termicamente isolate, perché la quantità di calore che si sviluppa è piccola mentre la massa dei gas da riscaldare è enormemente grande in un impianto di qualche importanza. I gas entrano nelle torri traversando dei fasci di tubi, nei quali vengono preriscaldati dai gas che escono dopo essere passati sul catalizzatore.

Dopo il preriscaldamento, ai gas si aggiunge del vapor d'acqua, conducendoli poi entro grandi camere nelle quali si trovano le masse catalizzatrici, costituite principalmente di ferro. La temperatura interna è sui 500° e non deve salir troppo perché la reazione potrebbe invertirsi, lasciando un residuo d'ossido di carbonio troppo forte nei gas di uscita.

Passando ad un primo apparecchio catalizzatore, la temperatura si eleva oltre i 500° per la quantità di calore di reazione che si sviluppa, e la reazione non si completa. I gas devono essere raffreddati un poco (sotto ai 450°) in un ricuperatore di calore, poi vengono ricondotti in contatto con un'altra massa catalitica ove la trasformazione dell'ossido di carbonio si completa, con nuovo sviluppo di calore più limitato e che non innalza la temperatura, fino a rovesciare l'equilibrio di reazione.

Prima della messa in marcia, l'apparecchio viene riscaldato fino alla temperatura necessaria facendolo traversare da gas caldi, provenienti da appositi forni, e che vengono condotti, con apposita tubazione, ai preriscaldatori e poi ai catalizzatori, mentre un aspiratore di coda mantiene una leggera depressione nell'interno dell'apparecchio.

L'inconveniente principale del ciclo è dato dalla grande quantità di vapor d'acqua sotto pressione che è necessario mescolare ai gas perché la reazione si compia con buon rendimento, ciò che, per il costo di produzione, rende necessario un ricupero del calore molto accurato. Questo viene fatto in un sistema di torri, ben isolate termicamente, nella prima delle quali giungono i gas che hanno reagito, e vi condensano una buona parte del vapore che contengono, e che si deposita come acqua alla temperatura di 90°.

L'acqua calda viene messa in circolazione da apposite pompe che la portano sulle torri seguenti, nelle quali piovono dall'alto, incontrandoi gas che devono essere diluiti con vapore e che si saturano assumendone la quantità di grammi 300 per metro cubo, che rappresenta solo un quarto del necessario; il resto viene aggiunto poi sotto forma di vapore, per giungere alla quantità necessaria per il buon andamento della reazione nel catalizzatore.

Dopo la reazione di ossidazione, uscendo dalle camere di catalisi i gas hanno la seguente composizione:

Entrambi gl'ossidi di carbonio devono venire eliminati in modo completo.

La separazione dell'anidride carbonica si fa sciogliendola in acqua, entro torri nelle quali i gas vengono compressi a 25 atmosfere e introdotti dal basso, mentre l'acqua viene introdotta dall'alto e vaporizzata. In queste condizioni, la separazione dell'anidride carbonica è quasi completa e quando la soluzione che l'asporta viene messa a pressione ordinaria, l'anidride carbonica si sviluppa allo stato libero: negli impianti della Badische, per esempio, essa va a gorgogliare in grandi recipienti nei quali, in una sospensione acquosa di gesso, giunge oltre che l'anidride carbonica anche ammoniaca, con la formazione di solfato ammonico in soluzione al 30%, e la precipitazione di carbonato di calcio in polvere, che viene utilizzato in altra parte:

Assistiamo così ad una magnifica utilizzazione di tutti quelli che sarebbero altrimenti degli inutili residui.

La quantità di acqua necessaria alla separazione completa dell'anidride carbonica è molto forte. La solubilità di questo gas a 25 atm. e 20° è di mc. 0,878 × 25 = mc. 21,95 per metro cubo di acqua. Nei gas da lavare, l'anidride carbonica rappresenta il 30% circa, quindi l'assorbimento si compie come se la pressione fosse ridotta a 7,5 atm. Un metro cubo di acqua in tali condizioni ne scioglie 0,878 × 7,5 = mc. 6,6, ciò che corrisponde a mc. 22 circa di gas lavato a pressione ordinaria (pari a mc. o,88 di gas alla pressione di 25 atm).

Il volume dell'acqua di lavaggio è quindi necessariamente maggiore di quello dei gas da eliminare. È interessante il fatto che l'enorme quantità di acqua impiegata per lavare il gas, e compressa a una forte pressione, viene utilizzata, alla sua uscita ddalle torri, per compiere del lavoro meccanico in apposite turbine. L'acqua, uscendo da queste, va in un serbatoio nel quale si sviluppa tutto il gas disciolto, nel quale l'anidride carbonica è contenuta nella proporzione dell'85-90%, essendo la differenza rappresentita da idrogeno e azoto che si perdono.

Il gas, così lavato, contiene:

Per potere adoperare per la sintesi dell'ammoniaca questa miscela bisogna purificarla ancora. Essa viene compressa a 200 atmosfere e introdotta alla base di robuste colonne di acciaio, in cui piove dall'alto una soluzione di soda caustica per trattenere le ultime parti di anidride carbonica, e passa poi in analoghe torri, dove il lavaggio del gas è fatto con una soluzione ammoniacale di formiato di rame, il quale trattiene, fissandolo, l'ossido di carbonio.

Pompe speciali mantengono la soluzione in circolo. Il liquido viene poi rigenerato riscaldandolo a pressione ridotta. Rimane così una miscela di idrogeno e azoto, già compressa a 200 atmosfere, nella quale i due gas sono in proporzione adatta a generare ammoniaca nelle torri di catalisi nelle quali in seguito entreranno.

Gli impianti della Badische Anilin- und Soda-Fabrik di Oppau (produzione di 200 tonn. di ammoniaca sintetica al giorno) e di Merseburg (produzione di 800 tonn. al giorno) dispongono (Industrie chimique, 1924, gennaio-febbraio), per la produzione dei gas necessarî, di impianti giganteschi. Lo stabilimento di Oppau occupa circa 800 ettari di terreno e la produzione dei gas è fatta con i seguenti apparecchi:

Per la produzione della miscela idrogeno-azoto: 25 gasogeni Bamag per gas d'acqua, che consumano tonn. 450 di combustibile nelle 24 ore, producendo mc. 1.560.000 di gas d'acqua. Ogni gasogeno ha le dimensioni di m. 3 di altezza per m. 2,8 di diametro.

18 gasogeni Pintsch, per produrre il gas d'aria, che viene inviato in un gasometro del volume di mc. 15.000. Essi hanno m. 4 di altezza e m. 3 di diametro e consumano, giornalmente, tonn. 265 di coke, producendo 380.000 mc. di gas povero.

I gas prodotti vengono lavati in una batteria di scrubbers, alti m. 12, e aventi un diametro di m. 1,20. Oltre a questi funzionano un purificatore tangenziale di gas e tre lavatori rotativi, ciascuno dei quali è costituito di 2 turbine ad asse orizzontale, del diametro di m. 1 e lunghe m. 1,25, unite direttamente all'albero di un motore di 75 HP. L'aria necessaria al funzionamento dei forni è data da un ventilatore del diametro di m. 2,50 azionato da una turbina di 600 cavalli e da 5 ventilatori del diametro di m. 1,50, assorbenti complessivamente 660 HP.

Le miscele dei gas (due volumi di gas d'acqua e un volume di gas d'aria) vengono lavate da una batteria di turbine di lavaggio, del diametro di m. 1,50, che richiedono 250 HP. Oltre a questo apparecchio, vi sono camere a polvere e separatori di acqua.

La trasformazione dell'ossido di carbonio in anidride carbonica viene fatta saturando prima di vapore il gas, con una pioggia di acqua a 90° in una torre di 17 metri di altezza. Viene aggiunto vapore a 12 atmosfere per giungere alla composizione voluta per la reazione; il gas passa quindi per un preriscaldatore ricuperatore, alto m. 7,50 e del diametro di m. 1,50, quindi sul primo catalizzatore e su un secondo ricuperatore, alto m. 5, nel quale si raffredda un poco, e va poi al secondo catalizzatore ove torna a scaldarsi a 500°, calore che cede al primo preriscaldatore-ricuperatore, per andar poi alla torre di lavaggio e condensazione (v. indietro).

Il catalizzatore è fatto di ferro con nichel e cromo, ridotti allo stato metallico.

Il catalizzatore è contenuto in recipienti delle dimensioni di metri 3 × 6 × 5,5, in numero di 24, ciascuno collegato con un doppio ricuperatore di calore. Una batteria di dodici forni Perrot serve a riscaldarli per la messa in marcia. La circolazione dei gas sui catalizzatori è di circa 2,700 metri cubi all'ora.

Ogni catalizzatore è munito di coppie pirometriche, di manometri e tubi di Pitot, per regolare il passaggio dei gas. Ogni gruppo catalizzatore è servito da tre pompe elettriche di 500 HP per il ricuperatore-riscaldatore e di tre pompe di 50 HP per il raffreddatore. I gas che hanno reagito vengono lavati dell'anidride carbonica che contengono, in una batteria di dodici torri di assorbimento ad acqua, con dodici separatori a depressione, allacciati in sei gruppi di due, muniti di una pompa centrifuga Schultzer a 1480 giri al minuto, della potenza di 200 HP.

Mantengono il movimento dei gas 12 compressori che comprimono successivamente il gas a 5-9-27-80-200 atmosfere con un consumo totale di 12.600 HP, e funzionano con motori a gas a due cilindri, in tandem, di metri due di corsa.

Essi consumano 3200 mc. di acqua all'ora, e 30.720 HP al giorno.

L'ossido di carbonio viene eliminato in una batteria di 15 torri analoghe a quelle per l'anidride carbonica, alte m. 12, del diametro di m. 1 ,80, nelle quali entra il gas dopo l'ultima fase di compressione. Ogni colonna ha una sua pompa di circolazione per la soluzione di formiato di rame.

Dopo questo lavaggio, si elimina l'anidride carbonica rimasta, in due torri in cui circola una soluzione alcalina. La soluzione ammoniacale di formiato di rame viene rigenerata in boules a vuoto lunghe m. 6 e del diametro di m. 4,80. Giornalmente si adoperano mc. 1000 di soluzione contenente kg. 350 di formiato di rame; dall'acqua si ricuperano 20.000 mc. d'ossido di carbonio al giorno. Da ultimo il gas passa in due torri munite di pompa di circolazione da 40 HP e nella quale passa una soluzione alcalina (mc. 190 al giorno). Si eliminano in questo modo le ultime tracce d'anidride carbonica.

Idrogeno dai gas dei forni a coke. - Il gas che si genera nella distillazione del carbon fossile e che contiene circa il 50% di idrogeno, è utilizzabile come sorgente di questo gas mentre gli altri suoi componenti (in gran parte metano e poco ossido di carbonio, anidride carbonica e azoto) possono essere totalmente ricuperati a parte.

Il Claude studiò per primo questa utilizzazione allo scopo di fornire idrogeno all'industria dell'ammoniaca sintetica. Il gas di distillazione viene, come nel caso della sua utilizzazione quale gas illuminante, lavato per eliminare i prodotti catramosi e ammoniacali, poi trattato con soda per togliere l'anidride carbonica e poi completamente essiccato.

Il gas viene in seguito liquefatto con apparecchi analoghi a quelli che servono alla produzione dell'ossigeno e azoto dall'aria liquida, nei quali per il raffreddamento si utilizza la temperatura bassissima producentesi per espansione del gas compresso. Alla temperatura di −164° il gas metano si liquefà e viene raccolto e usato per il riscaldamento delle storte di distillazione, mentre l'idrogeno rimane allo stato gassoso, con piccole quantità di ossido di carbonio.

Eliminare tutto l'ossido di carbonio per distillazione frazionata sarebbe impossibile, dato che le temperature di ebollizione dei due gas sono molto vicine, e si preferisce lavare l'idrogeno, che distilla nell'apparecchio di rettificazione, con azoto liquido, estraendo poi le ultime tracce d'ossido di carbonio con lavaggi sotto pressione, come in altri sistemi.

L'idrogeno può essere estratto dal gas illuminante anche con altri processi, decomponendo la massima parte del metano e facendolo passare a 1200° in contatto di carbone coke arroventato, con che si arriva alla decomposizione quasi totale degli idrocarburi presenti.

Idrogeno per idrolisi dell'acqua. - Una grande importanza, soprattutto per i paesi nei quali manca il combustibile fossile a buon mercato, ha la preparazione dell'idrogeno per elettrolisi dell'acqua.

Grande pregio di questo metodo è quello di dare un gas già puro alla sua nascita, evitando così la depurazione che in tutti gli altri casi implica la costruzione di grandi impianti complicati e di funzionamento delicato per eliminare fin le minime tracce dei gas estranei, generalmente deleterî alla durata e al buon funzionamento del catalizzatore.

La convenienza di ricorrere a questo metodo dipende soprattutto, naturalmente, dal costo dell'energia elettrica in confronto al costo del combustibile.

I grandi vantaggi creati dalla possibilità di ottenere dell'idrogeno già purissimo senza altre lavorazioni successive portano, negli stessi paesi che ci hanno preceduto in questa industria e che dispongono attualmente di combustibili a buon prezzo, a fare degli impianti di sintesi dell'ammoniaca, servendosi di metodi elettrolitici per la preparazione dei gas necessarî.

Per la legge di Faraday, l'elettrolisi d'un composto chimico si compie in modo che la quantità di questo che viene decomposta è direttamente proporzionale alla quantità di corrente elettrica che lo traversa.

Per la legge di Helmholtz, la quantità dei varî corpi decomposti dall'elettrolisi è proporzionale all'equivalente chimico di ogni singolo elemento e precisamente nella proporzione quantitativa costante di coulomb 96,538 per ogni ione-grammo messo in libertà.

Da queste leggi possiamo dedurre esattamente quale sia la quantità teorica di corrente elettrica che dobbiamo consumare per produrre dell'idrogeno il cui peso atomico ed equivalente chimico è di 1,01 (riferito a quello dell'ossigeno = 8).

Un coulomb sviluppa quindi gr.

di idrogeno, pari a gr. 0,00001046 e, nello stesso tempo, gr.

di ossigeno, pari a gr. 0.000083.

Un ampère-ora produce quindi gr. 0,0376 di idrogeno e gr. 0,298 di ossigeno; 1000 ampère-ora dànno litri 418 di idrogeno (peso specifico a 0° e 760 mm. = 0,08987) e litri 209 di ossigeno (peso specifico a 0° e 760 mm. = 1,43).

Questo dato teorico è variato nella pratica tecnica dalle condizioni in cui si lavora per la diversa resistenza al passaggio della corrente, offerta dalle soluzioni dei varî elettroliti in condizioni differenti. Tanto maggiore sarà il consumo della corrente quanto maggiore sarà la resistenza offerta dalla soluzione da elettrolizzare.

La forza elettromotrice necessaria per la decomposizione dell'acqua esistente in una soluzione salina è data dall'espressione

con C = forza necessaria alla decomposizione dell'acqua,

C1 = forza necessaria a vincere la sopratensione degli elettrodi,

C2 = forza necessaria per vincere la resistenza interna dell'apparecchio.

La tensione teorica alla quale si deve operare per decomporre l'acqua è deducibile dal computo delle equivalenze per le energie termica ed elettrica che sono in giuoco.

Un grammo d'idrogeno brucia, sviluppando cal. 34.100. La quantità d'idrogeno sviluppata da 1 ampère-ora (gr. 0,0376) corrisponde alla energia termica di 0,0376 × 34, 100 = 1275 calorie. Corrispondendo un watt-ora a 864 calorie, la tensione occorrente per decomporre l'acqua è di:

Questo dato teorico stabilisce quale sia il limite minimo sotto il quale si possa decomporre l'acqua per via elettrolitica. Il voltaggio "teorico" di 1,48 non è in pratica mai raggiunto, ma se ne richiede sempre uno maggiore. Anzitutto si deve sempre vincere la forza elettromotrice che si stabilisce fra gli elettrodi e il gas che ad esso aderisce, compiendo così la polarizzazione dell'elettrodo che non viene interrotta se non col cessare dell'immissione della corrente.

Oltre a questa energia, si deve somministrare quella destinata a vincere la sopratensione che si stabilisce sugli elettrodi in contatto con l'elettrolita e che varia a seconda del metallo che lo forma, del suo stato fisico, e del tempo durante il quale lavora.

La resistenza interna dell'apparecchio elettrolizzatore dipende da molti fattori, quali le resistenze specifiche dei diaframmi, la distanza degli elettrodi, la conducibilità del liquido elettrolitico, la densità della corrente sull'unità di superficie degli elettrodi e la sezione del liquido. Tutte le resistenze passive sommate fanno sì che è necessario in pratica, adoperare una tensione maggiore della teorica, ciò che porta a un consumo di energia maggiore. Per ottenere un metro cubo di idrogeno si impiegano, industrialmente, da 5,5 a 6 kwh. adoperando come idrolito una soluzione di potassa caustica.

Gli elettrolizzatori. - Per la produzione di grandissime quantità di idrogeno, come quelle che possono occorrere nella sintesi industriale dell'ammoniaca, occorrono apparecchi di semplice funzionamento e di assoluta sicurezza, perché sia comunque evitata la possibilità di miscelamento dei gas. In molti casi, l'idrogeno può venir generato come prodotto secondario nella preparazione della soda caustica elettrolitica, ma in molti altri esso diventa la principale materia che si deve produrre.

Negl'impianti italiani, i quali per la massima parte adoperano idrogeno proveniente dall'elettrolisi dell'acqua, trova larghissimo impiego un interessante tipo di elettrolizzatore, che porta il nome del suo ideatore, il Fauser, e sul quale non sarà senza interesse veder qualche dato (figg. 1, 2, 3). L'apparecchio è formato da una vasca di lamiera di ferro, nella quale sono immersi gli elettrodi, di ferro nichelato o di nichel, formati da lastre, terminate all'estremità superiore da campanelle collettrici. Un doppio diaframma di tela d'amianto impedisce che i gas che si sviluppano si mescolino e si disperdano. Anche se uno dei diaframmi dovesse rompersi, la miscela dei gas non sarebbe ancora possibile.

Le campanelle superiori fanno chiusura idraulica sul liquido, per cui se l'elettrolito venisse a mancare, abbassandosi troppo il livello, cesserebbe la raccolta del gas, segnalando facilmente l'inconveniente. L'elettrolito si mantiene continuamente in forte movimento per il rapido sviluppo del gas, il quale si stacca facilmente dall'elettrodo e sale rapidamente al collettore.

I collettori si riuniscono in tubazioni di raccolta, dalle quali i gas, controllati con analizzatori automatici, vanno ai gasometri di raccolta.

La produzione dell'azoto per la sintesi. - Nel processo Haber applicato dalla Badische, col quale si prepara l'idrogeno da una miscela di gas d'aria e di gas d'acqua, si giunge senz'altro a una miscela d'idrogeno e d'azoto, in proporzioni adatte per poterla mettere in lavorazione come tale, e cioè nella proporzione voluta di uno a tre.

Se l'idrogeno è invece d'origine elettrolitica, si deve provvedere a parte alla sua produzione e alla formazione della miscela necessaria alla sintesi. Non occorre ricordare che la sorgente naturale dell'azoto è sempre l'aria atmosferica che, com'è noto, ne contiene il 78, 14% in volume, insieme al 20,92% di ossigeno e al 0,94°0 di argon e altri gas.

Due metodi principali consentono di arrivare alla miscela di gas occorrente:

1. Separazione dell'azoto dall'aria liquida.

2. Azoto per combustione dell'ossigeno dell'aria.

Azoto dall'aria liquida. - Una serie ormai numerosa di metodi industriali permette di preparare l'aria allo stato liquido e successivamente di scinderla nei suoi componenti. I processi sono ormai diffusi e soddisfacenti.

Dai primi tentativi di distillazione dell'aria liquida, in colonne analoghe a quelle con cui si separa l'alcool dall'acqua, si otteneva allo stato quasi puro l'ossigeno, mentre l'azoto era ancor troppo impuro per poterlo utilizzare nella sintesi dell'ammoniaca, né del resto, fino a pochi anni fa, interessava veramente la preparazione di azoto purissimo, mentre oggi essa è diventata parte importante dell'industria che ha per materia prima l'aria liquida.

Azoto dalla combustione dell'aria. - Uno dei metodi più semplici per ottenere l'azoto dall'aria, è quello studiato dal Fauser e dal Casale e da entrambi applicato nel processo di sintesi (fig. 4).

È noto che un metro cubo d'aria contiene litri 781,4 di azoto, litri 209,2 di ossigeno e litri 9,4 di argon e altri gas. Occorrono quindi per eliminare tutto l'ossigeno litri 418,4 d'idrogeno, con che si ottengono litri 781,4 di azoto non contenente altra impurezza che i gas nobili che l'aria contiene. Un metro cubo di azoto corrisponde quindi a litri 267 di ossigeno, richiedenti litri 534 di idrogeno per essere eliminati sotto forma di acqua. Considerato che per ottenere un metro cubo di idrogeno occorrono in pratica da cinque a sei kwh., un metro cubo di azoto richiede un consumo di 2,67 a 3,2 kwh.

Dove l'energia elettrica è scarsa, questo metodo può non convenire per il fatto che un metro cubo di azoto si ottiene per liquefazione dell'aria con circa 0,2 kwh. A favore di questo metodo sta il fatto che l'azoto prodotto è assolutamente esente di ossigeno, mentre nell'altro caso ha bisogno di una piccola quantità d'idrogeno per la sua purificazione. Gl'impianti che poi si adoperano per questa preparazione sono di una grande semplicità, e permettono di utilizzare il calore che si sviluppa nella combustione dell'idrogeno con l'ossigeno e di ricuperare l'acqua sintetica che si può facilmente raccogliere allo stato di assoluta purezza. Nelle loro linee generali gli apparecchi ideati dal Fauser consistono di un bruciatore nel quale avviene la combustione dell'idrogeno con l'ossigeno atmosferico e che è alimentato da due dosatori a capsulismi, collegati in modo che non può essere alterato per nessuna causa il rapporto fra l'idrogeno che entra e l'aria che ad esso è proporzionata.

I due gas, passando attraverso a un depuratore d'olio, sono miscelati in un mescolatore a ugello e, una volta accesi, la fiamma si mantiene regolarmente; la sicurezza che la combustione sia in ogni caso mantenuta è data dalla presenza di una candela, sul tipo di quelle usate nell'automobilismo, la quale riaccende la fiamma se questa avesse, per qualunque caso, a spegnersi.

Il calore prodotto nella combustione viene riutilizzato in apposita caldaia tubulare, attraverso alla quale passano i gas caldi, i quali lavorano distillando acqua che serve poi, in genere, per alimentare le celle elettrolitiche dell'impianto che produce l'idrogeno. L'acqua di sintesi viene a sua volta separata, perché si condensa quando i gas caldi vengono raffreddati, prima di essere inviati al compressore o al gasogeno dal quale saranno ripresi per andare alla sintesi.

La combustione in tale apparecchio è fatta in modo che, come residuo, si ottiene addirittura la miscela dei gas, avente la composizione richiesta di tre molecole d'idrogeno per una di azoto.

Questo si ottiene immettendo nel bruciatore, per ogni metro cubo di aria, litri 781,4 × 3 = 2344,2 d'idrogeno che deve formare la miscela stechiometrica finale desiderata, più 209,2 × 2 = 418,4 litri d'idrogeno necessarî alla combustione totale dell'ossigeno, con un totale, per metro cubo di aria, di litri 2762,6 d'idrogeno.

Utilizzazione dell'azoto residuo dall'ossidazione dell'ammoniaca. - Un'economia veramente notevole nella produzione dell'azoto venne genialmente ottenuta dal Fauser nei casi in cui all'impianto di sintesi dell'ammoniaca si colleghi quello di ossidazione per la preparazione dell'acido nitrico sintetico.

Nella combustione dell'ammoniaca con aria per averne ossidi di azoto si ha, insieme a questi, un'aria fortemente impoverita di ossigeno e che non ha altra impurezza che quella di una piccola quantità di ossidi di azoto sfuggiti alle torri di captazione. All'aria necessaria per ossidare l'ammoniaca bisogna aggiungere anche tutta quella che consente il compimento della serie di reazioni che dall'ossido di azoto porta all'acido nitrico, e che possiamo comprendere nelle seguenti:

da cui si può calcolare la quantità di aria che occorre per apportare tutto l'ossigeno occorrente (teoricamente 1 : 16,1, in pratica 17-18 volte). Riferendosi a 1000 kg. di ammoniaca ossidata, occorreranno kg. 18.000 circa di aria, di cui: azoto kg. 13,824 ed ossigeno kg. 4176 che vengono consumati quasi completamente.

Come residuo dell'ossidazione d'una tonnellata d'ammoniaca ad acido nitrico, si avranno quindi circa quattordici quintali di azoto, contenenti una percentuale d'ossigeno che si aggira sul 4-6%. Il costo di un metro cubo d'azoto sarà rappresentato quindi solo dai pochi litri d'idrogeno che occorrono per eliminare l'ossigeno presente. Tale quantità d'ossigeno non permetterebbe di mantenere la fiamma accesa nelle condizioni nelle quali brucia l'aria con l'idrogeno, sicché il Fauser ricorse, per raggiungere egualmente lo scopo, alla combustione fatta in un ambiente caldo pieno di sostanza porosa. La temperatura del forno viene portata inizialmente al punto di accensione con un riscaldamento, mentre poi la stessa combustione dell'idrogeno è sufficiente a mantenere la temperatura occorrente. L'apparecchio funziona con grande regolarità, realizzando una notevole economia sulla produzione dell'azoto. È tuttavia necessario, in questo caso, eliminare accuratamente dalla massa dei gas le piccolissime quantità di ossidi di azoto che esse trasportano e che sarebbero molto nocive agli apparecchi di compressione. Questo risultato si ottiene facendo passare la massa calda dei gas su tornitura di rame, la quale riduce con funzione catalitica (in presenza di idrogeno) gli ossidi di azoto.

Metodo Haber-Bosch. - Negl'impianti di Oppau e Merseburg, che utilizzano i brevetti Haber-Bosch, nei quali possiamo dire che è nata la sintesi industriale dell'ammoniaca, l'idrogeno viene preparato, come già abbiamo visto, in miscela con l'azoto dalla reazione dell'acqua con il carbone, passando attraverso ad una lunga serie di fasi, già descritte nella prima parte di questo capitolo (fig. 5).

Il gas, compresso già all'uscita dall'ultima torre di depurazione, viene introdotto nella parte inferiore di una torre di acciaio, nella quale si compie la catalisi.

La torre normale ha l'altezza di m. 12 e il diametro esterno di m. 1,10, ed è chiusa da un cappello di acciaio alle due estremità. La parete esterna ha lo spessore di 12 cm. ed è forellata con fori conici del diametro esterno di mm. 5 e interno di 1 mm. Questi fori hanno lo scopo di facilitare la diffusione dell'idrogeno che passa attraverso alla camicia interna della torre.

La colonna è traversata, verticalmente, da una camicia d'acciaio, dello spessore di 2 cm., che la riveste completamente e le cui estremità sono ribattute sulla sua testata. Nel suo interno è contenuto un terzo tubo d'acciaio, distante dalla camicia di rivestimento di circa mezzo centimetro, che lascia così un'intercapedine, nella quale circola dell'azoto sotto pressione, per attenuare la diffusione dell'idrogeno attraverso alle pareti del tubo interno.

Questo è rivestito di materiale refrattario, e contiene un recipiente cilindrico, entro cui sta la massa catalitica, che riempie la metà superiore della colonna. Nella parte inferiore di questa, si trova un fascio tubulare, che serve a ricuperare il calore dei gas che hanno reagito (fig. 6).

La colonna è rivestita da uno strato di materiale isolante, staccato dalla parete della colonna stessa e nel quale circola una corrente di aria che ne regola la temperatura. I gas entrano nella parte inferiore della colonna, attraversando il fascio di tubi di ricupero, nei quali si preriscaldano raffreddando i gas che escono, e poi passano attraverso al catalizzatore, dove si compie la reazione. L'ammoniaca formatasi passa in altre colonne, legate alla torre da tubazioni, e in alcuni casi condensa per forte raffreddamento allo stato liquido, mentre in altri viene sciolta in acqua. I gas che non hanno reagito vengono ripresi da una pompa di circolazione che li riporta nella torre di sintesi, dove viene conservata la pressione iniziale del gas sottratto per l'avvenuta reazione.

Su questi impianti non si hanno però dati molto esatti, per ciò che riguarda i particolari degli apparecchi.

Metodo Fauser. - Il Fauser, preferì nei suoi impianti per la sintesi dell'ammoniaca attenersi a pressioni relativamente basse, come quelle già adottate dal Haber, e che stanno al disotto delle 300 atm. Se l'uso di forti pressioni permette di ridurre le dimensioni del tubo di sintesi, l'aumento di pressione richiede in pratica una maggiore quantità di energia per comprimere i gas. Inoltre la temperatura ottima di reazione cresce col crescere della pressione, fatto che rende più attaccabili gli acciai usati per la costruzione delle torri di sintesi, che si trovano in condizioni molto più sfavorevoli che a temperatura più bassa.

La parte termica diventa più delicata, e la quantità maggiore di calore che si sviluppa sotto la forte pressione può creare serie difficoltà. Lo schema del metodo studiato dal Fauser è il seguente.

L'idrogeno (preparato finora nella maggior parte degl'impianti che adottarono il metodo Fauser con le celle elettrolitiche ideate dal Fauser stesso) va a bruciare l'ossigeno dell'aria destinata a fornire l'azoto, come abbiamo visto, in apposito dispositivo, dove, con ricupero dell'acqua sintetica e del calore di combustione, si prepara la miscela necessaria dei gas.

Questa viene compressa con un apparecchio a 5 tempi fino a 200 atmosfere, e va, dopo una separazione dell'olio che trasporta, ad una pompa di circolazione che la immette, come vedremo, nella torre di catalisi.

Questa è fatta in due parti, costituite di due cilindri di acciaio cavi, riuniti fra di loro in modo da formarne uno solo, a mezzo di una robusta frangiatura ed è munita alle due estremità da due coperchi di acciaio trattenuti da robusti bulloni. La colonna superiore contiene la camera del catalizzatore, nel quale, passando, si compirà la reazione, mentre nella colonna inferiore sono disposti dei fasci di tubi di acciaio per il ricupero del calore che si sviluppa nella reazione.

Entrambe le parti della colonna sono rivestite da una camicia di acciaio povero di carbonio, che ha lo scopo di preservare l'interno della colonna dall'attacco che può essere fatto dai gas ad alta pressione e a temperatura elevata.

La resistenza alla forte pressione che si produce nell'interno è affidata alla parete della colonna che è forellata, per permettere all'idrogeno che sfugge attraverso alla camicia di sperdersi nell'atmosfera (figg. 7, 8).

La camera che contiene il catalizzatore e che è indipendente dalla colonna, come costruzione, è isolata termicamente con materiale di grande purezza, ed è avvolta da una spirale metallica che funziona da resistenza elettrica e serve per riscaldare la cella del catalizzatore all'inizio della reazione, e a mantenerla alla temperatura necessaria, quando il calore della reazione, che si compie dentro alle sue pareti, non fosse sufficiente a tale scopo.

Le temperature della cella del catalizzatore, e delle varie parti della torre, vengono controllate continuamente con apposite pinze termoelettriche, che permettono di seguire l'andamento della reazione in tutti i momenti.

I gas entrano, come si è detto, nella parte inferiore della colonna, salgono attraverso al fascio dei tubi di ricupero, raffreddando i gas che hanno reagito, e si riscaldano, giungendo così ad alta temperatura sul catalizzatore, nella parte superiore della torre. Ad ogni passaggio attraverso al catalizzatore una forte quantità di gas reagisce formando ammoniaca, e la massa riscaldata ritorna in circolo uscendo ancora dalla parte inferiore della torre, dopo aver attraversato il fascio di tubi che la raffredda. Uscita dalla colonna, la miscela gassosa, ricca d'ammoniaca, entra nella parte inferiore di una torre di acciaio, resistente pure ad alta pressione, in cui piove nell'interno dell'acqua finamente polverizzata a pressione superiore alle 200 atmosfere, che, traversando la colonna, scioglie tutta l'ammoniaca dai gas che l'accompagnano. I gas sono aspirati da una speciale pompa, la pompa di circolazione, la quale li rinvia nella base della torre di sintesi, con altro gas che viene dai compressori e che sostituisce quello che ha reagito (fig. 9).

Il Fauser, in un secondo tempo, studiò una colonna di condensazione nella quale l'ammoniaca si separa allo stato liquido ed anidro, e può così essere adoperata senz'altre operazioni nei casi in cui è necessario avere il prodotto allo stato gassoso (produzione di solfato e nitrato di ammonio).

Metodo Casale. - Il Casale creò un importante metodo di sintesi dell'ammoniaca che ebbe larga applicazione tecnica in Italia e all'estero. Esso differisce da molti altri sistemi impiegati per la pressione alta che utilizza. Il Casale preferì ricorrere ad alte pressioni, nella considerazione che la quantità di ammoniaca che si forma a 200 atmosfere ed a 5-600° gradi di temperatura non è mai tale che si possa ottenere liquida con un raffreddamento a temperatura ordinaria.

L'uso di basse pressioni implica quindi la preparazione di soluzioni ammoniacali meno vantaggiose, in certi casi, del prodotto anidro liquido. Lavorando a pressioni molto forti, le rese in ammoniaca aumentano ed è possibile separarla liquida raffreddando il gas che è passato sul catalizzatore a temperatura ordinaria. Si ha d'altra parte, in queste circostanze, sviluppo di una forte quantità di calore sul catalizzatore, in corrispondenza della maggiore quantità di ammoniaca che si forma. Dato poi che, a parità di produzione, gli apparecchi sono molto più piccoli, la quantità di calore che ogni massa assorbe è molto maggiore che non nel caso di lavorazioni a pressioni inferiori. Il Casale regola la quantità di calore, inviando sul catalizzatore un gas contenente ancora una certa quantità di ammoniaca, basandosi su queste considerazioni: il calore che si sviluppa alla temperatura T e pressione P è dato, come è noto, dalla espressione

Innalzandosi la temperatura ed essendo la pressione eguale e costante, la concentrazione dell'ammoniaca, espressa da CNH3, si abbassa, e conseguentemente si abbassa QT che è funzione diretta di CNH3, in modo che la temperatura dell'ambiente diminuisce. Questa variazione, però, non sarebbe sufficiente per impedire che il catalizzatore si scaldasse troppo se la miscela dei gas che arriva ad esso fosse composta solo dai gas capaci di reagire, che, giunti in contatto col catalizzatore, porterebbero subito ad un forte riscaldamento. Se mescoliamo a questi una quantità Y di ammoniaca, la quantità di calore che si sviluppa sarà data dalla formula

che ci mostra facilmente quale sia la funzione del ciclo della quantità Y dell'ammoniaca. Infatti:

Col crescere di Y tanto minore sarà la produzione di calore.

Siccome con l'aumento, oltre ad un optimum della temperatura, si ha diminuzione nella quantità di ammoniaca che si forma, si capisce come l'apparecchio finisca col mettersi a posto automaticamente.

Il complesso dell'impianto tipo Casale è così fatto: l'idrogeno, prodotto per elettrolisi o per altra via, va ad un apparecchio bruciatore, nel quale viene mescolato con la quantità di aria necessaria dove si elimina tutto l'ossigeno, giungendo ad ottenere una miscela stechiometrica di azoto ed idrogeno. I gas raffreddati depositano l'acqua sintetica che si è formata e vanno al gasometro, dal quale, al momento opportuno, vengono ripresi dal compressore.

Caratteristica del processo Casale è il suo funzionamento alla pressione di 800 atmosfere. Il compressore che compie questo lavoro è a sei fasi, così che il gas viene successivamente compresso a 2-8-27-240-720-800 atmosfere. Fra una fase e la successiva il gas viene riportato alla temperatura iniziale.

I gas, compressi, vanno alla torre di catalisi. Questa è costituita da un tubo di acciaio di grande resistenza, che deve sopportare la pressione interna di 800 atmosfere. Esso, nell'interno, è rivestito da una camicia di acciaio che protegge la parete della colonna dall'attacco dei gas compressi e caldi che si trovano nell'interno. Al centro della torre, scende, fino alla base, un tubo di acciaio che contiene una spirale di riscaldamento, completamente isolata dal resto dell'apparecchio e che non ha contatti diretti con le pareti del tubo che la contiene. La trasmissione del calore si compie solo per irradiazione. Il tubo riscaldante è a sua volta circondato da un altro cilindro concentrico, del quale esso occupa l'asse. Nel cilindro è contenuto il catalizzatore, il quale viene riscaldato così indirettamente dalla spirale centrale. Fra il recipiente del catalizzatore e la parete della colonna è stabilito un dispositivo di ricupero di calore. I gas entrano nella torre dalla parte inferiore, percorrono il ricuperatore di calore, raffreddando sia la parete esterna della colonna sia i gas che escono dopo la reazione. Arrivati caldi nella parte superiore, entrano nel tubo centrale, in cui si trova la spirale di riscaldamento, la percorrono discendendo e riscaldandosi ancora, per giungere poi, nella parte inferiore, alla camera del catalizzatore, che è percorsa dal basso all'alto (figg. 10, 10 bis, 11).

La colonna è molto regolare nel suo funzionamento. Nell'interno, la corrente dei gas impedisce al catalizzatore di soprarriscaldarsi; e la parete esterna, raffreddata anch'essa dai gas freddi che entrano, non raggiunge una temperatum superiore a 200°-220°, ciò che assicura all'apparecchio una grande durata, come hanno già dimostrato i fatti.

Le colonne vengono con facilità aperte e chiuse, e il catalizzatore può essere scaricato e rimesso con facilità nella torre ancor calda, così da consentire, in poche ore, di poter rimettere in marcia un apparecchio nel quale si sia dovuto rinnovare il catalizzatore esaurito. Tutto il funzionamento della torre di reazione è controllato da un quadro di comando, nel quale vengono continuamente indicate le condizioni di pressione e di temperatura nelle quali si trova il complesso.

Un solo operaio basta a controllare e regolare la marcia della torre.

Questa colonna di sintesi, di dimensioni notevolmente inferiori a quelle di pari produzione lavoranti a 200 atm., esiste ormai in tutta una serie di dimensioni, che ne varia la produzione dalle 2 tonnellate alle 20 durante un giorno.

L'ammoniaca che si forma si separa automaticamente allo stato liquido quando la massa dei gas che la convoglia viene, dopo l'uscita dalla torre di catalisi, raffreddata con acqua a temperatura normale. L'ammoniaca si raccoglie sul fondo di un recipiente a 800 atmosfere di pressione, e da questo, attraverso un apposito robinetto riduttore di pressione, viene scaricata in altro serbatoio a pressione bassa.

I gas che non hanno reagito vengono riportati in circolo, dopo aver sostituiti quelli che vengono a mancare. Nei primi impianti, la funzione era compiuta da una speciale pompa di circolazione, che, contemporaneamente alla rimessa in circolo dei gas, prelevava dai compressori anche i gas da sostituire; mentre, con ultimi dispositivi meccanici molto semplici, la pompa è sostituita da un apparecchio che riceve dal compressore la miscela nuova a pressione un poco più alta di quella della torre, ed automaticamente provvede alla circolazione dei gas nell'impianto.

Processo Claude. - Il Claude preferì, nel processo di sintesi dell'ammoniaca, lavorare con gas sottoposti a fortissime pressioni, fino a mille atmosfere, nell'intento di ottenere con grande facilità la separazione dell'ammoniaca formatasi durante la sintesi, allo stato liquido, e di avere tutti gli organi dell'impianto ridotti al minimo possibile di peso e di dimensioni.

Risolto il problema, che sembrava insormontabile, dell'ottenere industrialmente notevoli masse di gas in circolazione, alla pressione di 1000 atmosfere, il Claude perfezionò il suo sistema, ottenendo la produzione di ammoniaca a fortissima percentuale in piccole colonne, raffreddate esternamente, e disposte in serie, in modo che la parte di gas che non si combinava nella prima andasse, dopo la separazione dell'ammoniaca formatasi, a reagire in un'altra di dimensioni minori.

Anche il metodo Claude è entrato nella pratica tecnica, ed oggi è applicato utilmente in tutte le parti del mondo.

La produzione dell'ammoniaca sintetica in Italia nel 1928.

Nel 1928, ossia cinque anni dopo l'inizio dell'industria italiana dell'ammoniaca sintetica, la situazione nazionale nostra è la seguente:

In tutto, una produzione giornaliera totale possibile di 159 tonnellate di azoto fissato, sufficienti a garantire per il paese tutto il suo fabbisogno, in tempo di pace e in tempo di guerra. È di grande compiacimento il vedere come quasi tutta la nostra produzione sia fatta con metodi italiani.

Bibl.: Kuhlmann, Expériences chimiques et agronomiques, Parigi 1847; Morren, Comptes Rendus, XLVIII (1859), p. 342; H. Sainte-Claire-Deville, Comptes Rendus, LX (1865), p. 317; Donkin, Proceed. Royal Soc., XXI (1873), p. 281; P. Thenard e A. Thenard, Comptes Rendus, LXXVI (1873), p. 983; Haber, Zeitschrift für Anorganische Chemie, XLIII, 1904, p. 111; id., ibid., XLIV (1905), p. 341; D. Frenzel, Die Technische Ausnutzung des atmosphärischen Stikstoffs, Lipsia 1907, p. 175; Haber, Zeitschrift für Anorganische Chemie, 1910, p. 345; 1913, p. 584; Ullmann, Enzyclopädie, I, 1914, p. 391; Claude, Chemisches Zentralblatt, IV (1919), p. 954; p. 279; Waeser, Die Luftstikstoffindustrie, Lipsia 1922; Hacspill, L'azote, Parigi 1922.

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