AMMIRAGLIO

Federiciana (2005)

Ammiraglio

Beatrice Pasciuta

Magistratura di origine normanna, essa mutò profondamente in epoca sveva e specialmente durante la seconda parte del regno di Federico II.

Nella struttura organizzativa del Regno normanno l'ammiraglio infatti aveva una duplice giurisdizione: da una parte costituiva il vertice dell'amministrazione finanziaria del Regno, come punto di raccordo fra i due uffici principali, la Camera regis ‒ che amministrava le entrate regie ‒ e la Dohana ‒ che aveva competenza sull'esazione fiscale; dall'altra, secondo alcuni, era la massima autorità militare preposta alla flotta regia. Dopo la rivolta che aveva portato alla deposizione dell'ammiraglio Maione da Bari nel 1160, la carica rimase a lungo vacante; citazioni dell'ammiraglio ricominciano a comparire nella documentazione dal 1177 con una duplice accezione: carica onorifica ‒ la più prestigiosa fra le magistrature del Regno, ma senza attribuzioni specifiche nell'ambito della corte regia ‒ e autorità militare preposta alla flotta regia, con la denominazione di Admiratus regii stolii.

Col passaggio all'epoca sveva, e già con Enrico VI, la carica di ammiraglio si modificò perdendo definitivamente la funzione onorifica, amministrativa e di raccordo tra le magistrature centrali, per concentrare la propria giurisdizione esclusivamente in campo militare. Questa è anche la linea politica che si rintraccia con chiarezza durante il regno di Federico II, quando le competenze dell'ammiraglio vennero concentrate, con immutato prestigio, sulla gestione della flotta regia.

La necessità della costituzione, del potenziamento e del mantenimento di una flotta, conseguente anche alla crisi dei rapporti politici fra il Regno e le città marinare, spiega l'importanza data all'ufficio dell'ammiraglio e l'ampiezza dei poteri che gli vennero conferiti. Alla carica di ammiraglio il sovrano nominava sempre un personaggio esperto del mare e dell'attività corsara; solitamente un cittadino genovese. Il primo ammiraglio nominato da Federico II, e di cui sia giunta notizia, fu il genovese Guglielmo Porco, ammiratus regni e victoriosi stolii amiratus almeno dal 1218, che poi fuggì dall'isola durante la cacciata dei genovesi da Siracusa e la dura campagna intrapresa dal sovrano nel 1220 per requisire i fondaci dei liguri in Sicilia. La serie degli ammiragli genovesi, comunque, continua ininterrotta per tutto il lungo regno di Federico. Nel 1225, fu nominato ammiraglio Enrico conte di Malta (v.), genovese; nel 1239, ancora un altro genovese, Nicola Spinola (v.), che ricoprì la carica fino alla sua morte, avvenuta nel 1241. A succedergli lo Svevo incaricò, nello stesso anno e con analoghe modalità e compenso, un suo concittadino, Ansaldo dei Mari (v.).

Le modifiche istituzionali della carica di ammiraglio, le sue attribuzioni, nonché il prestigio e la rilevanza politica che questa figura ricopriva nell'ambito dell'azione politica di Federico si ricavano esplicitamente dai Capitula ad officium Ammiratiae, minuzioso regolamento dato dallo Svevo fra il 1239 e il 1241, in forma di mandato, durante l'ammiragliato dello Spinola.

Secondo il testo fridericiano l'ammiraglio aveva giurisdizione esclusiva sulla flotta e sugli arsenali del Regno; controllava la costruzione e la manutenzione della flotta regia, sia delle navi militari sia di quelle adibite al commercio per conto della Corona, sovrintendeva al carico delle navi regie per trasporto e vendita di grano e di altre merci.

Aveva competenza giurisdizionale sia sugli atti di pirateria commessi da comunità ai danni di abitanti del Regno o di alleati della Corona ‒ per i quali avrebbe dovuto richiedere l'immediato risarcimento e, eventualmente, procedere alla rappresaglia ‒ sia sulle cause, civili e penali, sorte fra membri della flotta regia o riguardanti il personale degli arsenali regi. Aveva inoltre facoltà di deporre dall'ufficio comitarie i soggetti deputati all'armata regia, ritenuti inidonei, ad eccezione di quelli investiti da Enrico VI; se inoltre qualcuno di essi fosse morto senza eredi, l'ammiraglio avrebbe potuto entro un anno riassegnare in feudo la carica a persone esperte in arte maris.

Le competenze dell'ammiraglio riguardavano anche l'attività di offesa e di attacco per mare: poteva infatti concedere specifiche licenze per l'esercizio della pirateria contro navi nemiche, ma era personalmente responsabile degli abusi commessi dai detentori delle licenze ai danni di fedeli, sudditi o alleati del re; gli spettava inoltre la cognizione delle controversie fra membri dei vascelli corsari autorizzati e, in generale, sugli atti di pirateria commessi nelle acque del Regno o in qualsiasi modo ricadenti sotto la sua giurisdizione.

L'ammiraglio aveva alle sue dirette dipendenze alcuni viceammiragli e altri funzionari, da lui stesso nominati per sovrintendere alle attività in sede locale; questi avevano l'obbligo di tenere una minuziosa contabilità delle spese e delle entrate, registrata in tre copie di libri contabili, delle quali una rimaneva presso l'ufficiale locale, una veniva depositata presso l'ammiraglio e una, munita del sigillo di quest'ultimo e degli addetti locali, veniva inviata alla Camera regia.

La carica di ammiraglio era molto remunerativa e il suo titolare era dotato di numerosi privilegi. Oltre alla diaria di un'onza giornaliera per le proprie spese, l'ammiraglio infatti godeva di emolumenti derivanti direttamente dalle entrate regie. Riceveva ogni anno frumento e vino della Curia ‒ cento salme per ogni città con arsenale ‒ o l'equivalente in denaro. Poteva tenere per sé e utilizzare tutto ciò che di desueto vi fosse negli arsenali o nelle navi ed era esentato da qualsiasi diritto sulle merci che privatamente avrebbe venduto, acquistato o caricato nei porti del Regno. Ulteriori privilegi derivavano dall'attività militare. Negli scontri con flotte nemiche, l'ammiraglio aveva diritto a tenere per sé tutto il bottino se fosse riuscito a catturare l'ammiraglio nemico, oltre a una quota del carico delle navi nemiche catturate; ancora, poteva tenere per sé la ventesima parte dei saraceni catturati con le navi regie, e poteva imporre loro nuovi tributi oltre quelli d'ordinario dovuti alla Curia. Tolto il dovuto secondo lo ius consuetum et debitum, aveva facoltà di appropriarsi delle navi straniere che avessero fatto naufragio nelle acque del Regno.

Le disposizioni fridericiane in materia di ammiragliato costituiscono la prima testimonianza della regolamentazione della carica in tutto l'Occidente medievale. L'importanza di questa normativa è testimoniata dalla sua lunga durata e dalla sua diffusione: sui Capitula fridericiani infatti saranno modellate, quasi testualmente, le analoghe disposizioni di Carlo d'Angiò del 1269, di Pietro III d'Aragona del 1283 e tutte le successive riguardanti la carica nel Regno di Sicilia fino al XVIII sec. e costituiranno inoltre la falsariga anche per altre realtà, fra le quali Genova e il Regno di Francia.

fonti e bibliografia

Historia diplomatica Friderici secundi; Acta Imperii inedita, I; Il registro della cancelleria di Federico II del 1239-1240, a cura di C. Carbonetti Vendittelli, Roma 2002.

Oltre alle opere complessive sulla realtà politico-istituzionale fridericiana, si rinvia specificamente ai seguenti studi e alla bibliografia ivi citata: W. Cohn, Die Geschichte der sizilischenFlotte unter der Regierung Friedrichs II. (1197-1250), Breslau 1926; E. Jamison, Admiral Eugenius of Sicily: His Life and Work and the Authorship of the Epistola ad Petrum and the Historia Hugonis Falcandi Siculi, London 1957; L.R. Ménager, Admiratus-Amiras, l'Émirat et les origines de l'Amirauté, XI-XIII siècles, Paris 1960; C. Trasselli, L'amirauté de Sicile (XIV-XVIII siècles), "Revue d'Histoire Économique et Sociale", 48, 1969, pp. 193-214.

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