AMMINISTRAZIONE PUBBLICA

Enciclopedia Italiana (1929)

AMMINISTRAZIONE PUBBLICA (dal lat. administratio [da ad e ministrare]; fr. administration publique; sp. administración pública; ted. öffentliche Verwaltung; ingl. public administration)

Arturo SANTORO
Umberto BORSI Umberto BORSI

Poiché "amministrazione" in senso lato significa attività preordinata al conseguimento di uno scopo, s'intende come l'amministrazione pubblica possa genericamente considerarsi quale attività preordinata al conseguimento di scopi d'interesse sociale.Ma l'appellativo "pubblica" non vale soltanto a determinare l'indole degli scopi a cui l'amministrazione tende, sibbene altresì a designarne il soggetto: infatti il conseguimento di scopi d'interesse sociale è finalità naturale dello stato e normalmente, se non in modo esclusivo, in misura prevalentissima, propria di esso. Il concetto d'amministrazione può delinearsi nel campo giuridico da un punto di vista oggettivo e da un punto di vista soggettivo.

Considerandolo dal punto di vista oggettivo, occorre individuare l'amministrazione nel complesso dell'attività statale, e poiché questa, secondo la fondamentale partizione tracciata dal diritto pubblico moderno, si distingue nei tre rami della legislazione, giurisdizione e amministrazione, è necessario porre quest'ultima in raffronto con gli altri due rami. Anzitutto è facile rilevare che l'esplicazione di questi è subordinata allo svolgimento d'un'attività organizzativa e apprestatrice di elementi materiali a essi estranea, e che, qualunque sia per i fini della convivenza sociale l'importanza della statuizione delle norme giuridiche e della tutela mediata o immediata di esse nei casi concreti e controversi, non ha esempio nella storia e non può sembrare logicamente giustificabile la limitazione dell'attività statale a questi due oggetti. Un'altra specie di tale attività risponde più direttamente della legislazione e della giurisdizione alle finalità originarie e fondamentali della società politica e ne esprime in molteplici forme il progresso e la decadenza: essa è l'attività rivolta alla soddisfazione dei bisogni collettivi, cioè la amministrazione. Anzi, appunto per l'ampiezza della sua comprensione, questa ha, sotto l'aspetto storico, preminenza riguardo all'attività legislativa e all'attività giurisdizionale, che appaiono come specificazioni di essa in ordine a determinate esigenze della convivenza sociale, e presenta una costanza di svolgimento che, almeno in teoria, non può dirsi propria delle altre due attività, che si esplicano, l'una, quando si manifesti la necessità o l'opportunità di una modificazione dell'ordinamento giuridico, e l'altra, quando si pretenda verificata una violazione del diritto.

Premessa la determinazione dell'oggetto della legislazione e della giurisdizione, la molteplicità e la varietà degli scopi ai quali è rivolta l'attività amministrativa hanno indotto taluno a designarne il contenuto con formula puramente negativa indicandola come l'attività dello stato diversa dalle altre due; ma questo troppo semplice rilievo, che è in sostanza un modesto corollario della tripartizione dell'attività statale, non basta certamente a precisare ciò che sia l'amministrazione. L'elenco che altri ha tentato dei principali fini cui questa è rivolta non serve meglio a farne conoscere i caratteri; anzi, a differenza della formula negativa, nel suo insignificante semplicismo assolutamente vera, l'elenco è informato a criterî relativi e contingenti, e anche nell'orbita dei medesimi ben di rado risulta completo. All'individuazione positiva dell'amministrazione di fronte alla giurisdizione può principalmente condurre la considerazione del rapporto di ciascuna specie di attività statale con la legge, rapporto che suole esprimersi dicendo che questa nella legislazione è oggetto, nella giurisdizione è scopo e nell'amministrazione è limite; da ciò, infatti, può rilevarsi che l'attività amministrativa, a differenza della legislazione, è attività sub lege, ossia attività contenuta entro i limiti del diritto costituito e, a differenza della giurisdizione, è attività che non si esaurisce nell'applicazione del diritto. Tanto l'amministrazione quanto la giurisdizione sono attività sottoposte alla legge, ma l'una è semplicemente entro la legge, mentre l'altra, oltre a essere entro la legge, si esplica per l'attuazione della legge.

Di tale concetto, che può dirsi comune, è stata tentata la critica rilevando che le norme amministrative determinano i fini e i mezzi dell'azione amministrativa, onde questa potrebbe rispetto a quelle considerarsi, almeno nella maggior parte, d'indole esecutiva, ma il concetto stesso, sebbene abbia talora subito discutibili amplificazioni di fronte alle quali la critica può apparire ben fondata, mira nella sua più semplice formulazione a porre in luce la diversa estensione e la diversa natura del compito dell'amministratore in confronto di quello del giudice e sotto questo riguardo non può negarsene né l'esattezza né l'utilità.

Altri criterî sussidiarî possono aggiungersi a quello principale, desunto dalla considerazione del rapporto delle singole specie di attività statale con la legge, per meglio individuare l'amministrazione. Fra i criterî distintivi di questa, di fronte alla legislazione, si enunciano di solito quelli che portano a caratterizzare la prima come attività: 1) particolare; 2) materialmente operativa; 3) concreta; la seconda come attività: 1) generale; 2) volitiva o deliberativa; 3) astratta. Ma dei tre criterî, uno è inaccettabile, un altro può ammettersi in parte, e soltanto il terzo è pienamente accoglibile. È inaccettabile il criterio che distingue legislazione e amministrazione col rilievo della generalità di quella e della particolarità di questa, perché non ripugna alla natura della norma giuridica, alla cui statuizione la prima attività intende, che la norma stessa sia riferibile a un solo caso e a una sola persona, mentre neppure ripugna alla natura della disposizione sostanzialmente amministrativa che questa si riferisca a tutta una serie di casi o a tutto un ampio gruppo di persone. Soltanto in parte ammissibile è il criterio che distingue legislazione e amministrazione, considerando l'una attività volitiva e deliberativa e l'altra attività materialmente operativa, perché l'elemento volitivo e deliberativo ricorre anche nell'amministrazione e soltanto ne è diverso il grado di ampiezza nelle due attività. Esatto, invece, e pienamente accettabile è il terzo criterio distintivo, quello dell'astrattezza e della concretezza, purché questi termini s'intendano in senso relativo.

Dei criterî che in sussidio al principale servono a distinguere l'amministrazione dalla giurisdizione, meritano cenno quello che caratterizza la prima come attività di indole prevalentemente pratica e la seconda come attività di indole prevalentemente logica, e quello che designa la giurisdizione operativa soltanto per eccitamento esterno (di solito, dell'attore nel giudizio civile, del ricorrente nel giudizio amministrativo, del pubblico ministero nel giudizio penale) e l'amministrazione operativa per iniziativa degli stessi suoi organi. Il primo di questi criterî può riguardarsi come un corollario della distinzione fra le due attività in base al loro rapporto con la legge, giacché serve a ribadire il concetto che l'amministrazione mira al soddisfacimento dei bisogni sociali e si adatta nella diversità delle circostanze alle mutevoli esigenze di essi, mentre la giurisdizione si svolge mediante una serie di procedimenti logici, indipendentemente dall'apprezzamento della opportunità dell'effetto che sia per conseguirne; l'altro criterio serve poi a lumeggiare la diversità dei rapporti che l'amministrazione e la giurisdizione hanno con l'ambiente sociale, in corrispondenza con le differenti finalità di ciascuna.

Raccogliendo in una formula sintetica i risultati delle considerazioni che precedono, si può definire l'amministrazione pubblica, sotto l'aspetto oggettivo, come l'attività concreta e pratica mediante la quale lo stato, entro i limiti stabiliti dalla legge, provvede al conseguimento dei proprî fini di tutela giuridica e di perfezionamento sociale.

In questa definizione sono designate le due fondamentali categorie di scopi ai quali tende l'amministrazione, che permettono di bipartirla in attività giuridica e attività sociale, la prima rivolta alla difesa del diritto e la seconda al progresso della società. L'attività giuridica può definirsi quella che lo stato spiega per la conservazione dell'organismo sociale secondo i principi del diritto ed è diretta tanto a prevenire la lesione degl'interessi garantiti da tali principî, quanto a limitare e a far cessare i danni dipendenti dalla lesione verificatasi. L'attività sociale può definirsi quella mediante la quale lo stato mira a procurare il progresso e il perfezionamento della società, sia esplicando iniziative proprie, sia eccitando, integrando e coordinando le iniziative individuali e collettive a quel fine indirizzate. Talora una stessa specie di attività sociale viene svolta con gradi diversi d'intensità e in forme varie: così, p. es., in materia d'istruzione, nella quale lo stato si limita a vigilare su certe libere iniziative private, altre iniziative favorisce, incoraggia e coadiuva e molte altre assume ed esplica esso stesso, o da solo o in unione con enti pubblici minori.

Da taluno si è creduto di poter caratterizzare come esclusiva dello stato e necessaria l'attività giuridica e come sostituibile e facoltativa l'attività sociale. Nessun dubbio che lo stato debba provvedere alla tutela del diritto, dalla quale idealmente ripete la sua ragion d'essere, e proteggere dagli elementi distruttivi la società che in esso risulta organizzata, ma che tale debba essere l'unica sua funzione non può ammettersi che come ipotesi meramente teorica. Il fervore delle dispute tra liberisti e fautori degl'interventi statali organizzativi e correttivi, se ha creato le figure, per così dire, letterarie, dello "stato gendarme" (cioè dello stato mero protettore dell'ordine giuridico) e dello "stato provvidenza" (cioè dello stato che assume fra i propri fini la cura di ogni interesse collettivo), non ha potuto e non può modificare la storia e l'attualità delle ingerenze perfezionative dello stato nella vita sociale e annullare i nessi in qualche misura sempre esistiti fra tali ingerenze e quelle puramente protettive del diritto. Onde almeno un minimum di attività non appare mai né facoltativo, né sostituibile, mentre, d'altro lato, è irreale il tipo d'un'amministrazione che provveda a ogni più modesta esigenza collettiva precludendo ogni privata iniziativa. L'odierna tendenza degli stati è verso l'espansione della attività sociale, tendenza che in Italia, arrestatasi la diffusione della gestione diretta dei servizî pubblici, si è manifestata soprattutto col sorgere di una vasta serie di enti amministrativi speciali di iniziativa statale rivolti a finalità economiche, assistenziali, ecc.

Nell'amministrazione pubblica, oggettivamente considerata, può distinguersi il momento dell'organizzazione e quello dell'azione, naturalmente intendendo per azione l'attività rivolta in modo diretto al soddisfacimento dei pubblici bisogni, poiché anche l'organizzazione è azione, ma azione preparatoria, che serve a predisporre gli elementi necessarî per l'altra specie di attività ed è perciò indirizzata alla cura degl'interessi collettivi soltanto in modo mediato. Nell'organizzazione si attua quello che il Manna, uno dei nostri primi scrittori di diritto amministrativo, chiamava "momento concentrativo della forza sociale", in quanto lo stato raccoglie dalla società le energie personali e i beni occorrentigli, traendoli a sé con impulso idealmente centripeto; nell'azione, intesa come ora è stato detto, si attua invece il momento diffusivo di quella forza, poiché gli elementi prima raccolti sono dallo stato posti in opera e dedicati agli scopi varî della società dalla quale furono tratti.

In relazione al concetto oggettivo di amministrazione pubblica si suole anche fare la distinzione fra attività amministrativa e attività tecnica, distinzione variamente intesa e che ha dato luogo a molte dispute in materia di potere discrezionale e di responsabilità. La parola "tecnica" esprime il concetto di un complesso di regole o di attitudini rispondenti alle particolari esigenze del buon esercizio di una funzione o della buona esecuzione d'un'opera e quindi si intende come possa aversi una tecnica della amministrazione e come l'attività svolta secondo la medesima possa qualificarsi attività amministrativa tecnica. Peraltro, quando si parla di attività tecnica nella amministrazione, si vuole propriamente riferirsi ad attività svolgentesi per i fini dell'amministrazione, ma nel campo di funzioni che non sono o che in logica ipotesi potrebbero anche non essere specificamente proprie di questa, come l'attività igienica, agricola, edilizia, pedagogica, ecc. L'attività tecnica così intesa è quindi varia e multiforme, adattabile al conseguimento tanto di fini individuali, quanto di fini collettivi e sociali, onde spesso, posta a servizio dello stato, diviene attività amministrativa assumendo tutte le caratteristiche di questa. Il contrapposto teorico di "attività tecnica" non è dunque semplicemente "attività amministrativa", ma "mera attività amministrativa", il cui svolgimento è inconcepibile fuori del campo dell'amministrazione, e poiché questa pure ha la sua tecnica, tutto si riduce a una distinzione di tecniche, come la tecnica amministrativa, la tecnica edilizia, la tecnica agricola, la tecnica pedagogica, la tecnica sanitaria, ecc. La tecnica dell'amministrazione e la multiforme tecnica diversa applicata al soddisfacimento degl'interessi collettivi non sono che dissimili elementi dell'attività amministrativa: talora soltanto l'una, talora soltanto l'altra, più spesso prima l'una e poi l'altra, o l'una in cooperazione con l'altra costituisce l'attività amministrativa. Nella pratica, poi, la distinzione fra le esplicazioni delle due tecniche si presenta anche più delicata che in teoria, perché a uno stesso ufficio statale e magari a uno stesso funzionario può trovarsi affidato un compito per il quale occorra un'azione regolata da ambedue e perché in certi servizî appaiono inscindibili i nessi che le avvincono insieme. Vero è che taluno ritiene che l'attività tecnica non possa mai considerarsi attività di stato e che le manifestazioni scientifiche, artistiche e tecniche si debbano riguardare soltanto azioni degl'individui che le compiono, ma evidentemente l'essere o non essere l'attività tecnica attività di stato dipende dal rapporto giuridico che unisce allo stato gl'individui che la esplicano e dalle condizioni nelle quali essi agiscono.

Ciascuna specie di attività tecnica indirizzata ai fini dell'amministrazione deve svolgersi secondo i principî dominanti della tecnica rispettiva, ma anch'essa può essere giuridicamente vincolata e allora resta regolata dalle norme che la concernono, ancorché, in ipotesi, difformi da quei principî. S'intende poi che, oltre a una discrezionalità dell'agente in relazione a dette norme, è concepibile una discrezionalità in relazione ai principî tecnici, soltanto mediatamente rilevante nel campo giuridico.

Considerando ora l'amministrazione sotto l'aspetto soggettivo, occorre rilevare che lo stato per la manifestazione e l'attuazione del suo volere deve valersi di persone fisiche che fungono da suoi organi e che la distribuzione delle funzioni fra i medesimi è fatta, in linea principale, secondo la ben nota tripartizione di esse in legislativa, amministrativa e giurisdizionale. Tale distribuzione, che risponde a esigenze pratiche evidenti, quali la divisione del lavoro, il conseguente migliore adattamento di ciascun organo e la più facile osservanza dei limiti speciali di ciascuna attività, portando alla destinazione della funzione amministrativa a un organo o a un gruppo di organi diverso da quelli ai quali sono destinate la funzione legislativa e la giurisdizionale, giova ad assicurare il rispetto del diritto e l'efficace controllo del rispetto stesso nell'amministrazione, ossia ad assicurare l'attuazione di un serio regime giuridico nella vita dello stato. Uno spiccato rilievo di ciò è contenuto nella famosa teoria della divisione dei poteri che il Montesquieu formulava alla metà del sec. XVIII, nel sesto capitolo del libro undecimo dell'opera De l'esprit des lois e che tanta influenza doveva spiegare sulla genesi dei moderni ordinamenti costituzionali. Attraverso i principî di carte anteriori, ispirandosi anche esso a questa teoria, lo statuto fondamentale del Regno affida lo esercizio della funzione legislativa collettivamente al re e al parlamento composto del Senato e della Camera dei deputati (art. 3), l'esercizio della funzione amministrativa solo al re (art. 5), e l'esercizio della funzione giurisdizionale ai giudici istituiti dal re (art. 68). Ma una rigida separazione delle funzioni che nel loro complesso esprimono la vita di un organismo qual'è lo stato e una condizione di costante equilibrio nei reciproci rapporti degli organi destinati a quelle funzioni, ripugnano alle necessità logiche e pratiche d'una azione che, riassumendo lo sforzo di energie sociali coordinate e cooperanti, deve adeguarsi alla intensità e varietà dei bisogni collettivi; onde, fermo rimanendo il principio di distribuzione delle diverse attività a organi o a gruppi di organi diversi, in ogni stato, che pure abbia informato la propria costituzione alla teoria della divisione dei poteri, si nota in maggiore o minor misura un parziale intreccio delle attività stesse, determinato da un insieme di fattori storici e politici e variabile nelle sue linee col variare di questi attraverso la legislazione. Così nell'ordinamento italiano l'organo cui è affidata la funzione amministrativa, cioè il re solo (intendasi, senza il parlamento), direttamente o indirettamente esplica una parte dell'attività legislativa e una parte dell'attività giurisdizionale, mentre, d'altro lato, una parte dell'attività amministrativa è esercitata dagli organi cui appartiene la funzione legislativa, cioè dal re insieme col parlamento, e una parte dell'attività medesima è esercitata dagli organi cui appartiene la funzione giurisdizionale, cioè dai giudici. Ma, nonostante questo intreccio, si può pervenire alla determinazione soggettiva dell'amministrazione prendendo a base tre elementi: 1) l'art. 5 dello statuto che attribuisce solo al re il potere esecutivo; 2) il rilievo che la massima parte dell'attività esplicata soltanto dal re è attività amministrativa; 3) il rilievo che l'attività amministrativa esplicata dal re insieme col parlamento e quella esplicata dai giudici è la parte minore e meno importante dell'attività esercitata rispettivamente da questi due gruppi di organi. La determinazione soggettiva dell'amministrazione non coincide con la determinazione oggettiva, ma è in rapporto con questa perché la prevalenza dell'attività oggettivamente amministrativa nell'attività di un organo dello stato porta a qualificare come soggettivamente amministrativa tutta l'attività di tale organo.

Mentre ha come sommo esponente il re, l'amministrazione, soggettivamente considerata, risulta da un vasto complesso di altri organi dei quali una congerie di leggi e di regolamenti stabilisce la costituzione e i compiti. Il re, infatti, esercita il potere esecutivo per mezzo del suo govern0 formato dal primo ministro segretario di stato, che ne è il capo, e dai ministri segretarî di stato. I ministri, però, non possono attendere che all'alta direzione dei rami di amministrazione cui sono rispettivamente preposti, onde lo svolgimento dell'attività a questi inerente resta affidato a una serie di organi subordinati, in parte raccolti al centro dello stato presso i ministri stessi (ministeri), in parte istituiti nelle circoscrizioni territoriali secondo i bisogni delle diverse località, alcuni aventi il compito di dirigere, altri quello di consigliare, altri quello di eseguire, o con opera interna di ufficio, o con opera esterna in rapporto ai cittadini e a organi di differenti attività, altri, infine, quello di controllare. Oltre a questi organi direttamente collegati con l'organo supremo dell'amministrazione perché nominati e dipendenti dal governo del re, altri ve ne sono di diversa origine e in diversa posizione, cioè i collegi elettorali politici, che lo statuto (art. 39) menziona rinviando a legge speciale regolatrice della loro attività, e una parte notevole degli organi degli enti autarchici, cioè di enti che hanno verso lo stato il dovere di attendere a funzioni amministrative e che insieme con lo stato stesso costituiscono i soggetti dell'attività rivolta all'adempimento di queste.

Pertanto la pubblica amministrazione, nel suo aspetto soggettivo, è costituita dallo stato operante per mezzo degli organi amministrativi e dagli enti autarchici territoriali e istituzionali, nazionali e locali, operanti per mezzo dei loro organi, tutti di carattere amministrativo, perché esclusivamente amministrativa è l'attività propria degli enti stessi.

Bibl.: Tutte le opere di introduzione allo studio e di trattazione generale del diritto amministrativo; fra quelle italiane, per le idee più generali: V. E. Orlando, Introduzione al diritto amministrativo, in Trattato completo di diritto amministrativo italiano, I, Milano 1900; O. Ranelletti, Principi di diritto amministrativo, I, Napoli 1912; inoltre la voce Amministrazione pubblica, in Digesto italiano (III, i, Torino 1895) e in Enciclopedia giuridica italiana (I, ii, Milano 1892), voce redatta per la prima opera di A. Bonasi e per la seconda da G. De Gioannis, i cui concetti si trovano svolti anche nel vol. I del suo Corso di diritto pubblico amministrativo, Firenze 1877; L. Aucoc, Conférences sur l'administration et le droit administratif, 3ª ed., Parigi 1884-86; Th. Ducrocq, Cours de droit administratisc, 7ª ed., Parigi 1897-905; M. Hauriou, Précis de droit administratif, 11ª ed., Parigi 1927; G. Jèze, Les principes généraux du droit administratif, 3ª ed., Parigi 1925-26; P. Errera, Traité de droit public belge, 2ª ed., Parigi 1918; A. Giron, Le droit administratif de la Belgique, Bruxelles 1895; A. Posada, Tratado de derecho administrativo, 2ª ed., Madrid 1923; J. Gascon y Marin, Tratado elemental de derecho administrativo, 2ª ed., Madrid 1921; R. Fernandez de Velasco y Calvo, Resumen de derecho administrativo, Murcia 1921-22; E. Loening, Lehrbuch des deutschen Verwaltungsrechts, Lipsia 1884; G. Meyer, Lehrbuch des deutschen Verwaltungsrechts, 4ª edizione, Lipsia 1913; O. Mayer, Deutsches Verwaltungsrecht, 3ª ed., Lipsia 1924; R. H. Herrnritt, Grundlehren des Verwaltungsrechts, Tubinga 1921; F. Fleiner, Institutionen des deutschen Verwaltungsrechts, 7ª ed., Tubinga 1922; J. Hatschek, Lehrbuch des deutschen Verwaltungsrechts, 6ª ed., Lipsia 1926; W. Jellinek, Verwaltungsrecht, Berlino 1928; A. Merkl, Allgemeines Verwaltungsrecht, Vienna 1928; R. Gneist, Das englische Verwaltungsrecht der Gegenwart, Berlino 1883-84; F. Goodnow, The principles of the administrative law of the United States, New York 1905; Y. Oda, Princ. de droit admin. du Japon, Parigi 1928.

Delitti contro l'Amministrazione pubblica.

Nel diritto romano, sotto il crimen maiestatis si comprendevano non solo i delitti veri e proprî contro lo stato e la sua sicurezza ma anche la strage dei magistrati, la disobbedienza e la ribellione all'autorità e ai suoi ordini, il continuare indebitamente in un ufficio pubblico, l'assumere uffici non conferiti dal principe, ecc. Anche nel diritto medievale, poiché gli uffici pubblici venivano considerati come attributi ed emanazioni del principe, il delitto di lesa maestà abbracciava i fatti, che, senza avere per fine diretto il danno del principe e senza costituire attentato allo stato, riuscivano dannosi alla vita politica e sociale (ad es., ribellione ai pubblici ufficiali, tentativo di corruzione dei giudici, frodi all'erario, dolose mancanze ai proprî doveri da parte dei funzionarî). Il Carrara nella classe dei "delitti contro la pubblica giustizia" comprendeva ogni atto perturbatore dell'attività dello stato diretta alla tutela giuridica della società. Il Pessina distingueva i "delitti contro il diritto dello stato" in reati contro la personalità dello stato e reati che ledono lo stato nella sua attività giuridica, enucleando in questa seconda categoria i delitti di abuso del pubblico ufficio e quelli di lesione dell'autorità dello stato. Il codice penale italiano del 1889 ha separato i delitti contro la pubblica amministrazione dai delitti contro l'amministrazione della giustizia. Se non che, la classe dei delitti contro la pubblica amministrazione è concepita in senso piuttosto largo, in guisa da comprendervi l'attacco a ogni attività dello stato e degli enti pubblici, autarchici e istituzionali, sia che essa costituisca la vera e propria amministrazione, sia che costituisca giurisdizione o funzione legislativa, salvo speciali previsioni per queste ultime. Pertanto, delitti che sono rivolti contro i funzionarî dell'ordine giudiziario o contro le stesse funzioni giudiziarie (oltraggio, violenza pubblica contro corpi giudiziarî) sono puniti con le sanzioni dei delitti contro la pubblica amministrazione. Concettualmente, la categoria dei delitti contro la collettività statale dovrebbe specificarsi nei delitti contro lo stato, nei delitti contro i poteri dello stato e nei delitti contro la pubblica amministrazione. Nel codice italiano, però, non esiste una categoria di delitti contro i poteri pubblici; cosicché le figure che ad essi dovrebbero ricondursi fanno parte, o dei reati contro la sicurezza dello stato o dei reati contro la pubblica amministrazione, intesa in senso largo. Fra questi reati sono, quindi, compresi fatti che interessano lo stato come amministrazione e fatti che interessano lo stato come autorità. Il progetto Rocco del 1927, seguendo le orme del progetto 25 maggio 1875 approvato dal Senato, distingue nella generale categoria i "delitti dei pubblici ufficiali contro l'amministrazione pubblica" e i "delitti dei privati contro l'amministrazione" medesima. In tutti i delitti contro l'amministrazione pubblica si rilevano interessi di natura spiccatamente pubblicistica dipendenti o dalla qualità del soggetto attivo (corruzione, concussione, abuso di autorità, ecc.), o dalla qualità del soggetto passivo (oltraggio, violenza, resistenza), o dalla natura delle funzioni attaccate dal reato (usurpazione di funzioni o di titoli o di onori pubblici), o dalla natura di una determinata cosa cui l'autorità ha impresso un particolare carattere (violazione di sigilli, sottrazione di cose pignorate o sequestrate, sottrazione di atti o documenti custoditi in un pubblico ufficio). Tali interessi sono: l'interesse a garantire l'amministrazione dalle malversazioni dei pubblici ufficiali (peculato o furtum pecuniae publicae); l'interesse a tutelare l'amministrazione contro l'avidità dei pubblici ufficiali in danno dei privati, che possano venire costretti o indotti ad effettuare prestazioni non dovute (concussione); l'interesse dell'amministrazione contro la venalità dei pubblici ufficiali che accettino ricompense accordandosi coi privati (corruzione); l'interesse dell'amministrazione a garantire il regolare esercizio del potere pubblico e l'osservanza dei doveri inerenti al pubblico ufficio (abuso di autorità, violazione dei doveri d'ufficio, abbandono dell'ufficio, interesse privato in atti di ufficio); l'interesse a che le pubbliche funzioni non siano esercitate da chi non ne è investito e a che i titoli e gli onori non siano portati da persona che non ne ha diritto (usurpazione di funzioni pubbliche, di titoli e di onori); l'interesse a tutelare la pubblica autorità nell'esplicazione della sua attività giuridica (violenza e resistenza a pubblici ufficiali e ad agenti della forza pubblica); l'interesse alla conservazione dei sigilli impressi dall'autorità sopra determinate cose e a conservare le cose custodite nei luoghi di pubblico deposito (violazione di sigilli e sottrazione dai luoghi mentovati); l'interesse a evitare il discredito che l'amministrazione subisce con la vendita di fumo di privati (millantato credito presso pubblici ufficiali); l'interesse a ottenere il puntuale adempimento di obblighi e l'esatta esecuzione di forniture pubbliche; l'interesse a che i ministri di culto non abusino delle proprie funzioni contro la pubblica autorità. Quest'ultimo capo non è più contemplato dal progetto Rocco, il quale ha considerato che i delitti di vilipendio delle istituzioni e di eccitamento alla disobbedienza o al disprezzo della legge da parte dei ministri di culto non costituiscono figure speciali, ma figure comuni di reato da aggravarsi per la qualità della persona che li ha commessi.

Questo è in relazione con le direttive generali di quel progetto che ha un sistema di aggravanti e di diminuenti applicabili per tutti i reati. Sicché sono aggravati non soltanto quei fatti che il codice del 1889 comprendeva fra gli "abusi dei ministri di culto", ma anche ogni altro delitto commesso "con abuso della qualità di ministro di un culto" (art. 63, n.1).

Bibl.: Carrara, Programma di diritto crim., Firenze 1883, parte speciale, V; Pessina, Elementi di dir. penale, Napoli 1882, III; Crivellari, Il codice pen. italiano interpretato, Torino 1895, V e VI; Tuozzi, Corso di dir. pen., Napoli 1899, III; Zerboglio, Delitti contro la pubblica amministrazione, Milano 1900; Civoli, Trattato di dir. penale, II, p. 213; Maino, Commento al codice pen. italiano, Torino 1911, I, p. 586; Florian, Introduzione ai delitti in ispecie e Delitti contro la sicurezza dello Stato, Milano 1915, p. 18; Gavazzi, Delitti contro la pubblica amministrazione, Milano s. a.

Scienza dell'amministrazione.

Intorno al carattere e all'oggetto della scienza dell'amministrazione si è agitata, specialmente nella dottrina italiana, una lunga e vivace disputa non ancora completamente sopita. Le opinioni più notevoli che sono state espresse in proposito sono: 1) la scienza dell'amministrazione costituisce il sistema dei principî razionali concernenti l'amministrazione pubblica nella sua organizzazione e nella sua azione, distinguendosi dal diritto amministrativo (v.) che riguarda la legislazione amministrativa di un dato stato (Messedaglia, Scolari, Bonasi); 2) la scienza dell'amministrazione costituisce il complesso delle discipline che concernono l'amministrazione pubblica sotto ogni punto di vista e comprende quindi anche il diritto amministrativo lStein, Schmid); 3) la scienza dell'amministrazione studia i modi coi quali lo stato si procura i beni economici e i servizî personali di cui abbisogna per l'azione che esso spiega per promuovere lo sviluppo fisico, economico e intellettuale della società, distinguendosi dal diritto amministrativo che si riferisce all'organizzazione e alla giurisdizione amministrativa. Essa si bipartisce nella scienza dell'amministrazione politica (relativa ai mezzi) e nella scienza dell'amministrazione sociale (relativa ai fini); la prima si divide, a sua volta, nella scienza della gerarchia civile, nella scienza dell'esercito e nella scienza delle finanze, mentre la seconda si distingue nella scienza dell'amministrazione interna, nella scienza dell'amministrazione economica e nella scienza dell'amministrazione della pubblica istruzione (Ferraris, Wautrain-Cavagnari); 4) la scienza dell'amministrazione studia l'attività sociale dello stato, mentre il diritto amministrativo ne riguarda l'attività giuridica, esclusa la giurisdizione civile e penale (Orlando); 5) la scienza dell'amministrazione studia l'amministrazione pubblica dal punto di vista amministrativo, distinguendosi dal diritto amministrativo che la considera dal punto di vista giuridico (Vacchelli); 6) la scienza dell'amministrazione è un ramo della scienza politica che, secondo taluno, studia i casi e i modi di intervento dell'amministrazione nella vita sociale (Presutti), mentre secondo altri determina anche i fini specifici dell'attività amministrativa (Meyer). Oltre a queste tipiche, si hanno poi opinioni intermedie ed eclettiche, a una parte delle quali non manca originalità di terminologia e di criterio sistematico.

Le vivaci critiche di cui queste opinioni sono state oggetto hanno valso a demolirne taluna in modo che può reputarsi definitivo, mentre hanno incontrato forte resistenza nei riguardi di altre; oggi l'orientamento prevalente della dottrina è in favore delle due opinioni enunciate per ultime, che sostanzialmente concordano nell'ascrivere la scienza dell'amministrazione al gruppo delle scienze politiche. Fra esse sembra preferibile quella che la considera genericamente come politica dell'amministrazione, reputando suo compito l'occuparsi non soltanto dei modi di agire della pubblica amministrazione e dei mezzi più idonei per conseguire i fini sociali, ma anche della determinazione specifica di questi fini, del loro coordinamento e della graduazione della loro importanza in relazione alle condizioni sociali di un dato paese e di un dato momento. Così la scienza dell'amministrazione viene ad avere, in una parte, precedenza logica rispetto al diritto amministrativo, delineando la ragion d'essere e la misura di utilità sociale degli istituti che questo contempla, mentre, in altra parte, muove proprio dalle disposizioni di tale diritto per giudicare della loro rispondenza agli scopi ed eventualmente per suggerirne la riforma. Non tutti i principî assunti nel quadro di questa scienza debbono però considerarsi di carattere veramente scientifico, alcuni potendo piuttosto essere caratterizzati come precetti di arte amministrativa.

Bibl.: Tutte le opere italiane di introduzione allo studio e di trattazione generale del diritto amministrativo; inoltre, nella dottrina italiana: C. F. Ferraris, La statistica e la scienza dell'amministrazione nelle Facoltà giuridiche, in Giornale degli economisti, 1877; C. F. Ferraris, Saggi di economia, statistica e scienza dell'amministrazione, Torino 1880; G. Macri, Diritto amministr. e scienza della amministr., in Ape giuridico-amministrativa, II; L. Miraglia, La scienza dell'amministr. e il diritto amministr., in Atti della R. Accademia di scienze morali e politiche di Napoli, 1883; A. Brunialti, La scienza della pubblica amministr., in Biblioteca di scienze politiche ed amministr., s. 2ª; I; G. Capitani, in Digesto italiano, XXI, Torino 1891, s. v.; B. Brugi, in Enciclopedia giuridica italiana, I, Milano 1892, s. v.; Agnetta-Gentile, Prelezione al corso di scienza dell'amministr., Palermo 1885; G. E. Garelli della Morea, Saggio sulla scienza dell'amministr., 2ª ed., Torino 1886; V. E. Orlando, Diritto amministr. e scienza dell'amministrazione, in Archivio giuridico, 1887; A. Codacci-Pisanelli, Come il diritto amministrativo si distingua dal costituzionale e che sia la scienza dell'amministrazione, in Filangieri, 1887; A. Barbieri, Elementi di scienza dell'amministrazione, Bologna 1888; E. Sabbatini, Scienza dell'amministrazione e diritto amministrativo, in Rivista di diritto pubblico, 1893; V. Wautrain-Cavagnari, Elementi di scienza dell'amministrazione, 2ª ed., Firenze 1894; G. Vacchelli, La scienza dell'amministrazione come scienza autonoma, in Archivio giuridico, 1894; A. Longo, La distinction entre le droit administratif et la science de l'administration en Italie, in Revue du droit public, 1894; D. Giura, Introduzione allo studio della scienza dell'amministrazione, Bologna 1895; id., L'autonomia organica della scienza dell'amministrazione, Bologna 1896; L. Rava, La scienza dell'amministrazione nelle sue origini italiane e nel suo più recente sviluppo, Bologna 1898; M. Fovel, Scienza politica e scienza dell'amministrazione, Bologna 1906; U. Borsi, L'unità didattica del diritto amministrativo e della scienza dell'amministrazione, in Filangieri, 1906; E. Presutti, Principi fondamentali di scienza dell'amministrazione, 2ª ed., Milano 1910; U. Borsi, Sul carattere della scienza dell'amministrazione, in Legge, 1911; V. Vuoli, Il carattere etico-giuridico della scienza dell'amministrazione, Roma 1923; id., Prolegomeni alla scienza dell'amministrazione, Milano 1924: L. Stein, Die Verwaltungslehre, Stoccarda 1869-84; id., Handbuch der Verwaltungslehre, 3ª ed., Stoccarda 1888; K. Inama Sternegg, Verwaltungslehre mit bes. Berücksichtigung des österr. Verwaltungsrechts, Innsbruck 1882; G. Meyer, Lehrbuch des deutschen Verwaltungserchts, 4ª ed., Lipsia 1913; O. Mayer, Deutsches Verwaltungsrecht, 3ª ed., Lipsia 1884; F. Fleiner, Institutionen des deutschen Verwaltungsrechts, 7ª ed., Tubinga 1922; Schmid, Über die Bedeutung der Verwaltungslehre als selbständiger Wissenschaft, in Tübinger Zeitschr. fur die gesamte Staatswissenschaft, Tubinga 1909; R. Fernandez de Velasco y Calvo, Resumen de derecho administrativo, I, Murcia 1921.

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