PONCHIELLI, Amilcare

Enciclopedia Italiana (1935)

PONCHIELLI, Amilcare

Roberto CAGGIANO

Musicista, nato a Paderno Cremonese il 31 agosto 1834, morto a Milano il 16 gennaio 1886. Studiò al Conservatorio di Milano con Felice Frasi e Lauro Rossi, diplomandosi nel 1854. Trasferitosi a Cremona, dove aveva ottenuto il posto di organista nella chiesa di S. Ilario, fece rappresentare nel 1856 a quel Teatro Concordia, grazie al liberale concorso dei suoi concittadini, la sua prima opera, I Promessi Sposi. Fallito il tentativo di far rappresentare al teatro Carignano di Torino l'opera Bertrando da Bormio, compose La Savoiarda, che, eseguita a Cremona nel 1861 con incerto successo, solo più tardi, nel 1887, riapparve, in gran parte rifatta e col nuovo titolo Lina, sulle scene del Teatro Dal Verme a Milano, festosamente accolta dal pubblico. Costretto dalla miseria, che lo incalzava sempre più, il P. accettò nel 1862 il posto di capomusica della Guardia Nazionale a Piacenza e poi, due anni dopo, quello di direttore della banda di Cremona. A Piacenza compose l'opera Roderigo Re dei Goti, rappresentata a quel teatro municipale (1863) con modesto risultato. Alle delusioni derivategli dalla sua attività di musicista, si aggiunse quella amarissima che gli procurò nel 1865 il concorso alla cattedra di contrappunto e fuga al Conservatorio di Milano: riuscito primo nella terna, gli fu preferito Franco Faccio, sostenuto dagli amici avveniristi e promotori del "quartettismo" in Milano. L'ingiustizia subita gli procurò una corrente di simpatia fra i cosiddetti tradizionalisti, che forse contribuì al successo entusiastico riportato da I Promessi Sposi, rimaneggiati e ampliati, al Teatro Dal Verme la sera dell'8 dicembre 1872. Conseguenze di questo primo successo milanese furono la rappresentazione del ballo Le Due Gemelle alla Scala l'anno seguente e la tanto attesa commissione, da parte dell'editore Ricordi, per la quale il P. accettò di musicare il libretto de I Lituani, che Antonio Ghislanzoni gli avrebbe tratto dal poemetto di Mickiewicz. La composizione di quest'opera, di vaste proporzioni, gli fu causa di grandi amarezze: costretto a lavorare a frammenti, così come riceveva il testo scena per scena dallo scapigliato librettista, avendo un'idea soltanto approssimativa della costruzione generale; sollecitato dall'editore ad essere puntuale per il termine fissato, il P. si dibatteva fra le esigenze tiranniche del costume teatrale del tempo e la sua coscienza d'artista, sempre dubbiosa e insoddisfatta. I Lituani andarono in scena alla Scala la sera del 7 marzo 1874, e, nonostante il grigiore della trama drammatica, furono applauditi dal pubblico ed esaltati dalla critica in virtù dell'efficace eloquenza della musica.

Ma l'opera che assicurò la popolarità del musicista cremonese anche all'estero fu la Gioconda, per la quale Arrigo Boito, che volle celarsi sotto lo pseudonimo di Tobia Gorrio, apprestò il libretto. Le cronache milanesi riferirono dello splendido successo riportato dalla Gioconda alla Scala la sera dell'8 aprile 1876, con esaltazioni iperboliche. Qualche riserva non mancò e P., per natura mite e arrendevole, si ripose al lavoro di rifinitura, in qualche parte anche radicale. Nella pienezza della sua vena musicale, nella maturità dei suoi mezzi espressivi, di cui egli fu il primo a comprendere la natura e la misura, il P. attende alla composizione di nuovi lavori e il 26 dicembre 1880 presenta alla Scala Il figliuol prodigo, su testo dello Zanardini, da alcuni giudicata l'opera sua migliore musicalmente, anche se inferiore dal lato drammatico in rapporto al teatro.

In quello stesso anno gli fu affidata la cattedra di composizione al Conservatorio di Milano e tale ufficio tenne con profonda passione fino alla morte, pur assumendo nel 1882 gl'impegni di direttore e compositore della Cappella di S. Maria Maggiore in Bergamo, per la quale scrisse numerosa musica sacra, fra cui un Miserere e le Lamentazioni per l'ufficio della settimana santa. Dalla sua scuola uscirono, fra gli altri, M. E. Bossi, G. Tebaldini, G. Puccini e P. Mascagni.

Il teatro lo tentò ancora una volta e il 17 marzo 1885 veniva rappresentata alla Scala, ma con scarso successo, l'ultima sua opera, Marion Delorme, della quale rimase popolare l'intermezzo funebre del quarto atto. Sono da ricordare ancora la farsa musicale Il parlatore eterno (1873), il ballo Clarina (1873), la cantata A Gaetano Donizetti (1875), una marcia funebre per A. Manzoni intitolata Il 29 maggio, un Inno di Garibaldí (1882) e infine l'opera I Mori di Venezia, che, lasciata incompiuta, fu finita e strumentata da Arturo Cadore e rappresentata a Montecarlo nel 1914.

Il P. ha, nel quadro del tempo in cui operò, un posto abbastanza notevole, se si pensa al non piccolo merito di essere egli stato tra i pochi dell'età sua che, pur vivendo nel periodo del pieno splendore del melodramma verdiano da un lato e dell'affermazione del dramma musicale wagneriano dall'altro, ebbe una sua parola da dire: modesta, ma sua. La frase musicale del P., pervasa da un caldo senso elegiaco, linearmente robusta, anche se non ha virtù di sintesi lirica come quella verdiana, si palesa con caratteri ben proprî di espressione e di colore insieme. In tutte le opere ponchielliane si può scorgere inoltre l'aspirazione alla serietà artistica, alla costruzione solida, ed è anche evidente lo studio di rifuggire dalle comode formule d'accompagnamento più abusate e di rendere la scrittura musicale più complessa, attraverso l'uso di piccoli e ingegnosi contrappunti. Lo stile ponchielliano, infine, è il risultato di una natura d'artista d'intuito e insieme di una meditata e a volte tormentata ricerca, cui il sentimento seppe obbedire anche là dove sembra irrompere impetuoso e spontaneo. Stile che, nonostante frequenti accuse di grossolanità e di truculenza, è ancor vivo per una sana espressività popolaresca ed è anche giunto talvolta a purificarsi e a elevarsi, come, ad es., nelle serene espressioni bibliche di Il figliuol prodigo, nella quale opera non è meno notevole e interessante l'efficace vivezza della coloritura d'ambiente.

Bibl.: G. Cesari, A. P. nell'arte del suo tempo, Cremona 1934; G. Tebaldini, A. P., in Musica d'oggi, VII, 1934; M. Mila, Caratteri della musica di P., in Pan, VIII, 1934; G. Adami, G. Ricordi e i suoi musicisti, Milano.