GRILLO, Amico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 59 (2002)

GRILLO, Amico

Enrico Basso

Non conosciamo i nomi dei suoi genitori, né il luogo e la data della sua nascita da collocarsi, presumibilmente, a Genova nel primo quarto del sec. XII.

Esponente di rilievo della cosiddetta "seconda generazione" dell'aristocrazia consolare, subentrata con il tempo al gruppo dei primi esponenti della Compagna Communis che avevano improntato con la loro opera le fasi della nascita del Comune di Genova e della sua prima affermazione tra le potenze mediterranee in connessione con gli eventi della prima crociata, il G. fece parte di quel gruppo di influenti cittadini che si trovò ad affrontare il non facile compito di consolidare i risultati di una crescita forse fin troppo impetuosa del giovane Comune e di gettare le basi per l'ulteriore e più metodica espansione della sua area di influenza. La carriera politica del G., da questo punto di vista, può essere considerata tanto come un perfetto exemplum del cursus honorum seguito da molti fra i membri del ceto dominante nella loro ascesa alle più alte cariche del governo cittadino nella seconda metà del XII secolo, quanto come uno specchio delle principali problematiche che questa classe di governo si trovò di fronte nel proprio operare.

Essendosi dimostrato erroneo un riferimento al G. segnalato da O. Foglietta per il 1146, troviamo una prima sicura attestazione documentaria della sua partecipazione alla vita pubblica nel 1157, quando è menzionato fra i membri del Collegio dei consoli dei placiti (la magistratura cui, a partire dal 1130, era demandata l'amministrazione della giustizia, separata dalle competenze dei consoli del Comune) per le quattro "compagne deversus burgi"; di tale magistratura egli fece nuovamente parte anche nel 1160, mentre a partire dal 1161 (e almeno fino al 1166) è ricordato come titolare di una funzione pubblica peculiare di questa fase iniziale dell'amministrazione del Comune genovese: egli è infatti uno dei publici testes, cioè quel gruppo di cittadini investiti di pubblica fiducia incaricati dal Comune di presenziare alla redazione degli atti, da parte della Cancelleria e da parte dei notai, e di convalidarli con le sottoscrizioni di almeno due di loro. Quale naturale prosecuzione di una simile ascesa politica, nel 1163 il G. venne chiamato per la prima volta a far parte del Collegio dei consoli del Comune.

Il gruppo dei consoli chiamato in carica in quell'anno si trovò a gestire una situazione che poteva presentare non poche difficoltà: solo l'anno precedente si era conclusa la guerra che aveva visto Genova e Pisa scontrarsi per il controllo del Tirreno e delle sue rotte commerciali, e i membri del governo genovese dovevano adoperarsi per evitare che i rivali potessero ulteriormente rafforzare le loro posizioni in Sardegna e Corsica badando tuttavia a non urtare la suscettibilità dell'imperatore Federico I che, avendo bisogno dell'appoggio di entrambe le potenze marittime per i propri disegni politici di espansione in direzione del Mezzogiorno, si era interposto fra i contendenti in qualità di mediatore e che già aveva motivo di malcontento verso Genova per il fatto che la città, con abile diplomazia, era riuscita a evitare di assumere nei confronti della Corona imperiale gli stessi obblighi politici e finanziari ai quali il Barbarossa stava assoggettando gli altri Comuni italiani. Giostrandosi abilmente fra gli interessi in conflitto, i Genovesi riuscirono a mantenere il favore imperiale e nel 1164, con il loro determinante intervento in favore delle ambiziose richieste del giudice d'Arborea Barisone (I), a segnare un punto a proprio favore nelle aspre contese per il predominio in Sardegna.

La reazione pisana non si fece attendere, sfociando in un nuovo periodo di ostilità. Fu proprio durante questi anni che l'impegno politico del G. raggiunse il suo apice: chiamato nuovamente a far parte del Collegio dei consoli del Comune nel 1165, egli venne investito del comando di una flotta inviata sulle coste della Provenza per contrastare le attività dei Pisani in quell'area e riaffermarvi la supremazia genovese. La Provenza costituiva una delle aree fondamentali nelle quali si giocava la complessa partita fra Genovesi e Pisani per la supremazia nel bacino del Mediterraneo occidentale per l'importanza commerciale dei suoi porti, sbocco di un vasto retroterra produttivo, che avrebbero potuto costituire una pericolosa concorrenza per gli interessi commerciali genovesi nella Francia meridionale e nella penisola iberica; per questo motivo, già da tempo i Genovesi - approfittando abilmente delle pressanti esigenze poste alla turbolenta nobiltà provenzale dalla partecipazione all'avventura crociata e dai violenti contrasti che la dividevano al suo interno - si erano adoperati per soffocare l'autonomo sviluppo economico di questi centri e per porre i maggiori tra loro sotto un velato protettorato genovese, mal sopportato dalla classe mercantile locale per quanto avallato dall'autorità stessa dei conti di Provenza e di Saint-Gilles; l'area provenzale inoltre era per i Genovesi il luogo di rifornimento privilegiato di due derrate di fondamentale importanza: il sale e il grano. È quindi facilmente comprensibile come quest'area costituisse un bersaglio primario dell'offensiva pisana e uno fra i teatri principali di questa nuova fase del conflitto.

Il motivo immediato dell'intervento militare genovese in area provenzale fu costituito dalla cattura, a opera dei Pisani, di alcune navi commerciali genovesi; quale reazione, una squadra di 14 galee al comando del G. (il Foglietta, nelle Istorie, attribuisce erroneamente questo comando a Simone Grillo) venne inviata a dare la caccia agli assalitori, ma la difficoltà di ritrovare le navi nemiche, nascoste nel dedalo dei canali del delta del Rodano, e l'atteggiamento ambiguo, quando non apertamente ostile, dei cittadini di Arles e Saint-Gilles e del visconte di Carcassonne - che offrirono protezione ai Pisani rifiutandosi nel contempo di garantire rifornimenti ai Genovesi - costrinsero la flotta a rientrare avendo distrutto solo 5 navi avversarie.

Il rinnovarsi di attacchi in forze della flotta pisana, con la devastazione di Albenga e del suo contado e la cattura di numerose navi mercantili lungo le coste provenzali, impose al G. di ritornare ancora una volta, con una flotta rinforzata e costituita, secondo le fonti, da 45 galee, sul teatro di operazioni al fine di arginare l'attività nemica.

Fallito il tentativo di trarre dalla propria parte la Comunità di Saint-Gilles e sfumato dopo breve tempo l'accordo di alleanza stipulato con Raimondo V di Tolosa - che, premuto dagli abitanti di Saint-Gilles e dai Pisani, colse quale pretesto per ritrarsi dagli accordi il ritardato versamento del compenso pattuito di 1300 marchi d'argento -, il G., dopo aver bloccato la flotta nemica nel Rodano, fu costretto a sbarcare i propri uomini e ad accettare battaglia in condizione di inferiorità di forze, con il solo sostegno delle truppe inviate dai signori di Baux. Sconfitti, i Genovesi riuscirono comunque a ripiegare verso le navi e a raggiungere Arles, da dove continuarono a tenere in scacco la flotta nemica. La superiorità navale genovese e l'alleanza confermata con i cittadini di Arles e i signori di Baux consentirono di mantenere il controllo dell'area nonostante lo scacco subito; la posizione genovese si rafforzò ulteriormente poco tempo dopo grazie agli accordi stipulati in funzione antipisana con Raimondo Berengario III, conte di Provenza e di Melgueil, che di fatto, stante il perdurare dell'alleanza fra Genova e Marsiglia, rendeva l'intera zona del delta del Rodano impraticabile per i Pisani, i quali inoltre persero a causa di una tempesta l'intera flotta di ritorno dalla Provenza, con l'effetto collaterale di infliggere un colpo mortale all'importanza economica di Saint-Gilles.

La buona prova di sé che il G. aveva offerto in questi frangenti, più come diplomatico che come stratega, non dovette essere indifferente ai successivi sviluppi della sua carriera: nel 1168 lo troviamo infatti, insieme con i consoli Bellamuto e Ruggero di Castello, tra i capi dell'ambasceria inviata in Sicilia nel tentativo di strappare a re Guglielmo II - minacciato dall'alleanza fra il Barbarossa, l'imperatore d'Oriente Manuele Comneno e il papa - accordi commerciali ancor più vantaggiosi di quelli già concordati in precedenza; ma il sovrano normanno, probabilmente ben conscio della fragilità dell'alleanza stretta contro di lui fra i tre poteri universali, rifiutò di cedere al ricatto dei Genovesi, limitandosi a riconfermare quanto già stabilito.

Nel 1172, nuovamente investito della carica consolare, il G. insieme con il collega Oberto Spinola fu inviato a Lucca per intavolare trattative con i rappresentanti di Pisa nel tentativo, patrocinato dall'arcivescovo Cristiano di Magonza, arcicancelliere imperiale, di trasformare in pace stabile i fragili accordi di tregua stipulati nel 1169.

Tale iniziativa, che sembrava inizialmente finalizzata più che altro a prolungare il più possibile lo stato di tregua prima del riaccendersi delle aperte ostilità, ottenne, attraverso l'uso di consistenti somme di denaro generosamente promesse all'arcivescovo, una momentanea frattura dei legami tra Pisa e la parte imperiale, sanzionata dal bando proclamato dall'Impero contro i Pisani. Ben più importante per le sue conseguenze pratiche fu un altro accordo stipulato in quel torno di tempo con il concorso del G., e cioè l'alleanza stabilita con i signori di Lagneto contro i marchesi Malaspina i quali, sotterraneamente sostenuti da Pisa, minacciavano le posizioni genovesi nell'estremo Levante ligure. Detta alleanza si sarebbe rivelata di grande importanza per l'esito della guerra antimalaspiniana combattuta dalle forze genovesi nel 1172-74 e conclusasi con la sconfitta dei marchesi e il loro ripiegamento verso i feudi della Lunigiana, che lasciò definitivamente nelle mani di Genova tutto il territorio della bassa valle del Magra.

Il prestigio del G. all'interno del ceto di governo genovese dovette indubbiamente trarre lustro dai successi diplomatici conseguiti, e infatti lo ritroviamo nuovamente a breve distanza di tempo fra i titolari della massima magistratura: fu console del Comune nel 1176, in un momento assai significativo delle vicende politiche dei Comuni italiani, e di nuovo nel 1179-80.

In quest'ultima occasione fu tra i sottoscrittori di parte genovese degli importanti accordi attraverso i quali Albenga accettava di fatto la propria sottomissione alla supremazia regionale genovese: veniva così sancito il consolidarsi dell'influenza del Comune anche in direzione della Riviera di Ponente.

Dopo aver ricoperto per la terza volta la carica di console dei placiti nel 1181, il G. venne chiamato nuovamente a sedere fra i membri del Collegio dei consoli del Comune nel 1186, nel segno di una continuità di presenze ai vertici dell'amministrazione che lo indica chiaramente come una delle personalità di maggiore spicco all'interno dell'aristocrazia consolare. In tale occasione, oltre a concorrere a dirimere alcune questioni di carattere squisitamente amministrativo, ma di fondamentale importanza economica, quale quella della collocazione e delle misure dei mercati interni alla città, ancora una volta egli si trovò a deliberare su questioni di grandissimo rilievo per la politica mediterranea genovese e per gli sviluppi del conflitto con Pisa: il 30 nov. 1186 venne infatti stipulato un accordo attraverso il quale i Genovesi assicuravano assistenza e sostegno al giudice Barisone (II) di Torres, in particolare in caso di guerra fra quest'ultimo e i Pisani.

Tale accordo, oltre allo scopo immediato, rispondeva indubbiamente ai fini della politica di penetrazione in Sardegna adottata da Genova dopo l'esito deludente dell'avventura di Barisone d'Arborea, che vedeva quale nuovo interlocutore privilegiato del Comune proprio il giudice turritano, nelle terre del quale le grandi famiglie dell'aristocrazia consolare stavano iniziando a inserirsi sia attraverso l'influenza commerciale, sia attraverso una diretta presenza di loro membri in qualità di latifondisti.

Ormai giunto a un'età sicuramente avanzata, il G. probabilmente meditava un ritiro dalla scena politica, ma la grave crisi che proprio nell'ultimo decennio del XII secolo condusse alla progressiva eclissi politica del vecchio ceto dominante dell'aristocrazia consolare - della quale era stato un campanello d'allarme il primo esperimento di governo podestarile in Genova nel 1190 - lo richiamò ancora una volta alla ribalta: nel 1194, in un momento di gravissima tensione politica interna ed esterna, mentre lo scontro politico tra le fazioni del ceto dirigente degenerava rapidamente in scontro di bande armate per le vie della città e la pestilenza mieteva vittime, il G. venne nuovamente insignito del consolato del Comune insieme con un gruppo di altri sperimentati amministratori: Nicola Embriaco, Guglielmo Burone, Tommaso Vento, Guglielmo Doria e Rubaldo Lercari. L'evidente speranza che il ritorno sulla scena politica di questo gruppo di protagonisti dell'ascesa politica di Genova fra le grandi potenze mediterranee potesse in qualche modo condurre a una pacificazione tra le fazioni ebbe però vita breve: di fronte al radicalizzarsi della lotta armata tra le fazioni e all'evidente sedizione rappresentata dalla nomina di un altro gruppo di consoli, in opposizione a quello legittimo, da parte della fazione dei "de Curia" e degli "Avvocati", il G. e i suoi colleghi, spinti a questa mossa anche dal siniscalco imperiale Marquardo di Annweiler (giunto in città per organizzare per conto del suo signore, l'imperatore Enrico VI, la partecipazione genovese alla spedizione contro i Normanni di Sicilia), convocato il parlamentum rassegnarono le proprie dimissioni in favore di un nuovo podestà: il pavese Oberto da Olevano.

È questa l'ultima notizia che abbiamo sul G. del quale restano ignoti il luogo e la data di morte.

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