AMBIENTE

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1991)

AMBIENTE

Paola Sarti

(ambiente e paesaggio, App. IV, I, p. 110)

Con questo termine si designa il complesso formato dall'a. naturale (fisico ed ecologico) e dall'a. artificiale (prevalentemente antropizzato e urbano). All'interno del sistema generale sono individuabili alcuni sistemi ambientali specifici, che secondo una recente graduatoria sono così definibili: aree a uso estensivo; acque interne; zone costiere; aree ad agricoltura intensiva; aree metropolitane.

I criteri di ricognizione e specificazione adottabili sono vari; tra essi i più diffusi sono quelli, per es., basati sulle ripartizioni amministrative, sull'individuazione delle diverse componenti verticali (aria, acqua, suolo, paesaggio, fauna, flora, ecc.), su caratteri fisici o geomorfologici (montagna, collina, pianura), sull'individuazione di comprensori o aree omogenee ai fini della pianificazione e dell'assetto del territorio, o, infine, sulla ripartizione del territorio nazionale, secondo un'ottica solo apparentemente geografica, in sistemi ambientali sufficientemente omogenei sotto il profilo delle componenti bio-geo-fisiche ed ecologiche in generale, delle (attuali e potenziali) destinazioni e funzioni d'uso, dei problemi di deterioramento, tutela e conservazione.

Per quest'ultima si tratta, naturalmente, di una ripartizione del tutto convenzionale, che però offre vantaggi non altrimenti ottenibili in quanto: a) consente di suddividere, in un numero relativamente limitato di sistemi ambientali, un territorio caratterizzato da una grandissima varietà di situazioni ambientali ed ecologiche; b) è funzionale rispetto a una visione antropocentrica (anziché strettamente naturalistica o conservazionistica) dei rapporti fra uomo e a.; visione ispirata all'obiettivo di contemperare una doppia esigenza: quella dell'uomo di ottenere dall'a. stesso un'adeguata qualità e quantità di servizi (in ogni senso : produttivi, ricreativi, estetici, scientifici, naturalistici e 'vitali' in generale) per il miglioramento della qualità della vita, e quella (del pari irrinunziabile) di garantire l'integrità dei fondamentali equilibri biologici ed ecologici della natura; c) consente una raccolta, un'analisi e una valutazione dei dati e delle informazioni sulla situazione dell'a. agevolmente finalizzabili agli ambiti d'intervento operativo già individuati dalle autorità competenti.

A tali sottosistemi, definibili anche geograficamente, ne è stato aggiunto uno di assai difficile localizzazione spaziale, in quanto praticamente diffuso in tutte le aree di un paese: il patrimonio dei beni storico-artistici, che si presenta come componente strutturalmente connessa ai diversi sottosistemi precedentemente individuati. Dato il criterio di partizione orizzontale (ossia territoriale-geografico) dell'a., anziché verticale (ossia per singole categorie componenti o beni ambientali), il patrimonio dei beni storico-artistici costituisce un sottosistema ambientale non omogeneo rispetto agli altri.

Al di là dell'influenza, pur determinante, delle cause d'ordine geomorfologico, meteoclimatico e demografico, la fragilità dell'a. naturale è stata aggravata da un'imponente crescita di beni e servizi, iniquamente distribuiti. La produzione industriale mondiale è aumentata più di 50 volte rispetto al secolo scorso, e i quattro quinti di questa crescita si sono prodotti a partire dal 1950. Le attività economiche si sono moltiplicate fino a creare un'economia di circa 17 milioni di miliardi di lire, che, in base alle attuali tendenze, crescerebbe nel prossimo secolo da 5 a 10 volte.

La popolazione umana si è duplicata negli ultimi due secoli, ed è attualmente valutata in circa 5 miliardi di persone, un livello che appena 30 anni fa l'ONU stimava si sarebbe raggiunto nel 1995. Nel corso del prossimo secolo essa potrebbe stabilizzarsi fra gli 8 e i 14 miliardi. La maggior parte di tale aumento (circa il 90%) si produrrà nei paesi più poveri e nelle grandi aree metropolitane. Questa crescita prodigiosa ha il suo drammatico risvolto in un'enorme dissipazione di risorse, di emissioni inquinanti e di accumulazione di rifiuti, risultanti dall'utilizzazione di materie prime provenienti dal suolo e sottosuolo e dalle altre risorse ambientali.

È soprattutto negli ultimi 50 anni che l'uso e l'abuso di risorse naturali è andato molto al di là del ritmo biologico di ricostituzione delle risorse. Ciò è dovuto non solo all'effetto dell'impennata quantitativa della produzione, ma anche all'adozione di tecnologie pesanti, che hanno potentemente sviluppato la produttività del lavoro, deprimendo la produttività delle risorse: materie prime, fonti di energia non rinnovabili, vegetazione e territorio.

Tra i principali fenomeni di degrado dell'a. globale è possibile individuare la concentrazione di anidride carbonica nell'aria, che è passata da 280 parti per milione nel periodo preindustriale a 340 parti per milione nel 1980. Un fattore determinante di questo fenomeno è l'elevato consumo di energia tipico delle società industrializzate, essendo l'anidride carbonica, insieme all'acqua, il prodotto terminale di tutti i processi di combustione del petrolio, metano, carbone e legno.

L'aumento della concentrazione dell'anidride carbonica in atmosfera è anche il risultato della progressiva distruzione della superficie verde del pianeta che riduce il processo di assorbimento e trasformazione di questa sostanza da parte della vegetazione attraverso il noto processo della fotosintesi clorofilliana. È noto, infatti, che circa 11 milioni di ha di foresta sono distrutti ogni anno dall'uomo, e un'eguale quantità viene danneggiata gravemente. Il territorio che ogni anno viene convertito irreversibilmente in deserto continua a crescere nella misura di circa 6 milioni di ha ogni anno. È stato stimato che se l'andamento attuale di utilizzazione dei combustibili fossili continuasse immutato, la concentrazione di anidride carbonica dovrebbe raggiungere il valore di circa 560 parti per milione fra la metà e la fine del prossimo secolo. Secondo valutazioni attendibili ciò produrrebbe, unitamente all'aumento della concentrazione di altri inquinanti dell'atmosfera, un incremento di temperatura (anche noto come ''effetto serra'') stimato fra 1,5 e 4,5 °C: il più elevato da quando l'uomo popola la terra e sufficiente a produrre conseguenze catastrofiche quale, per es., un aumento del livello del mare fra 20 e 140 centimetri.

Un'altra grave minaccia all'a. viene dai rischi per l'integrità della fascia di ozono stratosferico derivanti, in particolare, dai clorofluorocarburi e dagli ossidi di azoto. L'ozono stratosferico costituisce, infatti, lo schermo naturale delle radiazioni solari ultraviolette. Esso protegge la salute dell'uomo, impedendo che l'esposizione a tali radiazioni provochi l'incremento dei tumori cutanei e le gravi e irreversibili alterazioni nello sviluppo della fauna e della vegetazione. I dati disponibili rivelano un significativo decremento della fascia di ozono stratosferico in corrispondenza dell'Antartide e, più recentemente, dell'Artide. Elementi di preoccupazione sono altresì associati alla frequente estinzione delle specie sulla terra, fortemente aumentata a causa degli interventi dell'uomo sull'ambiente.

La forte e diffusa consapevolezza dei danni e dei rischi legati alla rottura degli equilibri ecologici globali è cosa recente. È solo da circa due decenni che la questione ambientale ha cessato di essere un tema riservato agli specialisti o a piccole schiere di appassionati difensori della natura, per divenire oggetto di preoccupazione, di proposte e di azioni da parte di governi e di istituzioni internazionali, motivo di riflessione e di revisione di concetti per la scienza economica; punto di riferimento di sempre più estesi movimenti d'opinione.

La questione ambientale come problema decisivo del nostro tempo emerge, purtroppo, quando il degrado ecologico è già molto avanzato. Nonostante le incertezze scientifiche e tecniche, l'azione politica riparatrice non può essere ulteriormente differita. Già oggi l'intervento ha un costo economico e sociale molto alto, non facile da accettare in un mondo che, sin dagli albori dell'industrializzazione, ha salutato le ciminiere e le colonne di fumo come simboli di progresso e di prosperità. Lo sviluppo di un'azione che si proponga di indirizzare verso nuovi orizzonti un processo provocato dallo scatenamento di una potenza straordinaria come quella economica, tecnologica e organizzativa, richiede uno sforzo volto alla costruzione di un potere di pari forza, capace di svilupparsi nelle diverse dimensioni (planetaria, nazionale e locale) e sui diversi piani (dell'economia, della tecnologia, dell'organizzazione del territorio e della società) in cui la questione ambientale si presenta. La responsabilità primaria di questo sforzo ricade sui paesi più industrializzati e più ricchi, che direttamente o indirettamente sono all'origine dell'attuale crisi planetaria. Si tratta di un compito estremamente arduo, in una situazione che vede l'azione a livello internazionale ostacolata dalla frammentazione politica del mondo in oltre 150 stati, e dal fatto che all'interno di ciascuno di essi la capacità politica d'intervento è soffocata dalla parcellizzazione dei poteri in competenze separate.

Negli ultimi anni, tuttavia, vi sono stati progressi importanti, sia per la crescita di consapevolezza critica, sia per il contemporaneo avvio di sempre più fitte iniziative politiche di portata internazionale. Il punto di arrivo più avanzato della riflessione sull'a. è il Rapporto Brundtland, redatto dalla Commissione mondiale istituita sulla base di una risoluzione dell'Assemblea generale dell'ONU (1986), e centrato sul nesso cruciale tra a. e sviluppo. Accanto a questo documento, numerosi altri rapporti scientifici sono stati pubblicati da istituti pubblici e privati (tra questi basti ricordare il Rapporto annuale sullo stato del nostro pianeta redatto dal Worldwatch Institute), tutti caratterizzati da una visione planetaria dei problemi ambientali.

Il quadro normativo internazionale può, attualmente, suddividersi in due grandi categorie: convenzioni e atti elaborati nell'ambito internazionale vero e proprio, in genere, ma non solo, promossi nell'ambito del sistema ONU, in particolare dall'UNEP (United Nations Enviromental Programme) di Nairobi, dall'IMO (International Maritime Organization) di Londra e dall'ECE (Economic Commission for Europe) di Ginevra; convenzioni e atti elaborati nell'ambito regionale europeo, in genere promossi dal Consiglio d'Europa di Strasburgo, dall'OCSE di Parigi e soprattutto dalla CEE (nella forma non già di convenzioni, ma di direttive, regolamenti, decisioni, raccomandazioni e risoluzioni).

L'UNEP è senza dubbio l'unico a carattere planetario in senso proprio, con un ruolo soprattutto di promozione e coordinamento dell'attività dei governi nazionali in questo campo. È all'UNEP che si devono tra l'altro le intese di Vienna e di Montreal sui clorofluorocarburi e sull'ozono. L'IMO svolge un compito essenziale in materia di tutela dei mari dall'inquinamento, con una serie di convenzioni che provvede a gestire, applicare, amministrare. L'ECE è, in Europa, foro d'incontro tra Est e Ovest, non solo in campo economico, ma anche ambientale. In questi ultimi anni ha avuto importanza soprattutto nella lotta agli inquinamenti atmosferici a lunga distanza (Protocollo di Helsinki) e nelle strategie ambientali a lungo termine. Il Consiglio d'Europa si è specializzato nel settore della conservazione della natura, della specie e del patrimonio monumentale. L'OCSE, in linea con la sua tradizione, mira soprattutto all'armonizzazione delle politiche ambientali nazionali, nell'intento di evitare distorsioni, discriminazioni e forme di concorrenza sleale, con particolare riguardo ai problemi delle emissioni inquinanti, delle alterazioni climatiche, delle piogge acide, dei prodotti chimici, delle sostanze nocive, dei rifiuti pericolosi, delle diversità biologiche, del degrado dei suoli, della valutazione dell'impatto ambientale e del principio 'inquinatore-pagatore', oltre che a quello più generale dell'interdipendenza economico-ecologica e del raccordo a.-sviluppo.

La politica ambientale comunitaria, basata agli inizi sulle disposizioni del Trattato di Roma, ha assunto più vasto e rapido sviluppo a seguito della revisione di questo con l'Atto unico europeo del 1987. Essa è passata dal 1973 attraverso quattro programmi quadriennali d'azione, che hanno investito tutti i settori del risanamento ambientale mediante una multiforme normativa, nell'intento di predisporre anche in questo campo i paesi membri all'unificazione dei mercati prevista per il 1992.

Aria, acqua, mare, suolo, natura, rumore e rifiuti sono stati oggetto delle circa 50 decisioni del Consiglio dei ministri dell'Ambiente della CEE, senza contare l'attiva partecipazione della Commissione CEE ai vari negoziati ambientali internazionali. Nel settore clorofluorocarburi e ozono, la CEE − su particolare impulso italiano − si è posta all'avanguardia del movimento di revisione del Protocollo di Montreal e di anticipata riduzione della produzione e del consumo di quelle sostanze, sino all'azzeramento entro la fine del secolo. È in corso anche, in sede CEE, una riflessione sulla necessità e opportunità di dotare la politica ambientale comunitaria di mezzi finanziari autonomi e più cospicui di quelli, del tutto insufficienti, di cui ha usufruito finora.

La dinamica della politica ambientale comunitaria non ha mancato d'influire sull'atteggiamento dei paesi EFTA, che nel 1987 hanno preso l'iniziativa di una Conferenza a Noordwijk, nell'intento di rafforzare la cooperazione e il coordinamento, in questo campo, delle politiche dei due raggruppamenti europei; e anche sull'atteggiamento dei paesi dell'Europa orientale, URSS compresa, che dimostrano un crescente interesse a cooperare con la CEE (e con i singoli paesi membri, in sede bilaterale) in fatto di iniziative e politiche ambientali.

Da ultimo, fuori del quadro delle strutture internazionali consolidate, è da segnalare il Vertice ambientale (e la finale Dichiarazione) dell'Aia (settembre 1989), dove 24 paesi, tra cui l'Italia, hanno sottolineato l'urgenza di iniziative di nuovo tipo, non più e non solo di carattere internazionale, ma addirittura soprannazionale, per risolvere il problema del degrado globale dell'atmosfera.

Per quanto riguarda l'Italia, un punto di svolta e l'inizio di un serio impegno per una politica organica per l'a. si è avuto nel 1983. In quell'anno, infatti, è stato istituito, sotto il governo Craxi, un nuovo incarico ministeriale senza portafoglio per i problemi dell'ambiente. Nel gennaio 1984 il governo presentò un disegno di legge per l'istituzione del ministero dell'Ambiente, che venne definitivamente approvato dal Parlamento nel luglio 1986 (l. 8 luglio 1986, n. 349), dopo un ampio dibattito parlamentare che ha condotto a un'importante modificazione del testo originale (v. beni culturali e ambientali, Legislazione, in questa Appendice).

Accanto all'impegno per la formazione e il funzionamento del nuovo ministero, si attuano le prime iniziative concrete: sul piano delle risorse finanziarie destinate all'a., la riserva sul FIO (Fondo Investimento Occupazionale), limitata in un primo momento al disinquinamento e poi estesa ai rifiuti, e le importanti risorse per l'a. inserite nella legge finanziaria del 1987. Sul piano legislativo, vanno ricordate l'approvazione della legge 59 del 1987 e della prima e seconda versione del decreto legge sullo smaltimento dei rifiuti, successivamente convertito con legge 441 del 1987; e nell'ultimo periodo, la stipulazione di convenzioni con ministeri ed enti per consentire l'operatività del nuovo dicastero, la predisposizione della Nota preliminare alla Relazione sullo stato dell'a., le prime iniziative in materia di riserve naturali (parco di Orosei).

Dall'inizio della X legislazione, realizzate le condizioni di partenza essenziali, il problema diventa quello di portare la nuova struttura, le sue azioni e i suoi programmi al livello di una politica ambientalistica.

Una rapida scorsa dell'esperienza compiuta, dei problemi affrontati e delle azioni svolte consente una più interna e diretta valutazione delle numerose questioni aperte in armonia con le altre politiche riguardanti l'economia e l'organizzazione della società, offrendo, quindi, una base preziosa per delineare modalità e termini su cui impostare la politica ambientalistica per i prossimi anni.

Bibl.: J.P. Barde, E. Gerelli, Economia e politica dell'ambiente, Bologna 1980; Problemi economici della tutela ambientale. Atti della XXIII riunione scientifica della Società Italiana degli Economisti (Roma, 4-5 nov. 1982), Roma 1984; United Nations Environment Programme, Lo stato dell'ambiente, Pietrasanta 1988; R. Molesti, Economia dell'ambiente, Pisa 1988; Ministero dell'Ambiente, Relazione sullo stato dell'ambiente, Roma 1989; Lega per l'ambiente, Ambiente Italia, Torino 1989; Worldwatch Institute, State of the world 1989, ivi 1989.

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