ambiente
L’a. è tutto ciò che circonda e con cui interagisce un organismo. Il concetto di a. è quindi relativo e comprende tutte le variabili o descrittori biotici e abiotici in cui un organismo vive e con cui interagisce nel corso della sua esistenza. L' a. biotico è costituito dalla componente vivente dell’a. (piante, animali, microrganismi, virus ecc.) e rappresenta l’insieme delle relazioni con le altre specie cui l’organismo deve rispondere (predazione, parassitismo ecc.), incluse anche le relazioni con gli altri individui della stessa specie (competizione, relazioni sociali, familiari, sessuali ecc.). L' a. abiotico è costituito dalla componente non vivente dell’a. (clima, natura del suolo ecc.) e i parametri cui l’organismo deve rispondere sono temperatura, salinità, pH, illuminazione, concentrazione di ossigeno, piovosità ecc. Ogni organismo è adatto a vivere in determinate condizioni ambientali, pur presentando una capacità di adattamento alle variazioni ambientali maggiore o minore: eurieci sono gli organismi che presentano un notevole grado di adattabilità, stenoeci quelli strettamente legati a un certo a. e incapaci di sopportare variazioni anche minime. Il complesso dei vari a. nei quali si svolge la vita e sui quali si ripercuotono gli effetti della vita, costituisce la biosfera . Lo studio delle relazioni fra organismi e a. è oggetto dell'ecologia.
Al termine del 20° sec. le tematiche ambientali hanno conquistato l’interesse dei mass media e coinvolto la sensibilità di quote crescenti di popolazione. L’intensificarsi di problemi di natura ambientale ha rimesso in discussione l’ineluttabilità dell’equazione sviluppo-alterazione ambientale; inoltre, il progressivo peggioramento di alcuni parametri della qualità dell’aria, delle acque e dei suoli ha indotto i governi, non di rado sotto l’incalzare dell’opinione pubblica, a porre all’ordine del giorno la discussione di questi problemi e la ricerca di soluzioni, come è avvenuto per es. a
Il modello di sviluppo sostenibile, affermatosi nel contesto politico e culturale mondiale nel corso degli ultimi anni del 20° sec., implica un assetto del territorio vincolato alla razionale utilizzazione delle risorse, ossia una gestione territoriale che non comprometta il naturale rinnovamento delle risorse, né le prospettive di
La città è uno spazio geografico particolare, in quanto, diversamente da quasi tutti gli altri, è pressoché totalmente costruito dall’uomo. Le città vengono in genere definite come ecosistemi urbani , nei quali è massima l’aggressione umana, rilevabile in termini sia di inquinamento atmosferico, idrico e acustico sia di fatiscenza edilizia, di scarsità di servizi, di congestione del traffico, di guasti estetici e di degrado sociale. Se si tiene conto del fatto che alla fine del 2° millennio la popolazione urbana è arrivata a formare quasi la metà di quella complessiva dell’intera Terra (superando i tre quarti del totale nei paesi industrializzati) e che tende ad aumentare ancora, a causa sia dell’inarrestabile immigrazione nelle città sia dell’espansione delle città stesse nelle aree circostanti, appare evidente quanto sia necessario trovare una soluzione ai pressanti problemi dell’a. urbano, al fine di assicurare una migliore qualità della vita a un enorme numero di persone. Non solo: la città è al tempo stesso il luogo nel quale si originano gravi traumi ambientali che si ripercuotono nelle zone limitrofe, in quanto costituisce un sistema aperto, che mantiene relazioni di scambio con aree sempre più vaste e lontane. L’organismo urbano, infatti, essendo luogo di forte concentrazione della popolazione e delle sue attività economiche, è anche luogo di importazione e di consumo di enormi quantità di energia e di materie diverse (per l’alimentazione e per vari altri usi), energia e materie che sottrae alle aree non urbane; al tempo stesso è grande produttore (ed esportatore) di sostanze di rifiuto: dai gas derivati da industrie, veicoli a motore e impianti di riscaldamento (principali fattori della contaminazione dell’aria), ai rifiuti solidi, il cui smaltimento pone problemi di ardua soluzione; sostanze tutte inquinanti, in misura/">misura maggiore o minore, e spesso tossiche.
Il consenso che, dopo la conferenza sull’a. e lo sviluppo di Rio de Janeiro (1992), viene unanimemente riconosciuto al modello dello sviluppo sostenibile sta esercitando ormai una profonda influenza sulle politiche ambientali urbane. La gestione dell’a. urbano ‘interno’ può essere migliorata con opportuni interventi atti ad assicurare lo sviluppo equilibrato della città, a contenere l’inquinamento atmosferico, idrico e acustico, a ridurre il traffico privato e riorganizzare quello pubblico, a preservare e valorizzare il patrimonio edilizio e i
L’agricoltura è sostenibile se migliora la qualità dell’a. e delle risorse naturali da cui dipende, fornisce alimenti e materie prime per i bisogni umani, migliora la qualità della vita per la società. La sostenibilità dello sviluppo nel settore agricolo può identificarsi quindi con la capacità di mantenere nel tempo il capitale naturale, pur impiegandolo per ottenere utilità derivanti da beni e servizi. Secondo tale definizione un agroecosistema/">agroecosistema è tanto più sostenibile quanto più è stabile e capace di autorigenerarsi, ossia se l’insieme degli impatti che esso produce non ne compromette la resilienza e capacità di carico.
1. Il bilancio delle risorse agrarie
In termini operativi, per valutare la sostenibilità di un sistema agricolo diviene quindi necessario analizzare il bilancio delle diverse risorse (suolo, acqua, energia) impiegate nella produzione, verificandone gli impatti nei confronti dell’ambiente. La risorsa principale su cui si esercita l’attività agricola è il suolo. Nel bilancio del suolo è necessario considerare sia il bilancio generale, sia quello interno al settore agroforestale. Le problematiche inerenti alla competizione d’uso del suolo tra urbano e rurale hanno assunto rilievo nei periodi susseguenti alle fasi di maggiore sviluppo economico. In
Al pari del suolo anche l’acqua è una risorsa rinnovabile basilare per l’agricoltura che, nel bilancio idrologico nazionale, assorbe la quota maggiore della domanda finale (ca. il 60%). In Italia esiste un forte deficit della disponibilità di acque irrigue rispetto alla domanda potenziale, problema che tende ad accrescere i conflitti d’uso tra le diverse componenti economiche e civili. È necessario quindi un uso più efficiente della risorsa idrica, che consentirebbe una riduzione della domanda o la possibilità di soddisfare l’espansione delle superfici irrigue. La gran parte delle aziende si rifornisce di acqua irrigua in forma indipendente, in prevalenza da fonti sotterranee. A questo proposito giova ricordare il contributo dell’agricoltura al problema dell’abbassamento della falda, che conduce sia a fenomeni di subsidenza sia, in vicinanza delle coste, all’intrusione nelle falde stesse di acqua salmastra proveniente dal mare. Inoltre, il sistema irriguo prevalente è quello per scorrimento, mentre i sistemi localizzati, economicamente e ambientalmente più efficienti, sono scarsamente diffusi. Un impiego più razionale ed efficiente, sotto il profilo sia economico sia ambientale, dell’acqua in agricoltura può essere perseguito intervenendo tanto sulle reti di adduzione quanto sulla diffusione dei sistemi irrigui più avanzati, ma il passaggio decisivo sembra essere la revisione dei sistemi tariffari.
La questione energetica assume in agricoltura un significato peculiare, visto che è proprio attraverso la fotosintesi che l’energia solare viene resa disponibile sotto forma di energia chimica. L’agricoltura è quindi un’attività nel cui bilancio energetico vanno iscritte voci negative e positive. Tale bilancio si è andato modificando con la diffusione dell’agricoltura industrializzata e del relativo ricorso a input esterni. La questione ambientale, riguardo alla relazione energia-agricoltura, va ricondotta oggi soprattutto all’efficienza energetica del settore. L’evoluzione dell’intensità energetica in agricoltura nel periodo 1981-94 risulta infatti crescente. Tale andamento, oltre a denotare una progressiva diminuzione dell’efficienza economica nell’uso dell’energia, caratterizza il settore come uno tra i più energivori dell’intero sistema produttivo nazionale. Il secondo elemento del bilancio energetico del settore primario è la produzione di energia da parte del settore agroforestale, che può avvenire secondo diverse modalità: impiego delle biomasse forestali per uso energetico; specifiche colture agrarie per la conversione della biomassa in biocarburanti; recupero a fini energetici dei sottoprodotti agricoli e dell’agroindustria.
Dagli ultimi decenni del 20° sec., l’agricoltura ha avuto come obiettivo prioritario la crescita quantitativa delle produzioni, soprattutto per fare fronte alla domanda alimentare. Il raggiungimento di tali obiettivi è stato possibile grazie all’utilizzo di un pacchetto di innovazioni tecnologiche basate sull’impiego di varietà geneticamente migliorate, di mezzi chimici per la concimazione e la difesa, della meccanizzazione e dell’irrigazione. Tuttavia, l’utilizzazione massiccia di fattori produttivi, e in particolare dei mezzi chimici (fertilizzanti e fitofarmaci), ha reso l’agricoltura da un lato dipendente da apporti energetici esterni, dall’altro un settore potenzialmente inquinante.
Proprio nell’agricoltura è stata identificata la più vasta fonte diffusa di inquinamento. Assai numerose sono infatti le conseguenze dannose connesse ai mezzi di produzione sul piano ambientale (inquinamento delle falde, eutrofizzazione, inquinamento atmosferico, erosione, danni al paesaggio, alla flora, alla fauna, alterazione dei microclimi), sulla tossicità degli alimenti (residui di fitofarmaci negli alimenti, elementi tossici nella catena alimentare, nitriti nelle acque e nei prodotti a consumo allo stato fresco) e infine sulla salute degli operatori stessi. I consumi totali di elementi fertilizzanti hanno fatto registrare un incremento sino al 1987, e successivamente una contrazione, determinata da ragioni di ordine sanitario e di tutela ambientale. A livello di
Anche la diffusione della meccanizzazione ha comportato alcune problematiche di carattere ambientale. Va anzitutto ricordato l’impatto sul suolo sotto il profilo fisico (porosità, regimazione delle acque), chimico (contenuto di sostanza organica) e biologico (presenza di microrganismi). Un secondo, rilevante problema è costituito dai mutamenti che il paesaggio agrario ha subito per consentire una gestione più economica dei mezzi meccanici. Le nuove tecnologie sono studiate in modo da ridurre gli impatti ambientali sia nella lavorazione del suolo sia nell’uso di macchine operatrici.
Il problema dell’inquinamento ambientale derivante dalla produzione zootecnica è da imputarsi alla diffusione degli allevamenti di tipo industriale. Infatti, la considerevole crescita del numero di capi allevati è avvenuta attraverso la concentrazione degli allevamenti in unità di grandi dimensioni (spesso di tipo industriale) che adottano tecniche di stabulazione prive dell’uso di lettiera, con la conseguente produzione di notevoli quantità di reflui di consistenza liquida di difficile smaltimento e, quindi, di grave impatto sull’ambiente. Un ulteriore aspetto che rende difficile la gestione dei liquami è la concentrazione degli allevamenti zootecnici in determinate aree, con la conseguente difficoltà di utilizzare razionalmente le deiezioni. L’utilizzazione agronomica dei liquami sarebbe la più logica, essendo un sistema poco costoso per la fertilizzazione dei terreni, ma le aziende zootecniche appaiono sempre più svincolate da quelle agricole. Inoltre, l’uso dei liquami risulta fattibile soltanto se avviene nel rispetto di alcuni criteri generali costituiti dall’attenzione nel non apportare al terreno eccessi di nutrienti, sali, metalli o composti organici, dalla scelta di tecniche e tempi di distribuzione compatibili con una razionale tecnica colturale, dal non danneggiare la qualità dell’acqua che viene a contatto con i terreni coltivati, dal non creare pericoli o inconvenienti per le persone. Il mancato rispetto di questi criteri conduce all’insorgenza di rischi per l’a., a carico delle acque superficiali e/o di falda, del suolo, dell’aria e infine dei prodotti agricoli. Elevati dosaggi di liquami possono essere causa di possibili inquinamenti anche a carico del suolo: dosi eccessive, infatti, creano condizioni di anaerobiosi che, impedendo la normale attività della microflora (cui spetta il compito di metabolizzare i composti organici apportati con i liquami e trasformarli in humus e in nutrienti assimilabili dalle piante), determinano la produzione di sostanze fitotossiche. Inoltre la zootecnia, può essere causa d’inquinamento atmosferico, determinato dalla presenza nei liquami di sostanze volatili. Infine, a seguito dei processi digestivi e delle fermentazioni cui vanno soggette le deiezioni, si ha la formazione di notevoli quantità di gas serra.
3. Le emissioni nella atmosfera
Oltre al problema delle deiezioni zootecniche, il settore agricolo influisce sul bilancio di alcuni gas serra a causa delle risaie, dell’impiego di alcuni fertilizzanti, del processo di mineralizzazione della sostanza organica del terreno. Secondo il World Resource Institute, il contributo complessivo del settore agricolo all’emissione di gas serra sarebbe del 13-14%. In aggiunta andrebbe poi considerato il contributo dell’agricoltura ai consumi di energia fossile. Il territorio agroforestale può tuttavia svolgere anche un ruolo attivo nel bilancio del carbonio attraverso la funzione serbatoio delle foreste. Infine, il settore primario è responsabile dell’emissione in atmosfera di gas responsabili della deplezione dell’ozonosfera: tra di essi destano preoccupazione soprattutto i composti a base di bromo, come il bromuro di metile.
Il termine a. è utilizzato in senso promiscuo dal legislatore, per denotare tanto la realtà naturale quanto gli a. di vita e di lavoro. Nonostante, infatti, l’esistenza nell’ordinamento giuridico italiano di un molteplicità di leggi inerenti alla tutela ambientale, non è possibile individuare alcuna definizione normativa del concetto di ambiente. La stessa Costituzione non si riferisce a esso come bene oggetto di autonoma tutela, indicando piuttosto la tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività (art. 32, co. 1). Le fonti più recenti del diritto interno, particolarmente condizionate dai principi elaborati in sede europea, comprendono nel concetto di a. ogni effetto dell’attività produttiva o di trasformazione del territorio, assimilando pertanto l’uomo stesso, la fauna, la flora, il suolo, l’aria, il clima, il paesaggio, l’interazione tra i
Per ciò che concerne la disciplina penale, il codice penale e la disciplina speciale di settore dispongono sanzioni per i delitti di epidemia e avvelenamento (anche colposo) di acque destinate all’alimentazione, per il danneggiamento di risorse pubbliche ovvero del patrimonio storico e artistico, e per il deturpamento di
La tutela dell’a. è materia disciplinata soltanto recentemente dal diritto internazionale. Le relative fonti normative sono costituite da dichiarazioni di principi e da trattati miranti alla prevenzione, riduzione o riparazione di danni ambientali causati da uno Stato al territorio di altri Stati o a spazi e risorse di rilevanza internazionale, quali il mare, l’atmosfera, le risorse biologiche ecc. Le dichiarazioni di principi adottate da organi e conferenze internazionali non costituiscono fonte di norme giuridicamente vincolanti, ma, come manifestazioni dell’opinio iuris degli Stati, coniugandosi con analoghi elementi della prassi internazionale, hanno contribuito alla formazione di norme generali in questa materia.
Primo passo verso il consolidamento del diritto internazionale ambientale è stata la Conferenza di
Nel 1992, la Conferenza di Rio de Janeiro su ambiente e sviluppo (UNCED) ha introdotto una notevole evoluzione con il concetto di sviluppo sostenibile. Esso esprime l’esigenza di conciliare gli imperativi dello sviluppo economico e sociale, propri della maggior parte della popolazione mondiale, e quelli della tutela dell’a., secondo le indicazioni formulate nel rapporto della Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo del 1987 (Commissione Brundtland) e confermate da innumerevoli documenti successivi. Gli Atti dell’UNCED particolarmente rilevanti sono la Dichiarazione di Rio, composta da 27 principi sull’integrazione tra a. e sviluppo, secondo la quale «la tutela ambientale deve costituire parte integrante del processo di sviluppo e non può essere considerata isolatamente da questo» (principio 4), e l’Agenda 21, programma di azione in 40 capitoli, che identifica gli obiettivi dello sviluppo sostenibile e gli interventi necessari a realizzarlo. A Rio, sono state inoltre aperte alla firma la Convenzione sui cambiamenti climatici e la Convenzione sulla diversità biologica, primi esempi dei trattati ambientali cosiddetti globali conclusi nel corso dell’ultimo decennio, volti a disciplinare questioni ambientali considerate d’interesse generale della comunità internazionale.
Lo studio dei problemi ambientali ha raggiunto una sua autonomia all’interno delle scienze economiche nel corso del 20° secolo. Mentre negli anni 1930 si era iniziato a studiare il problema dell’allocazione nel tempo (con riferimento alle generazioni future) delle risorse naturali, distinte in rinnovabili e non rinnovabili, è solo negli anni 1960 che si cominciano a studiare i problemi economici ambientali in senso stretto, e cioè le possibilità di un controllo efficiente dell’inquinamento ambientale. È però negli anni 1990 che con la conferenza di Rio de Janeiro il problema ambientale è andato diffondendosi nell’opinione pubblica e a livello politico, entrando nelle agende dei governi come problema dell’economia globale. L’inquinamento ambientale è stato visto come risultante sia del fallimento del mercato (scostamento tra i costi privati delle attività di produzione e di consumo e i costi sociali di tali attività) sia del fallimento dell’intervento pubblico (allocazione errata delle risorse ambientali derivante da politiche di intervento dello Stato). Diverse sono le forme di intervento proposte: interventi diretti sui prezzi o sui costi, da realizzare sia mediante sussidi diretti e incentivi creditizi o fiscali tendenti a favorire l’adozione di tecnologie pulite sul piano ambientale sia mediante una normativa che preveda oneri per il mancato adeguamento; interventi diretti sui livelli del prezzo e del costo, consistenti, per es., nell’applicazione di imposte sull’inquinamento (secondo il principio per cui chi inquina paga), le quali dovrebbero essere applicate alle imprese che disperdono rifiuti ed essere calcolate in proporzione al danno provocato dal loro inquinamento; l’introduzione di strumenti basati sul mercato quali i permessi di inquinamento negoziabili. Le autorità dovrebbero stabilire la quantità totale di questi con riferimento a un livello di inquinamento complessivo accettabile e le imprese dovrebbero scegliere tra l’acquisto dei permessi al prezzo di mercato e il cambiamento della tecnologia utilizzata con una tecnologia non (o meno) inquinante.
Un altro punto molto discusso è quello della compatibilità tra protezione ambientale e promozione degli obiettivi di crescita economica. In particolare, la consapevolezza della esistenza di costi ambientali connessi con una ‘società in crescita’ ha portato a sollevare il quesito della desiderabilità e della realizzabilità della crescita economica stessa. Dal fatto che gli a. di cui si dispone per lo smaltimento dei rifiuti (per es. discariche, fiumi, atmosfera ecc.) hanno capacità limitate di assorbimento e che la quantità di rifiuti prodotti cresce con lo sviluppo delle economie, deriverebbe infatti, secondo alcuni studiosi, un primo ostacolo allo sviluppo economico. Inoltre, si ritiene che la limitata disponibilità delle risorse esauribili potrebbe rappresentare un ulteriore ostacolo allo sviluppo. Tuttavia, l’incidenza di questi fattori sulle possibilità di crescita dell’economia potrebbe essere ridotta rendendo più efficiente l’uso delle risorse, scoprendone di nuove, sostituendo le tecnologie inquinanti con altre meno nocive. Lo sviluppo economico, per essere sostenibile, dovrebbe garantire il miglioramento del livello di vita delle popolazioni ed evitare, contemporaneamente, costi significativi e non compensati per le generazioni future (equità intergenerazionale e intragenerazionale). L’a. e le sue risorse dovrebbero, quindi, venire utilizzati in modo da non compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni.
L’utilizzazione delle fonti energetiche ha sempre comportato una stretta interazione con l’ambiente. Se nei secoli passati le azioni dell’uomo erano trascurabili rispetto agli equilibri naturali, con la crescita esponenziale dei consumi energetici richiesti dallo sviluppo nei paesi industrializzati gli effetti sull’a. sono diventati rilevanti, con conseguenze sia immediate sia proiettate nel futuro, di estrema gravità per la biosfera e per l’uomo in particolare. Il problema è sorto verso la metà del 20° sec. e si è acuito verso la fine. All’inizio del Novecento erano ben avvertibili le modificazioni dell’a. connesse alla realizzazione degli impianti idroelettrici o gli effetti delle emissioni gassose delle centrali termoelettriche, soprattutto quelle alimentate da carbone. Ma l’opinione pubblica non era ancora sufficientemente sensibilizzata verso i problemi dell’alterazione dell’a., anzi prevaleva l’apprezzamento per i benefici conseguenti alla disponibilità e distribuzione capillare dell’energia elettrica e al trasporto con veicoli a motore. Con lo sviluppo delle centrali nucleari è emersa inquietudine per la pericolosità del rilascio nell’atmosfera di sostanze radioattive e per il problema della localizzazione dei depositi delle scorie. Nella seconda metà del secolo, infatti, nella maggior parte dei paesi prevaleva la preoccupazione per la copertura dei fabbisogni energetici, nonché per le stime di rapido esaurimento delle riserve di combustibili fossili, e si era molto orientati verso lo sviluppo delle tecnologie nucleari. In seguito ai progressi nell’utilizzo delle fonti energetiche e alla scoperta di ulteriori riserve, il timore per l’esaurimento delle risorse energetiche si è allontanato, mentre si è acuita la preoccupazione per le alterazioni ambientali conseguenti all’utilizzo delle fonti energetiche non rinnovabili. Il problema maggiore è legato al fatto che l’uso di combustibili fossili (quali petrolio, carbone e gas) e l’emissione nell’atmosfera dei gas serra (principalmente l’anidride carbonica) possono causare un sensibile aumento della temperatura del pianeta, lo scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento del livello dell’acqua dei mari. Il maggiore vincolo all’incremento dei consumi energetici è rappresentato, già attualmente ma ancor più in futuro, dal pericolo per le alterazioni climatiche e ambientali. Di qui la necessità di individuare uno sviluppo globale che sia sostenibile con le alterazioni ambientali, e di precisare le modalità per attuarlo. Le fonti energetiche, oltre che per la trasformazione in energia elettrica (in percentuale crescente), sono utilizzate per il riscaldamento civile e industriale e per i trasporti. Anche se in tutte queste applicazioni si sono registrati sensibili miglioramenti in termini di efficienza energetica e di minimizzazione delle emissioni inquinanti, il contenimento dell’aumento dei consumi globali si pone come un problema di difficile soluzione. Una risposta, pur limitata, è costituita dall’impiego delle ‘fonti energetiche rinnovabili’, che in ultima analisi attingono all’enorme quantità di energia proveniente dal Sole: rientrano in questo quadro gli impianti idroelettrici, eolici, fotovoltaici e le centrali maremotrici. Di questi solo i primi hanno contribuito in maniera significativa alla copertura dei fabbisogni energetici; per gli altri sono in atto notevoli sviluppi tecnologici, con una percentuale di incidenza crescente ma ancora marginale, e non è pensabile, in prospettiva, un totale ricorso alle fonti rinnovabili. Va ricordato che anche l’installazione di alcuni di questi impianti (per es. eolici) ha incontrato resistenze da parte degli ambientalisti, a riprova della intrinseca correlazione tra consumi energetici e fattori ambientali.
Un altro aspetto da evidenziare è la fortissima disuguaglianza dei consumi energetici tra i diversi paesi, già all’interno dei paesi industrializzati (dove il consumo è quasi il doppio per un cittadino statunitense rispetto a uno europeo), ma soprattutto nei riguardi dei paesi emergenti, per i quali lo sviluppo comporterà un rilevante aumento dei consumi energetici. Uno sviluppo che seguisse l’attuale modello dei paesi industrializzati porterebbe a una crescita della domanda energetica tale da compromettere facilmente ogni piano di abbattimento delle emissioni nel prossimo futuro. Gli effetti globali dei cicli energetici possono essere minimizzati agendo simultaneamente sull’incremento del rendimento dei cicli, sull’aumento dell’utilizzo delle fonti rinnovabili e dei combustibili poveri di carbonio, sulla diminuzione dell’intensità energetica specifica in tutti i cicli produttivi. A tale riguardo, l’innovazione tecnologica gioca un ruolo molto importante. È un percorso molto arduo, anche perché è influenzato da fattori non ben definiti, quali l’approfondimento delle conoscenze sulle modificazioni dell’a., il progresso tecnologico, i rapporti politici tra i paesi, le modifiche dei modelli di sviluppo e dei costumi dei popoli.
2. A. e produzione industriale
L’impatto di un insediamento industriale sull’a. è sempre stato rilevante e va dall’occupazione degli spazi al sistema di trasporto delle merci, alle emissioni gassose e agli scarichi. A partire dagli anni 1970, le disposizioni normative hanno posto limiti sempre più stringenti e controlli sempre più efficaci. Per tutelare l’a. le politiche industriali si vanno orientando verso la razionalizzazione dei consumi delle risorse materiali ed energetiche nei processi produttivi, verso l’impiego di tecnologie e metodi di produzione pulita, verso un riesame dei cicli di vita dei prodotti per minimizzare la quantità di rifiuti che ne consegue. Questa linea di tendenza ha indirizzato la scelta dei materiali verso quelli riciclabili, o di facile smaltimento. È cresciuta la consapevolezza della necessità di una prospettiva unitaria per tutto il ciclo di vita di un prodotto, dalla produzione all’utilizzo, al riciclaggio o allo smaltimento. Anche l’installazione di un insediamento produttivo deve prevedere la fase terminale di cessazione, smantellamento e ripristino dell’a. preesistente. I maggiori costi per la tutela ambientale devono essere inglobati in una quota dei prezzi di mercato dei beni prodotti. La revisione dei cicli produttivi può portare un contributo fondamentale alle forme sostenibili di sviluppo economico, in quanto può minimizzare le contrapposizioni nella scelta tra crescita economica e tutela dell’ambiente. Questa revisione interessa sia i processi produttivi (con il risparmio delle materie prime e dell’energia, l’eliminazione delle sostanze tossiche e pericolose, la riduzione della quantità e della tossicità delle emissioni e dei rifiuti) sia i prodotti (ideati e realizzati nell’ottica di ridurre gli esiti negativi durante l’intero ciclo di vita sino alla fase di riciclaggio o di smaltimento dei rifiuti) sia i sistemi di servizi che dovranno essere concepiti e attuati con la verifica rigorosa dell’impatto ambientale. Presupposto fondamentale è la conoscenza, sempre più chiara e approfondita, dei rischi ambientali associati a ogni fase del ciclo produttivo relativamente ai diversi comparti ambientali.
Per il sistema delle imprese e per la pubblica amministrazione il settore ambientale sta assumendo importanza strategica anche in termini di possibilità occupazionali. A tale riguardo è opportuno considerare la forte crescita dell’‘industria verde’, costituita dalle aziende che producono tecnologie, beni e servizi in campo ambientale (ecoimprese). Le principali attività connesse a tali imprese (con le conseguenti implicazioni occupazionali) sono: progettazione, costruzione e installazione di impianti per la depurazione delle acque di rifiuto civili e industriali, per il trattamento dei fanghi di risulta, per la rimozione delle sostanze inquinanti dalle emissioni gassose, per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti solidi di origine urbana e industriale; prestazione di consulenze e servizi; realizzazione e installazione di impianti per lo sfruttamento di fonti energetiche alternative.
L’a. in senso lato (nelle sue componenti fisiche, chimiche e biotiche) ha sempre condizionato lo stato di salute dell’uomo (oltre che degli animali e delle piante), e in modo più determinante a partire dalla rivoluzione industriale. Tali influenze interagiscono e si sommano, per quanto concerne la salute umana, con fattori genetici, alimentari, etnici, socioeconomici (compresa la possibilità di accesso ai servizi sanitari), comportamentali (come stile di vita o altri fattori), materiali e immateriali (non escluse le migrazioni, l’inurbamento, lo scenario culturale e psicologico ecc.). Sulla salute umana possono interferire in modo negativo vari ordini di cause.
Sono costituiti dai microrganismi patogeni (batterici, micotici, virali) o parassiti (uni o pluricellulari) veicolati direttamente dall’a. (suolo, acqua, liquami, aria, alimenti) o da vettori animali utilizzati come ospiti intermedi. Il
Possono essere naturalmente presenti in determinati a. naturali o, soprattutto, derivanti dalle attività umane, tra cui ossido di carbonio,
3. Agenti fisici di rilevanza epidemiologica
Sono da tempo noti i possibili effetti patogeni della temperatura (calore eccessivo, perfrigerazione), dell’umidità, della ventilazione, della pressione atmosferica, dell’illuminazione inadeguata, dello smog, dell’inquinamento acustico. Anche se quest’ultimo fattore può provocare o aggravare turbe funzionali va tuttavia considerato che, nei confronti dell’esposizione ai rumori, esiste una risposta individuale alquanto diversa.
Negli ultimi decenni del 20° sec. sono stati approfonditi gli studi sui rischi sanitari da esposizione alle onde elettromagnetiche e alle radiazioni ionizzanti. Incessanti sforzi sono rivolti a prevenire e fronteggiare gli eventi da radiocontaminazione ambientale, sia ipotetici (nuovi eventi bellici con impiego di ordigni termonucleari) sia realmente verificatisi (disastro di Černobyl, 1986; affondamento del sottomarino russo
Contesto hardware e software nel quale operano gli utenti di un dato calcolatore o sistema di elaborazione dati. In particolare si indica con a. operativo (per es. a.
Approfondimento:
Dopo Copenhagen: quali regole sul clima e sull'energia? di Marco D'Alberti