Ambiente e cervello

Dizionario di Medicina (2010)

ambiente e cervello

Alessandro Sale

Esercizio fisico e cervello

L’importanza dell’esercizio fisico per il mantenimento delle funzioni cerebrali era già nota nell’antichità e riecheggia nel celebre detto latino mens sana in corpore sano. A dispetto della lontana origine del concetto, fino a oggi pochi studi hanno caratterizzato gli effetti dell’attività fisica sul cervello usando un approccio sperimentale diretto. Piuttosto, esiste una vasta letteratura aneddotica che correla, nell’uomo, lo stile di vita individuale con le prestazioni cognitive dei soggetti. Uno studio di metanalisi, condotto nel 2003, ha individuato, in bambini in età scolare (4÷18 anni), una relazione positiva tra attività fisica e performance cognitive, misurate in svariati domini quali abilita percettive, quoziente intellettivo, abilita nei test verbali, risoluzione di compiti matematici, capacità mnemoniche. Inoltre, in studenti di college è stato documentato un aumento della velocita di reazione e di memorizzazione di nuovi vocaboli nel periodo seguente a un intenso allenamento aerobio. Il dato importante, con implicazioni pedagogiche rilevanti, è rappresentato dal fatto che la partecipazione ad attività motorie non solo non riduce la performance accademica dei soggetti, ma contribuisce ad aumentarne il benessere psicofisico e le prestazioni scolastiche. Effetti simili sono stati riportati anche in analisi non focalizzate su una ristretta fascia di età, ma estese all’intera durata della vita (dai 6 ai 90 anni). L’esercizio fisico, inoltre, aumenta la riserva cognitiva, cioè la capacità di mantenere funzioni mentali intatte negli anni dell’invecchiamento cerebrale. Infatti, esiste una correlazione positiva tra i livelli di attività fisica nella fascia di età 15÷25 anni e la velocita di processamento delle informazioni misurata a 62÷85 anni.

Studi di neuroimaging

Studi neurofisiologici rivelano che i cambiamenti nelle prestazioni cognitive indotti dall’esercizio fisico sono correlati a modifiche funzionali nel cervello. L’analisi elettroencefalografica mostra un’aumentata attivazione delle bande spettrali theta, alfa e beta in individui con alti livelli di allenamento aerobico, unitamente a un incremento dell’ampiezza e una riduzione della latenza dell’onda p3 nei potenziali evocati evento-correlati. L’onda p3, generata da una complessa rete di connessioni che collega i lobi frontali con la corteccia cingolata anteriore, il lobo inferotemporale e la corteccia parietale, è correlata ai livelli di attenzione verso lo stimolo e alla velocita di elaborazione dello stesso. Studi di risonanza magnetica per immagini evidenziano, in individui con alti livelli di allenamento aerobico, un incremento del volume della sostanza grigia prefrontale e temporale. L’esercizio fisico, inoltre, causa incrementi anche nell’attivazione del giro frontale mediano e della corteccia parietale superiore, evidenziati mediante risonanza magnetica funzionale per immagini. Più di recente (2007), sono stati documentati aumenti nel volume di sangue cerebrale a livello del giro dentato dell’ippocampo in individui di mezza età coinvolti in un programma di allenamento motorio della durata di tre mesi.

Ricerca sui modelli animali

Gli studi sui modelli animali hanno il vantaggio di consentire un’indagine dei meccanismi cellulari e molecolari alla base degli effetti dell’esercizio fisico sul cervello e di ridurre il contributo di variabili confondenti legate, per es., alle differenze individuali nella partecipazione ai programmi di allenamento o alla covarianza con altri fattori legati allo stile di vita, quali la dieta o le relazioni sociali. Uno degli effetti più marcati e riproducibili dell’esercizio fisico è l’aumento dei livelli di proliferazione e sopravvivenza cellulare nel giro dentato dell’ippocampo, evidenziato sia durante lo sviluppo, sia nell’età adulta e nell’anziano, ma documentabile, sorprendentemente, anche nella prole di topi che effettuano intensa attività motoria durante la gravidanza. Questi cambiamenti si accompagnano a un incremento della densità sinaptica nella corteccia entorinale e nell’ippocampo e alla stimolazione della crescita di nuovi vasi nel cervelletto, nello striato e nell’ippocampo, dipendente dall’aumentata espressione del fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF, Vascular Endothelial Growth Factor) e del fattore di crescita insulino-simile di tipo 1 (IGF-1). Una molecola essenziale nel mediare gli effetti dell’esercizio fisico è il fattore neurotrofico derivato dal cervello (BDNF, Brain-Derived Neurotrophic Factor), che stimola la plasticità sinaptica ippocampale, la crescita e la sopravvivenza dei neuroni e, a livello cognitivo, l’apprendimento e la memoria. L’esercizio fisico agisce sul BDNF mediante l’innalzamento dei livelli circolanti di IGF-1 che, attraversando la barriera ematoencefalica, stimola in modo diretto l’espressione del fattore neurotrofico. Il blocco sperimentale di IGF-1, ottenuto mediante iniezione sottocutanea di un anticorpo diretto contro tale fattore di crescita, previene, nel ratto, sia l’aumento di BDNF sia il potenziamento delle performance di apprendimento e memoria indotte dall’esercizio fisico. Anche nell’uomo il BDNF sembra avere un ruolo importante come mediatore degli effetti benefici dell’esercizio fisico. Aumentate concentrazioni di BDNF sono state riportate nel siero di giovani adulti in salute e in pazienti con sclerosi multipla a seguito di episodi acuti di allenamento motorio. Poiché è noto che i livelli di BDNF sono ridotti in numerose patologie quali la malattia di Alzheimer, il morbo di Parkinson, la depressione e l’anoressia, l’attività aerobica può rivelarsi utile come terapia comportamentale, svolgendo una spiccata azione neuroprotettiva mediata dalla regolazione della secrezione di BDNF.