Ambientalismo
sommario: 1. Introduzione. 2. Conservazionismo e protezionismo. 3. Lo sviluppo dell'ecologia urbana e dell'ecologia politica. 4. L'ambientalismo nella società 'globale'. 5. Opinione pubblica e ambientalismo. 6. Ambientalismo e politica: i partiti verdi. □ Bibliografia.
1. Introduzione
Il termine ambientalismo può essere utilizzato per denotare varie correnti intellettuali e scientifiche impegnate nello studio della relazione uomo-natura e, in particolare, delle conseguenze dell'azione del primo sulla seconda (v. Worster, 1985). Può tuttavia - ed è questa l'accezione adottata in questa sede - riferirsi anche a uno specifico movimento sociale, pure ampio ed eterogeneo: vale a dire, al complesso di iniziative sul terreno associativo e politico, che si propongono non solo di incoraggiare il rafforzamento della sensibilità ambientale presso il grande pubblico, la comunità scientifica, le élites o i media, ma anche di convertirle in un progetto politico e culturale in grado di orientare i comportamenti collettivi come quelli individuali, l'azione delle istituzioni pubbliche come quella dei soggetti privati.
Pur essendo l'ambientalismo divenuto un fenomeno di massa soltanto a partire dagli anni settanta, le sue radici risalgono perlomeno alla metà del XIX secolo. Anche un breve profilo dell'argomento deve pertanto adottare una prospettiva storica. Inoltre, come qualsiasi altro movimento sociale di vasta portata, l'ambientalismo si presta a numerose chiavi di lettura, utili sia a ricostruirne l'evoluzione temporale, sia a cogliere le differenze tra le sue componenti interne in prospettiva sincronica (v. Diani, 1988; v. Farro, 1990; v. Melucci, 1991²; v. della Porta e Diani, 1997). È in primo luogo possibile individuare al suo interno una tensione fra modelli di azione ispirati dal principio di razionalizzazione dell'agire umano, e principî di natura squisitamente etico-politica. Nel primo caso, la conoscenza scientifica rappresenta la principale fonte di legittimazione; nel secondo, l'iniziativa ambientalista trova la sua giustificazione nel riferimento a principî etici e filosofici di fondo. Un altro dilemma importante si riferisce alla definizione degli obiettivi dell'azione ambientalista. Da un lato si è posto l'accento sulla protezione delle risorse naturali non ancora contaminate, e sulla loro sottrazione all'azione distruttrice dell'uomo. Da un altro punto di vista si è invece associata la battaglia per la difesa ambientale a quella per la modifica dei rapporti economico-sociali che starebbero alla base del
La trattazione che segue presenta al tempo stesso una dimensione diacronica e sincronica. Si traccia dapprima l'evoluzione dell'ambientalismo attraverso tre fasi, caratterizzate rispettivamente dalla prevalenza di orientamenti conservazionisti e protezionisti (cap. 2), dallo sviluppo di forme di ambientalismo con un forte contenuto urbano e politico (cap. 3), e dalla globalizzazione dell'ambientalismo su scala planetaria (cap. 4). Successivamente si presta attenzione all'impatto dell'ambientalismo sull'opinione pubblica internazionale (cap. 5), e al problema della rappresentanza politica degli orientamenti ambientalisti nei partiti verdi (cap. 6).
2. Conservazionismo e protezionismo
Le origini storiche del movimento conservazionista nel mondo occidentale, e in particolare nell'
Tra le prime iniziative su larga scala si contano quelle rivolte alla protezione delle specie animali a rischio. Società ornitologiche con una base non esclusivamente scientifica si sviluppano in vari paesi tra il 1885 (quando nel Regno Unito nascono la Plumage league e la Selborn society) e il 1912 (anno di costituzione in
In
Nel periodo tra le due guerre mondiali il movimento conservazionista perde dinamismo, in parte per via dei suoi stessi successi, in parte per il fatto che la grave e perdurante crisi economica accresce presso i ceti medi il peso di preoccupazioni e valori che oggi definiremmo 'materialisti' (v.
Quali sono gli elementi distintivi di una prospettiva conservazionista? L'esperienza storica che abbiamo brevemente sintetizzato non ci permette di individuare un corpo dottrinario coerente; possiamo però fare riferimento ad alcune idee guida ricorrenti con una certa frequenza (e anche, come vedremo subito, con qualche elemento di contraddittorietà). Si può individuare in primo luogo una nozione di ambiente di natura mitica e arcadica. A essa si affianca spesso e volentieri il riferimento al patrimonio storico, culturale e architettonico di un certo popolo, anch'esso messo a repentaglio dalla modernità. In questa prospettiva il rapporto con la natura è prettamente di tipo etico ed estetico, in quanto definisce una situazione di ideale equilibrio di valori e comportamenti, in contrapposizione radicale allo stile di vita dominante nella società industriale (v. Wiener, 1981). In questo senso, il conservazionismo può essere plausibilmente identificato come manifestazione di una più ampia reazione antimodernista.Il movimento conservazionista ha d'altro canto elaborato nel corso del suo sviluppo anche un'altra visione di ambiente, più strettamente naturalistica. Essa pone l'accento sulla dimensione biologica dell'ambiente e identifica la sua difesa con quella delle aree naturali e delle specie animali e vegetali minacciate dallo sviluppo industriale. In questo caso,
L'azione conservazionista è stata allora ispirata in misura crescente dalla convinzione che ogni inversione di tendenza dipenda da un incremento complessivo della coscienza collettiva della gravità dei problemi ambientali. Si è quindi assegnata priorità ad attività di sensibilizzazione dell'opinione pubblica. Queste hanno preso la forma di corsi di educazione ambientale nelle scuole; di iniziative volte a facilitare la conoscenza e la corretta fruizione del patrimonio ambientale di una certa regione; della gestione in prima persona di beni naturali e storico-artistici a rischio. Sul versante più strettamente politico, l'azione di convincimento delle élites pubbliche ha fatto decisamente premio su forme di pressione politica più esplicita. Si sono privilegiate varie forme di lobbying, condotte da gruppi di interesse pubblico relativamente strutturati e burocratizzati, spesso con il supporto di esponenti influenti della comunità scientifica. Si è invece guardato con maggiore sospetto alla promozione di mobilitazioni di protesta pubbliche e più in generale alle varie forme di partecipazione di tipo radicale. Rispetto a una visione esplicitamente conflittuale dei temi ambientali, è prevalsa nel conservazionismo un'impostazione orientata a evidenziare gli elementi consensuali presenti nel sistema. È proprio attraverso la loro valorizzazione che si può pervenire con la massima efficacia alla ridefinizione dell'interesse collettivo in una prospettiva rispettosa dell'ambiente.
3. Lo sviluppo dell'ecologia urbana e dell'ecologia politica
Gli anni settanta rappresentano una fase di innovazione, e per molti versi di cesura, rispetto alla tradizione conservazionista. Si sviluppano infatti in quel periodo nuove concezioni che modificano sensibilmente gli obiettivi e le forme di azione degli ecologisti, e financo la stessa definizione di ambiente. La crisi petrolifera del 1973 incoraggia l'impostazione di progetti su vasta scala per il ricorso all'energia nucleare (v. Rüdig, 1990); si diffonde la percezione della finitezza e della scarsità delle risorse naturali disponibili sul pianeta, anche grazie a contributi scientifici di grande risonanza come il rapporto Meadows sui 'limiti dello sviluppo', promosso dal
Seppure da prospettive differenti, essi denunciano l'impraticabilità di uno sviluppo illimitato, e i costi ambientali che l'adozione acritica di tale modello comunque comporta. La plausibilità delle loro posizioni è accentuata agli occhi del pubblico da una serie di incidenti tanto devastanti quanto spettacolari, dal naufragio della petroliera Torrey Canyon, avvenuto nel 1967 al largo delle coste britanniche, all'intossicamento del fiume
In Italia, vengono fondate anche nuove organizzazioni animaliste come la Lega anti-vivisezione (1977) e la Lega per l'abolizione della caccia (1978). Organizzazioni già attive come la LIPU (Lega Italiana per la Protezione degli Uccelli) o il WWF modificano le loro strategie, accentuandone la dimensione di intervento politico.I fenomeni che abbiamo appena sintetizzato favoriscono l'emergere di alcune concezioni largamente innovative dell'azione ambientale. Si modifica in primo luogo la nozione stessa di ambiente. Esso non viene più definito esclusivamente in termini naturali, bensì anche come ambiente umano. Si prendono in altre parole in considerazione anche i danni apportati dall'industrializzazione alle aree antropizzate; si applica pure a queste ultime la nozione di ecosistema; si pongono in primo piano anche i problemi connessi alla qualità della vita nelle aree urbane, dall'inquinamento atmosferico a quello acustico, dalle aree verdi al trattamento dei rifiuti.Un secondo elemento importante di distinzione rispetto alla tradizione conservazionista riguarda il peso assegnato nella visione degli ambientalisti alla dimensione conflittuale. Oltre che a condotte genericamente irrazionali, ovvero alla logica perversa della modernità globalmente intesa, il degrado ambientale è imputabile anche alla condotta di specifici attori sociali, che tali tendenze incoraggiano e rinforzano. Tra questi ultimi rientrano i principali soggetti economici, sostenitori di una visione puramente quantitativa dello sviluppo, indifferente sia alla finitezza delle risorse naturali, sia alla rilevanza di indicatori non monetari o consumistici nella definizione di progresso. Vi rientrano inoltre gli apparati scientifici e tecnocratici, principali legittimatori della medesima prospettiva di crescita illimitata.Dalla visione conflittuale qui riassunta discende anche il più frequente ricorso a forme di partecipazione esplicitamente politiche. Si sviluppano e si raffinano in primo luogo le varie tecniche di mobilitazione proprie dei gruppi di interesse pubblico, dalle raccolte di firme a sostegno di petizioni, al lancio di campagne in cui si invitano i simpatizzanti a esercitare pressioni dirette sui rappresentanti politici, alla promozione di referendum. Si adottano poi forme di azione non convenzionali, seppure pacifiche, dai sitin, ai blocchi stradali, alle dimostrazioni pubbliche. Si prende infine in considerazione la possibilità di impegnarsi direttamente nella competizione politica attraverso la costituzione di partiti verdi (v. cap. 6).
Spesso, tuttavia, molti dei primi nuclei di quella che poi verrà chiamata 'ecologia politica' si sviluppano in occasione di mobilitazioni le cui implicazioni ecologiche non sono, all'inizio degli anni settanta, immediatamente visibili. Nascono ad esempio all'interno dei movimenti urbani, volti a migliorare la qualità della vita dei ceti medio-bassi nelle aree metropolitane; miranti, in altre parole, a incrementare il controllo delle classi subalterne sulla produzione e distribuzione dei beni di 'consumo collettivo' (maggiori servizi sociali, migliori abitazioni, interventi contro il degrado urbano, ecc.: v. Castells, 1983). Pur essendo all'epoca largamente tematizzate come manifestazioni della lotta tra le classi, queste iniziative innoveranno comunque rispetto alla tradizione del conflitto imperniato sulla fabbrica e sul controllo dei mezzi di produzione. Un altro terreno di lotta operaia con rilevanti potenziali implicazioni ecologiche è quello della tutela della salute nei luoghi di lavoro. Numerosi contatti si sviluppano intorno a questi temi tra organizzazioni di fabbrica e i settori più politicizzati del mondo scientifico. Organizzazioni nate su questo specifico terreno (in Italia ad esempio Medicina democratica) giocheranno, a partire dalla seconda metà degli anni settanta, un ruolo significativo nelle battaglie ambientaliste, contribuendo a legare nozioni di sfruttamento ambientale con idee più classiche di sfruttamento sociale.Gli elementi ecologici presenti in queste mobilitazioni sono tuttavia, perlomeno in una prima fase, ancora largamente impliciti. È attraverso le mobilitazioni antinucleari che gli orientamenti ecologisti presenti all'interno dei movimenti di protesta cominciano a coagularsi e a essere percepiti come tali. Questa funzione è facilitata per molti versi dal fatto che l'insorgere della protesta contro l'energia nucleare non è limitato a singoli Stati ma avviene invece simultaneamente, anche se con varie forme ed esiti, nei principali paesi occidentali (v. Rüdig, 1990; v. Flam, 1994).
Sulle proteste antinucleari convergono ovviamente anche ampi settori dell'associazionismo conservazionista e ambientalista, nonché delle popolazioni locali interessate dalla localizzazione dei nuovi impianti. E tuttavia, gli oppositori più vicini ai nuovi movimenti sociali trattano il problema in una prospettiva peculiare, combattendo il nucleare in quanto espressione di una concezione elitaria e per molti versi classista dello sviluppo. Si tratta infatti di una tecnologia complessa e ad alto rischio, gestibile soltanto da chi possegga adeguate risorse economiche e scientifiche. Non a caso, le tecnologie nucleari vengono esportate verso i paesi del
Sul piano più strettamente teorico, si postula un forte nesso tra sfruttamento dell'uomo sull'uomo e sfruttamento delle risorse ambientali. La crisi ambientale non è concettualizzabile in modo corretto, né tantomeno risolvibile, al di fuori di una trasformazione del modello sociale che la riproduce e alimenta costantemente.L'ecologia politica sottolinea poi con forza l'importanza della partecipazione e del decentramento. Gli apparati dello Stato centralizzato vanno gradualmente smantellati, a favore di una società fondata sullo sviluppo di comunità locali federate, il più possibile autonome e autogovernate (v. Ceri, 1987). Su questo terreno vi sono numerosi punti di incontro con i movimenti regionalisti, anche se sulle forme dello sviluppo economico il confronto è spesso estremamente vivace. La critica dello Stato si articola poi in un'ulteriore direzione, vale a dire sul terreno delle disfunzioni dei modelli burocratizzati di gestione dell'intervento pubblico, specie nel settore dei servizi sociali. Si adotta qui una prospettiva molto vicina a quella dei nuovi movimenti sociali globalmente intesi, orientata alla valorizzazione della libertà individuale e dell'autonomia dei soggetti nei confronti degli apparati pubblici e delle loro pratiche omogeneizzatrici (v. Melucci, 1991²; v. Ceri, 1987). Già presenti negli anni settanta, nel corso dei decenni successivi si sono rafforzate correnti di ecologismo radicale che invocano il perseguimento di obiettivi di trasformazione globale attraverso la pratica in prima persona e l'azione diretta piuttosto che l'azione politica di massa. All'interno di questa critica globale si colloca anche l'attenzione prestata a un riequilibrio delle relazioni tra Nord e Sud del mondo; ovvero l'introduzione di una dimensione femminista all'interno del discorso ecologista, seppure con un forte dibattito interno tra versioni 'sociali' e 'culturali' dell'ecofemminismo (v. Shiva, 1988; v. Dobson, 1990; v. Pepper, 1996, pp. 97-112).
4. L'ambientalismo nella società 'globale'
Tra gli anni ottanta e gli anni novanta si verificano numerose trasformazioni nel profilo dell'associazionismo e dell'azione ambientalista. La prima riguarda la crescente istituzionalizzazione complessiva del movimento, dal punto di vista delle forme di azione adottate così come da quello dei modelli organizzativi dominanti o del rapporto con le istituzioni. Si registra in primo luogo un ricorso decrescente alla protesta politica. Le grandi ondate di protesta successive alla catastrofe di Černobyl nel 1986 sono in realtà l'ultima manifestazione dell'ambientalismo come movimento sociale attivo su scala nazionale (v. Rüdig, 1990; v. Flam, 1994). Il tema mantiene una forte rilevanza in alcuni paesi, in particolare in Germania e in relazione al tema dello smaltimento delle scorie (v. Rootes e altri, 1999). Nel complesso, tuttavia, il movimento antinucleare perde di incisività e rilevanza, vuoi per il ridimensionamento della maggior parte dei programmi nucleari, vuoi per la crisi parallela dei movimenti controculturali e radicali di cui l'antinuclearismo aveva negli anni settanta e nei primi anni ottanta rappresentato in qualche modo la punta avanzata e l'elemento di coesione.I conflitti antinucleari (specialmente in Francia e Germania) erano pure stati quelli con la più elevata incidenza della protesta radicale, anche di natura violenta (v. Rüdig, 1990).
Il ricorso alla violenza diventa tuttavia più raro nel corso degli anni ottanta e caratterizza una quota estremamente ridotta delle iniziative ambientaliste nel decennio successivo (v. Rootes e altri, 1999). Si rafforza invece la componente tradizionale del repertorio di azione; in altre parole, anche i gruppi di ecologia politica tendono a operare sempre più come gruppi di interesse pubblico: vale a dire, con un ampio ricorso alla mobilitazione degli organi di informazione, a campagne di direct mailing nei confronti dei simpatizzanti, all'uso degli esperti, testimoniato ad esempio dalla pubblicazione di rapporti scientifici come strumento specifico di pressione, al rapporto diretto con i partiti politici. Un altro segno della graduale trasformazione dei repertori sta nel crescente ruolo dell'azione volontaria accanto all'intervento di pressione politica. Da sempre presenti tra le iniziative delle associazioni conservazioniste più consolidate, queste iniziative vengono ora promosse anche da formazioni di ecologia politica. Il volontariato assume la forma della collaborazione sia a iniziative permanenti come la gestione di oasi naturalistiche o - nel caso di associazioni come il National trust inglese o il Fondo ambiente Italia - di beni architettonici, sia a iniziative ad hoc, come in Italia le campagne 'Spiagge pulite' (promossa da Legambiente) e 'Bosco pulito' (promossa dal WWF).
Parallela alla trasformazione nelle forme di azione è quella nelle modalità organizzative. Il modello della organizzazione di movimento ad alta partecipazione tende a indebolirsi, e si rafforza la distinzione tra iscritti, che pagano una quota associativa e la cui partecipazione non va spesso al di là di questo contributo poco più che simbolico, e attivisti professionisti. Questi ultimi devono sovente il loro ruolo a competenze professionali specifiche, in campo scientifico, legale, o della comunicazione, piuttosto che a forme di solidarietà politica. In alcuni casi - in particolare, Greenpeace - l'attività di protesta, anche radicale, è praticamente monopolizzata dagli attivisti professionisti. Si profila cioè un modello in cui gruppi ristretti di professionisti conducono azioni anche radicali per conto di un'ampia massa di sostenitori passivi (v. Jordan e Maloney, 1997). Si tratta di elementi tutt'altro che nuovi in assoluto, ma che sembrano estendersi anche a organizzazioni come Amici della Terra che in un passato recente avevano avuto un profilo più partecipativo (v. Diani e Donati, 1998).
Infine, l'istituzionalizzazione del movimento si riflette anche in una crescente interazione - e integrazione - con vari tipi di attori istituzionali. Le organizzazioni ambientaliste siedono con stato consultivo in varie agenzie governative, consulte per l'ambiente, ecc.; collaborano sistematicamente con le scuole e altre istituzioni educative; promuovono infine persino attività congiunte con
Dall'altro lato, cresce il ruolo delle istituzioni sovranazionali nell'indirizzare la politica ambientale; inoltre, vaste aree di intervento sono regolamentate da accordi di portata sovranazionale. I primi esempi di accordi internazionali in materia di protezione ambientale, forniti di qualche potere di vincolo, risalgono agli anni settanta, con la Convention on international trade in endangered species (1973) o la Convention on long-range transboundary air pollution (1979). La pratica si è tuttavia diffusa più di recente attraverso accordi di grande visibilità (anche se di controversa applicabilità) internazionale, come la Convention on biological diversity o la Framework convention on climate change, originate dalla Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo (UNCED), svoltasi a Rio nel 1992 (v. Lewanski, 1997; v. Porter e Brown, 1996). In Europa, in particolare, la politica ambientale della Commissione europea facilita l'interdipendenza tra i diversi attori su scala continentale, anche se questo prende la forma di lobbying professionalizzato a
Una terza componente importante dell'evoluzione dell'ambientalismo è rappresentata dal suo impatto sugli stili di vita e le abitudini di consumo individuali (v. Scherhorn, 1999; v. Lalli, 1995; v. Thogersen, 1999). Nelle società occidentali vi è una quota significativa di cittadini che tenta di seguire stili di vita al tempo stesso più sani e più rispettosi dell'ambiente, ad esempio limitando l'uso dell'automobile, riciclando i rifiuti domestici, o seguendo determinati stili alimentari (v. tab. I). È naturalmente difficile dire in quale misura tali comportamenti siano dettati da semplici preoccupazioni di benessere individuale o riflettano invece un'adesione più esplicita ai principî ambientalisti. Né si può sostenere trattarsi di un fenomeno recente: la ricerca di stili di vita alternativa aveva caratterizzato anche molti movimenti degli anni settanta, e da questo punto di vista è certamente possibile individuare una continuità tra quei fenomeni e forme di radicalismo ambientalista che negli anni novanta hanno assunto crescente visibilità, come la cosiddetta deep ecology (v. Pepper, 1996). Non manca poi chi sostiene che, lungi dall'anticipare il consumo 'ambientalista', la stessa evoluzione del movimento ambientalista negli anni settanta ne sia stata condizionata, o nel migliore dei casi si tratti di due componenti dello stesso fenomeno di trasformazione profonda dei comportamenti individuali in Occidente (v. Donati, 1989). Tuttavia, negli anni novanta la riduzione della tensione politica nelle società occidentali contribuisce ad accentuare l'immagine di ambientalismo come fenomeno prettamente individualistico e vicino alla sfera dei consumi, seppure in maniera spesso critica. Un ponte tra la dimensione consumistico-individuale e quella etica è rappresentato dalle varie forme di investimento etico e di commercio equo e solidale, che intendono porre dei limiti all'esigenza di soddisfazione dei bisogni individuali dell'investitore o del consumatore.
Siamo allora di fronte alla fine dell'ambientalismo come fenomeno di opposizione radicale? Non necessariamente. I fenomeni appena descritti non si prestano infatti a un'interpretazione univoca. In primo luogo, l'azione ambientalista in sede locale è tutt'altro che pacificata o priva di elementi conflittuali. Molte delle proteste locali su temi ambientali hanno in realtà visto l'estendersi a gruppi di cittadini di convinzioni moderate, e in ultima analisi spesso apolitiche se non antipolitiche, di un repertorio di azione protestataria in precedenza patrimonio dei gruppi più radicali (v. Rootes e altri, 1999; v. Strassoldo, 1994). Inoltre, molte iniziative locali hanno rappresentato l'opportunità per l'emergere di nuove formazioni di orientamento radicale. Questo si è verificato in particolare nel Regno Unito, dove l'azione ambientalista (su temi che andavano dall'opposizione alla costruzione di strade, ai diritti degli animali, alla critica dei cibi geneticamente modificati) ha visto in primo piano gruppi come Reclaim the streets, Earth first!, o la Donga tribe. Si tratta di networks assai informali, che mobilitano soggetti al tempo stesso politicamente radicali e interessati alla pratica di nuovi stili di vita (v. Doherty, 1999; v. Wall, 1999).In molti casi le iniziative locali hanno visto la convergenza in alleanze inusuali di attivisti radicali, rappresentanti degli interessi locali, e semplici cittadini. Il problema degli anni novanta non è stato quindi la mancanza di partecipazione in quanto tale, ma piuttosto la difficoltà di saldare le iniziative locali in mobilitazioni nazionali, una saldatura che un tema unificante come il nucleare aveva prodotto nel decennio precedente. Un tentativo in questo senso è stato rappresentato negli Stati Uniti dal cosiddetto Environmental justice movement (v. Szasz, 1994). Sviluppatosi intorno al problema della trattazione delle scorie tossiche, si è poi tradotto nel coordinamento di vari gruppi locali intorno a temi che combinano la preoccupazione per l'ambiente con la consapevolezza della distribuzione ineguale tra gruppi sociali dei costi ambientali (v. Lichterman, 1996).
Le iniziative sulla globalizzazione e l'anticapitalismo, solitamente condotte in parallelo ai vertici di istituzioni economiche internazionali come il Fondo monetario, la Banca mondiale, o l'Organizzazione per il Commercio Mondiale (WTO), sembrano rappresentare un altro potenziale elemento di connessione tra iniziative locali disparate, questa volta su scala globale. Alcune di queste azioni tendono a restare monopolio dei settori più radicali (si pensi ad esempio al cosiddetto J18 Carnival, che nel giugno del 1999 mette a soqquadro vari quartieri finanziari in tutto il mondo, compresa la City di
Sarebbe per altro del tutto improprio guardare all'ambientalismo non occidentale come a una semplice emanazione assistita di quello occidentale. Al contrario, e senza dimenticare l'influenza personale di singoli intellettuali - ad esempio Vandana Shiva (v., 1988 e 2000) -, gli ambientalisti del Sud del mondo hanno dimostrato una capacità considerevole di promuovere iniziative su cui potessero convergere attivisti legati alle élites intellettuali e scientifiche (e occidentalizzati) e comunità locali. Tra gli esempi più noti degli anni novanta si possono citare la campagna contro la costruzione di una diga sul fiume
5. Opinione pubblica e ambientalismo
L'attivismo ambientalista ha allora rappresentato una costante presenza negli ultimi decenni del XX secolo, seppure in forme mutevoli. Ma qual è stato il suo impatto complessivo sull'opinione pubblica internazionale? Conviene distinguere a questo proposito tra l'attenzione per i problemi ambientali e il giudizio più specifico sulle organizzazioni ambientaliste. All'inizio degli anni settanta non erano mancate analisi che evidenziavano la natura volatile dell'interesse ambientale nelle società occidentali, e ne pronosticavano in breve tempo l'appannamento (v.
Tutti i sondaggi disponibili (in specie quelli dell'Eurobarometro, condotti sistematicamente nei paesi dell'Unione Europea a partire dai primi anni settanta) documentano inoltre elevate percentuali di cittadini che considerano di primaria importanza la protezione della natura e la lotta contro l'inquinamento: nel 1974, il 6% dei cittadini delle nove nazioni facenti parte dell'allora Comunità Europea considerava questo tema il più importante in assoluto tra quelli affrontati dalla Comunità; nel 1998, la percentuale era salita al 10% (il tema considerato più rilevante, la gestione dell'Unione monetaria, attraeva il 20% dei consensi: v. Eurobarometro, 1999, p. 39).Pur all'interno di una generale sensibilità, le varie opinioni pubbliche nazionali differiscono tuttavia, a volte notevolmente, nell'enfasi posta sulla questione ecologica. Ad esempio, nel 1989 il 12% dei Francesi collocava la difesa dell'ambiente tra le due priorità più rilevanti del momento, mentre questa percentuale saliva al 58% per gli Olandesi; nel 1998, la percentuale di cittadini che consideravano l'ambiente e i diritti dei consumatori una priorità di policy variava tra il 59% della Danimarca e il 23% dell'Italia e del
È improbabile che queste differenze dipendano esclusivamente dai livelli di deterioramento ambientale nei vari paesi. Sembra invece più plausibile che specifiche iniziative delle organizzazioni ambientaliste, di scienziati o di pubblici ufficiali, unitamente all'azione dei mass media, abbiano attratto l'attenzione del pubblico su un particolare problema. Occorre inoltre tenere conto della variabile rilevanza di altri temi, e del mutamento delle condizioni politiche generali. Ad esempio, negli anni novanta il processo di unificazione tedesca ha portato alla ribalta problemi di natura socioeconomica, con il risultato che l'ambiente sembra aver perso rilevanza tra le preoccupazioni dei cittadini (v. Eurobarometro, 1999, p. 127). In parte è proprio l'effetto positivo delle iniziative sull'ambiente a ridurre l'attenzione per la questione ecologica. Mentre la preoccupazione sembra aumentata nei paesi del Sud del mondo (ad esempio nel 1997 il 94% degli Indiani esprime preoccupazione per lo stato dell'ambiente, in confronto al 77% nel 1992: v. Environics International, 1997), sembra esserci un certo calo di tensione nei paesi più ricchi. Ad esempio, sondaggi condotti nel 2000 suggeriscono che negli Stati Uniti la preoccupazione verso larga maggioranza dei problemi ambientali - tutti tranne quelli legati all'effetto serra - sia diminuita, seppure di poco, rispetto al 1989, ma che la percezione che il governo stia operando con maggiore efficacia su questo terreno sia aumentata (v. Saad e Dunlap, 2000).
In quale misura la preoccupazione per il degrado ecologico si traduce in consenso nei confronti delle organizzazioni ambientaliste e/o in partecipazione attiva su questioni ambientali? Nell'Europa occidentale, tra il 1982 e il 1989, la percentuale di cittadini che manifesta approvazione nei confronti delle organizzazioni di protezione della natura è ovunque sopra l'80%; i gruppi di ecologia politica e quelli antinucleari, più politicizzati, mantengono comunque nei vari paesi una quota di simpatizzanti tra il 50% e il 70% (v. Fuchs e Rucht, 1994; v. Dalton, 1994). Questi dati non hanno conosciuto variazioni significative nel decennio successivo. Un'indagine del 1999 mostra ad esempio come, accanto alla professione medica (53%) e alle associazioni dei consumatori (55%), le associazioni ambientaliste (45%) siano considerate dai cittadini europei una delle fonti di informazione più affidabili in materia di biotecnologie, mentre l'industria è considerata tale soltanto dal 3% della popolazione (v. Eurobarometro, 2000, p. 79). In America, ben tre quarti dei cittadini ritengono rilevante l'impatto del movimento ambientalista sulla società americana, e la stessa percentuale considera questo impatto positivo, un dato immutato rispetto al 1992 (v. Dunlap, 2000).La disponibilità a partecipare attivamente è ovviamente più bassa, ma comunque significativa.
Nonostante le difficoltà nello stimare l'effettiva consistenza di queste associazioni, e soprattutto dei movimenti ambientalisti nel loro complesso (v. Rootes e altri, 2000), il numero dei loro aderenti è elevato in tutti i maggiori paesi occidentali: più di sei milioni negli Stati Uniti, un dato triplicato rispetto agli anni settanta (v. van der Heijden, 1999), ben oltre il milione in Gran Bretagna (v. Rawcliffe, 1998), vicino a quella cifra in Italia (v. Diani, 1995). Un'indagine comparata suggerisce per il 1993 una percentuale di cittadini iscritti a un'associazione ambientalista oscillante nei paesi occidentali tra il 5 e il 10%, con la sola eccezione dell'Olanda (17%), e assestata su livelli assai più modesti nell'Europa dell'Est (v. tab. I). La partecipazione ad attività di protesta nel quinquennio precedente appare nel complesso più ridotta, ma con una relazione inversa tra forza dell'associazionismo e propensione alla protesta, almeno nei paesi occidentali. La quota di chi ha firmato una petizione è invece piuttosto alta, eccedendo, tranne che nel caso spagnolo, un quarto della popolazione dei paesi occidentali, mentre maggiori variazioni tra paesi si notano per quanto riguarda la fornitura di contributi finanziari.
Molti studiosi e osservatori hanno tentato di spiegare l'insorgere dell'ambientalismo, a partire dagli anni sessanta, alla luce del più generale passaggio verso società postindustriali e dell'affermarsi di nuovi modelli culturali, orientati verso l'autorealizzazione e valori di tipo 'postmateriale' (v. Inglehart, 1977) piuttosto che verso il soddisfacimento di bisogni materiali. La forte identificazione con il postmaterialismo è stata da tempo individuata come uno dei fattori decisivi che influenzano orientamenti a favore della difesa ambientale piuttosto che della crescita economica (v. Rohrschneider, 1988). Si è inoltre suggerito che ciò valesse anche per la partecipazione politica ambientalista, il supporto per le politiche di protezione ambientale e l'adozione di stili di vita 'ambientalisti' (v. Dalton e Rohrschneider, 1998, p. 123).Tuttavia, se è certamente vero che il riferimento a ideologie politiche consolidate (di destra o di sinistra) spiega gli orientamenti ambientalisti in misura molto parziale (v. Müller-Rommel, 1990; v. Dalton e Rohrschneider, 1998; v. Biorcio, 1999), anche l'impatto del postmaterialismo appare ambiguo. Più che da specifici valori, la partecipazione ambientalista sembra spiegata da preoccupazioni generali per la crisi ambientale, e dai livelli di educazione. Il fatto che i cittadini più colti siano anche i più consapevoli della necessità di un impegno ambientalista sembra smentire l'immagine, spesso suggerita, dell'ecologismo come fenomeno prettamente reattivo ed egoistico. L'interesse per i temi ambientali è in realtà assai più solido tra chi ha dell'ambiente e dei suoi problemi una visione non puramente localistica (v. Rohrschneider, 1988).
I teorici del postmaterialismo suggeriscono inoltre una maggiore propensione dei giovani ad adottare queste prospettive. Anche questa tesi trova riscontri soltanto parziali. Un'indagine comparativa su scala europea, ad esempio, conferma come i giovani (e anche le donne) siano più propensi ad adottare stili di vita 'ambientalisti', ma non differiscano dagli altri gruppi sociali quanto a orientamenti e comportamenti politici (v. Dalton e Rohrschneider, 1998, p. 123). Inoltre, il nesso tra postmaterialismo e ambientalismo sembra assai forte in alcuni paesi (in specie in Olanda, Germania e
La questione forse più interessante riguarda comunque la diffusione di orientamenti ecologisti al di fuori delle società occidentali. Alla fine degli anni novanta, la percentuale di cittadini preoccupati per l'impatto della crisi ambientale sulla propria comunità così come sulla propria salute personale appariva nelle società non occidentali particolarmente elevata, con punte intorno al 90% in India,
6. Ambientalismo e politica: i partiti verdi
La trasformazione degli orientamenti ambientalisti nell'opinione pubblica, e della disponibilità a partecipare ad attività e/o associazioni ambientaliste, il consenso esplicito per i partiti verdi è tutt'altro che automatica. È innegabile che i partiti verdi rappresentino un interlocutore primario dei movimenti ambientalisti nelle istituzioni. Aprono infatti canali privilegiati di accesso a informazioni e risorse; contribuiscono inoltre a modificare l'agenda politica in una direzione più consona alle attese del mondo ambientalista. Tuttavia, quella tra movimenti e partiti 'simpatetici' non è mai una relazione facile. I movimenti possono infatti scegliere perlomeno fra tre opzioni: sostenere i partiti tradizionali più aperti alle loro istanze; fondare nuovi partiti; essere apartitici, agire cioè come gruppi di pressione puri. L'identificazione tra associazioni ambientaliste e partiti verdi non può quindi essere mai data per scontata ed è di fatto sottoposta a frequenti rinegoziazioni (v. Dalton, 1994).
La presentazione da parte degli ecologisti francesi di un proprio candidato alle elezioni presidenziali del 1974 rappresentò il primo esempio di partecipazione di una lista verde a un'elezione nazionale in Occidente. Da allora, partiti verdi sono stati fondati pressoché in tutti i paesi europei e in molti paesi extraeuropei, sia avanzati (tra cui Canada, Stati Uniti,
Perlomeno in Occidente, le origini di queste formazioni politiche possono essere ricondotte con una certa approssimazione a due percorsi principali. Il primo è quello che ha portato alla costituzione di partiti verdi precipuamente attraverso l'azione di organizzazioni e attivisti ambientalisti, insoddisfatti della considerazione riservata alle questioni ecologiche dai partiti tradizionali. In essi, la dimensione 'verde' ha prevalso in modo netto su altri temi e orientamenti strategici. Sono stati vicini a questo modello, tra gli altri, Les Verts francesi, il Green Party in Gran Bretagna, il Miljöpartiet de Gröna in
La tab. II riporta i risultati elettorali dei principali partiti verdi europei nelle elezioni europee tra il 1979 e il 1999. Si tratta come si vede di risultati tutt'altro che omogenei. Vi sono infatti marcate differenze sia tra una consultazione e quella successiva, sia tra i diversi Stati, con i paesi dell'Europa settentrionale (Germania, Olanda, Belgio, Finlandia) di solito più benigni verso questi partiti rispetto ai paesi dell'Europa meridionale (si pensi anche al peso modestissimo dei partiti verdi in
Il differente successo ottenuto dai partiti verdi è in vario modo collegato alle caratteristiche dei diversi sistemi politici e sociali in cui essi operano. Una delle poche analisi comparate sinora disponibili si è in particolare soffermata sul rapporto esistente tra voto verde e alcuni tratti distintivi di una
Queste ultime considerazioni mettono allora in luce la rilevanza di variabili strettamente politiche per spiegare un fenomeno come i partiti verdi. Le caratteristiche del sistema elettorale meritano un'attenzione particolare. Un
Si spiega anche alla luce del sistema maggioritario lo scarso peso politico dei Verdi in Gran Bretagna e Francia, dove non a caso le percentuali di consenso salgono in modo significativo in elezioni come quelle europee, considerate meno rilevanti e tali quindi da rendere meno drammatico il rischio di dispersione di voti. Anche un sistema proporzionale puro può tuttavia presentare degli inconvenienti. Aumentando le possibilità per i piccoli partiti, può infatti incoraggiare sia la presenza di competitori esterni, sia fenomeni di frazionismo interno. Dal punto di vista del successo elettorale il sistema più favorevole ai nuovi partiti è forse un assetto misto di tipo tedesco, dove uno sbarramento del 5% pone dei limiti alla frammentazione senza privilegiare oltre misura i partiti già consolidati (v. Richardson e Rootes, 1994).
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