Altruismo/egoismo

Dizionario di filosofia (2009)

altruismo/egoismo


Il termine altruismo fu coniato da Comte per indicare la morale propria del positivismo, ispirata alla massima «vivere per gli altri» (Catechismo positivista, 1852). La nuova parola, nelle intenzioni di Comte, si contrapponeva esplicitamente al termine egoismo, entrato nel linguaggio filosofico nel corso del Settecento e progressivamente ristrettosi all’ambito etico-valutativo, dove stava a indicare – quasi sempre con una connotazione critica – le dottrine fondate sull’interesse individuale quale movente fondamentale delle azioni umane. Prima di restringersi al suo significato etico (che è poi passato nel linguaggio ordinario), il termine e. era stato usato, nel corso del 18° sec., in diversi significati, che Kant aveva provveduto a ricapitolare: il filosofo tedesco aveva infatti distinto tra e. logico (l’individuo giudica inutile sottoporre il proprio pensiero al giudizio altrui), e. estetico (il criterio del bello coincide con il proprio gusto personale) ed e. morale (il vantaggio personale è il fine supremo della condotta). Kant parlava anche di un e. metafisico, riferendosi all’idealismo gnoseologico, o solipsismo (➔), ossia alla convinzione che soltanto le rappresentazioni del soggetto siano reali, ragion per cui la realtà esterna viene dichiarata dubbia (Cartesio) o inesistente (Berkeley). Quando Comte creò l’antitesi a./e. il suo obiettivo polemico erano le morali edonistiche e utilitaristiche del 18° sec., alle quali veniva rimproverato di non aver visto che nell’uomo, accanto agli istinti egoistici, albergano anche istinti altruistici, che si manifestano in primo luogo nella famiglia e che l’educazione deve provvedere a sviluppare. In realtà, concetti analoghi erano già stati sviluppati da pensatori come A. Smith e Rousseau: il primo, nella sua Teoria del sentimento morale (1759), aveva affermato che esiste negli uomini un «interesse per la sorte degli altri» che si fonda sulla «simpatia», ossia sulla naturale tendenza a immedesimarsi nelle situazioni altrui e a «scambiarsi di posto immaginariamente con chi soffre». Quanto a Rousseau, nel Discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini (➔) (1754), egli aveva individuato nella «pietà» verso i propri simili che soffrono uno dei sentimenti naturali dell’uomo: sentimento volto alla conservazione della specie e che si oppone al sentimento dell’amor di sé, volto alla conservazione dell’individuo. Termini di questo tipo (simpatia, pietà, benevolenza, ecc.) vennero tuttavia soppiantati dall’a. comtiano, che fu rapidamente adottato dagli studiosi: il massimo esponente del positivismo evoluzionistico, Spencer, lo fece suo, ma sostenne che l’antitesi a./e. era destinata a essere superata, giacché l’evoluzione andava verso una progressiva conciliazione tra interesse individuale e felicità collettiva. A sostenere le ragioni dell’e., in aperta polemica contro le morali altruistiche, saranno Stirner e Nietzsche: il primo afferma che l’individuo è l’unica realtà e l’unico valore (L’unico e la sua proprietà, 1845), mentre il secondo sostiene che l’e. è il contrassegno della «morale dei signori» (Al di là del bene e del male, 1886), ispirata ai valori vitali della salute, della bellezza, della forza e della potenza, e diametralmente opposta a quella «morale degli schiavi» – di matrice cristiana e di ispirazione essenzialmente altruistica – che ha condotto l’Occidente alla decadenza. Nietzsche sostiene altresì che l’a. è insincero, giacché dietro ogni atto altruistico si nasconderebbe in realtà un movente egoistico (Genealogia della morale, 1887).

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