ALTO ADIGE

Enciclopedia Italiana (1929)

ALTO ADIGE (A. T., 17-18-19)

Ettore TOLOMEI
Roberto ALMAGIA

ADIGE Nome introdotto nell'uso da Ettore Tolomei, nel 1906, e da allora comunemente adoperato in Italia per designare la sezione superiore del bacino dell'Adige, a monte della Stretta di Salorno, fino al limite geografico dell'Italia. Più esattamente questa regione, che è una parte della Venezia Tridentina, è delimitata, a NO., a N. e a E., dalle elevate catene che dal M. Forcola al Passo di Resia, poi di qua al Brennero e dal Brennero alla Sella di Dobbiaco, dividono le acque confluenti nell'Adige da quelle tributarie dell'Inn e della Drava. Anche il. confine meridionale è ben delimitato, perché dall'imponente massiccio dell'Ortles-Cevedale, che si eleva al lembo SO. della regione, si diparte una lunga catena, che, dividendo la valle superiore dell'Adige da quella del Noce, spinge le sue propaggini fin sulla valle dell'Adige, sulla quale in tutto il tratto a monte di Salorno, fino a Bolzano e oltre, precipita con una muraglia ripida o a picco, alta talora poco meno di 2000 m.; mentre, di contro, il confine con l'Ampezzano e con la valle trentina dell'Avisio è formato dalle aspre creste dolomitiche del gruppo di Sella, del Sassolungo, del Catinaccio, del Latemar, della Rocca di Cavalese. Anche il fondo della valle dell'Adige in corrispondenza alla stretta di Salorno, poco abitato nel punto più angusto, segna un limite assai evidente. La regione forma dunque, nella più ampia unità della Venezia Tridentina, un'individualità geografica ben definita, e perciò un nome è ben giustificato per designarla. Conferiscono individualità alla regione le tre valli maggiori, convergenti in quella principale dell'Adige, diretta in senso meridiano a S. di Bolzano (Tratto Atesino): la Val Venosta, ossia il tronco superiore dell'Adige, la Valle dell'Isarco, che continua la direzione generale del solco atesino, e la Valle della Rienza o Pusteria. Queste tre valli menano ai grandi valichi già sopra ricordati (Resia, Brennero, Dobbiaco), i soli importanti per le comunicazioni con i paesi transalpini (tutti gli altri che intaccano le elevate catene hanno scarsissimo valore antropico), e tutti e tre facili e facilmente attraversati sin da epoca antica, onde la regione ha veramente il carattere di territorio di confine e di mescolanza. Le comunicazioni con il resto dell'Italia si effettuano, oltre che al centro per la gran via maestra dell'Adige, anche alle due estremità: e cioè ad O. per il passo dello Stelvio, tra l'Ortles e il Cevedale, che mena in Valtellina, e ad E. per i passi (Cimabanche, Misurina, Montecroce) che conducono nell'Ampezzano e nel Cadore. Dal fondovalle dell'Adige, a S. di Bolzano, si passa poi nelle valli trentine del Noce e dell'Avisio, rispettivamente per i Passi della Mendola (1360 m.) e di S. Lugano (1100 m.); e frequentate sono anche oggi, di giorno in giorno maggiormente, le vie che conducono dalla valle dell'Isarco e laterali (Val Gardena), come pure dalle valli laterali della Pusteria (Val Badia) in quelle dell'Avisio e del Cordevole (Passi di Costalunga, di Sella, di Arabba), cosicché in sostanza i rapporti dell'Alto Adige con la restante Venezia Tridentina sono pure agevoli e sempre più intensi.

Dal punto di vista morfologico, il carattere più saliente dell'Alto Adige è il contrasto fra le aree montuose marginali - elevantisi ripide, con forme aspre, per quanto differenti di aspetto a seconda della diversità dei terreni (granito-scistosi a N. e a O., dolomitici a S. e SE., calcarei a SO.) - e i fondi delle maggiori vallate, ampî, piatti, modellati dai grandi ghiacciai quaternarî che vi confluivano e vi si saldavano, ma limitati quasi sempre da pareti erte, talora rotte da larghi ripiani di erosione. Conche più vaste, in genere assai fertili (specialmente se ricoperte da alluvioni antiche o da depositi glaciali), si trovano alla confluenza delle valli maggiori; le aree più sterili corrispondono in genere alle conoidi torrentizie, ampie e sviluppate soprattutto in Val Venosta.

Al contrasto orografico fa riscontro un contrasto climatico. I fondovalle, specialmente nella parte occidentale (Val d'Adige da Salorno a Merano e oltre), ben riparati dagl'influssi settentrionali, hanno inverni molto miti (Merano; media del gennaio +0°,6) ed estati calde (l'isoterma annua di 5° risale fin a monte di Malles); sono poi poco innaffiati da piogge (meno di 700 e talora meno di 600 mm. in Val Venosta; Glorenza, a 915 m. di altezza, ha una media annua di pioggia di soli 520 mm.). Anche nella sezione orientale (valli dell'Isarco e della Rienza), per quanto gl'inverni siano più crudi, le estati sono sempre assai calde; l'isoterma annua di 5° risale fino a monte di Fortezza e si chiude intorno alle conche di Brunico e di Vipiteno; le piogge non sono abbondanti (700-900 mm.). Invece le aree montuose hanno, oltre che inverni lunghi e rigidissimi, con grande abbondanza di neve, anche precipitazioni molto elevate, fino a 1600-1800 mm. sui fianchi meridionali della grande catena displuviale.

Da queste condizioni climatiche deriva che, mentre nelle aree montuose si presenta la flora alpina e di alta montagna di tipo analogo a quello predominante in tutto il resto delle Alpi Orientali, nei fondovalle compaiono - accanto a rappresentanti della flora pannonica indicatrice di un clima molto secco (Quercus cerris, ecc.) - piante di pretto tipo meridionale, sia spontanee che coltivate, la cui presenza contribuisce soprattutto a dare la fisionomia della regione. Così il castagno vegeta fino a 700 m. presso Bolzano e Merano, fino a 900 m. sopra Fortezza, la quercia arriva a 1300 m. sopra Bolzano, il gelso si trova fino oltre i 700 m. in Valle Isarco; la vite risale la Val Venosta fino a Korzes, quella dell'Isarco fino a Fortezza e penetra anche in quella della Rienza fino a Rio, mentre nella conca di Bressanone matura fino a 800 m. di altezza; l'alloro e il mirto, il fico e il melograno abbelliscono la Val d'Adige fino a Merano. La fisionomia delle valli altoatesine risulta pertanto assai simile a quella delle valli trentine, le quali anzi, nonostante la latitudine più meridionale, sono in parecchi casi meno favorite.

Dal punto di vista dell'uomo, le grandi vallate costituiscono delle vere unità circoscritte in sé; molte di esse formano anzi come dei cantoni chiusi che, specialmente in passato, quando le comunicazioni erano meno agevoli, vivevano ciascuno di vita propria, e, bastando a sé stesse, fruivano di un'autonomia economica e talora perfino di un'autonomia politica. Perciò le maggiori sono designate con nomi speciali sin da tempo remoto, come vere e proprie individualità geografiche: Val Venosta, Pusteria, Val Gardena, Val di Badia, Valle Aurina, ecc. (v. venosta, valle, ecc.). Per le maggiori vallate penetrò naturalmente l'uomo sin dalle età preistoriche.

L'uomo si arrampica assai in alto sui fianchi delle vallate, nelle regioni meglio esposte. Ma ove si rifletta che più del 40% dell'area dell'Alto Adige è situata sopra i 2000 m., e circa l'84% sopra i 1000, non ci si meraviglierà se l'area permanentemente abitata si ragguagli a poco più di un terzo della totale. È ancora la Val Venosta con le sue laterali - quella cioè che fruisce di migliori condizioni climatiche - la zona ove le abitazioni permanenti si spingono più in alto: sopra i 1900 m. in Val di Senales (dove anzi un casale isolato, Corteraso, è a 2010 m.), nella Vallunga e nella Valle di Rojen, dove anzi il villaggio di questo nome, a 1968 m., è il più alto aggruppamento permanente di tutto l'Alto Adige; sopra 1800 m. in Val Monastero, in Val di Solda, in Val Martello e in Val d'Ultimo. Per contro nelle valli laterali dell'Isarco e della Rienza, meno favorite, le abitazioni permanenti non vanno di solito oltre i 1600 m., in rari casi oltre i 1700 m. Il limite della coltura dei cereali (avena, orzo, segale) e delle patate, qui, come altrove, si discosta poco da quello delle dimore permanenti (1940 m. in Val di Senales). Le zone temporaneamente abitate occupano oltre la metà dell'area dell'intera regione, dove, com'è noto, la pastorizia ha una grandissima importanza. Lo sfruttamento dei pascoli estivi si fa in modo simile in tutta la regione, pur durando variamente il periodo della monticazione (da 70 giorni in Pusteria, fino a un massimo di 90 nelle zone migliori della Val Venosta); i pastoli montani (alpi) sono talora di proprietà comunale, talora anche di proprietà privata; le dimore temporanee (malghe e baite) sono di solito di due tipi, sovrapposti in altezza, uno per il primo periodo estivo, l'altro per il cuore della stagione; comunemente costituiscono unità isolate; soltanto nella regione ladina delle Dolomiti si aggruppano in piccoli villaggi estivi, denominalti anch'essi alpi. La più estesa area di pascolo estivo di tutto l'Alto Adige è l'Alpe di Siusi (Seiseralpe) tra la Val Gardena e il gruppo montuoso dello Sciliar (Schlern). I bovini, in assoluta prevalenza, si calcolano a circa 110.000; gli ovini a 75.000. Molto più basse sono le cifre dei suoni (20.500) e degli equini (7500).

L'estensione dei parati e dei pascoli è calcolata a circa 37,5% dell'area totale, mentre il 39% circa è occupato da boschi; questi prevalgono nella Val d'Isarco e in Pusteria, al di fuori della regione dolomitica vera e propria, dove la roccia meno si presta all'allignare del bosco; meno boscosa è la Val Venosta.

Le aree coltivate rappresentano circa il 6% della regione e si raccolgono naturalmente verso i fondovalle; per quanto riguarda i seminativi veri e proprî, il frumento, l'orzo e la segale si coltivano di solito promiscuamente; e per questo riguardo le maggiori vallate si assomigliano notevolmente fra di loro; nel tratto Atesino, fra Salorno e Bolzano, compare il mais. Tra le colture specializzate hanno grande importanza la vite (Valle dell'Adige fino a Merano, conca di Bressanone), le frutta (mele, pere, pesche, ciliege, susine) e gli ortaggi.

Dal punto di vista delle industrie - se si prescinde da quelle di tipo casalingo, talora antichissime e tuttora localizzate in alcune vallate (intaglio in legno in Val Gardena, merletti in Valle Aurina, ecc.) - l'Alto Adige si viene sempre meglio inserendo nel più vasto organismo della Venezia Tridentina, dal quale non si può ormai considerar separato anche per quanto riguarda il movimento commerciale e le sue vie (v. venezia tridentina).

La popolazione dell'Alto Adige è oggi in maggioranza tedesca; la probabile proporzione dell'elemento italiano è dimostrata dallo specchio seguente, nel quale con gl'Italiani sono conglobati anche i Ladini, come si faceva già anche nei censimenti austriaci.

Il contrasto fra la rarità della popolazione nella zona montana e il grande addensamento nei fondovalle è stridente; questo è massimo là dove si hanno colture intensive, superando i 120 e perfino i 150 ab. per kmq. nel Tratto Atesino, nel Meranese, nella conca di Bressanone, ecc. Centro naturale della regione altoatesina è Bolzano, a 265 m. di altezza, al confluente della Talvera nell'Isarco, poco lungi dal punto ove quest'ultimo confluisce nell'Adige, all'incrocio perciò delle maggiori vie naturali, in posizione molto favorevole anche perché riparata alle spalle dalle influenze nordiche, aperta invece largamente verso S. (v. bolzano). In posizione poco dissimile (confluenza del Passirio nell'Adige) è Merano (v.). Gli altri centri maggiori corrispondono alle più ampie conche a fondo ben coltivato: Bressanone, Vipiteno, Brunico, Silandro (v.).

L'Alto Adige corrisponde all'ingrosso a quello che gli Austriaci indicavano col nome di Südtirol; passato all'Italia fu aggregato dapprima alla provincia di Trento, dopo che ne fu staccato l'Ampezzano ricongiunto alla provincia di Belluno. Nel 1927, col nuovo riordinamento delle province, l'Alto Adige fu costituito in provincia a sé con capoluogo Bolzano (v. bolzano: Provincia).

Storia. - I primi abitatori delle valli atesine appartennero alle stirpi mediterranee preindoeuropee d'Italia. L'elemento protoitalico, ligure, o affine ai Liguri, mosse dalla pianura padana per affluire, lungo le vie naturali, nel bacino del medio ed anche dell'alto Adige. Su ciò non può sussistere dubbio, per il fatto che, fino alla seconda età della pietra, i due fianchi della displuviale figurano inabitati; e anche all'epoca del bronzo, la cultura degli abitanti al sud del Brennero è ambientata verso la pianura padana, mentre quella degli stanziamenti al nord del passo è in stretta dipendenza dalle innovazioni della pianura danubiana. Nel periodo del ferro - circa 1000 a. C. - i due passi del Brennero e di Resia congiungono in un'unità culturale i popoli al di qua e al di là dello spartiacque. Tanto il glottologo quanto l'archeologo si trovano d'accordo nell'attribuire quest'unificazione all'invasione dei Veneto-Illirî, spintisi a ritroso dell'Adige e lungo la Rienza fino al lago di Costanza, che deve il suo nome di lacus Venetus a questa popolazione indoeuropea. Come sono improntati alla civiltà veneta i rinvenimenti archeologici di Welzelach e Matrei al di là del Brennero, così sono di conio linguistico veneto al di qua dello spartiacque i nomi dei popoli preromani Anauni, Genauni e Isarci, sui due versanti dei passi, quelli dei Venostes e dei Breuni e, nel Tirolo, i toponimi Humiste, Teriolis, Matreium (cfr. per l'etnologia R. Much, Zur vorgeschichtlichen Ethnologie der Alpenländer, in Sitzfungsberichte der anthropolog. Gesellschaft Wien, 1905, p. 40 seg. e Fr. Stolz, Die Urbevölkerung Tirols; 2ª ed., Innsbruck 1892; per la toponomastica Carlo Battisti, Sui più antichi strati toponomasici dell'alto Adige, in Studi etruschi, II, 1928, pp. 647-682). Più tardi, ebbero luogo nell'Alto Adige altri insediamenti di popolazioni venute dalla Padana: precisamente di Celti e, spinti da questi, di Etruschi. Essi non riuscirono tuttavia ad espandersi più in là di Bolzano, dove arrivano le ultime iscrizioni etrusco-settentrionali, taluna con onomastica gallica, nessuna anteriore al sec. III a. C. (Cfr. C. Pauli, Altitalische Forschungen, I, Lipsia 1885; e L. Pareti, Le origini etrusche, I, Firenze 1926, p. 234 segg.). Si trovano tuttora copiose tracce di castellieri preromani sui poggi, forti per natura, rozzamente fortificati ad arte, che furono le sedi preistoriche delle popolazioni alpine. Il loro numero è considerevole, specie lungo l'Adige e sulle costiere del Meranese e di Val d'Isarco, e in alcuni di essi è documentabile un'ininterrotta continuità archeologica dall'eneolitico fino al periodo romano. Mancano, invece, non solo castellieri, ma anche ogni traccia d'insediamenti umani nelle valli laterali, chiuse al transito transalpino, anche se vaste e facilmente abitabili, quali la Sarentina, la Passiria e Val d'Ultimo: ciò che indica come a quell'epoca, e per molti secoli ancora, la popolazione poteva esser notevole nelle valli di transito (Adige, Isarco, Rienza), ma non era ancor tanto esorbitante da cercar sfogo nelle vicine convalli.

La penetrazione latina nell'Alto Adige fu di molto posteriore e di gran lunga più lenta che nel Trentino, la cui capitale è probabile abbia ottenuto la municipalità già nel 49 a. C. La valle settentrionale dell'Anaunia ottenne la cittadinanza romana con forza retroattiva il 46 d. C. (Tabula Clesiana) e fu aggregata al municipio tridentino. Nulla di simile possiamo riscontrare nell'Alto Adige, se non collocando i Sinduni, di cui parla l'editto del 46, nel tratto fra Salorno e Bolzano. Trento e l'Anaunia cessarono di esser città e valle di confine nel 15 a. C. dopo la guerra retica che portò, con la conquista delle Alpi Centrali, alla formazione della provincia romana della Rezia. La regione altoatesina fu territorialmente divisa. Il tratto fra Merano e la Chiusa di Bressanone fu incorporato all'Italia e assegnato al municipio di Trento; i rilievi toponomastici permettono di accertare la presenza di un'importante colonizzazione romana fra Merano e Bolzano (cfr. Carlo Battisti, Studi di storia linguistica e nazionale del Trentino, Firenze 1922, p. 27). La Pusteria è invece parte del Norico, giacché la civitas Saebatum, localizzabile a S. Lorenzo di Brunico, è indicata (Corp. inscr. lat., 2ª ed., III, p. 707) come norica; il confine provinciale tagliava la Rienza all'imbocco nell'Isarco, fra Aica e Vandóies. L'interesse statale romano non si esplica forse nella Rienza orientale con stanziamenti latini così intensi come nel Bolzanino: tuttavia, esso si afferma egualmente nell'incontrastato possesso delle strade e dei valichi. La romanizzazione dei Breuni e dei Venosti, iniziata dal I secolo d. C. e continuata per tutto il periodo dell'Impero, ricevette probabilmente anche un notevole incremento dai gallo-latini delle Alpi Orientali e della pianura bavarese, che abbandonarono in massa le loro sedi al crollo del limes romanus.

Roma, per sette secoli, mantenne sull'Adige il suo dominio. Settimio Severo s'adoperò a render salda e sicura la via del Brennero: la sua numerazione dei cippi procede da Verona e al Brennero ha termine. (Sull'importante politica stradale dell'Impero anche in questa regione cfr. W. Cartellieri, Die römischen Alpenstrassen über den Brenner, Reschenscheideck und Plöckenpass, Lipsia 1926, pp. 33-41, 69-81, 117-129. Venanzio Fortunato descrive molto esattamente le vie romane dal Brennero al Norico nella Vita S. Martini, IV, 640-48; e sulle stazioni stradali informano l'Itinerarium Antonini, p. 274 e la Tabula Peuting., 4, 1-4). Anche nella divisione dioclezianea e costantiniana, l'Alto Adige continuò a far parte della diocesi italica. Naturalmente, l'azione civilizzatrice di Roma, pur addentrandosi fino nel cuore della massa alpestre, tuttavia si attenua a mano a mano che risale le valli. Dopo la splendida Verona, ecco Trento, città ben costruita e popolosa, con mura e templi e colonne ed archi; dopo Trento, Sabiona e Vipiteno, che alzano are agli dei nelle ultime valli. L'odierno capoluogo dell'Alto Adige situato presso Pons Drusi, Bolzano, non è documentabile prima di Paolo Diacono. Frequenti, specialmente nel Bolzanino e nella Pusteria, i rinvenimenti di monete romane, di armi, di tombe. Da per tutto, segni di Roma. A Bolzano, il cippo della via Claudia; in Val Venosta, ponti di romana struttura; in Val d'Isarco, are sacre e votive; altrove, iscrizioni di legionarî e di ufficiali vissuti e morti nelle valli atesine.

Secoli e secoli durò nell'Alto Adige l'impronta romana. Dura tuttora, nelle valli a levante dell'Isarco, ladine; non si spense che tardi, assai più tardi di quel che comunemente si creda, nelle conche di Val d'Isarco che fan gradino da Bolzano al Brennero e nell'alta Venosta, dove la soppressione del ladino fu causata da misure politiche prese nel 1609 (cfr. H. Wieser, in Forschungen und Mitteilungen zur Geschichte Tirols, IV [1907]). Ed è oramai provata la conservazione dell'antica popolazione romanica, in masse compatte, fin bene addentro nel Medioevo, e in qualche punto marginale dell'attuale Ladinia, ancora nei due primi secoli dell'età moderna. E invece molto antico l'intedescamento di parte della Pusteria, che risale all'epoca delle lotte di Tassilone, duca di Baviera, contro gli Slavi, per impedire la loro penetrazione attraverso il passo di Dobbiaco nel bacino della Rienza. L'indagine dei nomi dei casali nel tratto Venosta-Bolzano-Chiusa permette di stabilire che in questo territorio la germanizzazione, alla metà del sec. XIV, era ancora poco progredita nei mandamenti di Silandro, Ortisei e Chiusa, mentre era, già a quest'epoca, più accentuata nella zona vitifera fra Bolzano e Merano. Nel secolo seguente, le condizioni nazionali ladine peggiorarono in tutta questa zona, fatta eccezione per l'altipiano di Castelrotto e per le valli di Tires, Èores e Gudón che fiancheggiano la ladina Gardena (cfr. Carlo Battisti, Prolegomeni allo studio della penetrazione tedesca neh'alto Adige, in Archivio per l'Alto Adige, XX, 285-300).

Caduta Roma, l'Alto Adige segue le vicende delle altre regioni italiche. Il breve regno barbarico d'Odoacre comprende, col resto d'Italia, l'Alto Adige. Subentra, con Teodorico, il dominio gotico, e l'Alto Adige appartiene sempre al regno d'Italia. Teodorico afforza i passi delle Alpi, claustra Italiae, a difesa dei nemici esterni, e particolarmente il Brennero, Italiae castrum. Poi l'impero romano riconquista, con Belisario e Narsete, la penisola - e con essa l'Alto Adige. L'onda dei popoli trasmigranti attraverso le Alpi percorse le valli principali, ma non toccò le interne valli impervie che conservarono inalterata la loro romanità. Nella divisione ecclesiastica il vescovado di Trento spettava all'Italia, e tale pertinenza fu riconosciuta ancora per molto tempo, perché nel 1282 il vescovo di Coira attestava all'imperatore Rodolfo che il conte del Tirolo, Alberto, nella dieta imperiale di Verona, aveva con testimonianze sicure dimostrato che comitiam, quae in diocesi Curiensi usque ad Pontem Altum in Engadina protenditur, ab episcopatu Tridentinensi habet qui ad Italiam dinoscitur pertinere (Monum. Germ. hist., LL., s. 4ª, III, n. 304, pp. 299-300; cfr. pure Regesta Imperii, V, 1v, n. 13.947, da cui risultano gli stretti legami politici di Trento e del vescovado di Trento con i comuni e i signori dell'Italia settentrionale, nel sec. XIII). I vescovi di Trento e di Sabiona (la cui sede fu trasportata nel 967 a Bressanone) appartennero alla provincia veneta; però il secondo fu per tempo staccato dall'antico nesso e congiunto con Salisburgo. I Longobardi s'impadroniscono del paese; e il loro nuovo regno in Italia, che dura due secoli, comprende anche l'Alto Adige. Nel 575 (F. A. Sinnacher, Beiträge Geschichte aer bischöfl. Kirche Saben u. Brixen in Tyrol, Innsbruck 1821-1824, p. 7), il ducato longobardico di Trento si estendeva oltre Sabiona (Chiusa), includeva cioè parte dell'antica Rezia; ma già nel 580, è probabile che esso si ritraesse sotto a Bolzano, fermo restando il confine occidentale a Maia presso Merano (O. Stolz, Erläuterung zum historischen Atlas des Österr. Atpenländer, Vienna 1910, p. 41). A Bolzano, si combatté ripetutamente fra i duchi di Trento e quelli di Baviera: nel 680, Alachi, duca di Trento, riconquistò Bolzano e Sabiona ai Longobardi, mentre nel 765 re Desiderio le cedette nuovamente al duca Tassilone di Baviera che aveva sposato sua sorella (cfr. M. Thunn, Il ducato di Trento nei secoli XI-XII, Trento 1868, p. 10 seg.; J. Egger, Geschichte Tirols, I, Innsbruck 1872, p. 41; A. R. Toniolo, Il Tirolo unità geografica?, Firenze 1921, p. 32 seg.).

Caduta poi la potenza dei Longobardi per opera di Carlo Magno, l'Alto Adige appartiene al regno d'Italia carolingico e riceve, al pari delle altre provincie franconi, il solito ordinamento politico in pagi (gaue) o, data la corrispondenza delle unità antropiche coi sistemi vallivi, in valles. A questi ordinamenti risalgono le unità amministrative delle Vallis Venusta (Venosta), Passir (Passiria), Norica (Isarco) e Pustrissa (Pusteria). Le maggiori di esse sono innalzate nel 778 a contee: Comitatus Venusta, Noricus et Pustrissa (cfr. M. Mayr, Welschtirol in seiner geschichtlichen Entwicklung, Innsbruck 1907, p. 68). Passa, quindi, al regno d'Italia dei Berengarî. Il restaurato Impero, prima franco poi germanico, comprende per secoli e secoli l'Italia; ma all'Italia spettano la contea di Trento in sottordine e le contee atesine, cioè i due comitatus Vallis Venustae e Bauzani che si estendevano anche al basso Isarco fino alla Tinna.

Al principio del mille (31 maggio 1027), si costituiscono giuridicamente le due signorie vescovili di Trento e di Bressanone destinate a durare ininterrottamente per otto secoli, fino al 1803, in condizione di vassallaggio dall'Impero, come le altre del regno d'Italia (di cui, tuttavia, il principato vescovile di Bressanone non fece mai parte). Questa creazione fa parte del riordinamento statale di Corrado II il Salico che unifica le autorità locali, opponendosi al frazionamento della numerosa gerarchia locale, e cerca di assicurarsi il dominio delle vie d'Italia, elevando i due vescovadi a feudo diretto dell'Impero e impedendo la formazione di grandi feudi secolari naturalmente tendenti ad ereditarietà. Il confine del principato tridentino supera ora quello del municipium tridentinum, perché esso include di fatto e di diritto l'intera Venosta, che allora era in possesso dei conti di Appiano e di Tirolo. A NE. esso arriva fino al monte di Lusia, di modo che il corso dell'Avisio ne resta tagliato a Moéna: demarcazione questa ehe, quantunque priva di un motivo geografico, corrisponde a quella fra territorio ladino (Fassa) e trentino (Fiemme). Nel 1091 il territorio del vescovado di Bressanone che, al di là dello spartiacque, comprende anche le due contee della valle superiore e media dell'Inn fino alla Zill (cioè al vecchio confine romano della Rezia), aumenta in seguito alla donazione di Enrico IV dell'intera contea di Pusteria, fin quasi al passo di Dobbiaco che permane territorio d'immunità dei vescovi di Frisinga. In quest'epoca, come nelle precedenti e nei due secoli seguenti, non è dunque ammissibile un'unità politica tirolese. Tale condizione di diritto si prolunga fino all'età contemporanea. Ben si formava, nel seno dei due principati ecclesiastici, la potenza feudale dei conti di Tarasp (alta Venosta), oriundi di antica famiglia milanese e forniti di feudi anche nel vescovado di Coira; dei conti di Appiano (Appiano e Bolzano) investiti nel vescovado di Bressanone della contea della valle superiore dell'Inn, dell'alta Sarentina e di Moreto (Vipiteno) e resisi successivamente, con matrimonî e alleanze, padroni delle contee di Mazia e di Ultimo; e dei conti del Tirolo, oriundi da Leurburg (Bregenz). Ma questi feudatarî non erano, in via di diritto, se non vassalli dei due principi vescovi.

Dei conti altoatesini, quelli del Tirolo assursero con accorta politica a molta importanza. I loro feudi, già al principio del secolo XIII, si estendono nella parte cisalpina a tutto il corso dell'Adige, dalle sorgenti alla confluenza dell'Isarco. Alberto III, avvocato dei vescovi di Trento e Bressanone, riceve da quest'ultimo, all'estinzione dei conti Andech-Merania, le due contee dell'Isarco e della Pusteria e, al di là dello spartiacque, arrotonda i suoi beni col possesso dell'Engadina bassa e di buona parte della contea dell'Inn, formando così, nel cuore della regione alpina, una nuova unità territoriale che, nel territorio d'immunità di S. Candido, passato prima agli Andech, poi alla famiglia tirolese, esorbita perfino nel bacino della Drava. E quando ai conti del Tirolo subentrarono gli Asburgo (1364) essi continuarono ad essere, per qualche tempo, in via di diritto, vassalli di Trento e di Bressanone, rispetto ai loro possessi feudali nei due vescovadi. La storia delle lotte impari fra i vescovi, antichi signori, e i prepotenti conti tirolesi e duchi d'Austria, è perciò delle più agitate che possano concepirsi, data l'importanza di questa che è la più breve e comoda via dalla Germania all'Italia.

Nel '300 e '400, cominciarono ad entrare nella vita del paese gli Asburgo. Tra questi e i Wittelsbach di Baviera si accende la lotta pel predominio sul Tirolo (1327-1335) cui segue (1336-1342) quella coi Lussemburgo, che termina con la conferma di Carlo IV (1364) della donazione di Margherita Maultasch. L'opposizione dei vescovi di Trento e Bressanone a nulla giova; anzi, Rodolfo d'Asburgo riesce, nel 1364, a strappare ad Alberto di Ortemburgo, vescovo di Trento, un "compattato" nel quale questi, invertendo i rapporti di diritto, si dichiara vassallo dei nuovi conti del Tirolo (1364) che verso quell'epoca assumono il titolo di principi. Nel 1462, il vescovo di Trento Giorgio II è costretto a cedere al duca Sigismondo l'intera giurisdizione di Bolzano; due anni prima, aveva accettato di riconoscere che, durante la sede vacante, il conte del Tirolo dovesse essere riconosciuto per sovrano della contea di Trento. Con questa concessione dei diritti sovrani, il principe vescovo di Trento rinunzia di fatto all'ulteriore lotta per la propria indipendenza. Ma nel tempo stesso, facevano sentir la loro ripercussione nel paese le guerre per cui, volta a volta, il dominio degli Scaligeri, dei Carraresi, dei Veneziani, si affermava entro i monti. Le insegne di S. Marco si affacciavano su la Pusteria. Venezia era allora all'apogeo della sua potenza; il fascino del suo nome operava, di valle in valle, sull'intera regione atesina che, per ogni civile attività, dipendeva dalla gloriosa Dominante. Giunta la repubblica coi suoi confini al disopra di Rovereto e d'Ampezzo, essa mirava, evidentemente, alla signoria di Trento e di Bolzano; ma il tenace sforzo veneziano andò perduto nella storica giornata di Calliano (9 agosto 1487). La rotta del Sanseverino davanti a Trento segnò la fine dell'espansione veneta in Val d'Adige: da allora gli Asburgo ebbero la mano libera, e profittarono delle angustie di Venezia per assidersi sulle Alpi.

E pur tuttavia, Genovesi, Lombardi, Fiorentini frequentavano l'Alto Adige, vi avevano commerci e cambî. La lingua italiana era d'uso corrente. Le zecche di Merano e di Bressanone coniavano monete che rientrano anch'esse nel territorio numismatico italiano. Badia, Marebbe, Gardena, le valli del territorio dolomitico, avevano statuti comunali, ordinamenti di boschi, regole, famiglie nobili, clero, di visibile impronta italiana. Gli elenchi dei sacerdoti dell'Alto Adige lo dimostrano. Gli statuti di Bolzano e di Bressanone s'ispirarono agli statuti di Trento, di tipo prettamente italiano. La Val Venosta mantenne le antiche relazioni col contado di Bormio in Valtellina, colla ladina Monastero che sbocca nell'Adige e colla vicina ladina Engadina; la via Bormio-Monastero-Venosta-Resia-Inn ebbe dal periodo prelatino fino agli ultimi secoli grandissima importanza. La Pusteria mantenne continui rapporti commerciali e contatti con Venezia e con le finitime terre di San Marco: il bestiame ed il legname costituivano i due rami principali del commercio locale, e Dobbiaco e Brunico si svilupparono, all'epoca dello splendore di Venezia, a notevoli centri di esportazione. Se nell'alta Pusteria l'elemento italiano ebbe notevole incremento soprattutto fra il 1267 e il 1500, all'epoca del dominio del ramo carinziano dei conti di Gorizia, già prima, nel sec. XII, opere idrauliche importanti vi furono compiute da Italiani. Il ricordo d'italiani residenti a Dobbiaco e Brunico è documentato ancora nel sec. XVIII (cfr. H. J. Bidermann, Die Nationalitäten in Tirol, Stoccarda 1886, p. 20). Ma ancor più intensi furono i contatti e rapporti commerciali con Venezia nelle valli ladine che, attraverso Livinallongo, portavano nelle terre della Serenissima. La grande via commerciale del Brennero continuò a mantenere il suo enorme valore; e pur qui, anche nei primi secoli dell'evo moderno, troviamo in quantità mercanti veneti. Il duca Sigismondo costruì la nuova "via d'Italia" in sostituzione della precedente ormai impraticabile, nel 1520 (l'odierna carrozzabile risale al 1772). Agl'insediamenti italiani nell'alto Isarco, dove il Hormann (Über den tirolischen Volkscharakter, nella Zeitschrift des deutschen und österr. Alpenvereins, XXX) trova anche al presente un tipo somatico misto, devesi probabilmente l'esistenza a Vipiteno fino agli ultimi secoli di una frequentata scuola latina. Quanto più discendiamo lungo l'Isarco, tanto maggiore diventa l'ambientamento culturale e commerciale italiano. A Bressanone, come a Vipiteno e a Bolzano, già negli ultimi secoli del Medioevo è rintracciabile un discreto nucleo di mercanti italiani; durante il Rinascimento la curia vescovile attira numerosi italiani; il capitolo cattedrale, nel sec. XVI, per limitare l'infiltrazione di elementi latini fra il clero della diocesi, deve stabilire delle regole protettive del suo carattere tedesco (cfr. H. J. Bidermann, Die Nationalitäten in Tirol, p. 22). Anche a Chiusa troviamo stabilito nel 1208 Ciano Centomile, agente di mercanti fiorentini i quali vi possedevano pure delle fattorie. A Merano, dal sec. XIII in poi, troviamo numerosi operai italiani alla zecca e cambiavalute, ricordati in buon numero dal 1296 al 1361. Ma se ad Egna, dove, per tutto il secolo XIV, si ebbero numerose case di commercio ad consuetudinem domorum mercatus Tridenti; e se a Salorno, Cortaccia e Tomeno, già negli ultimi secoli del Medioevo, molti possessi fondiarî appartenevano a Trentini o ad altri Italiani; il grande emporio del commercio veneto e tridentino fu Bolzano. Città, questa, che nel 1267 Corradino di Svevia considerava come appartenente all'Italia (Annales Placentini Gibellini, in Monum. Germ. Hist., Script., XVIII, Hannover 1863, p. 524: "...iam de Theotonice partibus in Ytaliam venimus et apud Bolzanum prope Veronam sumus... cfr. Regesta Imperii, V, 11, n. 4837); e che per il continuo afflusso di gente d'affari italiana, aveva ancora alla metà del Quattrocento un carattere preponderantemente italiano. Nel 1488, l'arciduca Sigismondo si vide costretto a proteggere l'elemento tedesco con un privilegio con cui si escludevano dal consiglio comunale gli Italiani. Ciò provocò, insieme con altri simili decreti del Cinquecento, una più accentuata germanizzazione di Bolzano, senza ottenere l'intento di assorbire mai la notevole minoranza italiana. Tutto il linguaggio convenzionale del commercio era completamente italiano, a cominciare dai nomi stessi degli uffici e delle cariche. La Matricola delle fiere di Bolzano, anno 1658, ci dà una lunga serie di mercanti italiani. Il movimento della Controriforma, diretto dai vescovi di Trento, forma di Bolzano un posto avanzato di difesa della romanità e del cattolicesimo. Verso la fine del sec. XVIII, Bolzano si poteva considerare città più italiana che tedesca. Da Bolzano in giù la fluitazione del legname (Terlano-Egna) e, da qui in poi, la navigazione a zattere sull'Adige, il trasporto per terra, la coltivazione del riso e della seta, furono nei secoli XV-XVIII quasi esclusivamente monopolio italiano. L'immigrazione agricola dalle due valli laterali di Fiemme e di Non, provoca la formazione di maggioranze o notevoli minoranze italiane nel tratto attorno a Bolzano e fino alla stretta di Salorno.

Nel breve tempo delle guerre napoleoniche, l'Alto Adige vede un'effimera dominazione austriaca, una pur breve dominazione bavarese e la rivolta hoferiana. La seconda e terza guerra di coalizione terminano con l'occupazione francese. La pace di Presburgo (1805), che segue a due anni di distanza la secolarizzazione dei principati vescovili di Trento e Bressanone, annette parzialmente la regione al Regno italico. Il confine napoleonico giungeva alla Chiusa in Val d'Isarco e in Val d'Adige fin quasi a Merano; le alte valli atesine invece erano state lasciate alla Baviera. Il dipartimento dell'Alto Adige, dopo l'episodio della rivolta hoferiana, ebbe un periodo di pace, d'ordine, di prosperità e di splendore. Questa unione lasciò nel paese profonde tradizioni di vita nazionale e ricordi fecondi. In pochi anni, a Bolzano e nelle valli intorno, quel che vi era d'impronta italiana si accentuò. Dopo la battaglia di Lipsia (1813) e in seguito a un trattato colla Baviera (1814), l'Alto Adige divise ancora la sorte di gran parte dell'Italia superiore. Ma avendo esso e il Trentino cessato di costituire principati autonomi, caddero in diretto e assoluto dominio austriaco. L'evoluzione della vita economica al di qua del Brennero aveva però accentuato talmente il sentimento dell'unità atesino-trentina, che nel 1861 il bolzanino Carlo de Zallinger, vice capitano della dieta tirolese, poteva sostenere che "le due regioni separate dal Brennero sono interamente diverse per cultura, per sviluppo e per ogni altra cosa; che gl'interessi del Tirolo meridionale tedesco sono identici a quelli del Tirolo italiano". Ancor più in là andò il segretario della Camera di commercio di Bolzano, dott. Angerer, sostenendo nel 1864 che la regione a sud del Brennero dovesse essere aggregata alla Venezia (cfr. A. Sartorelli, in Nell'Alto Adige, 1921, p. 133) Solo dall'anno 1866, la Venezia Tridentina resta politicamente divisa in tutto dalle altre della penisola. Da allora vi si sviluppa intensamente l'opera della germanizzazione, col lavoro concorde del governo imperiale di Vienna, del governo provinciale d'Innsbruck e delle associazioni pangermaniste. Ebbero mano libera, codeste associazioni di propaganda germanica, nate e cresciute dopo le vittorie del '70, diventate sempre più baldanzose coll'aumento della ricchezza tedesca. La condizione degl'Italiani dell'Alto Adige, abbandonati senza alcuna tutela, né civile, né religiosa, e senza conforti intellettuali, peggiorò. Scarsa in essi anche la coscienza di sé e la fiducia nella solidarietà della nazione. Ma nel 1906, con la fondazione dell'Archivio per l'Alto Adige, s'iniziarono gli studî italiani su questa vasta regione la quale, benché appartenente, senza contestazione possibile, all'Italia geografica, era rimasta, fino allora, quasi del tutto esclusa dalle ricerche e dagli studî relativi alla storia e alla natura della penisola. L'Archivio, in ordinata serie, pubblicò annualmente documenti e memorie originali, attingendo alle fonti vicine e lontane, con la costante collaborazione di molti dotti italiani, sia per la parte generale illustrativa, sia per peculiari ricerche di toponomastica, d'etnografia, di storia dell'arte e via dicendo. Dopo la grande guerra, l'Alto Adige, in seguito alla vittoria italiana, fu ricongiunto all'Italia; la Venezia Tridentina - Trento e Alto Adige - fu costituita in provincia di Trento. Dal 1926 l'Alto Adige - circondarî di Bolzano, Merano, Bressanone - forma la provincia di Bolzano.

Bibl.: Oltre alle fonti indicate nel corso dell'articolo si veda:

Storia politica: J. Egger, Geschichte Tirols von den ältesten Zeiten bis in die Neuzeit, Innsbruck 1872-76, voll. 3; id., Die Barbareneinfälle in die Provinz Raetiens, in Archiv. für österr. Geschichte, XL (1901); V. Inama, La provincia della Rezia e i Reti, in Rendiconti Ist. Lomb., s. 2ª, XXXIII; P. v. Planta, Das alte Rhätien, Berlino 1872; K. Kretschmer, Historische Geographie von Mitteleuropa, Monaco 1904; Historischer Atlas der österreichischen Alpenländer, della Akademie der Wissenschaften in Wien, I, Vienna 1906-10; A. Jäger, Geschichte der landständischen Verfassung Tirols, Innsbruck 1885; B. Malfatti, I confini del principato di Trento, in Archivio storico p. Trieste, l'Istria e il Trentino, II (1883); A. Dudan, La monarchia degli Asburgo, Roma 1915; E. Tolomei, Vestigia e stato dell'italianità nell'Alto Adige, in Archivio per l'Alto Adige, II, pp. 70-102; A. Galante, I confini storici del principato e della diocesi di Trento, in Atti Società Ital. progresso scienze, VIII (1916). Per la storia dell'ideologia del confine al Brennero, Revelli, Il confine d'Italia al Brennero, in Nell'Alto Adige a cura della Società per gli studî Trentini, 1921, p. 148 segg. Per la pubblicazione d'importanti fonti archivistiche cfr. le ricerche di L. Santifaller nei voll. XVI-XVIII e XXII dell'Arch. Alto Adige; per regesti gli Archiv-Berichte aus Tirol di E. v. Ottenthal e O. Redlich, I-IV, Vienna 1888-1912.

Storia nazionale e linguistica: Carlo Battisti, Le premesse storiche dell'unione linguistica grigione dolomitica, in Rivista della Società filologica friulana, II (1921), p. 106 segg.; id., La formazione delle minoranze italiane nel Tratto Atesino, in Archivio Alto Adige, XXI (1926); H. J. Biedermann, Die Italiener im tirolischen Provinzialverbande, Innsbruck 1874; id., Die Romanen und ihre Verbreitung in Österreich, Graz 1877; E. Gamillscheg, Die romanischen Ortsnamen des Untervinschgaus, in Festschrift zum 19. Neuphilologentag, Berlino 1924; O. Stolz, Die Ausbreitung des Deutschtums in Südtirol, I (1927), cfr. Arch. Alto Adige Arch. Alto Adige, XXII, pp. 449-457) II (1928); A. R. Toniolo, Gli Italiani nell'Alto Adige, in Arch. Alto Adige, XI (1916), p. 200; A. R. Toniolo, L'Alto Adige, Novara 1920.

Dialetti moderni: a) tedeschi: J. D. Schopf, i Trolisches Idiotikon, Innsbruck 1866; J. Schatz, Die tirolische Mundart, in Zeitschrift des Ferdinandeums, XLVII (1903) e Carlo Battisti, Sulla germanizzazione altoatesina in Rassegna critica, XXIX (L), 1921, pp. 239 segg., 264 segg.; b) ladini: oltre ai Saggi ladini dell'Ascoli, in Arch. Glott. Ital., I, J. Alton, Die ladinischen Idiome, Innsbruck 1879; Th. Gartner, Die Gredner Mundart, Linz 1879; id., Ladinische Wörter aus den Dolomitentälern, Halle 1923; guida bibl. per la fiorente toponom. atesina, C. Battisti, in Zeitschrift für Ortsnamenforschung, I, fino al 1924; per le annate 1924-28 nei due bullettini bibliografici dell'Italia dialettale, II e IV. Dello stesso autore, in Revue de linguistique romane, I, pp. 414-439, una Rassegna critica degli studi dialettologici altoatesini dal 1919 al 1924. Cfr. pure E. De Toni, L'Alto Adige nelle antiche carte, in Arch. Alto Adige, 1914, 1919 e 1922; E. Tolomei, Cartografia antica dell'Alto Adige, in Arch. Alto Adige, VII, pp. 309-317; id., La toponomastica dell'Alto Adige, in Arch. Alto Adige, I, pp. 157-159.

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