Allenamento

Universo del Corpo (1999)

Allenamento

Pasquale Bellotti e Renato Manno

Inteso come impegno fisico e mentale, l'allenamento consente, in differenti attività umane, lavorative, intellettuali, di acquisire 'lena', cioè capacità e destrezza attraverso un esercizio regolare e programmato. Più specificamente in ambito sportivo, l'allenamento è un'attività metodica di preparazione fisica, psicologica e tattica volta a ottenere il massimo rendimento in gara, oppure al mantenimento della forma. Gli adattamenti dell'organismo, che sono l'obiettivo dell'allenamento sportivo, sono provocati dal carico fisico, o carico di lavoro, cioè dall'insieme degli esercizi la cui intensità e specificità varia in funzione delle capacità dell'atleta.

Il processo di allenamento sportivo

di Pasquale Bellotti


I.

Proposte di definizione

L'allenamento sportivo, già presente con modalità altamente organizzate nella civiltà greca, assurge a dignità di disciplina dotata di un suo proprio corpus dottrinario solo nel 20° secolo, favorito in ciò sia dal progresso delle scienze, sia dall'affermazione, in tutti i contesti della vita sociale, dei principi della teoria dell'organizzazione e della pianificazione delle attività.

Da questo particolare punto di vista, l'allenamento sportivo si configura, oggi, come un fenomeno 'moderno' in quanto caratterizzato: a) dalla tendenza spiccata ad analizzare, estrapolare e applicare gli esiti della ricerca scientifica alla pratica concreta delle varie specialità sportive, ai differenti livelli di qualificazione e di impegno (da amatoriale a competitivo ad altissimo grado) e alle diverse età della vita, e b) dal rifiuto della improvvisazione e della casualità, in favore di una distribuzione razionale e consequenziale delle attività fisiche nel tempo. D'altra parte, la finalizzazione del processo di allenamento all'agonismo e alla competizione nelle sue forme più alte, non deve far passare inosservato il ruolo vitale che l'adozione della pratica organizzata del movimento può assumere in quanto strumento di promozione dell'efficienza fisica e del benessere generale dell'organismo, soprattutto in un'epoca e in una società, come le attuali, dominate dal sedentarismo e da altri insidiosi fattori di rischio quali inquinamento, fumo e alimentazione non corretta.Il concetto di allenamento è connesso, come indica anche il suo etimo, al conferimento - attraverso un metodico e programmato esercizio - di capacità e di destrezza all'organismo. In tale accezione può essere esteso a svariate attività umane, lavorative e non, che richiedano impegno fisico oppure intellettuale. Esso, tuttavia, è tradizionalmente riferito soprattutto al mondo sportivo, tanto che il termine è usato sovente come equivalente, sinonimo della locuzione allenamento sportivo.

L'allenamento è infatti alla base della concezione del fenomeno sport, al quale vengono riconosciute tre fondamentali caratteristiche costitutive, senza la cui compresenza e interazione verrebbe negata allo sport stesso la possibilità di esistere e di svolgere, nella cultura e nella società odierne, quel ruolo rilevante che molti gli attribuiscono. Tali caratteristiche si identificano nel gioco, nel movimento e nell'agonismo e concorrono alla definizione dello sport come attività ludico-motoria finalizzata all'estrinsecazione - secondo regole e norme prestabilite e secondo codici di fair play - dell'aggressività e della competitività innate nell'uomo, con obiettivo la prestazione massima possibile dell'individuo in un determinato evento sportivo. Gli stessi elementi caratterizzano l'allenamento sportivo, che, sebbene sia costituito in prevalenza dall'esercitazione motoria, richiede però al tempo stesso agonismo (voler fare, desiderare di impegnarsi, di emergere, saper esprimere al massimo le proprie capacità) e una condizione di assenza di costrizione. Sport e allenamento sono attività intrinsecamente non lavorative, non obbligatorie, liberamente scelte, per piacere, dunque per gioco; e ciò è solo in apparente contraddizione con lo sport professionistico e con la figura tutt'altro che infrequente dell'atleta che viene retribuito per compiere il 'lavoro' di allenarsi e di ottenere elevate prestazioni. L'allenamento è, pertanto, una componente imprescindibile dello sport, anche se la frequente confusione terminologica relativa alla sua utilizzazione non sempre consente di porne in rilievo il reale significato e la funzione insostituibile di processo educativo orientato all'alta prestazione motoria.

Viene infatti indistintamente usata la locuzione allenamento sportivo per definire sia la 'condizione di allenamento' (l'atleta, cioè l'individuo allenato), sia il 'processo dell'allenamento' (la situazione per cui nell'organismo si verificano specifici mutamenti che determinano la condizione di allenamento), sia i 'mezzi dell'allenamento' (gli elementi che provocano il processo di allenamento e, dunque, la condizione di allenamento). Come appare evidente, l'equivocità è tra cause ed effetti, sovente indicati indifferentemente con lo stesso nome. Indubbiamente, le diverse angolazioni dalle quali è possibile esaminare e si può provare a definire l'allenamento sportivo possono contribuire, a causa della loro visione parziale anche se formalmente corretta, alla mancata chiarificazione del concetto: le prospettive tecnica, metodologica, pedagogico-didattica, fisiologica, biomeccanica, psicologica ‒ pur mettendo in luce ciascuna di esse un aspetto importante del fenomeno ‒ non riescono a esaurirne la complessità.In realtà, a una definizione dell'allenamento sportivo possono concorrere tutte e tre le accezioni che generalmente gli si attribuiscono e che qui, sinteticamente, illustriamo:a) la condizione di allenamento (diversa dal concetto di forma fisica) è quel particolare stato psicofisico che, manifestandosi come accresciuta possibilità dell'organismo di effettuare una determinata attività, permette all'atleta di realizzare in essa una prestazione molto elevata, fino alla massima che potenzialmente gli è consentita;b) il processo di allenamento può essere inteso come il complesso dei fenomeni e delle modificazioni che investono l'organismo, rendendolo idoneo a raggiungere, e anzi determinando essi stessi, la condizione di allenamento;c) i mezzi di allenamento sono l'insieme di pratiche sistematiche, più o meno scientificamente fondate, che hanno lo scopo di incrementare il livello delle capacità psicofisiche dell'individuo, attraverso il miglioramento delle qualità organico-muscolari e coordinative.Una definizione moderna è la seguente: l'allenamento sportivo è un processo educativo complesso che, sulla base di un'adeguata formazione fisico-motoria nei primi anni di vita, si concretizza e si completa con l'organizzazione dell'esercizio fisico. Questo viene ripetuto a) in quantità, b) con intensità e densità, e c) secondo forme e gradi di difficoltà tali da costituire carichi di lavoro progressivamente crescenti, capaci di attivare i processi fisiologici e psicologici di adattamento e di supercompensazione dell'organismo. Viene favorito, in tal modo, l'incremento delle capacità fisiche, psichiche, tecniche e tattiche dell'atleta, al fine di consolidarne ed esaltarne il rendimento in competizione. Tuttavia, se tale definizione ben si adatta all'attività in generale degli atleti adulti, non rende conto né delle particolarità che l'allenamento deve assumere a seconda delle diverse specialità sportive (maggiore enfasi sulle capacità organico-muscolari o viceversa su quelle coordinative), né delle differenze esistenti tra la formazione motoria e l'avviamento allo sport dei ragazzi e la pratica di alto livello dell'atleta maturo.

Muovendo da questa ottica, non sbagliano gli addetti ai lavori a chiamare processo di allenamento sportivo quello che, in genere, viene etichettato dai più come allenamento sportivo tout court.

L'allenamento sportivo è il momento della pratica, dell'attuazione concreta di esercizi, di gesti e complessi di gesti specifici: in tal senso, esso rappresenta in effetti soltanto una parte, seppure senza dubbio quella centrale e imprescindibile, del coinvolgimento di un individuo nel mondo dello sport come atleta. Isolare, privilegiare quest'unico aspetto risulta riduttivo, insufficiente; per contro, l'espressione processo di allenamento è più esauriente in quanto sottintende, comprende molteplici aspetti, quali, per es., quelli di seguito elencati:a) gli ampi spazi di tempo necessari perché un individuo si esprima al meglio delle sue potenzialità psicofisiche (molti anni di dedizione costante, ininterrotta, da valutare per tutto quanto in essi vi possa e vi debba essere di gratificante e di arricchente per la persona);b) l'incidenza di variabili numerose e non tutte prevedibili (negli effetti positivi e, anche, in quelli negativi o meno positivi), che vanno dalle influenze ambientali, familiari e sociali, ai fattori climatici, alle motivazioni e alle aspettative, al regime alimentare e dietetico, all'alternanza razionale di lavoro e non lavoro, di impegno fisico e di disimpegno della mente, al ruolo dell'allenatore, alla funzione dei mass media;c) inoltre, e questo rappresenta il punto focale, la complessità dell'interazione e dell'ottimizzazione delle numerose variabili implicate, per raggiungere l'obiettivo finale di un individuo completo, più maturo anche per la grande prestazione sportiva.

Quest'ultimo aspetto, in particolare, ha una valenza profonda, decisiva nello sport moderno, nelle sue proiezioni nel futuro. Il processo di allenamento non può, infatti, discostarsi mai (pena la negazione del carattere stesso di processo organizzato, attraverso il quale esso tende a definirsi) dal corretto, razionale coinvolgimento dell'atleta, che non deve essere né troppo scarso (in quanto non sarebbero ottenibili risultati apprezzabili, proporzionali al valore del singolo) né troppo elevato (in quanto non eticamente accettabile e inevitabilmente collegato a pratiche illecite come il doping). Del resto, è ipotizzabile, allo stato dei fatti, che il destino dello sport del domani non risieda nell'ulteriore crescita dei carichi di allenamento e in una totale dedizione - in termini di ore e di energie fisiche e nervose destinatevi - alla componente 'motoria' del processo, ma in una migliore organizzazione di volumi inferiori di allenamento fisico e in un'integrazione di questa con tutte le altre dimensioni della vita individuale. E ciò in base al principio che la crescita di un parametro organismico è legata, in parte, allo sviluppo intrinseco di tale parametro e, in parte, a quello di tutti gli altri possibili parametri, inevitabilmente connessi con il primo, nella suprema sintesi di tessuti, organi, apparati, sistemi, affetti, pensiero, che è l'essere vivente. Pertanto, all'allenamento sportivo del futuro sarà affidata non la cura esasperata di alcuni aspetti (quelli dello sviluppo fisico) e la 'non cura' di tutti gli altri, ma, al contrario, una connessione tra essi, nella prospettiva di una prestazione sportiva che nulla ha sottratto al resto della vita e che, invece, di tutto il resto della vita si è giovata.

2.

Teoria e metodologia

L'allenamento sportivo non è assimilabile a una scienza e, meno che mai, a una scienza esatta. Tuttavia si può affermare che, attualmente, è finalmente disponibile una teoria del movimento e dell'allenamento sportivo, universalmente condivisa. Questa ha portato alla formulazione e alla codificazione dei principi generali che presiedono al processo di allenamento stesso, e all'introduzione di una metodologia di studio dei criteri e delle norme attraverso cui si realizza in pratica l'allenamento, a seconda degli obiettivi che, attraverso esso, ci si prefigge.Teoria e metodologia sono, ovviamente, diverse (costituendone la base dottrinaria di partenza) dalla pratica dell'allenamento sportivo, cioè dal complesso delle modalità attraverso le quali l'allenamento trova la sua attuazione e il suo svolgimento. La teoria moderna dell'allenamento sportivo si limita a evidenziare - ma si tratta, indubbiamente, di un obiettivo di grande rilevanza e soltanto qualche decennio fa insperabile - le possibili tendenze dello sviluppo della capacità di prestazione dell'atleta, in seguito all'utilizzazione di determinate metodologie di lavoro fisico.

L'impossibilità di isolare le innumerevoli variabili (come, per es., età, sesso, attitudini, aspetti della personalità individuale e dei costumi della società in cui si vive, motivazione, disponibilità psicologica e fisica al carico di lavoro di allenamento ecc.), che contemporaneamente entrano in gioco a determinare il processo di allenamento, rende conto dell'impossibilità di precisare i rapporti tra cause (i carichi di lavoro) ed effetti (crescita della prestazione specifica o delle particolari capacità dell'atleta), all'interno del fenomeno.La crescita della prestazione sportiva, a seguito della somministrazione razionale di carichi di lavoro fisico, si spiega con la capacità peculiare dei tessuti dei viventi (cellule, organi, apparati, sistemi, organismo in toto) di modificare le proprie caratteristiche, strutturali e funzionali in senso lato, sotto l'azione dei più disparati agenti esterni (v. adattamento). H. Selye (1950) chiamò tali agenti - chimici, fisici, batterici, psichici - stressors, 'agenti stressanti', e li individuò come fattori responsabili di reazioni organismiche, in parte specifiche dell'agente stesso, in parte più generali e aspecifiche, non riconducibili, cioè, all'azione di un caratteristico stressor, costituendo piuttosto, per l'organismo, una sua modalità di adattarsi ai differenti fattori di alterazione con cui viene in contatto, senza subirne i possibili effetti. La teoria di Selye, della resistenza dell'organismo agli agenti stressanti e del conseguente adattamento oppure non adattamento a essi (sindrome generale dell'adattamento, General adaptation syndrome, GAS) costituì il primo valido supporto dottrinario della teoria dell'allenamento sportivo. Ne seguirono altre, per es. la teoria della 'supercompensazione', che da quella originaria di Selye prende le mosse, riferendone i principi ispiratori proprio al fenomeno dell'allenamento sportivo.

Secondo questa teoria, l'organismo risponde a ogni stimolo tendente a provocare un'alterazione della sua omeostasi con manifestazioni adattive di entità e valore tali da opporsi non solo alla momentanea azione perturbatrice dell'equilibrio, annullandone gli effetti, ma anche a stimoli simili che possano riproporsi in futuro, in virtù di un'accresciuta capacità di far fronte agli stimoli stessi.

La capacità dell'organismo di contrastare la particolare azione modificatrice dell'equilibrio interno con una reazione eccedente per valore la sua causa (lo stimolo stressante) si manifesta, nel corso del processo di allenamento, con la capacità di tollerare stati di fatica psicofisica sempre maggiore, in seguito allo svolgimento di particolari carichi di lavoro: all'affaticamento dovuto al lavoro segue, infatti, nelle fasi di riposo oppure di ripristino, non solo la compensazione della fatica, ma addirittura il raggiungimento di una condizione fisica più elevata rispetto a quella di partenza. Ciò è dovuto all'attivazione di una serie di processi fisiologici di emergenza, in grado di proteggere l'organismo dall'eventuale riproposizione di uno stimolo o di una serie di stimoli uguali a quelli precedentemente sperimentati. È evidente che uno stimolo di entità superiore metterebbe però in crisi nuovamente l'omeostasi dell'organismo, obbligandolo a rispondere con una nuova reazione adattiva, eccedente l'azione perturbatrice. Proprio su questi concetti si basano la teoria dell'allenamento sportivo e la pluralità di metodologie utilizzate nelle differenti specialità sportive.

3.

Requisiti fondamentali

Il principio di base dell'allenamento sportivo è la continua proposta di esercitazioni fisiche mirate al potenziamento delle capacità dell'organismo dell'atleta. Tale proposta è definibile come un insieme razionalmente definito, strutturato e composito di carichi di lavoro succedentisi nel tempo, con una peculiare giustapposizione e alternanza. Essi sono detti carichi esterni per distinguerli dal carico interno, cioè dall'effetto specifico che un determinato complesso di movimenti e di azioni motorie ha sull'organismo di un particolare individuo. La locuzione carico di lavoro ha, nel tempo, sostituito quelle imperfette, perciò desuete, di sforzo fisico (connotazione negativa con cui si rischierebbe di presentare la pratica del movimento) e di impegno fisico (troppo generico e vago, laddove è necessario, oggi, misurare e definire l'allenamento il più accuratamente possibile, relativamente ai parametri costitutivi della quantità e dell'intensità, della complessità ed efficacia tecnica del movimento). Per essere veramente adeguata, è necessario che la proposta di carichi di lavoro organizzati e pianificati risponda a una serie di fondamentali requisiti.

Essa, in sostanza, deve:

a) essere specifica, cioè mirata alla particolare specialità sportiva: la possibilità di orientare l'allenamento dipende dall'individuazione dei modelli teorici delle singole specialità, dalla precisazione delle caratteristiche tecniche, biomeccaniche, bioenergetiche, psicologiche, necessarie per effettuare una data specialità, e dunque per emergere in essa;

b) essere definita, almeno orientativamente, nell'obiettivo finale da raggiungere, cioè nel tipo e nel livello di prestazione cui il singolo atleta può arrivare nell'arco della carriera; ciò richiede un'attenta valutazione sia delle caratteristiche ereditarie individuali e, dunque, dei livelli di partenza delle qualità necessarie per emergere, sia della peculiare capacità di risposta dell'organismo all'allenamento, dal momento che non tutti gli organismi rispondono alla stessa maniera nel processo di adattamento al carico svolto;

c) essere determinata negli obiettivi intermedi da perseguire, intesi sia come livelli di prestazione via via crescenti da raggiungere, sia come scelta delle specifiche qualità psicofisiche da sviluppare e delle modalità pratiche da applicare per il loro sviluppo; e a questo proposito è opportuno ricordare che le qualità psicofisiche sono riconducibili a un'unica capacità organico-muscolare, ossia la forza muscolare con la sua gamma di modulazioni (come pura espressione di forza, come rapidità e velocità, come resistenza, come flessibilità), e a una serie di capacità coordinative, relative al complesso di funzioni nervose preposte al controllo e alla regolazione del movimento (capacità di combinazione dei movimenti, di orientamento spazio-temporale, di differenziazione, di equilibrio, di reazione, di ritmo, di trasformazione);

d) fondarsi su un'oculata scelta di esercitazioni per lo sviluppo delle capacità di base (esercitazioni fondamentali) e di quelle richieste dalla specialità sportiva (esercitazioni speciali o specifiche ed esercitazioni di gara), secondo il particolare modello della prestazione sportiva per la quale l'atleta si prepara;

e) essere individualizzata, cioè riferita al singolo atleta, alle sue caratteristiche ereditarie, all'età, alle fasi dello sviluppo psicofisico e di carriera, alla sua disponibilità alla prestazione agonistica, in base al principio che esiste una risposta individuale ai carichi di lavoro, ossia a ogni carico esterno proposto corrisponde una particolare risposta dell'organismo o, meglio, un peculiare carico interno (su tessuti, organi, apparati ecc.);

f) essere precisata nell'entità complessiva delle singole esercitazioni; ciò implica la necessità di affrontare il problema delle modalità di misurazione dei parametri del carico di lavoro, specialmente negli sport di destrezza, ove è difficile valutare l'entità dell'impegno proposto;

g) essere articolata in maniera da assicurare la corretta alternanza tra lavoro fisico e riposo e tra i carichi di maggiore impegno e quelli di più facile esecuzione e svolgimento (principio dell'alternanza e dell'andamento ondulatorio dei carichi);

h) essere pianificata e regolarmente distribuita nel tempo (a breve, medio e lungo termine), in modo da provocare la crescita continua e progressiva delle capacità chiamate in gioco e, dunque, delle prestazioni in competizione (principio del carico progressivamente crescente nel tempo e della sua opportuna collocazione in ambiti temporali definiti, con la suddivisione in cicli dell'intero processo di allenamento e la periodizzazione dei carichi di lavoro fisico);

i) porsi l'obiettivo finale di raggiungere, in coincidenza con le manifestazioni agonistiche, un'elevata condizione fisica orientata alla specialità praticata (fitness specifica) e poi, insieme alla forma sportiva, la capacità (per motivazione e disponibilità psicologica) di esprimerla realmente in competizione, ove può rendersi necessario, per il singolo atleta, produrre o la prestazione massima possibile in assoluto, o la migliore ottenibile relativamente alla carriera e alla preparazione (vincere anche senza ottenere un risultato eccellente in assoluto, non vincere ma conseguire, ugualmente, un'elevata prestazione, sulla base delle proprie capacità contingenti);

l) fondarsi su un programma di competizioni definite, volta per volta e periodo per periodo, nel numero, nel tipo e nel significato, sia ai fini dello sviluppo del processo di allenamento (competizione come mezzo di preparazione) sia ai fini del raggiungimento della massima capacità possibile di prestazione (competizione come fine, obiettivo finale, del processo stesso di allenamento).

4.

Formazione fisica giovanile e alta prestazione

Un discorso a parte merita, anche ai fini di una migliore comprensione della moderna complessità e articolazione del processo di allenamento, l'attenta distinzione che va posta tra la fase della formazione fisica giovanile attraverso il movimento, o dell'iniziazione allo sport, e quella dell'allenamento vero e proprio dell'adulto e dell'alta prestazione, pur trattandosi di fenomeni temporalmente in successione, funzionalmente collegati in un processo senza soluzioni di continuità. La formazione psicofisica generalizzata preliminare è non solo propedeutica, ma addirittura indispensabile per la futura specializzazione sportiva e per l'approfondimento sistematico della pratica del movimento nel processo dell'allenamento sportivo. Essa si fonda sulla proposta di una vasta gamma di attività, di gesti e di sequenze motorie, aventi per obiettivo quello di assicurare il possesso, ampio e stabilizzato, delle abilità e strutture principali, e di un livello sufficientemente elevato della qualità fisica fondamentale, la forza muscolare, e delle sue modulazioni. La formazione giovanile si realizza, cioè, secondo un progetto mirato di attività multilaterali (concetto della multilateralità estensiva), vera e propria strategia per arricchire il bagaglio di conoscenze motorie e di capacità di espressione delle diverse attitudini del bambino e dell'adolescente.

La necessità di esplorare e di ampliare al massimo la motricità giovanile, senza soffermarsi a lungo o troppo intensamente o addirittura esclusivamente su una o pochissime capacità e abilità (concetto di specializzazione prematura, che è sempre preferibile evitare), porta come conseguenza la possibilità di svolgere, nell'età adulta, ossia nella fase della completa maturazione psicofisica, i carichi di lavoro specifico richiesti dalla specialità sportiva particolare, al massimo livello di impegno (concetto della specializzazione approfondita, caratteristica dello sport di alto livello). Il concetto di multilateralità dei carichi ricorre per certi versi anche nell'allenamento dell'età adulta: in questo caso assume, però, il carattere di multilateralità speciale, riferita, cioè, a un ampio numero di mezzi di lavoro cosiddetti speciali.

Una precisazione ulteriore merita, inoltre, l'argomento 'prestazione atletica' (della quale si è già detto nella parte relativa ai requisiti fondamentali). È importante distinguere, a questo proposito, le due attuali tendenze che vanno manifestandosi nello sport e, perciò, anche nel moderno sistema di allenamento, per le diverse implicazioni pratiche che, seguendo l'una oppure l'altra, possono aversi nel processo di sviluppo dell'atleta e di costruzione della grande prestazione. Infatti, lo sport che punta all'estrinsecazione (per es. in chiave di competizione olimpica) delle capacità massime possibili di un atleta (competere solo quando si è sviluppata la grande condizione fisica e si può ragionevolmente pensare di essere in forma) è ben diverso (e diversamente organizzato) dallo sport che sfrutta l'attuale moderna tendenza a commercializzare la spettacolarità degli eventi sportivi, attraverso la continua richiesta, fatta all'atleta di media e alta qualificazione, di esibirsi e competere con altri sempre ad alto livello (anche quando non è in condizione elevata e avrebbe piuttosto bisogno di allenarsi oppure, a seconda delle esigenze, di riposare).

Nel primo caso, infatti, è fondamentale il ricorso a una struttura del processo di allenamento che prevede la distinzione tra periodi di preparazione, periodi di competizione e periodi di passaggio a un successivo ciclo di lavoro. In tale ottica si segue il principio, invero rigido e codificato dalla teoria classica dell'allenamento, per cui occorre prepararsi prima di competere, e competere solo se si è preparati e fino a quando la preparazione svolta consente di conservare la forma acquisita (concetto dell'andamento ondulatorio della forma sportiva, che non si può eludere), cosa impossibile da realizzare nel secondo caso, quando all'atleta è richiesto di competere in continuazione.

Riguardo all'aspetto tecnico-organizzativo, si è passati dall'iniziale concezione dell'allenamento come sistema di due elementi in equilibrio, l'atleta e l'allenatore, a quella di un team di esperti che guida e controlla l'allenamento sportivo. Questa però si è rivelata inadeguata, anche per la gravissima interferenza del fenomeno doping. La prospettiva attuale si fonda su una visione più complessa, con più articolazioni e soggetti in equilibrio: l'allenatore alla guida del processo, insieme con l'atleta a lui affidato; un insieme di esperti (medico, psicologo ecc.) che coadiuvano e facilitano il processo, ciascuno apportando la propria competenza ma senza interferire; l'ambiente esterno, considerato come l'insieme potenziale delle influenze, positive o negative rispetto al processo di allenamento, di diverse entità, quali lo Stato, la scuola e la società, la famiglia. L'allenamento sportivo, come del resto lo sport, non può più infatti essere ritenuto avulso dal contesto ambientale nel quale esso è immerso e del quale costituisce una testimonianza importante di sviluppo culturale, umano e sociale.

Il carico fisico

di Renato Manno


Il carico fisico è la causa principale dell'adattamento dell'organismo al processo di allenamento. La conoscenza approfondita delle sue caratteristiche, e degli effetti generali che esso comporta, permette di orientare l'allenamento in modo sempre più mirato alle necessità della formazione dell'atleta, tenendo conto della specialità prescelta. Tutto ciò è fondamentale nell'ambito della preparazione sportiva e non ha importanza minore nell'attività fisica generale, qualora ci si ponga l'obiettivo del miglioramento dell'efficienza fisica nelle diverse fasce di età.L'allenamento moderno è quantificato con sempre maggiore precisione attraverso indicatori in grado di descrivere l'attività fisica svolta nel corso delle diverse unità e gruppi di unità di lavoro. Le caratteristiche principali del carico sono: il livello di specificità, gli obiettivi, il grado di difficoltà coordinativa e la quantità.

Si dice carico generale (o aspecifico) quello che provoca, quale effetto della sua somministrazione, il miglioramento in forma globale di tutte le principali funzioni nell'attività motoria, in particolare delle capacità motorie. Il tipo di lavoro proposto per il carico generale non è direttamente legato alla disciplina sportiva. Si definisce carico specifico, invece, quello che sviluppa le funzioni e affina i comportamenti motori necessari per le attività specifiche delle diverse discipline sportive; in esso gli esercizi riprendono in parte l'attività di gara, senza necessariamente arrivare alla sua intera realizzazione.

Il carico generale ha un importante valore formativo ed è quindi di norma realizzato prima del carico specifico.Gli obiettivi raggiunti dallo svolgimento del carico fisico sono determinati dalle caratteristiche delle reazioni metaboliche causate dagli esercizi proposti, cioè dalle azioni e abilità motorie praticate, ma anche da altri elementi, quali il tipo e la durata del recupero, la durata del lavoro, e la frequenza delle sedute di allenamento.Il grado di difficoltà coordinativa è un elemento che non si può determinare quantitativamente in modo preciso; dipende dal compito proposto in relazione al livello raggiunto dall'atleta, e assume forme del tutto diverse negli sport di forza, in quelli di durata, nei giochi sportivi. Negli sport tecnico-combinatori, tra i quali ci sono la ginnastica, i tuffi, il golf, esso diventa uno dei punti di riferimento per l'apprezzamento della prestazione. La valutazione della difficoltà coordinativa è soggettiva, legata sostanzialmente all'esperienza dell'allenatore e dell'atleta, e serve per stabilire il livello di impegno psicologico durante l'allenamento.

Oltre al grado di difficoltà soggettivo, si tiene conto anche delle difficoltà di situazione e del numero totale degli errori commessi. Nei giochi sportivi, in particolare, azioni molto complesse e di grande impegno sono difficilmente rilevabili. L'impegno fisico si può stabilire mediante prove di laboratorio quali la misurazione della frequenza cardiaca, mentre l'impegno derivante dall'attenzione, la tensione psichica, lo stress delle diverse situazioni sono demandati a valutazioni soggettive che possono essere comparate solo con grande prudenza. L'aumento della difficoltà coordinativa corrisponde a un aumento del carico fisico.

Un parametro relativamente semplice da misurare è la quantità di lavoro; quantità (il numero di ripetizioni dell'esercizio, per es. un determinato percorso di lunghezza prestabilita) e durata (il tempo trascorso a svolgere il compito) formano il volume del carico. Gli esercizi che compongono il carico possono essere riferiti anche a un gruppo di abilità motorie. Nei giochi sportivi, l'analisi della frequenza delle prestazioni fisiche e tecniche, quali il numero degli scatti, delle azioni riuscite o fallite, hanno un importante valore informativo sul livello di impegno svolto nel corso di attività difficilmente riconducibili a misurazioni. L'impegno messo in atto da un atleta può cogliersi solo parzialmente attraverso il rilievo delle quantità: per es., è evidente che compiere 4 km di corsa a piedi a una velocità moderata e in terreno pianeggiante non equivale a coprire la stessa distanza su un percorso in salita o a ritmi molto sostenuti, cioè a una diversa intensità; analogamente, sollevare 10 volte un peso di 25 o di 50 kg ha un significato molto diverso, in quanto provoca effetti qualitativamente differenti.

La determinazione e la rilevazione dell'intensità sono indispensabili per stabilire lo sforzo compiuto, che deve essere sempre riferito alle capacità individuali di lavoro dell'atleta. L'intensità è più complessa da misurare della quantità; infatti, deve essere posta in relazione alle capacità massimali dell'atleta che spesso non sono determinabili in modo oggettivo e, anche laddove ciò è possibile, implicano uno sforzo non sempre opportuno. Inoltre, l'intensità deve tenere conto di due elementi importanti: il carico esterno e il carico interno.Il carico esterno è la misura di ciò che l'individuo compie rispetto all'ambiente, per es. la misura della velocità di un percorso; tale dato è il puro rilievo esterno di ciò che avviene, ma si deve tener conto del fatto che la velocità, poniamo, di 28 km/h può essere una prestazione normale di un ciclista professionista mentre può costituire un lavoro proibitivo per un cicloamatore che sia agli inizi dell'allenamento.

Per quantificare meglio ciò che avviene nel singolo atleta bisogna invece misurare il carico interno, cioè la reale fatica a cui lo si sottopone. Scegliere uno stesso carico interno per un principiante e per un atleta di buon livello significa scegliere due carichi esterni differenti: infatti, a uno stesso carico esterno, in due soggetti diversi, non corrisponde quasi mai uno stesso carico interno, e viceversa. Sul piano pratico ciò significa scegliere la velocità di corsa (carico esterno) che corrisponda a una frequenza cardiaca (carico interno) uguale in due individui. In sintesi, definiamo il carico esterno il carico misurabile indipendentemente dagli effetti provocati, mentre il carico interno lo si può definire come il carico che l'organismo subisce, indagabile attraverso le modificazioni biologiche e psicologiche o anche attraverso indicatori soggettivi quale la percezione della fatica.Il carico interno è di difficile rilevazione ed è in relazione con il carico esterno, ma solo nello stesso soggetto; inoltre, subisce importanti variazioni in funzione dello stato dell'individuo, in particolare nella sua storia a breve e medio termine rispetto all'allenamento fisico, ma anche rispetto al suo stato di riposo e di salute. Per es., un individuo che abbia lavorato intensamente per cinque giorni, qualora si sottoponesse a un carico esterno ulteriore, ne ricaverebbe molta più fatica perché quest'ultimo carico si somma a quello svolto in precedenza, ponendolo in condizioni di fatica rilevanti.

Tale fenomeno va tenuto in conto nella programmazione delle attività. Per es., in attività fisiche come la corsa a tappe si ha una sommatoria di fatiche che portano l'atleta a una modificazione del suo stato di rendimento verso la fine delle prove. Quantità e intensità sono due parametri che, pur descrivendo insieme le caratteristiche del carico, hanno un rapporto competitivo: all'aumento dell'una corrisponde necessariamente un decremento dell'altra. Una maggiore intensità consente, dunque, una minore quantità; l'aumento della quantità è possibile solo se corrisponde a una diminuzione dell'intensità.

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