ALGERIA

Enciclopedia Italiana - VI Appendice (2000)

Algeria

Alberta Migliaccio e Silvia Moretti
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(II, p. 451; App. I, p. 86; II, i, p. 128; III, i, p. 64; IV, i, p. 90; V, i, p. 110)

Geografia umana ed economica di Alberta Migliaccio

Popolazione

Il censimento demografico più recente risale al 20 aprile 1987, e allora la popolazione era di 23.038.900 ab.; secondo stime ufficiali, nel 1998 il numero degli abitanti era di 30.081.000. Nonostante sia in evidente declino, l'incremento demografico continua a mantenersi su livelli piuttosto elevati; tendono però a consolidarsi i sintomi di un progressivo superamento della fase più acuta della transizione demografica. I tassi di natalità vanno lentamente contraendosi e anche i tassi di mortalità si stanno attestando su quelli presenti nei paesi più evoluti. Nella prima metà degli anni Ottanta il tasso di incremento medio annuo si aggirava sul 30‰, mentre nella seconda metà era sceso al 26‰ e nel primo quinquennio degli anni Novanta al 23‰. Il tasso medio annuo di natalità, nell'intervallo 1990-95, era ancora attestato sul 29‰ mentre il tasso di mortalità risultava del 6,4‰.

La distribuzione della popolazione è fortemente condizionata dai fattori fisici e, rispetto al passato, è ancor più concentrata nelle principali città e nella fascia settentrionale del paese. Mancano dati relativi agli anni Novanta fuorché per la capitale, Algeri, che nel 1995 aveva una popolazione di 2.168.000 abitanti (3.702.000 nell'intera agglomerazione urbana). Nel 1987 la stessa ne contava 1,7 milioni circa (2,6 milioni nell'agglomerazione); superando largamente le altre principali città (Orano, poco meno di 600.000 ab.; Costantina, 450.000; Annaba, 230.000; Sétif, 186.000; Batna, 185.000). Complessivamente, sempre alla data del censimento del 1987, erano circa una ventina i centri urbani con popolazione superiore ai 100.000 abitanti.

Il clima insurrezionale e di violenza politica, che ha fatto seguito alle elezioni del 1991 e al loro successivo annullamento e che - alla fine del decennio - continua a protrarsi, ha alterato profondamente i quadri sociali, economici e territoriali dell'A. e ha confinato il paese in un progressivo isolamento internazionale. Il susseguirsi di gravissimi attentati dinamitardi e le altrettanto feroci risposte delle forze dell'ordine hanno reso precarie le tradizionali forme di vita organizzata e civile, oltre che scarse e poco attendibili le informazioni sulla situazione interna.

Condizioni economiche

La drammatica situazione politica in cui versa il paese ha avuto ripercussioni soprattutto in campo economico. I tentativi di diversificare l'assetto produttivo per renderlo meno dipendente dalle risorse del sottosuolo, attraverso un progressivo processo di liberalizzazione dell'economia e di incoraggiamento degli investimenti stranieri, sono continuamente frustrati dal clima d'incertezza che regna all'interno. Il forte debito estero viene fronteggiato attraverso l'esportazione degli idrocarburi, ma è sempre più evidente come la dipendenza algerina da petrolio e gas naturale renda l'economia del paese fragile e vulnerabile (per es., è troppo vincolata alle vistose oscillazioni dei prezzi sui mercati internazionali); d'altro canto il successo della strategia per la diversificazione produttiva è subordinato all'arresto dell'oltranzismo religioso degli integralisti islamici (i cui atti dinamitardi hanno come obiettivo, oltre che i fiancheggiatori del regime, soprattutto gli stranieri e le strutture economiche, v. oltre: Storia) e al ripristino di regole democratiche e di stabilità politica.

Oltre il 40% della popolazione algerina deve considerarsi rurale; nel tentativo di scongiurare forme accelerate di urbanizzazione, sono state introdotte misure per favorire la crescita dell'agricoltura. Il settore rimane comunque sovrappopolato a causa dell'elevatissima estensione di zone aride e semiaride, nelle quali si può praticare solo un'agricoltura di sussistenza, con mezzi tradizionali e con rese molto scarse. L'unica regione caratterizzata da una discreta fertilità è costituita dalla fascia costiera, e complessivamente si estende su poco più di 7 milioni di ettari. La maggior parte delle terre fertili è utilizzata per coltivare prodotti destinati all'esportazione, e se a ciò si somma il rilevante aumento della domanda interna, legato alla rapida crescita demografica degli anni passati, si spiega la forte diminuzione della capacità di autosostentamento del paese: attualmente i tre quarti dei prodotti alimentari destinati al consumo interno debbono essere importati. Peraltro, la situazione non è favorevole neanche per le colture tradizionalmente destinate all'esportazione (la quantità di vino prodotta si è dimezzata tra il 1988 e il 1995). La produzione agraria totale, in parte condizionata dallo sfavorevole andamento meteorologico, è in declino, i rendimenti unitari sono molto bassi e solo l'agrumicoltura ha mostrato capacità espansive. Il patrimonio zootecnico è in lieve aumento, ma il settore per svilupparsi richiede consistenti miglioramenti organizzativi (per es., potenziamento dell'approvvigionamento idrico, controllo delle malattie, allargamento dei pascoli, crescita delle capacità di stoccaggio).

Il vero fulcro dell'economia algerina continua a ruotare attorno alle risorse del sottosuolo. Il paese è ricco di ferro, fosfati, piombo, zinco e antimonio. Il monopolio della SONAREM (Société Nationale de Recherche d'Exploitations Minières) è stato smantellato e il settore è stato affidato ai capitali privati e agli investitori stranieri. Le funzioni di coordinamento delle imprese minerarie sono svolte da un ufficio per le ricerche geologiche e minerarie. Per quanto riguarda i minerali di ferro, va osservato che il loro tenore è particolarmente elevato, le produzioni però sono basse e in massima parte vengono esportate verso l'Italia. Gli idrocarburi rappresentano la grande ricchezza dell'A.: petrolio e gas naturale sono estratti in grandi quantità e in massima parte vengono esportati. La SONATRACH (Société Nationale de Transport et de Commercialisation des Hydrocarbures) continua a gestire tutto il comparto, e per potenziare lo sfruttamento sono stati stipulati accordi, oltre che con imprese statunitensi, italiane e spagnole, anche con aziende giapponesi. Il potenziale di raffinazione è stato ampliato e a questa operazione sono preposte ben tredici società locali.

Al settore manifatturiero sono state destinate grandi risorse finanziarie fin dai primi anni Settanta. La siderurgia, considerata di rilevanza strategica in virtù della sua caratteristica di propulsività nei confronti degli altri comparti industriali, è stata potenziata e, attualmente, la sua capacità produttiva sfiora i 2 milioni di t l'anno. Per molteplici motivi, a cui non è certamente estranea l'instabilità interna (più volte gli stabilimenti hanno subito azioni di sabotaggio), il tasso di utilizzazione degli impianti è però basso, essendo appena superiore al 50%. L'incremento delle capacità di raffinazione e il potenziamento dell'industria chimica rimangono obiettivi prioritari della politica industriale algerina. Per quanto riguarda gli altri comparti industriali, nel paese è presente un certo numero di aziende specializzate nella produzione di beni a media e bassa tecnologia destinati al consumo interno. Molto vivace è l'artigianato che tuttavia, come anche il turismo, soffre per la situazione di instabilità interna.

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Storia di Silvia Moretti

La violenza che dal 1992 ha tormentato senza tregua l'A. con il terribile bilancio di oltre 75.000 morti (alcune fonti hanno riferito addirittura di 100.000 vittime) è stata la testimonianza più evidente del fallimento del processo di democratizzazione avviato nel paese alla fine degli anni Ottanta. Lo scontro opponeva al fanatismo sanguinario degli 'islamisti', responsabili di innumerevoli massacri, l'autoritarismo del regime, spesso ostaggio delle gerarchie militari. Terza voce, minoritaria nel paese e vittima privilegiata della violenza dei gruppi armati islamici, quella delle forze laiche e democratiche operanti nella società.

Gli integralisti islamici (o gli islamisti, come si è cominciato a chiamarli accogliendo la loro stessa denominazione islāmiyyūn), emarginati nel paese all'indomani dell'indipendenza, si imposero nella seconda metà degli anni Ottanta come unica alternativa ideologica al regime, accusato da più parti di aver favorito, soprattutto durante la presidenza di Chadli (Šaḏilī) Ben Ǧadīd (1979-92), la corruzione, il degrado e l'ingiustizia sociale. Il progressivo venir meno degli obiettivi e degli ideali che avevano ispirato la 'rivoluzione socialista' e la politica di smantellamento dello stato sociale inaugurata da Chadli avevano canalizzato il forte malessere sociale verso il movimento islamista, già rinvigorito dalla clamorosa affermazione dell'āyatollāh Khomeini in Iran nel 1979 e deciso a contrastare le scelte moderniste del regime. Ma già nel corso degli anni Settanta e Ottanta era stata proprio l'élite politica e militare algerina a lasciar lievitare la consistenza del movimento islamista: le necessità impellenti di recuperare simpatie e consensi all'operato del regime avevano spinto la classe politica a regalare ampi spazi all'Islam, considerato una sorta di ammortizzatore del conflitto sociale e un utile puntello per il regime stesso. In quest'ottica vanno considerati la costruzione di migliaia di moschee a spese dello Stato, l'affidamento agli ῾ulamā᾽ (dotti religiosi dell'Islam) di ministeri considerati minori, come il culto, la giustizia e l'educazione, e soprattutto l'approvazione nel giugno 1984 di un codice di famiglia frutto di un evidente compromesso tra il regime e il movimento islamista. Questo sanciva nei fatti l'inferiorità della donna imponendole un tutore per potersi sposare, introducendo la poligamia e lasciando al marito la facoltà di chiedere il divorzio senza addurre motivazioni.

Il Fronte islamico di salvezza (FIS) - nato nel febbraio del 1989 e legalizzato nell'ottobre - fu il partito che riuscì a catalizzare il malcontento diffuso nel paese facendo leva soprattutto sui sentimenti di rivalsa dei ceti meno abbienti e degli emarginati, ma riuscendo a raccogliere anche il consenso dei ceti medi e dei commercianti delle città che dalla seconda metà degli anni Ottanta soffrivano i contraccolpi della crisi economica dovuta alla brusca contrazione delle entrate petrolifere. Nel giugno del 1990 il FIS raccoglieva il suo primo successo vincendo con circa il 55% dei consensi le elezioni amministrative, le prime aperte a tutti i partiti dopo la fine del regime a partito unico e che registrarono una forte astensione dal voto (circa il 35%).

La vittoria del FIS, che determinava un clima di forte incertezza politica nel paese, premiava una campagna elettorale improntata al populismo e all'appello pressante all'identità islamica della 'nazione' algerina. Nel corso dell'anno successivo i violenti scontri tra i militanti del FIS e le forze dell'ordine provocarono oltre quaranta vittime e le strade di Algeri si riempirono di simpatizzanti del movimento pronti a insorgere. Deciso a riprendere il controllo della situazione, il presidente Chadli sospendeva le elezioni politiche, in un primo tempo fissate per il mese di giugno, e ordinava l'arresto del presidente del FIS A. Madanī e del vice presidente A. Belhadj. Nel dicembre del 1991 il primo turno delle elezioni politiche registrava un nuovo successo del FIS (47,5%), sebbene inferiore a quello registrato appena un anno prima, e la sconfitta del Fronte di liberazione nazionale (FLN) con il 23,5% dei voti, vittima di un diffuso voto di protesta; la percentuale dei partecipanti al voto fu inferiore al 59%. Pochi giorni dopo il voto, nel gennaio del 1992, le dimissioni improvvise del presidente Chadli, imposte dai vertici dell'esercito, furono seguite dall'annullamento del previsto secondo turno elettorale decretato dall'Alto consiglio di sicurezza, un organismo preesistente che includeva il primo ministro e alcuni alti ufficiali. Un Alto comitato di stato guidato da uno dei padri della rivoluzione algerina richiamato dall'esilio, M. Būḍyāf, assunse i poteri presidenziali e dichiarò lo stato d'assedio. Promotrici del 'colpo di Stato' furono le alte gerarchie dell'esercito, decise a impedire a tutti i costi l'affermazione elettorale del FIS. Il generale K. Nezzār, ministro della difesa, divenne una delle figure più influenti del comitato, la cui legittimità fu subito contestata dai principali partiti; anche il FLN, ex partito unico, si oppose al nuovo regime che ostacolava il processo di democratizzazione del paese avviato nel 1989. La repressione del movimento islamista (6÷7000 militanti e simpatizzanti vennero arrestati e trasferiti nei campi di concentramento nel Sud del paese) provocò l'avvio di una violenta campagna terroristica contro il regime da parte dell'ala più dura del FIS, dichiarato fuorilegge dal tribunale di Algeri il 4 marzo del 1991. Gli attivisti più radicali del Fronte, entrati in clandestinità, si lanciarono nella lotta armata, facendo precipitare il paese in uno stato di profonda crisi, specie dopo l'assassinio del presidente Būḍyāf avvenuto nel giugno del 1992. Impegnato sul fronte della lotta al terrorismo e alla corruzione politico-finanziaria, Būḍyāf fu probabilmente vittima di ambienti della cosiddetta mafia locale (vertici militari, élites politiche ed economico-finanziarie), decisi a difendere i loro numerosi privilegi.

Tra il 1992 e il 1995 le forze integraliste intensificarono gli attacchi diretti soprattutto contro esponenti del mondo intellettuale e della società civile (specialmente donne) e contro cittadini stranieri. Giornalisti, insegnanti, scrittori, avvocati e lavoratori petroliferi furono le vittime principali di una battaglia condotta in nome della purezza religiosa e contro la corruzione morale favorita dal regime. Accanto all'Esercito di salvezza islamico (AIS), braccio armato del FIS, fu il Gruppo armato islamico (GIA), fazione estrema dell'integralismo algerino, l'organizzazione che più contribuì all'intensificazione dell'attività terroristica rivendicando l'assassinio di esponenti politici, compiendo stragi di civili e militari e lanciando una campagna di attentati in Francia. Nel gennaio 1994, esaurito il suo mandato, l'Alto consiglio di sicurezza decise lo scioglimento dell'Alto comitato di stato, e il generale L. Zeroual (Zirwāl), già ministro della Difesa ormai in pensione, venne nominato capo dello Stato per un periodo di tre anni. Nei primi mesi della sua presidenza Zeroual si distinse per un atteggiamento più conciliatorio rispetto ai suoi precedessori, concedendo gli arresti domiciliari ai leader del FIS imprigionati nel 1991 e rilanciando il dialogo con le opposizioni. L'iniziativa fallì anche per l'opposizione intransigente del GIA, che decise di lanciare una nuova campagna di attentati nel paese. Nel tentativo di sradicare la violenza e il terrorismo il regime, fortemente influenzato dai vertici militari, si rendeva responsabile di numerose violazioni dei diritti umani (detenzioni senza processi, scarse notizie sugli oltre 15.000 Algerini detenuti per attività terroristiche). Nel gennaio 1995 l'urgenza di trovare una soluzione alla profonda crisi che attraversava il paese spinse i principali partiti all'opposizione e in clandestinità - FLN, FIS e FFS (Fronte delle forze socialiste a base berbera) - a cercare tra di loro un'intesa. Gli accordi, firmati a Roma nella sede della comunità cattolica di Sant'Egidio, nel condannare l'uso della violenza e del terrorismo, invocavano la revoca dello stato d'emergenza e la costituzione di un governo di unità nazionale. Nonostante i firmatari garantissero la loro adesione al sistema multipartitico e il rispetto dei diritti delle donne e delle libertà fondamentali di lingua e di confessione religiosa, le loro dichiarazioni non furono prese in alcuna considerazione dal governo che decise di respingere senza possibilità di dialogo il documento.

Alle elezioni presidenziali convocate nel novembre 1995, svoltesi sotto la minaccia di violenze e attentati, fu eletto il presidente in carica Zeroual con il 61,34% dei voti. Boicottate dal FIS, dal FLN e dal FFS, le elezioni videro comunque la partecipazione di più del 75% dell'elettorato. Alla luce delle intimidazioni lanciate dai terroristi islamici, che avevano minacciato di uccidere chiunque si fosse recato ai seggi, il voto di novembre ebbe un profondo significato politico, quello di un netto pronunciamento del paese da un lato contro il terrorismo e dall'altro per la legittimazione dell'incarico del presidente Zeroual. Questa consultazione fu inoltre caratterizzata da un'alta partecipazione al voto delle donne, che, dopo lunghe battaglie, ottennero proprio nel 1995 l'abolizione della norma che permetteva agli uomini di votare per le donne della propria famiglia. Prima del 1991, presentando al seggio il solo libretto di famiglia, un uomo poteva votare per la moglie, la madre e le figlie; nel 1991 una prima revisione riduceva a tre deleghe la possibilità di voto per un uomo. A un anno dalle presidenziali, il 28 novembre del 1996, furono approvate per referendum alcune modifiche costituzionali che, oltre a riconoscere l'Islam come religione di Stato e a bandire dalla scena politica i partiti fondati su base religiosa o regionale, erano volte soprattutto a rafforzare i poteri del presidente con la creazione di una seconda camera i cui membri erano per circa un terzo di nomina presidenziale. Preceduto da una martellante propaganda di regime e svoltosi con l'ausilio di un massiccio impiego dell'esercito, il referendum fu boicottato da tutte le forze d'opposizione - con l'eccezione del FLN che ritornò ad allearsi con il governo - che ne contestarono i risultati e le stime ufficiali sui partecipanti al voto (79,8%).

Nel corso del 1997, soprattutto dal mese di giugno, i massacri della popolazione registrarono un grado di efferatezza mai raggiunto prima: anziani e bambini furono torturati e sgozzati nei villaggi attorno ad Algeri, mentre giovani donne vennero rapite, violentate e poi uccise dai terroristi. Alla fine di agosto, nonostante le dichiarazioni ottimiste rilasciate dal governo sulla sconfitta del terrorismo, o forse proprio per smentire quanto dichiarato, più di trecento persone furono massacrate in un singolo attacco nella regione di Blida, a ovest di Algeri, da sempre roccaforte del terrorismo islamista. In una situazione segnata da tali violenze, ma anche dai buoni risultati dell'economia nazionale, favorita dal rialzo del prezzo del petrolio e dalla ridefinizione dei tempi di pagamento del debito estero, nel giugno del 1997 si svolsero le elezioni legislative, annunciate dal regime come il 'coronamento della ricostruzione nazionale'. Dalla consultazione, caratterizzata da una bassa affluenza alle urne (il 65% secondo i dati ufficiali, molto meno secondo le opposizioni), uscì vincitore il partito del presidente, il Raggruppamento nazionale democratico (RND), che si aggiudicò 155 seggi. Secondo partito, con 69 seggi, il Movimento della società per la pace, partito islamico moderato fondato nel dicembre 1990 con il nome di Ḥamas: dopo il 1992, la messa fuorilegge del FIS favorì il partito islamico moderato di M. Naḥnaḥ diventato il portavoce delle aspirazioni del movimento islamista, che, molto pragmaticamente, decise di allearsi col presidente Zeroual. Buoni furono anche i risultati di Ennahda (al-nahḍa, "rinascita"), un'altra piccola formazione islamica (34 seggi). Al FLN andarono 64 seggi. Modesti furono i risultati ottenuti dai partiti democratici e d'opposizione: il FFS ottenne appena 20 seggi, e 19 il Raggruppamento per la cultura e la democrazia (RCD) guidato da S. Sadi, il più laico dei partiti algerini. Il voto delle politiche del 1997 non premiò di certo le forze indipendenti e democratiche del paese, coraggiosamente impegnate a combattere l'oltranzismo fanatico dei terroristi islamici cercando di rafforzare il pluralismo e di ridimensionare il potere dell'esercito, da più parti definito il vero arbitro della situazione algerina. Il cessate il fuoco proclamato dall'AIS, braccio armato del FIS, il 1° ottobre del 1997, non contribuì in alcun modo a fare luce sui massacri o a dipanare l'intricata matassa delle responsabilità, poiché troppi colpevoli sfuggivano ormai a ogni controllo. Molte voci denunciarono l'assenza voluta dell'esercito dalle zone più bersagliate dagli attentati e i forti interessi che la casta militare era andata maturando durante questi lunghi anni di conflitto, potendo manovrare in piena libertà: in un paese pacificato, infatti, i militari perderebbero irrimediabilmente il loro potere. Alla fine del 1997 si sono evidenziate nuove divisioni all'interno del regime: da un lato il fronte dei cosiddetti sradicatori radicali del terrorismo, guidati dal capo di stato maggiore M. Lamari (al-῾Amārī), numero due del regime, dall'altro il clan del presidente Zeroual. Altro uomo forte del paese M. Medienne (Midiyān), alias Tawfīq, il capo dei servizi segreti che ha condotto in segreto le trattative per il cessate il fuoco dell'AIS. Nei primi mesi del 1998, specialmente durante il mese di ramaḍān, nuove stragi nei villaggi sperduti del paese, obiettivo ormai preferito dai terroristi, provocarono molte centinaia di morti.

Nel corso del 1998, nonostante si registrassero i primi significativi successi contro i terroristi del Gia, frutto di massicci interventi militari, continuarono, seppure ridotte, le stragi della popolazione civile. Nel settembre le dimissioni improvvise di Zeroual aprirono la strada alle elezioni presidenziali del 15 aprile 1999 il cui vero protagonista sembrò essere ancora una volta l'esercito, che sosteneva Abdelaziz Bouteflika (῾Abd al-῾Azīz Bū Taflīqa), già braccio destro del presidente H. Boumedienne negli anni Settanta. A un giorno dalle elezioni il ritiro a sorpresa degli altri sei candidati, in segno di protesta per le irregolarità registrate già prima del voto, spianò la strada alla vittoria di Bouteflika che ottenne oltre il 73% dei consensi.

bibliografia

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