ALGEBRA OMOLOGICA

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1991)

ALGEBRA OMOLOGICA

Santuzza Baldassarri Ghezzo

(v. topologia, App:. III, 11, p. 960; algebra omologica, App. IV, I, p. 87)

Introduzione. - L'a.o. ha le sue origini nella teoria d'omologia di gruppi astratti che fu coinvolta nello studio di certi spazi topologici (W. Hurewicz, 1935), e che ora si riconosce aver avuto un precursore in I. Schur (1904).

In a.o. si costruiscono invarianti (omologia) di sistemi algebrici (gruppi, anelli, algebre), trattando essenzialmente con funtori derivati di funtori additivi in categorie abeliane (v. App. IV, i, p. 87), e con opportuni strumenti per il loro computo. Nelle categorie abeliane, l'autodualità degli assiomi che le caratterizzano offre un'importante trama per lo studio delle proprietà formali, tuttavia trattazioni sistematiche di a.o. sono state fatte operando nella categoria Aℳ, (ℳA), dei moduli a sinistra, (a destra), sopra un anello A con unità; e in effetti "ogni categoria abeliana ''ristretta'' ammette una ''immersione piena''" (v. categorie, App. IV, i, p. 390), "in una categoria di moduli sopra un appropriato anello, in modo tale che siano preservate le relazioni di esattezza" (P. Freyd-B. Mitchell).

mpio sviluppo ebbe perciò lo studio del comportamento di certi funtori, i più importanti dei quali sono Hom e ⊗ e i loro derivati Ext e Tor rispettivamente, su tutti i moduli di Aℳ. Si ricavano così informazioni sulla categoria stessa, e di conseguenza sull'anello A, in quanto "esiste una condizione necessaria e sufficiente su una coppia di anelli A e B, perché le loro categorie Aℳ e Bℳ siano equivalenti" (teorema di K. Morita); e in particolare, se A e B sono commutativi, questa condizione richiede che essi siano isomorfi. Trattando l'azione dei suddetti funtori sui moduli speciali, cioè sui moduli proiettivi, iniettivi e piatti (v. App. III, ii, p. 960) della categoria in oggetto, Ext e Tor si rivelarono validi strumenti per approfondire lo studio di questi moduli speciali e di certe "dimensioni" di moduli e anelli nel confronto con essi.

In a.o. viene inoltre fornita una tecnica sistematica per la computazione dei gruppi Ext e Tor, mediante quelle successioni omologia (inventate da J. Leray, 1946, per il caso della coomologia, e indipendentemente notate da R.C. Lyndon, 1946), che sono le sequenze spettrali, ormai diffusamente presenti nell'a.o. e nelle sue applicazioni, per la costruzione e l'approssimazione di oggetti richiesti dai problemi di natura omologica.

I moduli speciali, e in particolare i proiettivi, hanno giocato un ruolo importante nell'algebra fin dalla loro introduzione negli anni Cinquanta, con l'avvento dei metodi omologici. Essi hanno attirato massimo interesse alla loro interazione con l'anello degli scalari, in relazione alla cosiddetta congettura di Serre, cioè a un problema, riguardante i moduli proiettivi sopra anelli d'una particolare classe, posto da J.-P. Serre nel 1955. A questo problema, che aveva motivazioni in topologia e in geometria algebriche, lavorarono algebristi di tutto il mondo, ed esso fu del tutto risolto, indipendentemente e contemporaneamente, nel gennaio 1976 da D. Quillen negli Stati Uniti, e da A. A. Suslin nell'Unione Sovietica.

Questo problema, oltre a far scoprire notevoli informazioni sulle categorie di moduli, diede origine anche ad altri sviluppi matematici. Per es. sono stati i tentativi di risolverlo che hanno fornito, negli anni Sessanta, il maggiore stimolo alla nascita e a un grande rapido sviluppo, per opera di molti autori e particolarmente di H. Bass, della K-teoria algebrica; il problema di Serre rimase però, alla fine, al di fuori di essa. A titolo esplicativo va precisato che la K-teoria algebrica è incentrata sullo studio di certi funtori Kn dalla categoria degli anelli con unità a quella dei gruppi abeliani, per fornire un insieme d'invarianti (H. Bass, 1968; R. Swan, 1968; J. Milnor, 1971), che hanno trovato importanti applicazioni in topologia e in teoria dei gruppi.

In generale l'a.o., con i metodi e gli strumenti che ha creati, è penetrata profondamente in molte branche della matematica, così che oggi risultati e sviluppi di a.o. vanno raccolti anche nei campi stessi delle sue applicazioni e delle teorie che da essa sono state originate; soprattutto in topologia algebrica, geometria algebrica, teoria dei gruppi (dove la coomologia è diventata importante strumento d'indagine), in teoria delle categorie e in K-teoria. Infine sono stati recentemente compilati programmi per il calcolatore rivolti al computo della coomologia di alcuni gruppi di termini si sequenze spettrali.

Molteplici sono gli sviluppi teorici dell'a.o.: coomologie di sistemi diversi, categorie derivate, teoria dell'omologia di categorie ristrette, a.o. non abeliana, oltre alle generalizzazioni dell'a.o. relativa (v. App. IV, i, p. 90), dove vengono ampliate le situazioni nelle quali può svilupparsi una teoria di funtori derivati in una categoria abeliana A, mediante nuove definizioni di oggetti proiettivi in A (ε−proiettivi e, dualmente ε−iniettivi relativamente a una sottoclasse ε della classe di tutti gli epimorfismi in A). Si ha una teoria di ε−satelliti (ε sinistra) d'un funtore additivo H:A→ℬ, i quali, se H è ε−esatto a destra, coincidono con i funtori ε−derivati a sinistra di H. Infine si ha anche una J−omologia (v. App. IV, i, p. 89), relativa e sue applicazioni, definita prescrivendo classi proiettive di epimorfismi in una categoria di funtori [U, A].

Moduli e anelli speciali. Congettura di Serre. - Sia A un anello con unità e M un A-modulo a sinistra. Se X=(xi)I è un insieme di generatori di MεA e I è finito con n elementi, allora esiste una sequenza esatta AnM→0, e si dice che M è finitamente generato (scriveremo f.g.); se esiste anche una sequenza esatta ApAnM→0, si dice che M è di presentazione finita. Se comunque in m = 〈\001.0fr> gli ai sono univocamente determinati da m, si dice che M è libero con base X, e se I è finito con n elementi allora è MAn. Dalla definizione di modulo proiettivo (v. App. III, ii, p. 960), risulta che un A-modulo (a sinistra) è proiettivo se e solo se esso è un sommando diretto di un modulo libero. Inoltre un modulo MεAℳ è detto essere stabilmente libero se esiste un modulo libero LAr tale che ML sia libero; così ogni modulo libero è stabilmente libero, ma la definizione è buona se M stesso è f.g., cioè se è MArAs, e ciò perché M. R. Gabel, nel 1972 (T.Y. Lam, 1976), ha provato che ogni modulo stabilmente libero e non f.g., è in realtà libero; però esistono esempi di moduli stabilmente liberi che non sono liberi (I. Kaplansky, R. G. Swan, 1962; M. Kong, 1977).

Ovviamente ogni modulo libero, e anche ogni modulo stabilmente libero è proiettivo. Se un anello A è tale che ogni A-modulo (a sinistra) f.g. stabilmente libero è libero, si dice che A è un anel lo hermitiano a sinistra, ed è stato dimostrato che sono hermitiani gli anelli commutativi che hanno la seguente proprietà delle co lonne unimodulari: per ogni n, ogni α=(a1,...,anAn, tale che sia 〈\002.0fr> con biεA, fornisce la prima colonna di qualche matrice n×n invertibile su A, cioè α=Mε, dove MεGL(n, A), ed ε è il vettore colonna con primo elemento 1 e gli altri 0 (J.P. Serre, 1957; D. Lissner, 1967; R. Swan-J.Towber, 1975; M. Krusemeyer, 1975). J.-P. Serre aveva dimostrato il seguente teorema: se k è un corpo, e A è un anello di polinomi su k, A=k [t1,...,tn], allora ogni A-modulo proiettivo f.g. è stabilmente libero; e nel 1955 aveva aperto il problema (congettura di Serre) se sopra siffatti anelli ogni modulo proiettivo f.g. fosse libero; problema che può dunque tradursi in quello di vedere se questi anelli sono hermitiani.

H. Bass (1963) provò che sopra gli anelli A=k[t1,...,tn], dove k è un corpo, ogni modulo proiettivo non f.g. è libero; perciò, nel caso di moduli non f.g. sopra questi anelli, i liberi, gli stabilmente liberi e i proiettivi, danno la stessa classe di moduli di Aℳ. Però ci sono anelli unitari sui quali esistono moduli proiettivi non liberi. Inoltre ogni modulo proiettivo è piatto (v. App. III, ii, p. 960); ma ci sono anelli unitari sui quali esistono moduli piatti che non sono proiettivi.

In generale nella categoria Aℳ degli A-moduli a sinistra sopra un anello unitario A, il concetto di A-modulo proiettivo generalizza quello di libero, e il concetto di modulo piatto, quello di proiettivo; ma condizioni su A agiscono sui moduli speciali di Aℳ, e viceversa. Per es., ogni A-modulo a sinistra è proiettivo (iniettivo), se e solo se A è un anello semisemplice (a sinistra), cioè se A è una somma di suoi ideali (a sinistra) minimali. Oppure se l'anello è noetheriano a sinistra, cioè se tutti i suoi ideali sinistri sono f.g., allora ogni A-modulo piatto f.g. è proiettivo. Inoltre un anello A con un unico ideale a sinistra, (destra), massimale, si dice che è un anello locale. Se A è un anello commutativo con unità, p un suo ideale primo ed S=A-p, allora l'anello S-1A delle frazioni formali di A è un anello locale, detto la localizzazione Ap di A in p; e se A è commutativo noetheriano, allora Ap è commutativo noetheriano e locale. Anche la localizzazione A(t)=S-1A[t], di A[t] sull'insieme S di tutti i polinomi con coefficiente conduttore 1, è un anello locale. I. Kaplansky (1958) provò che sopra un qualunque anello locale tutti i moduli proiettivi sono liberi. Infine, anche se A è un dominio d'integrità a ideali principali ogni A-modulo proiettivo è libero.

Risultava allora che, poiché l'anello dei polinomi A=k[t] in una variabile sopra un corpo k è un dominio d'integrità a ideali principali, il problema di Serre aveva risposta positiva nel caso n=1.

Risposta positiva gli venne anche data per n=2, da S. Seshadri nel 1958, dopo di che si ebbero, per il caso n=1, generalizzazioni di J.-P. Serre (1960-61) e H. Bass (1962). Si vide che per n=1 la risposta rimane positiva per i k[t]-moduli, anche se k non è un corpo ma un anello a divisione (I. Kaplansky); però M. Ojanguren e R. Sridharan (1971) dimostrarono che se k è un anello a divisione non commutativo (non un corpo), esistono moduli proiettivi non liberi su k[t1, t2].

Nel 1974 M. P. Murthy e J. Towber dimostrarono che sono Hermitiani gli anelli k[t1, t2, t3], nel caso che k sia un corpo algebricamente chiuso.

Un ruolo cruciale nella soluzione cercata ebbe un teorema che G. Horrocks aveva formulato e dimostrato in termini geometrici nel 1964, e che forniva come condizione sufficiente perché un modulo proiettivo f.g. sull'anello R[t], con R anello locale commutativo, fosse libero, il fatto che lo fosse lo R(t)-modulo P(t)=R(t) 〈\003.0fr> P (teorema locale di Horrocks in forma algebrica; H. Bass, 1972); questa condizione, si vide più tardi, è valida anche se R è un anello commutativo qualsiasi (teorema affine di Horrocks). Al teorema locale seguì l'importante risultato (M. P. Murthy e G. Horrocks, 1964-66), che se A è un anello locale regolare commutativo, contenente catene di ideali primi I0 〈\004.0fr> R di lunghezza 2, e non più di 2, allora ogni A[t]-modulo proiettivo f.g. è libero. Un anello commutativo A è regolare se esso è noetheriano, ogni A-modulo M f.g. ammette una risoluzione proiettiva (v. App. IV, i, p. 88), finita di lunghezza n, 0→Pn→. . →P0M→0, con ogni Pi f.g., ed n dipendente da M.

Già qualche anno prima delle dimostrazioni della congettura di Serre da parte di D. Quillen e A. A. Suslin, si vide che un'opportuna forma affine del teorema di G. Horrocks sarebbe stata sufficiente per fornire ad essa una risposta affermativa (M. P. Murthy, 1972). Per l'importanza che esso ha effettivamente avuto in questa soluzione, il teorema locale di G. Horrocks, nella sua forma algebrica, venne poi ripreso e ne furono date diverse dimostrazioni puramente algebriche (R. Swan, H. Lindel, P. Roberts, 1976).

In effetti D. Quillen dimostrò che se A è un anello commutativo, allora un A[t1,...,tn]−modulo M di presentazione finita è esteso da A (cioè esiste un A−modulo N tale che sia MA[t1,...,tn] 〈\005.0fr> N), se e solo se per ogni ideale massimale m di A, lo Am[t1,...,tn]-modulo Mm=MAm[t1,...,tn] è esteso da Am. Con ciò, e usando il teorema locale di Horrocks (in forma algebrica), provò che certe classi α di anelli sono tali che per ogni n(1 e per ogni Aεα, gli A[t1,...,tn]-moduli proiettivi f.g. sono estesi da A; e infine che la classe di tutti i corpi è di questo tipo α, concludendo perciò (gennaio 1976) che, poiché i k-moduli sono liberi, lo sono anche i k[t1,...,tn]-moduli proiettivi f.g. (teorema di D. Quillen e A. A. Suslin). E questa è la risposta alla congettura di Serre, per tutti gli n e per tutti i corpi.

Alla stessa conclusione, pure nel gennaio 1976, arrivò, con metodo di verso, anche A. A. Suslin. Infatti, visto che dal teorema di Serre (citato sopra) segue che se l'anello A=k[t1,...,tn], dove k è un corpo, gode della proprietà delle colonne unimodulari, allora ogni A-modulo proiettivo f.g. è libero, Suslin provò che se B è un anello commutativo, ed f(yB[y] è un polinomio monico, cioè con coefficiente conduttore 1, di grado s(1, e g(y)=b1ys-1+...+bsεB[y] è di grado al più s-1, allora per ogni j, 1≤js, l'ideale (f(y), g(y)) in B[y], contiene un polinomio di grado al più s-1 e coefficiente conduttore bj. Diede inoltre una dimostrazione del fatto (Horrocks), che se B è locale ed è A=B[y], allora una colonna unimodulare α=(a1,...,anAn, nella quale qualche ai sia monico, è prima colonna d'una matrice invertibile sopra A; e che se B è un dominio d'integrità e α(y)=(ai(y)) è una colonna unimodulare sopra A=B[y], nella quale una componente sia un polinomio monico, allora è α(y)=M(y)β, dove M(yGL(n,A) ha come elementi polinomi in y e β è una colonna unimodulare sopra B. Infine usando un risultato contenuto in un teorema di Noether (lemma di normalizzazione), dimostrò (gennaio 1976) che A=k[t1,...,tn], dove k è un corpo, ha la proprietà delle colonne unimodulari; e quindi che se k è un corpo, ogni k[t1,...,tn]-modulo proiettivo f.g. è libero (teorema di D. Quillen e A. A. Suslin).

Prove elementari di questo teorema furono date successivamente da A. A. Suslin (maggio 1976), e da L. N. Vaserstein nello stesso anno. È anche vero che se A è un dominio d'integrità a ideali principali, ogni A[t1,...,tn]-modulo proiettivo f.g. è libero (D. Quillen-A. A. Suslin). Inoltre J. W. Brewer e D. L. Costa (1978) dimostrarono che la classe di tutti gli anelli di Bézout (domini d'integrità in cui ogni ideale f.g. è principale), nei quali gli ideali primi non nulli sono massimali, è una classe del tipo α; e perciò se A è un anello di questa classe, poiché ogni A-modulo è libero, lo è anche ogni A[t1,...,tn]-modulo proiettivo f.g. Altri anelli A, per i quali ogni A[t1,...,tn]-modulo proiettivo f.g. è libero, sono gli anelli di serie di potenze formali A=k[[x1,...,xn]], dove k è un corpo; questo risultato fu dimostrato, indipendentemente, da H. Lindel e W. Lütkebohmert (1976) e da N. Mohan-Kumar (1976-77).

Dimensioni omologiche di moduli e anelli. - L'attività di ricerca, provocata dal problema di Serre, ha portato ad affinare la conoscenza della struttura di modulo e anello, con attributi importanti per molte applicazioni.

Sia A un anello con unità, ed M un A-modulo a sinistra. Si dice che M ha dimensione proiettiva pd(M)≤n, se esiste una risoluzione proiettiva di M, di lunghezza n. Per ogni A-modulo a sinistra M, sono equivalenti le seguenti affermazioni: (1) pd(M)≤n; (2) Extk(M,N)=0 per tutti i moduli N e tutti i kn+1; (3) Extn+1 (M,N)=0 per tutti i moduli N; (4) in ogni sequenza esatta 0→K→Pn−1→ . . →P0M→0 di A-moduli in cui ogni Pi sia proiettivo, anche K è proiettivo. Dunque la dimensione proiettiva d'un modulo misura, in un certo senso, quanto esso è lontano dall'essere proiettivo, ed è strettamente legata ai funtori Extk(M,-). Si chiama dimensione globale proiettiva sinistra, lpD(A), dell'anello A, l'estremo superiore delle pd(M), per tutti i moduli MεAℳ.

Si definisce dualmente la dimensione iniettiva di un modulo e la dimensione globale iniettiva sinistra liD(A), dell'anello A; per ogni anello A, è lpD(A)=liD(A), e questo valore comune si chiama la dimensione globale sinistra, lD(A), dell'anello A.

Con i moduli di ℳA si definisce la dimensione globale destra rD(A) dell'anello A.

Il primo esempio di un anello per il quale le dimensioni globali sinistra e destra differiscono fu dato da I. Kaplansky (1958); e A.V. Jategaonkar (1969) provò che se è 1≤mn≤∞, allora esiste un anello A con lD(A)=m ed rD(A)=n. Lo stesso fenomeno (ma con n finito) fu indicato da R. Fossum-P. Griffith-I. Reiten (1975). Si trovarono relazioni fra anelli speciali e loro dimensioni globali, e fra gli ideali d'un anello A e le sue dimensioni globali (C.U. Jensen, 1966; B. L. Osofsky, 1968 e 1973). Furono inoltre sviluppati metodi per il computo delle dimensioni globali, le quali in un certo senso misurano quanto un anello è lontano dall'essere semisemplice.

In un anello A commutativo noetheriano locale con ideale massimale m esiste una più lunga catena d'ideali primi p0p1⊃ . . . ⊃pd, e il numero d è detto la dimensione (diKrull) di A, Dim(A); essa è minore o eguale della dimensione V(A) dello spazio vettoriale m/m2 su A/m, ed è Dim(A) = V(A) se e solo se l'anello locale A è regolare.

Un'altra dimensione omologica si definisce usando moduli piatti e Tor precisamente se M è un A-modulo a destra, si chiama dimensione piatta di M, fd(M), il più piccolo intero n≥0, se esiste, tale che M ammetta una risoluzione piatta finita 0→Fn→ . . .→F0M→0; e le seguenti affermazioni sono equivalenti per ogni A-modulo a destra M: (1) fd(M)≤n; (2) Tork(M,N)=0 per tutti i kn+1 e tutti gli A-moduli a sinistra N; (3) Torn+1 (M,N)=0 per tutti gli A-moduli a sinistra N.

Anche per i gruppi si hanno nozioni di dimensione e proprietà notevoli a esse legate, specie in condizioni di finitezza. Molti risultati su questo argomento sono stati ottenuti in relazione agli studi sulla coomologia di gruppi (R. Bieri, 1976; J.-P. Serre, 1979; K. S. Brown, 1976-82; R. Strebel, 1976; U. Stuhler, 1980).

Sequenze spettrali. - Un notevole strumento per lo studio degli invarianti omologici dei sistemi algebrici è fornito dalle sequenze spettrali.

Se ℬ è la categoria dei moduli bigraduati sopra un anello A, M={Mpq±, (p,qZ × Z, un differenziale d:M→M di bigrado (a,b) su M, è una famiglia di omomorfismi dpq:MpqMp+a q+b, uno per ogni p,q, con d2=0, e l'omologia di (M,d) è il modulo bigraduato {Hpq(M)}={ϰ(dpq)/ζm(dp−a q-b)}. Allora una sequenza spettrale E={(En,dn)} n=1,2,.., in ℬ è una successione E1,E2,... di A-moduli bigraduati, ciascuno con un differenziale dn di dato bigrado, e con un isomorfismo H(En,dn)≅En+1 di moduli bigraduati per ogni n=1,2,...; dunque se ogni En+1 è il modulo omologia bigraduato di (En,dn), En e dn determinano En+1, ma non necessariamente dn+1. Se E′ è una seconda sequenza spettrale in ℬ, un morfismo f:E→E( è una famiglia di omomorfismi fn:En-E(n n=1,2,.., di moduli bigraduati, ognuno di bigrado (0,0), con dn·fn=fn·dn e tale che ogni fn+1 è indotto da fn sulla omologia; si ha una categoria di sequenze spettrali in ℬ.

Coppie esatte e funtore sequenza spettrale. - Sequenze spettrali in una data categoria si ottengono per più vie, per es. tramite "coppie esatte" (W. S. Massey, 1952), le quali si producono in diversi procedimenti dell'a. o. fornendo utili risultati concreti. In ℬ, una coppia esatta consiste di due moduli bigraduati D={Dpq}, E={Epq}, con i morfismi α, β, γ, di dati bigradi (a,a′), (b,b′), (c,c′) rispettivamente, tali che si abbia un triangolo

〈\006.0fr>

E esatto in ogni suo vertice. Se C={D,E; α,β,γ} e C′={D′, E′; α′,β′,γ′} sono due coppie esatte, un morfismo ϕ:C→C′ è una coppia di morfismi λ:D→D′, μ:E→E′ tali che sia α′·ë=ë·α, β′·ë=μ·β, γ′·μ=λ·γ. Si ha così una categoria di coppie esatte di moduli bigraduati sopra un fissato anello A. Una coppia esatta C={D,E;α,β,γ} può rappresentarsi con un diagramma di A-moduli e omomorfismi, nel quale si hanno infinite sequenze esatte lunghe come la

〈\007.0fr>

aventi a due a due i termini D in comune.

Viceversa date infinite sequenze esatte di questo tipo, esse possono rappresentarsi con una coppia esatta che permette una maneggevole organizzazione dei dati.

Inoltre si definisce un funtore dalla categoria delle coppie esatte alla categoria delle sequenze spettrali in ℬ, usando la procedura seguente: si consideri la coppia esatta C di moduli bigraduati rappresentata in [1], e si osservi che il morfismo composto d=β·γ:EE è un differenziale su E, di bigrado (c+b,c′+b′), e il modulo bigraduato omologia H(E,d) è H(E,d)pq=k(dpq)/ ζm(dp−b-c q-b′−c). Posto E1=H(E,d) e D1=a(D)⊂D, si costruisca il triangolo

〈\008.0fr>

con i morfismi α1, β1, γ1 definiti come segue, α1:D1D1 è indotto da α per restrizione, perciò ha lo stesso bigrado di α; β1:D1E1 è indotto da β·α−1, precisamente si pone β1(y)={β(x)+d(E)}εE1, così β1 è ben definito, e ha bigrado (−a+b,-a′+b′); infine γ1:E1D1 è indotto da γ su E1=(d)/ℑm(d) ponendo per ogni e ε(d), γ1{e+d(E)}=γ(e), e γ1 ha dunque lo stesso bigrado di γ. Inoltre ponendo d11·γ1=βα−1·γ si ha un differenziale di bigrado (−a+b+c,- a′+b′+c′) su E1. Così {D1, E11, β1, γ1} è una coppia esatta di moduli bigraduati, essa è detta la coppia derivata di C. Iterando questa costruzione si ottiene una successione di coppie esatte di moduli bigraduati

dove ogni Er è un modulo omologia, la coppia derivata r-esima di C è la {Dr,Errrr}, e il differenziale drr·γr:ErEr, è indotto da β·α−r·γ. La procedura descritta definisce inoltre un funtore sequenza spettrale {D,E;α,β,γ}→ {(Er,dr)}r=1,2,... Si usa inserire nella sequenza spettrale della coppia esatta un termine iniziale (E0,d0)=(E,d=β·γ), ottenendo la{(Er,dr)} r=0,1,.... Molti autori considerano invece come primo elemento della successione [3] la coppia esatta C={D,E;α,β,γ}, nel quale caso E1=E è dato e non ottenuto per omologia. Filtrazioni e sequenze spettrali. - Nelle applicazioni dell'a.o. sequenze spettrali sorgono spesso direttamente da "oggetti differenziali filtrati" in una categoria abeliana, i quali peraltro sono anche la più comune fonte di coppie esatte. In una categoria C, una filtrazione F di un oggetto AεC è una famiglia {FpA} pεZ, di sottooggetti di A in C, tali che sia

e un morfismo di oggetti filtrati α:AA′ è un morfismo α:A→A′ in C tale che sia α(FpA)⊂FpA′. Tramite i termini della (1) si costruisce un oggetto graduato in C, Gr(A,F), associato all'oggetto filtrato A, la cui componente p-esima è il sottoquoziente FpA/Fp−1A di A.

In una categoria Cd di oggetti differenziali in C, una filtrazione F di X=(A,d)εCd, è una filtrazione di A in C tale che sia d(FpA)≤FpA per ogni p; e i morfismi di oggetti filtrati in Cd rispettano la filtrazione e commutano con i differenziali. Inoltre, data una filtrazione F di X, Gr(X,F) è un oggetto differenziale graduato che è anche un oggetto graduato differenziale, per cui si può trovar l'omologia H(Gr(X,F)). D'altra parte se in{FpX} si prende per ogni p, l'omologia H(FpX)εϕ, si deduce una filtrazione F di H(X), dove FpH(X) è l'immagine di H(FpX) in H(X) indotta dalla iniezioneFpX→X, e si ha l'oggetto graduato Gr(H(X), F); in definitiva anche così si associa all'oggetto differenziale filtrato un oggetto graduato in C. Ma è (Grℏ)(X,F)= Gr(H(X),F) ≠H(Gr(X,F)) =(H·Gr)(X,F ).

In particolare nella categoria abeliana dei complessi catena (v. App. IV, i, p. 88), sia F una filtrazione d'un complesso C, allora l'inclusione i:FpC→C induce sulla omologia un'iniezione di moduli graduati H(i):H(Fp C)→H(C), ed F induce una filtrazione F di H(C), ove si prenda FpH(C)=H(i)(H(FpC)), per cui si ha il complesso graduato Gr(H(C),F) . D'altra parte C={Cn}è un modulo graduato, allora la filtrazione F di C determina una filtrazione di ogni Cn, e il differenziale del complesso C induce omomorfismi di A-moduli ∂:FpCnF pCn-1 per ogni p e ogni n; così la famiglia {FpCn} (p,nZ × Z, è un modulo bigraduato con un differenziale ∂ di bigrado (0,−1). Inoltre poiché ogni quoziente FpC/Fp- 1C è un complesso, componente del complesso graduato Gr(C,F), questo è un modulo bigraduato differenziale il cui modulo omologia H(Gr(C,F)) ha per componenti Hn(FpC/Fp-1C). Molti autori assumono come indici di graduazione (p,qZ×Z, dove p è il grado di filtrazione, e q=n-p è il grado complementare.

Si dimostra che ogni filtrazione F d'un complesso C determina una sequenza spettrale di moduli bigraduati {(En,dn)} n=1,2,..., con differenziali dn di bigrado (−n,n-1), indotti dal differenziale di C e con E1 legato ad H(Gr(C,F)) da isomorfismi naturali E1, pqHp+q(F pC/Fp-1C). D'altra parte ogni filtrazione F d'un complesso C={Cn} determina una coppia esatta come segue. Si consideri per ogni p la sequenza esatta corta di com plessi 0→Fp-1C- FpC→FpC/Fp-1C→0 che fornisce la sequenza esatta d'omologia

(v. App. IV, i, p. 88). Nella [2] si ponga Dpq=Hp+q (FpC) ed Epq=Hp+q (FpC/Fp- 1C), (p+q=n), e allora essa diventa, per ogni p, . . . . . . con α, β e γ rispettivamente di bigradi (1,−1), (0,0) e (−1,0), e α fornisce (v. la [2] nel paragrafo precedente) la coppia esatta {D,E;α,β,γ} della filtrazione F di C. Non necessariamente però una coppia esatta proviene da una filtrazione, un esempio ne è la coppia esatta di M. Bockstein per un complesso di gruppi abeliani privi di torsione (W. Browder, 1961). Ora tramite il funtore sequenza spettrale, una coppia esatta di moduli bigraduati {D,E;α,β,γ}, con mappe di bigradi (1,−1), (0,0), (−1,0) rispettivamente, determina una sequenza spettrale {(En,dn)} con dn=bn·gn n=1,2,..., di bigrado (−n,n- 1). Si verifica che la sequenza spettrale di F è isomorfa a quella della coppia esatta di F. Molte utili filtrazioni provengono da strutture algebriche dette ''bicomplessi''. Un bicomplesso è un modulo bigraduato K={Kq}, (p,qZ × Z, con due endomorfismi δ′, δ′′, di bigradi (−1,0), (0,−1) rispettivamente, detti i differenziali di K, tali che sia δ′·δ′=0, δ′·δ′′+δ′′·d′=0, δ′′·δ′′=0.

Convergenza di sequenze spettrali. - L'uso delle sequenze spettrali come una tecnica per risolvere i problemi di natura omologica, coinvolge una nozione di ''convergenza'' di una sequenza spettrale E={(En,dn )} di moduli bigraduati a un modulo limite E, il quale in un certo senso viene approssimato dagli elementi En al crescere di n. In molte applicazioni E è raggiunto dopo un numero finito di passi; altrimenti i termini di E danno comunque informazioni su E, oppure viceversa. In effetti una sequenza spettrale E={(En,dn )}, n=1,2,..., di moduli bigraduati può esser descritta in termini di sottomoduli di E1, e si può definirne il termine limite E (il quale in certi casi è correlato in modo ben definito con un oggetto che si vuole studiare). S'identifichi En+1 con H(En,dn) per ogni n=1,2,..., sia Cn il sottomodulo di En costituito dagli elementi che sono cicli per dn, cioè Cn= (dn), e sia σ=σn,n+1: :CnEn+1= (dn)/ℑm(dn) la suriezione canonica sul quoziente. Detto Bn il sottomodulo ℑm(dn) in En, abbiamo allora 0⊂BnCn En, ed En+1=Cn/ Bn è un sottoquoziente di En; inoltre dn+1:Cn/Bn→C/Bn avrà ζm(dn+1)= Bn+1/Bn⊂ ϰ (dn+1)=Cn+1/BCn/B n, e perciò si ricava, per ogni n=1,2,..., una sequenza BnBn+1 Cn+1Cn, potendo allora costruire, per successive iterazioni, la sequenza di sottomoduli bigraduati di E1 0⊂B1B2⊂ ...⊂...⊂C2C 1E1.

Si pone C=〈\013.0fr>Cr, (modulo degli elementi che sopravvivono all'infinito), e r B=Br e si ha BC; allora la sequenza spettrale E determina un mor dulo bigraduato E={C,pq/B,pq} chiamato il termine limite della sequenza spettrale E={(En,dn)}; e i termini En di questa vengono considerati come successive approssimazioni, tramite quozienti, di E'. Se in una sequenza spettrale {(En,dn)} di moduli bigraduati, per ogni coppia d'interi (p,q) esiste un n tale che sia En,pq=En+1,pq=...=E∞,pq, si dice che essa converge finitamente. Dato un modulo graduato H={Hn}, si dice che {(En,dn)} converge ad H se c'è una filtrazione {FpH} tale che sia E∞,pqFpHp+q /Fp- 1Hp+q per tutti i p e q. Una filtrazione {FpH} d'un modulo graduato H è limitata se la filtrazione di ogni Hn ha "lunghezza finita", 0=FsHnFs+1 Hn⊂ ...⊂FtHn=Hn . Si verifica che la sequenza spettrale associata a una filtrazione limitata F d'un complesso C converge ad H(C), cioè ci sono isomorfismi naturali E,pqFp Hp+q(C)/Fp- 1Hp+q(C); questa convergenza vale però anche in condizioni più deboli della limitatezza di F, (S. Eilenberg e J. Moore, 1962). Infine si dice che una filtrazione F d'un complesso C è omologicamente limitata se per ogni n esistono interi s=s(n) e t=t(n) tali che sia Hn(FpC)=0 per ps, ed Hn(FpC)= Hn(C) per pt. Ogni filtrazione limitata d'un complesso è anche omologicamente limitata. Si dimostra che la sequenza spettrale {(En,dn)} associata a una filtrazione omologicamente limitata d'un complesso C converge finitamente, inoltre la filtrazione F indotta da F su H(C) è limita ta, ed è EGr(H(C),F); cioè {(En,dn)} converge finitamente all'oggetto gra duato associato ad (H(C),F).

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