TENSORIALE, ALGEBRA e ANALISI

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1981)

TENSORIALE, ALGEBRA e ANALISI

Dionigi Galletto

Il calcolo t., sinonimo di calcolo differenziale assoluto (v. differenziale assoluto, calcolo, XII, p. 796; tensore, XXXIII, p. 497), i cui fondamenti vanno cercati essenzialmente nell'opera di G. Ricci-Curbastro e di T. Levi-Civita, conferma sempre più il suo ruolo fondamentale e il più delle volte insostituibile nei campi più svariati, che vanno dalla geometria differenziale alla fisica matematica, all'ingegneria. Sono pertanto qui ripresi, presentandoli in veste organica e per quanto possibile completa, i suoi concetti essenziali. Sono anche esposti gli elementi essenziali del calcolo esterno, i cui fondamenti sono dovuti essenzialmente a H. Poincaré e a É. Cartan, in quanto detto calcolo va inteso come un capitolo del calcolo tensoriale, nonché alcuni cenni di geometria simplettica, che al calcolo esterno è strettamente connessa.

Algebra tensoriale. - Vettori. - Sia En uno spazio vettoriale (s. v.) sul campo reale R (v. spazio, App. III, 11, p. 790), di dimensione finita n, {ei}, {ei′} due sue basi (n-ple di vettori di En linearmente indipendenti) qualsiansi. Sottintendendo il simbolo di somma rispetto agl'indici ripetuti, esse sono legate da

con eii′ i-esima componente di ei′ rispetto a {ei}, ecc. È poi evidente (per la definizione stessa di base) che le due matrici ∥ eii′ ∥ e ∥ eii′ ∥ sono l'una inversa dell'altra, ossia che è eii′eii′ = δij, eiieii′ = δij′′, con δij = 0 per i j e δij = 1 per i = j, ecc.

Sia n un qualunque vettore di En. Dalle eguaglianze v = vi$′ei′ = vieii′ei′ = vi$′eii′ei si deducono subito le leggi di trasformazione

che permettono di passare dalle componenti vi di v rispetto a {ei} alle sue componenti vi$′ rispetto a {ei′} e viceversa. In [2] intervengono le inverse delle matrici che intervengono in [1] e per tali ragioni i vettori di En sono chiamati "vettori contravarianti".

Sia poi f una forma lineare (f. l.) definita su En e a valori in R (v. spazio, loc. cit.). Posto f(ei) = fi, dalla definizione di f. l. segue f(v) = f(viei) = vifi, ossia che f è completamente determinata dalla conoscenza dei valori fi, che si possono pertanto chiamare componenti di f in corrispondenza a {ei}. Ricordando [1] segue subito

ossia che le f. l. hanno le componenti che si trasformano in modo analogo a [1]. Per tale ragione le f. l. prendono il nome di "vettori covarianti" associati a En. L'insieme dei vettori covarianti costituisce ancora uno s. v. di dimensione n (v. spazio), lo s.v. En* "duale" di En. Indicata con {xi} la base duale di {ei} (cioè, xi(ej) = δij, xi(v) = vi), risulta f = fixi, ossia i valori fi sono le componenti di f. rispetto a {xi}.

Tensori. - Si abbia ora una forma bilineare (f. bil.) t definita su En × En e a valori in R (v. spazio): dalla definizione di forma bilineare segue che t è completamente individuata dalla conoscenza dei valori tij = t(ei, ej) che, in analogia al caso dei vettori, vengono chiamati componenti di t in corrispondenza a {ej}. Facendo ancora ricorso a [1] si ha ti′j′ = eii′ejj′tij, ecc., ossia le componenti di t si trasformano in modo analogo a [1]. t pertanto prende il nome di "tensore doppio" (o anche tensore di ordine, o rango, 2) "covariante" associato allo s.v. En La totalità dei suddetti tensori costituisce uno s. v. di dimensione n2, non appena si definisca la somma di due di essi come quel tensore che, rispetto a una qualunque base di En, ha come componenti la somma delle corrispondenti componenti, ecc. La definizione di "tensore doppio contravariante" è ormai evidente, identificandosi con quella di f. bil. definita su En* × En* (forma le cui componenti si trasformano secondo le tij′ = eiiejjtij), com'è pure evidente la definizione di "tensore doppio misto" una volta contravariante e una volta covariante, identificandosi con quella di f. bil. definita su En* × En (forma le cui componenti si trasformano secondo le ti: = eiiejj′tij) ecc. Per es., i δij già introdotti, con la definizione immutata in corrispondenza a ogni base, costituiscono, come subito si verifica, le componenti di un tensore doppio misto (tensore di Kronecker).

Da quanto detto segue ormai in modo ovvio la definizione di tensore di ordine qualunque, contravariante o covariante o misto che sia, per tensore di ordine 1 contravarianti intendendosi i vettori contravarianti (i quali si possono interpretare come f. l. definite su En*), per tensori di ordine 1 covarianti i vettori covarianti e per tensori di ordine 0 gli "scalari" (numeri reali, invarianti rispetto ai cambiamenti di base in En).

L'operazione di addizione tra tensori è già stata definita per il caso dei tensori doppi covarianti e si estende immutata al caso dei tensori qualunque: essa ha senso solo per tensori appartenenti allo stesso s. v. (ossia tensori dello stesso ordine e tipo). Per le operazioni di moltiplicazione, contrazione e composizione (o moltiplicazione contratta) si rimanda a differenziale assoluto, calcolo, XII, p. 797. Per es. il valore fivi assunto dal vettore covariante f in corrispondenza al vettore contravariante v è lo scalare prodotto contratto di f per v.

Ai tensori ora definiti si riserva a volte la denominazione di "tensori affini i, per distinguerli da tipi più generali ai quali qui per brevità non si accenna. Si ricorda invece la definizione di "tensore dispari", il quale ha la legge di trasformazione delle componenti in corrispondenza a cambiamenti di base che differisce da quella dei tensori affini unicamente per la presenza del fattore ± 1, valendo il segno + o il segno − a seconda che risulti det ∥ eii′ ∥ ≷ 0.

Tensori simmetrici e tensori emisimmetrici. - Un tensore con gl'indici tutti della stessa varianza si dice "simmetrico" se i valori delle sue componenti non cambiano comunque cambiando l'ordine degli indici. Esso si dice invece "emisimmetrico" se i valori delle componenti non cambiano o cambiano soltanto di segno a seconda che la classe della permutazione operata sugl'indici è pari o dispari. Si verifica facilmente che queste definizioni hanno carattere intrinseco, ossia che non dipendono dalla base rispetto a cui si considerano le componenti. È ovvio che la somma di due tensori simmetrici (emisimmetrici) è ancora un tensore simmetrico (emisimmetrico) con la conclusione che la totalità dei tensori simmetrici (emisimmetrici) dello stesso ordine e tipo costituisce un sottospazio vettoriale dello s. v. a cui appartengono. I tensori emisimmetrici di ordine maggiore di n risultano nulli (ossia hanno tutti le componenti nulle).

Prodotto esterno di tensori emisimmetrici. Algebra esterna. - Un tensore che generalizza il tensore di Kronecker e al quale si riduce per m = 1 è il tensore di ordine 2m le cui componenti

valgono 0 se una o entrambe le disposizioni i1 ... im, j1 ... jm contengono indici ripetuti oppure non sono formate dagli stessi numeri, (−1)k nel caso restante, con k classe di una disposizione rispetto all'altra.

L'introduzione del suddetto tensore permette di definire il "prodotto esterno" p = r s di due tensori emisimmetrici r, s aventi la stessa varianza (per es., covarianti), di ordini rispettivi r e s, come quel tensore emisimmetrico della stessa varianza, di ordine r + s, avente per componenti

Dalla definizione segue immediatamente che s r = (−1)rsr s, e r r =- 0 se r è dispari. In particolare, se è r = s = i (intendendo ovviamente per tensori emisimmetrici di ordine 1 i vettori), p risulta di ordine 2 ed è pij = risirjsi.

La definizione di prodotto esterno si estende in modo ovvio al caso di più tensori: la moltiplicazione esterna risulta associativa e distributiva rispetto all'addizione e introduce nella totalità dei tensori emisimmetrici aventi la stessa varianza una struttura di algebra esterna (v. anche varietà, App. III, 11, p. 1071). Un tensore emisimmetrico di ordine p viene generalmente chiamato "p-vettore", riservando la dizione di "p-vettore riducibile i al prodotto esterno di p vettori.

Lo s. v. Λr dei tensori emisimmetrici contravarianti di ordine r è di dimensione

con α1 〈 ... 〈 αr, risultando linearmente indipendenti, ne costituiscono una base, la base associata alla {ei} di En. Risulta pertanto, per r ∈ Λr, r =

dove nella somma rispetto agl'indici ripetuti va mantenuta la condizione α1 〈 ... 〈 αr. Le componenti

prendono il nome di "componenti essenziali" o "strette" del tensore emisimmetrico r. La base duale della

I concetti fin qui riassunti sui tensori affini si estendono in modo ovvio al caso in cui En sia uno s. v. sul corpo complesso.

Spazi vettoriali euclidei. - Uno s. v. En su R, munito di una forma bilineare simmetrica g, definita su En × En, a valori in R (ossia di un tensore doppio covariante simmetrico) e non degenere prende il nome di "s. v. euclideo". Il valore g(v, w) (v, w ∈ En) prende il nome di "prodotto scalare" di v per w ed è indicato con v • w (= w • v). Considerata una qualunque base {ei} di En e introdotte le componenti gij = ei • ej di g risulta

L'ipotesi che g sia non degenere (ossia che la condizione g(v, w) = 0 per ogni v implichi w = 0) implica det ∥ gij ∥ ≠ 0, ossia che la matrice ∥ gij ∥ risulti invertibile. Gli elementi della sua inversa verranno indicati con gij (= gji).

Il prodotto v • v è la "norma" di v. Due vettori v e w si dicono "ortogonali" se risulta v • w = 0. Una base di uno s. v. euclideo si dice "ortonormale" se costituita da vettori tra loro ortogonali e di norma uguale ± 1. Si può provare che di tali basi ne esistono infinite.

Tensori euclidei. - L'introduzione dei vettori covarianti definiti da

(da cui vi = gijvj), implica, come subito segue da [4], v • w = viwi = gijviwj, ossia che il prodotto scalare v • w può essere individuato, oltre che per mezzo delle vi, wi, per mezzo delle vi, wi, con la conseguenza che i valori gij risultano le componenti di un tensore doppio contravariante (simmetrico). La relazione [5] stabilisce un isomorfismo (v. algebra, App. II,1, p. 125) fra En e il suo duale, con la conseguenza che un vettore v ∈ En può essere individuato, oltre che per mezzo delle vi, per mezzo delle vi. Le vi e vi si possono pertanto chiamare rispettivamente "componenti contravarianti" e "componenti covarianti" di v.

Analogamente, a un qualunque tensore doppio contravariante di componenti tij si possono associare i prodotti contratti

e chiamare le tij, tij, tij componenti miste e covarianti del tensore considerato, riservando la denominazione di componenti contravarianti alle tij. Il legame tra i vari tipi di componenti è espresso da [6] e da tij = gihthj = gihgjkthk, ecc. Il tensore che individua il prodotto scalare (tensore fondamentale o metrico) ha per componenti covarianti e contravarianti rispettivamente le gij e gij, mentre le sue componenti miste gij = gji sono le componenti del tensore di Kronecker (gij = gihghj = δij).

Le considerazioni ora svolte si estendono in modo ormai ovvio al caso dei tensori di ordine qualunque. I tensori associati a uno s. v. euclideo sono di solito chiamati "tensori euclidei".

Posto G = det ∥ gij ∥, un tensore euclideo dispari che interviene frequentemente in geometria differenziale e in fisica matematica è il l "tensore dispari di Ricci", che ha le componenti covarianti date da

se vi sono indici ripetuti, = (− 1)k se gl'indici sono distinti, k essendo la classe della permutazione (i1, ..., in) rispetto alla (1, ..., n). Esso è quindi emisimmetrico. Le sue componenti contravarianti risultano espresse da

con il segno + o il segno − a seconda che risulti G ≷ 0, la definizione di

essendo la stessa di

Supposto n = 3 e dati due vettori r, s, accanto al bivettore r ⋀ s, costituito dal loro prodotto esterno, si può definire il "prodotto vettoriale" r × s (v. vettore, XXXV, p. 277), dato dal vettore dispari q che ha per componenti covarianti qi = ηijlrjsl. La definizione di prodotto vettoriale di due vettori ha senso soltanto per n = 3.

Spazi vettoriali propriamente euclidei. - Uno s. v. euclideo si dice "propriamente euclideo" se risulta v • v > 0 per ogni v non nullo. Chiamato "modulo" di v la quantità

sussiste in tale spazio la "diseguaglianza di Schwarz": ∣ v • w ≤ ∣ v ∣ ∣ w ∣, di elementare dimostrazione, come elementare è la dimostrazione della "diseguaglianza di Minkowski": ∣ v + ∣w ≤ ∣ v ∣ + ∣ w ∣. Ne segue che uno s. v. propriamente euclideo è uno spazio normato (cfr. spazio, in questa Appendice).

La diseguaglianza di Schwarz permette d'introdurre l'angolo reale θ formato da v e w, definito da cos θ = v • w/(∣ v ∣ ∣ w ∣).

Rispetto a una base ortonormale risulta gij = δijij = 0 per i j, δij = 1 per i = j), e si ha

relazioni in tutto analoghe a quelle ben note che si hanno per gli ordinari vettori riferiti a coordinate cartesiane ortogonali (v. vettore, loc. cit.). Analogamente, supposto n = 3, le componenti di r × s risultano espresse, con evidente significato dei simboli, da qiqi = ri+1si+2ri+2si+1, relazione che è proprio quella che fornisce le componenti del prodotto vettoriale per gli ordinaii vettori (v. vettore). Il gruppo di trasformazioni (v. gruppo, XVII, p. 1013) su En che muta basi ortonormali in basi ortonormali è il "gruppo ortogonale" di En, isomorfo al gruppo delle matrici ortogonali (matrici O per cui è OT = O-1), con OT e O-1 rispettivamente trasposta e inversa di O.

Analisi tensoriale. - Vettori e tensori su una varietà differenziabile. - Sia Vn una varietà differenziabile (v. diff.) (v. varietà, App. III, 11, p. 1069) di dimensione n e classe Cr (o C o Cw), connessa (v. analysis situs, III, p. 89), e xi (i = 1, ..., n) un suo sistema di coordinate locali. Indicando con x un qualunque punto di Vn appartenente al dominio del sistema di coordinate xi (intorno in cui sono definite dette coordinate), i vettori ∂i ≡ ∂/∂xi (v. varietà, loc. cit., p. 1070), riferiti a x, appartengono allo s. v. Tx tangente in x a Vn e, risultando linearmente indipendenti, costituiscono una base per detto spazio, la "base naturale" indotta in Tx dal sistema di coordinate xi. Qualora si consideri un nuovo sistema di coordinate locali xi′ (e si supponga, come rimarrà sempre sottinteso nel seguito, che i domini di xi e xi′ abbiano intersezione non vuota e x appartenga a detta intersezione), si ha

ove si è posto per brevità, xii′ = ∂xi/xi′, ecc.

Dato un vettore v ∈ Tx e indicate con vi e vi′ le sue componenti rispetto a {∂i} e a {∂i′}, si ha (si veda [2]) vi′ = xiivi, vi = xiivi

Si possono a questo punto introdurre i vettori covarianti e, in generale, i tensori associati a Tx, per le componenti dei quali le leggi di trasformazione nel passaggio dalle xi alle xi′ si scrivono in modo ovvio.

Dato un aperto A Vn, si dice che su esso è definito un "campo di vettori contravarianti" se in ogni x A è assegnato un vettore v ∈ Tx. Il campo si dice "differenziabile" se le componenti di v sono in A funzioni differenziabili delle coordinate. Se dette componenti, oltre che essere continue, ammettono in A derivate continue sino a quelle incluse di ordine s (i s r − 1), si dice che il campo è di classe Cs. In modo analogo si definiscono i campi di vettori covarianti e, in generale, i campi di tensori.

Dato un campo scalare differenziabile h, la forma lineare dh definita da dh(v) = viih, e le cui componenti sono pertanto dh(∂i) = ∂ih, costituisce un campo di vettori covarianti: il "differenziale" di h. Risultando dxi(∂j) = δij (e quindi dxi(v) = vi), segue che le n forme dxi costituiscono la base duale della base naturale {∂i}. Per il differenziale dh risulta pertanto

Nel seguito, per indicare un campo di vettori o di tensori si userà semplicemente la dizione vettore o tensore. Inoltre la classe di differenziabilità, sia per le varietà sia per i vettori o tensori o funzioni che si considereranno, si riterrà sempre tale da rendere lecite le operazioni di derivazione che si presenteranno.

Calcolo differenziale esterno. - Un tensore covariante emisimmetrico di ordine p prende il nome di "forma differenziale esterna di ordine" (o "grado") p o semplicemente "p-forma" (v. anche varietà, loc. cit., p. 1071). Le 1-forme sono le ordinarie forme differenziali lineari, di cui un esempio è dato dalla forma dh; le 0-forme sono le ordinarie funzioni scalari.

È evidente che cosa si debba intendere per prodotto esterno di due o più forme differenziali esterne, mentre per "differenziale esterno" di una p-forma ω s'intende la (p + 1)-forma definita da

con la somma rispetto agl'indici α0 ... αp vincolata dalla solita condizione α0 〈 ... 〈 αp, espressione in cui i coefficienti di

costituiscono le componenti essenziali di dω. Per p = 0 (ω = h), [9] si riduce a [8], mentre per p = 1, si ottiene

che prende il nome di "tensore rotazione" del vettore covariante ω.

Delle proprietà della differenziazione esterna (v. varietà), proprietà che discendono dalla definizione [9] ora data, si ricorda la seguente: ddω = 0 (in particolare, come subito segue da [9], è ddxi = 0), della quale, almeno localmente, sussiste l'inversa ("lemma di Poincaré"): se ω1 è una p-forma (p ≥ 1) ed è dω1 = 0, allora esiste, almeno localmente, una (p − 1)-forma ω2 (e quindi infinite) tale che ω1 = dω2. Per p = 1 la condizione dω1 = 0 (cfr. [10]) traduce la classica condizione d'integrabilità delle forme differenziali lineari.

Integrazione delle forme differenziali esterne. Formula di Stokes. - L'insieme chiuso che si ottiene dall'unione di una sottovarietà di Vn con la sua frontiera, supposta anch'essa una sottovarietà di Vn, prende il nome di "sottovarietà con bordo" di Vn. In una sottovarietà con bordo Wp (p n) ogni punto non situato sul bordo ha un intorno omeomorfo (v. topologia astratta, App. II, 11, p. 1004) a un aperto di Rp (spazio di punti propriamente euclideo a p dimensioni), mentre ogni punto situato sul bordo ha un intorno omeomorfo a un intorno del semispazio costituito dai punti di Rp la cui p-esima coordinata è ≥ 0.

Supposto, per semplicità e brevità, che Wp sia compatta (ossia tale che da ogni suo ricoprimento di aperti se ne possa estrarre uno finito, intendendo ovviamente per aperti di Wp intorni dei tipi suddetti), sia t1, ..., tp un suo sistema di coordinate locali, il cui dominio verrà indicato con Up, e sia xi un sistema di coordinate locali di Vn il cui dominio Un contenga Up. Sia poi ω una p-forma definita su Vn e nulla esternamente a un compatto Kn di Vn, contenuto in Un, intersecante Wp in un compatto Kp contenuto in Up. Risultando

dove con ∂ (xα1, ..., xαp)/∂(t1, ..., tp) si è indicato il determinante jacobiano delle xα1, ..., xαp rispetto alle t1, ..., tp, e posto ϕ =

/∂(t1, ..., tp), per definizione l'integrale esteso a Wp della forma ω non è altro che l'integrale della funzione ϕ esteso all'immagine di K in Rp. Esso viene indicato con ∉Wpω. Cambiamenti di coordinate locali sia in Wp sia in Vn possono al più mutare il segno di ∉Wpω, segno che si mantiene immutato se si suppone che Wp e Vn siano entrambe varietà orientate, intendendo per "varietà orientata" una varietà orientabile (v. varietà, loc. cit., p. 1070) in cui sia fissata un'orientazione, ossia in cui si convenga di fissare un sistema di coordinate locali e di considerare assieme a esso unicamente quei sistemi di coordinate locali che diano luogo, nelle intersezioni dei rispettivi domini, a determinanti jacobiani positivi.

Facendo riferimento unicamente al caso delle varietà orientate, sia ora ω una p-forma definita su Vn e sia {t1, ..., tp}(l), l I, una famiglia finita di sistemi di coordinate locali i cui domini ricoprano Wp. Potendosi provare che esiste una famiglia di funzioni numeriche f(l), l I, tali che f(l) sia nulla esternamente a un compatto K(l), contenuto nel dominio del sistema di coordinate {t1, ..., tp}, e tali inoltre che per ogni x Wp, risulti

poiché ∉Wpf(l)ω è già stato definito, si può porre per definizione

Se Wp è orientabile anche il suo bordo, che verrà indicato con ∂Wp, è orientabile e, purché Wp e ∂Wp siano orientate in modo opportuno, sussiste la fondamentale "formula di Stokes", che permette di trasformare integrali multipli di ordine p (ω è supposta ora di ordine p − 1) in integrali multipli di ordine p − 1:

formula che vale anzi sotto ipotesi più generali, quali quella che ∂Wp sia costituita, invece che da un'unica sottovarietà, da un numero finito di sottovarietà con bordo, oppure che Wp sia priva di bordo (∂Wp vuota), ecc., e che include come casi particolari, tra l'altro, i teoremi del rotore, della divergenza, del gradiente, ecc. (v. vettore, XXXV, p. 279, e vettoriale, campo, App. I, p. 1125) dell'ordinario calcolo vettoriale (intendendo per "rotore" del vettore v nell'ordinario spazio euclideo tridimensionale il vettore dispari che rispetto a coordinate cartesiane ortogonali ha per componenti ri = ∂i+1vi+2i+2vi+1, ecc.). In particolare dalla formula di Stokes segue che, se ∂Wp è vuota, è ∫Wpdω = 0, così come, nell'ipotesi che l'ordine di ω sia p − 2, è ∫∂Wpdω = 0.

Derivata di Lie. - Dato un vettore contravariante v e un qualunque tensore t, per es., di componenti tijl, per "derivata di Lie ℒvt di t secondo v si intende il tensore, del medesimo ordine e tipo di t, avente per componenti (ℒvt)ijl = vhhtijlthjlhvi + tihlhvh + tijhjvh, definizione che si estende in modo ovvio al caso dei tensori di ordine e tipo qualunque. Nel caso in cui t risulti un vettore contravariante, si ha (ℒvt)i = vjjtitjjvi, ossia la derivata di Lie del tensore t secondo il vettore v coincide con la parentesi di Lie [v, t] (v. anche varietà, loc. cit. p. I070). La derivata di Lie e, in particolare, le parentesi di Lie svolgono un ruolo notevolissimo sia in geometria differenziale che in fisica matematica.

Varietà riemanniane. - Una varietà differenziabile Vn si dice "riemanniana" (v. r.) se è munita di un tensore doppio covariante simmetrico g, definito su tutta Vn, non degenere (ossia tale che det ∥ gij ∥ ≠ 0) e di classe Cr-1 (o C o Cw). g prende il nome di "tensore fondamentale" (o "tensore metrico") e la sua presenza implica che lo s. v. Tx sia, per ogni x Vn, euclideo, con la conseguenza che i tensori su esso definiti risultano euclidei. In particolare per i vettori si può parlare di norma. Nel caso in cui Tx risulti propriamente euclideo, Vn si dice "propriamente riemanniana"; (la terminologia qui usata si scosta da quella delle trattazioni a indirizzo geometrico, dove le varietà non propriamente riemanniane sono chiamate pseudoriemanniane, la denominazione di riemanniana essendo riservata a quelle propriamente riemanniane, come in varietà, loc. cit., p. 1071).

Una v. r. tale che in un intorno di ogni suo punto esista un sistema di coordinate locali (coordinate "cartesiane") in corrispondenza alle quali risultino costanti le componenti del tensore fondamentale, si dice "localmente euclidea". In tal caso è possibile trovare in un intorno di ogni suo punto sistemi di coordinate locali in corrispondenza ai quali la forma quadratica [4] gijvivj, qualunque sia il vettore v, si riduce a una somma algebrica dei quadrati delle componenti di v, ossia assume forma pseudopitagorica (pitagorica se la varietà è propriamente riemanniana). Una varietà localmente euclidea si dice poi "euclidea" quando è possibile ricoprire l'intera varietà con un unico sistema di coordinate (coordinate cartesiane ortogonali) in corrispondenza al quale la suddetta forma quadratica si riduce a forma pseudopitagorica (pitagorica se la varietà è propriamente riemanniana).

Geodetiche. Derivazione tensoriale su una varietà riemanniana. - Data su una v. r. Vn una curva di equazioni parametriche

in analogia al caso delle curve nello spazio ordinario, la sua lunghezza risulta espressa da

Le "geodetiche" su Vn (v. anche geodetiche, linee, XVI, p. 600), come agevolmente si deduce da [12] facendo ricorso alle equazioni di Eulero (v. variazioni, calcolo delle, XXXIV, p. 1005), risultano le curve integrali del sistema di equazioni differenziali

dove con

si sono indicati i simboli di Christoffel di 2ª specie, legati a quelli di 1ª specie {ij, l}

(v. anche christoffel, X, p. 177). Nel caso in cui Vn sia uno spazio euclideo e le coordinate xi cartesiane, da [13] si ritrova subito che le geodetiche non sono altro che le rette. Da [13] segue inoltre che lungo una geodetica l'espressione che in [12] compare sotto il segno di modulo risulta di segno costante.

I simboli di Christoffel non costituiscono le componenti di un tensore: passando dalle coordinate xi alle xi′ risulta infatti

Analogamente, a differenza di quanto accade per le derivate di una funzione scalare, le derivate delle componenti di un vettore non risultano le componenti di un tensore doppio (v. anche differenziale assoluto, calcolo, XII, p. 797). Risultano invece componenti di un tensore doppio le espressioni

come subito si verifica ricordando [14], mentre le

risultano componenti di tensori tripli, ecc. Risulta così implicitamente definito un operatore ???i che applicato a tensori di ordine r dà luogo a tensori di ordine r + 1. Esso, come agevolmente si può verificare, soddisfa alle stesse regole della derivazione ordinaria (alla quale si riduce nel caso r = 0).

Da [16] segue subito ???ighk ≡ 0, ???iδkh ≡ 0, da cui, risultando ghlglk = δkh, si ha ???ighk = 0, ossia (teorema di Ricci) il tensore fondamentale si comporta come un tensore costante rispetto a ???i. Ne segue che l'operazione d'innalzamento e abbassamento degl'indici di un tensore è permutabile con ???i, con la conseguenza che, se vi e vi sono componenti di un medesimo vettore, le espressioni [15] sono componenti di un medesimo tensore, che prende il nome di "derivata covariante" (v. anche differenziale assoluto, calcolo, XII, p. 798), o, più propriamente, di "derivata tensoriale" del vettore considerato. Analogamente per [16], ecc.

Un altro tensore avente derivata tensoriale nulla è il tensore dispari di Ricci.

Nel caso in cui la varietà sia euclidea e le coordinate xi cartesiane, ???i si riduce a ∂i.

Data su Vn la curva [11], il vettore di componenti contravarianti Dvh/dτ ≡ ???ivhdxi/dτ prende il nome di "derivata intrinseca" lungo la curva data del vettore considerato, definizione che si estende immutata al caso dei tensori di ordine qualunque. Posto uh = dxh/dτ, da [13] segue che le geodetiche su Vn sono quelle curve in corrispondenza alle quali risulta Duh/dτ = 0, che costituisce un'ulteriore analogia fra le geodetiche di Vn e le rette di uno spazio euclideo.

Trasporto per parallelismo (v. anche differenziale assoluto, calcolo, loc. cit., e geometria, XVI, p. 636). - Un sistema ∞1 di vettori applicati nei punti della curva [11] si dice ottenuto "trasportando per parallelismo" lungo essa il vettore v1 applicato nel punto XI di coordinate xi1) se, lungo essa, le componenti dei vettori soddisfano al sistema Dvh/dτ = 0, con le condizioni iniziali vh1) = v1h. La definizione di trasporto per parallelismo di un tensore qualunque segue in modo ovvio.

Se la curva [11] è una geodetica, da quanto visto segue che l'insieme dei vettori tangenti di componenti uh soddisfa alla condizione del trasporto per parallelismo lungo la geodetica stessa e per tale ragione le geodetiche vengono chiamate anche l [curve autoparallele" (v. anche geodetiche, linee, loc. cit.). Si ha così un'altra analogia fra geodetiche e rette.

Il trasporto per parallelismo dipende generalmente dalla curva rispetto alla quale lo si effettua e, se la curva [11] è chiusa, in genere è v (τ2) ≠ v1. Nel caso in cui Vn sia localmente euclidea il ricorso a coordinate cartesiane permette subito di concludere che il trasporto non dipende dal cammino e che pertanto su Vn si possono introdurre campi di "vettori paralleli". Viceversa, se su Vn si possono introdurre campi di vettori paralleli, ossia se accade che il trasporto non dipende dal cammino, Vn è localmente euclidea.

Tensore di Riemann. - La condizione che su Vn esistano campi di vettori paralleli implica, come subito segue dalla definizione di parallelismo, che il sistema di equazioni alle derivate parziali ???ivk = o sia integrabile, ossia che risultino identicamente nulle le espressioni

come facilmente segue scrivendo per il suddetto sistema le condizioni di compatibilità. Risulta inoltre, qualunque sia il vettore considerato,

da cui, per l'arbitrarietà del suddetto vettore, segue che le Rhkij sono le componenti di un tensore quadruplo, il cosiddetto "tensore di Riemann" (o "tensore di Riemann-Christoffel", o anche "tensore di curvatura"), che svolge un ruolo fondamentale in tutta la geometria riemanniana. Se Vn è localmente euclidea, esso, come subito si vede facendo ricorso a coordinate cartesiane, è identicamente nullo; viceversa, se esso è nullo, il sistema ???ivk = 0 risulta integrabile e la Vn risulta pertanto localmente euclidea. Il suo annullarsi caratterizza pertanto le varietà localmente euclidee, varietà sulle quali, e soltanto sulle quali, come segue da [17], ???i e ???j risultano invertibili.

Il tensore di Riemann soddisfa alle "identità di Bianchi": ???lRhkij + ???iRhkjl + ???jRhkli ≡ 0 da cui, introdotti il tensore simmetrico Rki = Rhkih ("tensore di curvatura contratto" o "tensore di Ricci") e lo "scalare di curvatura" R = Rii seguono le identità ???i(Rij − 1/2 δijR) ≡ 0, d'importanza fondamentale nella relatività generale.

Varietà a connessione lineare (v. anche geometria, XVI, p. 637). - L'introduzione del tensore metrico su una v. differenziabile permette di definire, per mezzo dei simboli di Christoffel di 2ª specie, l'operazione di derivazione tensoriale, ecc. Qualora su Vn, invece di fare ricorso a un tensore metrico, si assegnino n3 coefficienti Lihj che nel passaggio dal sistema di coordinate xi al sistema di coordinate xi′ si trasformino con la stessa legge secondo cui si trasformano i simboli di Christoffel di 2ª specie, è possibile ancora definire su Vn una derivazione tensoriale, un trasporto per parallelismo e definire le geodetiche come linee autoparallele. I coefficienti Lihj prendono il nome di "coefficienti della connessione" e la Vn "varietà a connessione lineare". Le differenze Tihj = 1/2 (LihjLjhi) costituiscono le componenti del "tensore di torsione", mentre le Sihj = 1/2 (Lihj + Ljhi) costituiscono le componenti della "connessione simmetrica associata alla data". Nel presente caso, in luogo di [17], si ha

dove il tensore Rhkij ("tensore di curvatura relativo alla connessione data") risulta costruito per il tramite dei coefficienti Lihj con la stessa legge formale che fornisce le componenti del tensore di Riemann, ecc. Nelle varietà a connessione lineare simmetrica il tensore di curvatura gode di proprietà analoghe a quelle del tensore di Riemann. In particolare valgono per esso le identità di Bianchi.

Varietà simplettiche. - Un capitolo della geometria differenziale che, come si è detto, è intimamente connesso all'algebra e all'analisi tensoriale è la "geometria simplettica", che ha avuto notevoli sviluppi in questi ultimi decenni e che trova fondamentali applicazioni in fisica matematica. I suoi fondamenti algebrici vanno essenzialmente cercati nei lavori di H. Weyl (1940 e anni precedenti) e C. L. Siegel (1943); quelli analitico-geometrici, di cui vi è già traccia nell'opera di Lagrange, in un lavoro di H.-C. Lee (1943) e nelle opere di C. Ehresmann (1947), A. Lichnerowicz e delle loro rispettive scuole.

Per brevità qui si accenna soltanto agli s. v. simplettici e alle varietà simplettiche.

Uno s. v. En su R, munito di una forma bilineare emisimmetrica ω, definita su esso, a valori in R e non degenere, prende il nome di "s. v. simplettico". Risulta ω(v, w) = − ω(w, v), ω(v, v) = 0. La condizione che ω sia non degenere implica che n sia pari: n = 2p.

In E2p è sempre possibile trovare una base, ([ base canonica", in corrispondenza alla quale le componenti di ω dànno luogo alla matrice

dove con I si è indicata la matrice identica di ordine p. Il gruppo di trasformazioni che muta basi canoniche in basi canoniche è il "gruppo simplettico" di E2p ed è isomorfo al gruppo delle matrici M che soddisfano alla condizione M-1 = JMTJ-1, le quali prendono il nome di "matrici simplettiche".

Una varietà differenziabile Vn si dice "simplettica" se è munita di una forma bilineare emisimmetrica definita su tutta Vn e a valori in R, di classe Cr-1 (o C o Cw), non degenere e avente il differenziale esterno nullo. Ne segue che per ogni x Vn lo s. v. tangente Tx risulta simplettico; n è pertanto pari: n = 2p.

Su una varietà simplettica V2p esistono sistemi di coordinate canoniche, intendendo per "sistema di coordinate canoniche" un sistema di coordinate locali tale che, per ogni x dove è definito, la base naturale da esso indotta in Tx risulta canonica. L'unione dei domini dei sistemi di coordinate canoniche costituisce un ricoprimento di V2p.

Le componenti di ω rispetto a un sistema di coordinate canoniche sono date dagli elementi della matrice J, mentre la matrice jacobiana ∥ xii′ ∥ di una "trasformazione canonica" (cambiamento di coordinate che fa passare da un sistema di coordinate canoniche xi a un altro xi′) risulta simplettica. Da questi pochi cenni dati si può, per es., bene intuire il ruolo che la geometria simplettica svolge nella formulazione hamiltoniana della meccanica analitica.

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