VITTORIA, Alessandro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 99 (2020)

VITTORIA, Alessandro

Luca Annibali

Nacque a Trento intorno al 1525, in base a quanto è possibile indurre dalla notizia della sua morte, avvenuta il 27 maggio 1608 all’età di 83 anni (Avery, 1999c, p. 187, doc. 157[i]). Suo padre, tale Vigilio Vittoria, esercitava la professione di sarto (p. 17, doc. 8: «messer Vilio sartor»), mentre non si conosce nulla riguardo alla madre. Alessandro fu tra i principali protagonisti della scultura veneziana di pieno Cinquecento, un primato riconosciutogli anche da Giorgio Vasari nella seconda edizione delle Vite (1568), al tempo in cui il maestro di origini trentine era ancora agli inizi della carriera: «si può credere che vivendo si abbia a vedere di lui ogni giorno bellissime opere e degne del suo cognome Vittoria, e che vivendo abbia a essere eccellentissimo scultore» (Vasari, 1550 e 1568, 1987, VI, pp. 190 s.).

Giunse a Venezia il 25 luglio 1543, quando era diciottenne (Avery, 1999c, p. 15, doc. 1). Fu qui che risiedette per quasi la sua intera esistenza, dato che si allontanò dalla Laguna solo per brevi periodi, richiamato da occasioni lavorative. Si ritiene che, prima dell’approdo veneziano, abbia speso i suoi anni giovanili presso la bottega di Vincenzo e Gian Girolamo Grandi, scultori patavini che, dal quarto decennio, si stabilirono a Trento. Anche se non è possibile misurare una ricaduta del loro stile nell’opera di Vittoria, l’ipotesi non può essere scartata: tale alunnato servì forse al giovane trentino per apprendere i rudimenti del mestiere (Leithe-Jasper, 1963, pp. 1 s.; e 1999a, pp. 15, 40 nota 5; Bacchi, 2000, p. 800).

L’arrivo a Venezia coincise con l’ingresso nello studio di Jacopo Sansovino, che all’epoca rappresentava il polo d’attrazione per ogni giovane artista residente in città. Il maestro originario di Firenze fu infatti proto di S. Marco dal 1529 fino alla morte, nel 1570, carica che gli garantì la commissione di alcuni dei maggiori cantieri architettonici e decorativi per la Serenissima (cfr. Leithe-Jasper, 1963, pp. 2-11). I documenti contabili rivelano che Vittoria fu innanzitutto coinvolto dall’artista toscano nelle opere per il rinnovamento del coro della basilica di S. Marco: nel 1544 fu pagato per la rinettatura dei rilievi bronzei del pergamo settentrionale (Avery, 1999c, p. 15, doc. 2), e due anni dopo per lavori non dissimili in relazione alla porta, ugualmente in bronzo, della sagrestia (ibid., doc. 3; cfr. anche Boucher, 1991, I, pp. 54-62, 65-67). Le carte certificano che, negli stessi anni, fu impegnato anche nella fabbrica sansovinesca della Libreria Marciana: nel 1550 fu pagato per la realizzazione di quattro delle divinità fluviali a rilievo per le arcate della facciata (Avery, 1999c, p. 15, doc. 4). I quattro «Fiumi» realizzati da lui per i pennacchi non possono essere individuati con certezza, data la generale uniformità formale tra tutte quelle figure (Leithe-Jasper, 1963, pp. 8-11; e 1999a, p. 16; Bacchi, 2000, p. 800). I primi anni di permanenza a Venezia si rivelarono assai ricchi per la sua formazione sotto più punti di vista. La bottega di Sansovino gli diede la possibilità di collaborare assiduamente con colleghi pressoché coetanei, come Danese Cattaneo, Tiziano Minio e Tommaso Lombardo, e di entrare in contatto anche con artisti di passaggio, in primis Bartolomeo Ammannati.

Rimane ancora incerta l’ipotesi di un soggiorno a Vicenza, intorno al 1547, per eseguire gli stucchi di una sala di palazzo Bissari-Arnaldi. Il riferimento del complesso a Vittoria si deve a Tommaso Temanza (1778, 1966, p. 478), ed è stato accolto da Luisa Attardi (1999a) e da Sergio Marinelli (1999, pp. 117-121), ma non sono mancati comprensibili pareri contrari (Leithe-Jasper, 1963, pp. 14-18; Bacchi, 2000, p. 800). Rientra invece con certezza tra le primizie di Alessandro la Cleopatra marmorea del Bayerisches Nationalmuseum di Monaco, da lui siglata. In questa statua sembra riecheggiare, oltre alla lezione sansovinesca, qualche residuo del classicismo archeologico del primo Cinquecento veneto, proprio della scultura dei Lombardo e dei Bregno (Leithe-Jasper, 1999a, pp. 16, Id., in La bellissima maniera, 1999, 312 s., n. 65; Bacchi, 2000, p. 800). Alla seconda metà degli anni Quaranta risalgono verosimilmente anche i tre tondi a rilievo, raffiguranti Dio Padre e i Ss. Sebastiano e Girolamo, nel portale di S. Sebastiano a Venezia, attribuzioni avanzate da Manfred Leithe-Jasper (1999a, p. 16).

Rappresenta una delle prime prove autonome dell’artista anche la statuetta, firmata, del Battista in S. Zaccaria a Venezia. L’opera, richiesta da Angelo Maria Priuli nel 1550 per il fonte battesimale di S. Geremia, non fu mai consegnata a causa del decesso del committente. L’artista ne rimase pertanto in possesso fino alla morte, allorché fu destinata, per via testamentaria, alla chiesa in cui ora si trova (Avery, 1999c, pp. 16, doc. 5, 184-186, doc. 155). Proprio questa scultura rivela la stretta dipendenza dall’opera del maestro toscano, rielaborando infatti il Precursore marmoreo ai Frari. Rispetto alla creazione di Sansovino, il giovane Vittoria ideò tuttavia una figura dalle proporzioni più allungate, intenta a incedere con passi ampi e cadenzati. Con il lascito testamentario di Alessandro, approdò nello stesso luogo anche una statuetta di S. Zaccaria, non più rintracciabile: nell’inventario post mortem si specifica che essa era «de cotto» (p. 189, doc. 158). È probabile che il santo in terracotta fosse stato modellato dall’artista agli inizi del Seicento, in concomitanza con la decisione di destinare il Battista alle monache di S. Zaccaria. La figura in marmo che orna attualmente l’altro fonte battesimale in chiesa, a pendant di quello con l’immagine del Precursore, si deve di conseguenza ritenere una derivazione posteriore: Lorenzo Finocchi Ghersi, cui si deve la ricostruzione della vicenda, ha avanzato una datazione tardosettecentesca (1998b, pp. 36-46).

Agli inizi degli anni Cinquanta Vittoria tornò nella città natale, dove i documenti lo ricordano impegnato nella perlustrazione di una cava di marmo (Avery, 1999c, p. 17, doc. 6). Contemporaneamente, tra il 1550 e il 1551, il principe vescovo di Trento Cristoforo Madruzzo lo incaricò di eseguire gli apparati effimeri per la visita in città di Filippo II di Spagna (ibid., doc. 7). Forse in relazione a questo evento lo scultore concepì anche il progetto per una fontana di Nettuno, che non fu però mai messa in opera, e che risulta attestata soltanto da un disegno nella Zentralbibliothek di Zurigo (Laschke, 1995; cfr. anche Camerlengo, 1999, pp. 47-57).

Nel 1551 Vittoria si spostò a Vicenza per lavorare alla decorazione a stucco di alcuni ambienti del pianterreno del palazzo di Marcantonio Thiene (sala degli Dei, sala dei Prìncipi, sala di Proserpina e sala di Psiche), impresa che lo occupò fino all’anno seguente. La partecipazione al cantiere si configura come una tappa fondamentale per la sua maturazione artistica. La collaborazione con i pittori veronesi Bernardino India e Anselmo Canera fu un’occasione di apertura a fenomeni alternativi della 'maniera', quali Giulio Romano e Parmigianino. Questo universo figurativo, contraddistinto da eleganza formale e sensibilità per l’ornato, è alla base degli stucchi di palazzo Thiene, che rappresentano un unicum rispetto ai successivi sviluppi del suo stile. Con il rientro a Venezia lo scultore tornò infatti a misurarsi con il formato colossale proposto da Sansovino, e disceso dall’arte michelangiolesca, pur senza dimenticare certe soluzioni lessicali apprese durante il soggiorno vicentino (Leithe-Jasper, 1963, pp. 27-40; e 1999a, p. 20; Attardi, 1999; Avery, 1999c, p. 19, doc. 12). L’arte di Parmigianino interessò Vittoria anche come collezionista. Stando alle carte d’archivio egli fu in possesso sia di disegni sia di dipinti dell’artista emiliano, tra cui il celebre Autoritratto allo specchio oggi al Kunsthistorisches Museum di Vienna, acquistato nel 1561 (Avery, 1999c, p. 51, doc. 44).

Una lettera di Pietro Aretino del 1551 ricorda che all’epoca erano sorti alcuni attriti tra il trentino e Sansovino (pp. 17 s., doc. 9). In quegli anni Jacopo era impegnato a scolpire per il duca di Ferrara Ercole II d’Este un colosso di Ercole in pietra d’Istria, destinato alla piazza di Brescello. I ritardi nella consegna spinsero l’agente del duca, Girolamo Feruffino, a controllare di persona i progressi del lavoro con la complicità di Vittoria, ma Sansovino impedì la visione dell’opera (pp. 18 s., doc. 11). L’apice del dissidio fu raggiunto nel 1552, quando il trentino scrisse a Feruffino di aver realizzato un bozzetto per l’Ercole già allogato al maestro, dimostrando la sua disponibilità a sostituirsi nella commissione (p. 19 doc. 12). Poco prima, sempre nello stesso anno, Alessandro aveva proposto al duca di eseguire un suo ritratto in marmo o bronzo (p. 18, doc. 10). La vicenda si concluse comunque senza colpi di scena, poiché Sansovino, nel 1553, propose al discepolo di scolpire le monumentali cariatidi per la Libreria Marciana (i cosiddetti Feminoni), completate nel 1555 (Leithe-Jasper 1963, pp. 64 s.; Avery, 1999c, pp. 21-23, doc. 17). La riappacificazione tra i due è confermata da una missiva di Aretino del 1553, concomitante all’appalto delle due cariatidi (p. 21, doc. 16).

Nel medesimo periodo (1551-52) Vittoria conobbe e sposò Paola Venturini, nativa di «Riva de Trento», deceduta pochi anni dopo, intorno al 1556. Da tale unione non nacquero figli, e nemmeno da quella successiva: nel 1567 lo scultore si congiunse in matrimonio con Veronica Lazzarini, di origini veneziane, che morì nel 1591 (Predelli, 1908, pp. 15-18).

In quest’arco di tempo s’inquadra anche l’acme dell’attività medaglistica di Alessandro, che riunisce unicamente esemplari fusi (Leithe-Jasper, 1999b; Attwood, 2003). In una lettera del 1552 alla nobildonna vicentina Lucietta Saraceno, Pietro Aretino le raccomandava di farsi ritrarre in medaglia da Vittoria e di accogliere l’artista al suo servizio. Nella stessa sede lo scultore veniva elogiato per i rilievi metallici eseguiti per alcuni illustri personaggi, quali l’arciduca Massimiliano d’Asburgo (futuro imperatore Massimiliano II), il principe del Piemonte (Emanuele Filiberto di Savoia), il principe di Spagna (il futuro re Filippo II), le figlie di Marcantonio Thiene, Caterina Chiericata, Maddalena Liomparda e il duca d’Atri, ossia Giovanni Francesco Acquaviva d’Aragona. Aretino menzionava infine le medaglie effigianti alcuni familiari dell’artista stesso («il padre, il fratello e il nipote») e quelle per «cavalieri e prelati» con cui Vittoria ebbe modo di entrare in contatto a Trento (Avery, 1999c, pp. 19 s., doc. 13). All’anno seguente risale un’altra lettera di Aretino, questa volta allo scultore, in cui esprimeva apprezzamento per le medaglie con la sua immagine eseguite dall’artista, riservando lodi particolari alla qualità del rilievo (p. 21, doc. 16). Le due epistole rappresentano le fonti principali attraverso cui è stato possibile ricomporre il catalogo medaglistico di Vittoria. Tra i pezzi citati sono stati identificati solo quelli dello stesso Aretino, di Chiericata, di Liomparda e del duca d’Atri. Si devono poi collegare alle medaglie di «prelati» incontrati a Trento, probabilmente in occasione del Concilio, quelle oggi note per l’oratore imperiale Francesco da Toledo, il vescovo di Segorbe Gaspare Borgia e l’arcivescovo di Antivari Ludovico Chiericati. Tra i ritratti metallici attestati dalle fonti scritte si deve aggiungere quello di Tommaso Rangone, il medico ravennate che fu tra i principali mecenati dello scultore. Anche questo pezzo, cui si fa riferimento nel testamento di Rangone del 1577, è oggi noto in alcuni esemplari. Oltre ai rilievi documentati, l’attuale corpus include infine pezzi siglati «AV» (quali i numismata per Caterina Pasquale, Caterina Sandella e il pittore Anselmo Canera) e altri non firmati ma stilisticamente affini, di cui uno con l’autoritratto. Nel complesso si tratta di un genere che Vittoria coltivò in età giovanile, tra i tardi anni Quaranta e i primi anni Sessanta, e in cui si è riconosciuto un forte influsso dell’opera metallica di Leone Leoni.

Nel 1555 Vittoria ricevette la commissione di quattro Angeli colossali in pietra destinati al campanile progettato da Michele Sanmicheli per il duomo di Verona. Entro il 1561, tuttavia, completò soltanto una delle figure, oggi nel cortile del Vescovado (Leithe-Jasper, 1963, pp. 68 s.; e 1999a, pp. 25, 42 nota 64; Avery, 1999c, pp. 26 s., doc. 23). Tra il 1555 e il 1558 Vittoria partecipò all’esecuzione dell’apparato scultoreo del monumento di Alessandro Contarini al Santo di Padova, opera che vide anche il coinvolgimento di Sanmicheli per la struttura architettonica e di Cattaneo quale autore del busto. All’artista trentino si devono, più precisamente, la coppia di Schiavi che fungono da telamoni e le figure di Teti e della Fama; quest’ultima è l’unica delle quattro sculture a non recare la firma del maestro (Leithe-Jasper, 1963, pp. 66-70; Davis, 1995, pp. 180-195, 306-313; Leithe-Jasper, 1999a, p. 24; Avery, 1999c, pp. 27-30, doc. 24). Dalla documentazione si apprende anche che Alessandro fu tra gli artisti impiegati da Sansovino per l’esecuzione dei due colossi in pietra d’Istria, raffiguranti Marte e Nettuno, per la scala dei Giganti nel palazzo ducale di Venezia, scolpiti tra il 1554 e il 1567 (Boucher, 1991, II, pp. 341 s., n. 35; Avery, 1999c, p. 82, doc. 84).

Nel 1556 Vittoria intervenne nel completamento del sepolcro di Tommaso Rangone per la facciata di S. Zulian a Venezia, che era stato affidato in principio a Sansovino. Il suo contributo di maggiore rilevanza corrisponde alla figura sedente di Rangone in bronzo. Più precisamente, Vittoria subentrò nell’esecuzione del modello in cera dopo che la versione approntata dal maestro rimase irrimediabilmente danneggiata durante la fusione. Il simulacro di Rangone rappresenta la più antica prova dell’artista nella ritrattistica, nonché l’unica a figura intera, dato che questo segmento del suo catalogo riunisce esclusivamente busti. Sin da quest’opera si avverte l’eccezionale abilità di Vittoria nel conciliare una descrizione fisionomica naturalistica e il senso di decoro richiesto dal rango sociale dell’effigiato (Leithe-Jasper, 1963, pp. 76 s.; Boucher, 1991, I, pp. 113-118, II, pp. 215 s., n. 87; Leithe-Jasper, 1999a, pp. 23 s.; Avery, 1999c, p. 31, doc. 26).

Nel 1557 deve essere ricordata l’elezione di Vittoria a «patrone» della Corporazione degli scultori a Venezia (p. 36, doc. 31). Nello stesso anno Alessandro fu coinvolto nella decorazione a stucco del palazzo di Camillo Trevisan a Murano, al tempo in cui vi lavorava anche Paolo Veronese. La mostra di camino menzionata nelle carte è perduta, ma sono attribuibili all’artista trentino gli ornamenti in stucco nel portico della dimora muranese (Leithe-Jasper, 1963, pp. 93-96; e 1999a, pp. 25, 42 nota 66; Avery, 1999c, p. 34, doc. 29). Entro la fine del 1557 lo scultore eseguì poi il busto marmoreo di Giovanni Battista Ferretti per il monumento funerario in S. Stefano a Venezia: il complesso ospita oggi una copia del simulacro, il cui originale è  al Musée du Louvre di Parigi. L’effigie di Ferretti merita una particolare attenzione per essere il primo esemplare di busto-ritratto del catalogo di Vittoria (Martin, 1998, pp. 105 s., n. 6; Avery, 1999c, p. 37, doc. 33). Si ritiene cronologicamente prossimo il busto virile in marmo entrato in anni recenti nel Museo del Castello del Buonconsiglio di Trento, opera che rivela, tra l’altro, evidenti manomissioni nel formato (Attardi - Volpin, 2011, pp. 122-124).

Tra il 1557 e il 1558 la Scuola Grande di S. Giovanni Evangelista commissionava al maestro cinque statuette in argento, oggi perdute, che dovevano raffigurare il santo titolare e quattro Profeti (Avery, 1999c, pp. 34 s., doc. 30). Nel medesimo torno d’anni Alessandro fu coinvolto da Sansovino nella fabbrica del monumento del doge Francesco Venier in S. Salvador, episodio che attesta ancora per queste date la collaborazione tra i due artisti, sebbene il trentino avesse da tempo guadagnato l’autonomia lavorativa. A Vittoria, in particolare, si deve riconoscere la responsabilità esecutiva della figura giacente del defunto e del rilievo della Pietà (Leithe-Jasper, 1963, pp. 77 s.; Boucher, 1991, I, pp. 118-123, II, pp. 339 s., n. 32; Leithe-Jasper, 1999a, p. 23; Avery, 1999c, pp. 37 s., doc. 34).

A partire dal 1558 Vittoria fu impegnato nella decorazione marmorea della cappella di Marcantonio Grimani in S. Sebastiano. L’opera, terminata entro il 1564, consistette nell’esecuzione del busto, firmato, del committente e delle statuette dei santi Marco e Antonio Abate ai lati dell’altare (Leithe-Jasper, 1963, pp. 122-124; Martin, 1998, pp. 109 s., n. 10; Leithe-Jasper, 1999a, pp. 25, 42 nota 79; Avery, 1999c, pp. 46-51, doc. 43). Ricadono entro la seconda metà del sesto decennio anche le Stagioni in stucco per la villa di Francesco Pisani a Montagnana, citate come opere del trentino da Andrea Palladio (1570, 1992, pp. 154 s.; Leithe-Jasper 1963, pp. 70-74).

Allo scadere degli anni Cinquanta risalgono alcune importanti commissioni pubbliche: l’artista fu impegnato sia nella fabbrica del palazzo ducale veneziano, presso cui realizzò il Mercurio per il finestrone verso la Piazzetta (1559: Leithe-Jasper, 1963, p. 74; e 1999a, pp. 25, 42 nota 65; Avery, 1999c, p. 40 doc. 37) e l’ornamento a stucco della Scala d’Oro (1558-59: Leithe-Jasper, 1963, pp. 79-87; e 1999a, pp. 25, 42 nota 67; Avery, 1999c, pp. 41 s., doc. 39), sia nell’esecuzione degli stucchi per lo scalone d’accesso alla Libreria Marciana (1559-60: Leithe-Jasper, 1963, pp. 87-93; e 1999a, pp. 25, 42 nota 68; Avery, 1999c, pp. 42-44, doc. 40). Le decorazioni plastiche delle scale citate rientrano indubbiamente tra i maggiori capolavori dell’artista. Le eleganze parmigianinesche, già dispiegate nell’impresa di palazzo Thiene, convivono qui con le volumetrie piene e vigorose della scultura di Sansovino, capaci di conferire ulteriore nobiltà agli spazi architettonici (cfr. anche Finocchi Ghersi, 1999). Al 1559 risale inoltre la commissione di quattro Apostoli in marmo per la cappella Orsini nella cattedrale di Traù (Trogir) in Croazia, oggi visibili sul campanile (Avery, 1999c, p. 39, doc. 35).

Nel 1560 Vittoria è documentato quale autore di una testa lapidea per il portale di palazzo Usper sul Canal Grande (pp. 44 s., doc. 41), e l’anno seguente eseguì l’ornamento in stucco per un camino, andato perduto, nella dimora veneziana di Giovanni Francesco Priuli (p. 51, doc. 45). Va circoscritta tra il 1561 e il 1564 la decorazione della cappella Montefeltro in S. Francesco della Vigna, per cui realizzò le figure marmoree dei santi Antonio abateRocco e Sebastiano. Il S. Sebastiano, articolato in una posa di sforzo estremo, con un braccio piegato dietro la testa, è evidentemente esemplato su uno degli Schiavi di Michelangelo per la tomba di Giulio II (Leithe-Jasper, 1963, pp. 112-120; e 1999a, pp. 26, 42 s. nota 85; S. Sponza, in La bellissima maniera, 1999, pp. 314-319, n. 66; Avery, 1999c, pp. 54-59, doc. 52). Per ragioni stilistiche, possono essere collocate entro questi anni anche le statue in marmo di S. Andrea e di S. Giacomo, oggi nell’ambasciata del Portogallo a Roma, provenienti dalla Scuola Grande della Misericordia (Leithe-Jasper, 1963, pp. 174-176; Bacchi, 2000, p. 801).

Al 1563 risale la realizzazione delle due Vittorie a rilievo in corrispondenza dei pennacchi del portale di palazzo Grimani sul Canal Grande (Leithe-Jasper, 1963, p. 121; Avery, 1999c, p. 58, doc. 52 [vii]), mentre sono databili tra il 1565 e il 1566 i Telamoni commissionati da Andrea Gritti per la propria residenza veneziana, e andati perduti (p. 61, doc. 57). Nel 1566, stando al testamento dettato in quell’anno (pp. 63 s., doc. 60), Vittoria aveva già scolpito le «due figure che vano dalle bande» per il proprio monumento funerario, ovvero le due cariatidi raffiguranti l’Architettura e la Pittura. Esse furono comunque messe in opera soltanto nel 1603, quando si procedette con il montaggio della tomba in S. Zaccaria. Al Museo di scienze archeologiche e d’arte di Padova si conserva il modello in terracotta per la personificazione dell’Architettura, ossia la figura di destra (Leithe-Jasper, 1963, pp. 120 s.; e 1999a, pp. 26; Id., in La bellissima maniera, 1999, pp. 320 s., n. 67). Nelle volontà del 1566 era segnalato un S. Tommaso in pietra d’Istria, che veniva lasciato in eredità a Tommaso Rangone. La statua va identificata con quella oggi nel seminario patriarcale, che fu collocata, intorno al 1570, sul portale del convento del Santo Sepolcro, fatto erigere dallo stesso Rangone su disegno di Sansovino (Leithe-Jasper, 1963, pp. 124-126; Avery, 1999c, p. 73, doc. 76; T. Martin, in La bellissima maniera, 1999, pp. 322 s., n. 68).

Sempre nel 1566 Alessandro pagò il fonditore Andrea Bresciano per il getto di una statuetta di S. Sebastiano di sua invenzione (Avery, 1999c, p. 64, doc. 61), figura che fu oggetto di una rifusione nel 1575, questa volta eseguita dal genero di Bresciano, tale Orazio (p. 85, doc. 91). I due bronzetti corrispondono verosimilmente ai due esemplari citati da Vittoria nel testamento del 1584 (ricordati in quella sede come immagini di «Marsia»), dei quali solo uno era ricordato provvisto di firma (pp. 142 s., doc. 121). La versione autografa è stata generalmente identificata con la figura del Metropolitan Museum di New York (Leithe-Jasper, 1963, pp. 118-120), sebbene sia noto, da qualche anno, un altro esemplare firmato, comparso nel 1998 presso Christie’s a Londra. L’altra versione, priva di firma, è stata invece generalmente ravvisata nel bronzo al Los Angeles County Museum of art (ibid.). Alessandro fu un prolifico autore di bronzetti, come attestano i tredici pezzi autografi noti: un Battista e un S. Francesco già in S. Francesco alla Vigna, scomparsi per via di un furto; un Malachia e un Melchisedec perduti nell’ultimo conflitto mondiale (al tempo in collezione Feist a Berlino) e provenienti dall’altare maggiore dei Frari a Venezia; il Mercurio del Getty Museum di Los Angeles; la Minerva della collezione Smith di Washington; la Venere/Diana degli Staatliche Museen di Berlino; un Giovedi ubicazione sconosciuta, noto in fotografia (Weihrauch, 1967, pp. 147 s., fig. 170); un Apollo oggi nei musei statali berlinesi e la sua replica in collezione Owsley; un Giove al Musée de la Renaissance a Écouen. A questi bronzi, la cui paternità è certificata dalla firma, si possono aggiungere altri esemplari attribuibili all’artista sulla base dello stile: una Minerva del Kunsthistorisches Museum di Vienna; due statuette di Nettuno al Museo Civico di Padova e a Berlino; un altro simulacro del dio con un ippocampo nel Victoria and Albert Museum di Londra; un Giove al Kunsthistorisches Museum di Vienna; una Giunone del Nelson-Atkins Museum of art di Kansas City; l’Inverno/Filosofo conservato sia a Vienna sia alla Galleria Estense di Modena; il Milone di Crotone di cui esistono esemplari alla Ca’ d’Oro, a Berlino e a Vaduz. Vanno incluse in questo nucleo pure alcune figure fittili, riconducibili all’artista su base stilistica, che si ritengono preparatorie per statuette in bronzo, come l’Apollo di Vienna, il Nettuno del British Museum di Londra e i quattro Evangelisti dell’Art Institute di Chicago (sulle terrecotte di Chicago cfr. Leithe-Jasper, 1963, p. 207; Id., in La bellissima maniera, 1999, pp. 364-367, n. 82). Questo momento della sua produzione, collocabile per ragioni formali tra il sesto e il nono decennio del secolo, restituisce oggi un’immagine vivida del collezionismo lagunare all’epoca (sui bronzetti cfr. Leithe-Jasper, 1999c, e le schede in La bellissima maniera, 1999, pp. 330-349, nn. 69-76, 360-369, nn. 81-83, 380-381, n. 85; Bacchi 2000, pp. 801-803).

Risale al 1566 l’avvio dei lavori per l’altare di Girolamo Zane ai Frari, terminato entro gli anni Settanta. Il complesso, tra i vertici di questa fase di Vittoria, appare in un assetto ampiamente ridimensionato. Rappresenta ancora il fulcro dell’insieme la statua in marmo di S. Girolamo, cui lo scultore iniziò a lavorare nel 1566, come attesta una lettera coeva di Cosimo Bartoli a Vasari (Avery, 1999c, pp. 61 s., doc. 59 [i]). La struttura riuniva poi una pala in stucco a rilievo dell’Assunzione e le statue, ugualmente in stucco, dei santi Giovanni BattistaPietroAndrea e Leonardo. In seguito a un rinnovamento del 1753, che coincise con l’esecuzione della pala dipinta di Giuseppe Nogari, sopravvissero soltanto le statue di Pietro e Andrea, oltre a quella di Girolamo. Le figure ancora visibili tradiscono la ricerca di un’unità compositiva, ottenuta attraverso rispondenze nelle pose e nelle espressioni drammatiche dei volti. Il poderoso Girolamo, bloccato in un movimento spiraliforme, testimonia l’interesse del maestro trentino per Michelangelo quale modello per soluzioni ritmiche e plastiche (Leithe-Jasper, 1963, pp. 127-136; e 1999a, pp. 26-30; Avery, 1999c, pp. 61-63, doc. 59).

Non è più rintracciabile il Cupido marmoreo scolpito nel 1567 per il duca Alberto V di Baviera, per il quale Vittoria, inoltre, restaurò una statua antica di «donna», ugualmente perduta (p. 67, doc. 63). Su quest’ultimo pezzo, che attesta la sua attività nel ripristino antiquario (cfr. Favaretto, 2001, pp. 171-173), l’artista era intervenuto integrando la «testa et un brazzo». Nello stesso anno inviò in dono a Vasari una statuetta in cera di un cavallo, anch’essa perduta (Avery, 1999c, p. 68, doc. 65). L’oggetto è menzionato in una lettera inviata nel 1567 da Bartoli all’aretino, da cui si ricava anche che Vittoria desiderava calchi, «di cera o di gesso», di opere michelangiolesche per la propria raccolta.

Nel 1568 Alessandro fu incaricato di realizzare la decorazione a stucco di tre camini per Pietro Pala, non più esistenti (pp. 68 s., doc. 66). A questi stessi anni si datano i Telamoni, firmati, oggi a Ca’ Rezzonico, che dovevano in origine ornare un camino, sebbene la provenienza rimanga ignota (Leithe-Jasper, 1963, pp. 121 s.; Bacchi, 2000, p. 802). Agli inizi del 1569 lo scultore acquistò un’ampia proprietà nei pressi di calle della Pietà, che trasformò in dimora e bottega (Avery, 1999c, p. 71, doc. 72). Allo stesso anno risalgono pagamenti all’artista per Ca’ Foscari, collegabili verosimilmente a lavori in stucco per un camino oggi frammentario (p. 73, doc. 75; Attardi, 2001).

Entro il settimo decennio si possono scalare vari busti-ritratti: quello in marmo di Benedetto Manzini, firmato, proveniente da San Geminiano e oggi alla Ca’ d’Oro (ante 1561: Martin, 1998, pp. 118-120, n. 16); quello in marmo di Priamo da Lezze per il sepolcro ai Gesuiti (ante 1568: pp. 116-118, n. 15); quello in terracotta, firmato, di Niccolò Massa per la tomba in S. Domenico di Castello, e oggi all’Ateneo Veneto (1569 circa: pp. 121 s., n. 18); quello marmoreo di Girolamo Molin per il monumento funebre in S. Maria del Giglio (ante 1573: pp. 142 s., n. 40; Avery, 1999c, pp. 82 s., doc. 86); quello in marmo, dotato di firma, del Museo civico di Vicenza, forse effigiante un membro della famiglia Pellegrini (Martin, 1998, p. 153, n. 53); quello di ignoto, forse un rappresentante della famiglia Molin, a palazzo Giusti a Verona (Siracusano, 2019, pp. 92-96). La ritrattistica costituisce un nucleo importante del catalogo del maestro trentino, in cui si è a ragione riconosciuto un debito verso Cattaneo. L’opera di Vittoria seppe infondere un impulso, fin allora inedito, a questo genere a Venezia, che divenne sempre più tipico della decorazione dei depositi funerari. Si deve a lui, inoltre, il merito di aver conferito a questa tipologia scultorea alcuni caratteri di grande fortuna: tutti i suoi busti si contraddistinguono per il taglio derivato dagli antichi modelli romani, ovvero per il troncamento stondato, una soluzione intrisa di implicazioni ideologiche che incontrò inevitabilmente il favore dell’aristocrazia veneta. Oltre ai busti superstiti, realizzati nel corso dell’intera carriera, è necessario segnalare la perdita di quattro esemplari segnalati da Vasari, e quindi databili entro il 1568: quelli di Andrea Loredan, dei fratelli Vincenzo e Giovanni Battista Pellegrini, e di Camillo Trevisan (Martin, 1998, pp. 155-157, nn. 55-58; per Mancini, 1995, pp. 144-147, il busto di Vincenzo Pellegrini va identificato con il pezzo del Museo civico di Vicenza). Il principale contributo sui ritratti di Vittoria si deve a Thomas Martin (1998), ma ulteriori riflessioni sono state condotte da Andrea Bacchi (2000, pp. 803-805). Va precisato che Martin, nella sua distinzione tra opere autografe e ascrivibili alla bottega, inseriva nel secondo gruppo pure alcuni pezzi firmati. Come però osservato da Bacchi, la firma non può essere relegata in secondo piano. Per uno scultore come Vittoria, verosimilmente, l’autografia di un’opera non si misurava sul grado di partecipazione a ogni fase della sua realizzazione. Per Bacchi (2000, p. 805), infine, rimane una questione aperta l’attribuzione di alcuni busti, già segnalati da Martin, affini allo stile del maestro: quello in marmo di Vincenzo Alessandri di ubicazione ignota (Martin, 1998, p. 130, n. 29); quello virile in terracotta al Royal Ontario Museum di Toronto (p. 136, n. 34); quello fittile di Palma il Giovane al Kunsthistorisches Museum di Vienna (p. 139, n. 37); quattro gentiluomini in terracotta al Victoria and Albert Museum (pp. 148 s., n. 47, 152 s., nn. 51-52, 153 s., n. 54); e il busto fittile di Antonio Zorzi in S. Stefano a Venezia (pp. 150 s., n. 49).

Alla fine degli anni Sessanta Vittoria era ormai il vero erede di Sansovino in terra veneta: in una lettera scritta nel 1569 a Massimiliano II d’Asburgo da Veit von Dornberg, ambasciatore imperiale a Venezia, veniva ricordato tra gli artisti più in vista della scena lagunare (Avery, 1999c, pp. 70 s., doc. 71).

Al 1570 si data un altro testamento del maestro, in cui nominava Lorenzo Rubini, suo cognato e aiutante di bottega, erede della propria raccolta di disegni e di sculture (pp. 73-75, doc. 77). Intorno al 1574 ricevette l’incarico di decorare con stucchi alcuni camini, non più esistenti, per le residenze veneziane di Leonardo Pesaro (p. 83, doc. 87) e di Lorenzo Soranzo (p. 83, doc. 88). Nello stesso anno eseguì le figure in stucco degli Evangelisti per la controfacciata di S. Giorgio Maggiore (Leithe-Jasper, 1963, pp. 140 s.; Avery, 1999c, pp. 83 s., doc. 89).

Al 1575 risale la realizzazione della targa lapidea nel palazzo ducale che commemora la visita in città del sovrano francese Enrico III, avvenuta nell’anno precedente (Leithe-Jasper, 1963, pp. 165-167; e 1999a, pp. 30, 43 nota 109; Avery, 1999c, pp. 84 s., doc. 90). Allo stesso anno si data la commissione del monumento dei dogi Lorenzo e Girolamo Priuli per S. Salvador. Il complesso ideato da Vittoria non fu però mai eseguito: il ricorso all’artista trentino, deciso dai procuratori de ultra, ai quali spettava la gestione della fabbrica, contrastava con le indicazioni del figlio del doge Girolamo, Ludovico, che aveva stanziato una somma allo scopo per via testamentaria. In seguito alle proteste del discendente di Ludovico, Giovanni Francesco, i procuratori ripristinarono il progetto di Giovanni Antonio Rusconi, concepito nel 1569, e assai più sontuoso rispetto a quello di Vittoria (pp. 85-108, doc. 92; sulla vicenda cfr. Simane 1993, pp. 49-64).

Nel 1576 Alessandro dettò un nuovo testamento, in cui dichiarava di aver disegnato la propria sepoltura, che doveva essere costruita in S. Giovanni in Bragora (Avery, 1999c, pp. 112 s., doc. 96). Nel documento ricordava un’altra opera di sua mano, il monumento di Giulio Contarini in S. Maria del Giglio, da prendere a modello per la propria tomba, sebbene avesse già approntato a tale scopo «alcuni dissegni». Ciò consente di datare entro il 1576 il deposito di Contarini, caratterizzato dal busto del defunto e da due cariatidi, entrambe firmate (Leithe-Jasper, 1963, p. 167; Martin, 1998, pp. 97-99, n. 1). Nel 1576 Vittoria fu inoltre costretto a spostarsi a Vicenza per sfuggire alla peste che devastava Venezia, dove tornò l’anno seguente (Avery, 1999c, pp. 113 s., doc. 97). A questo soggiorno risale probabilmente il ritratto in stucco di Girolamo Forni, uno degli amici che organizzarono il viaggio fino a Vicenza: l’opera, oggi in collezione privata, è segnalata nel testamento di Forni del 1610, al tempo in cui si trovava nella sua villa di Montecchio Precalcino (Attardi - Volpin, 2011, pp. 115-121; prodotto di bottega per Martin, 1998, pp. 137 s., n. 36).

Tra il 1577 e il 1578 lo scultore fu impegnato nella costruzione del monumento del vescovo Domenico Bollani per il duomo di Brescia. Il complesso, comprendente le figure in marmo del Redentore, della Fede e della Carità, fu danneggiato dal crollo del campanile nel 1708. Quanto rimane, ovvero la statua frammentaria di Cristo e quelle, invece illese, delle Virtù, è nel Museo di S. Giulia (Leithe-Jasper, 1963, pp. 169-172; e 1999a, pp. 30, 43 nota 110; Avery, 1999c, p. 116, doc. 101). Nella stessa sede si conserva un busto virile in terracotta attribuibile a Vittoria, che può ritenersi cronologicamente prossimo al sepolcro Bollani (Panazza, 1968). È accostabile alle statue bresciane, e quindi databile agli anni Settanta, anche la figura in pietra d’Istria, firmata, del Battista oggi nel duomo di Treviso, proveniente da S. Francesco (Leithe-Jasper, 1963, pp. 176-178; e 1999a, pp. 30, 43 nota 111; Bacchi, 2000, p. 802). Nel medesimo arco di tempo si colloca il progetto dei camini per villa Almerico-Capra a Vicenza, la cosiddetta Rotonda palladiana (Avery,1999c, pp. 117, doc. 103). Al sistema decorativo della villa è connessa pure una terracotta riconducibile a Vittoria, preparatoria per una delle figure allegoriche nella scalinata, scolpita in marmo da Lorenzo Rubini (Bacchi, 2007).

Tra il 1578 e il 1579 l’artista trentino eseguì le personificazioni in marmo di Venezia e della Giustizia per la facciata del palazzo ducale veneziano (Leithe-Jasper, 1963, pp. 172 s.; e 1999a, pp. 30, 43 nota 112; Avery, 1999c, pp. 116 s., doc. 102). Allo scadere del decennio è documentata pure la decorazione di un camino, non più esistente, per la dimora veneziana dei Morosini a S. Giustina (p. 119, doc. 107).

Gli anni Settanta si rivelarono non meno prolifici nella ritrattistica, come dimostrano numerose attestazioni: il busto in marmo, firmato, di Girolamo Grimani per il monumento in S. Giuseppe di Castello (1573 circa: Leithe-Jasper, 1963, pp. 143-145; Martin, 1998, pp. 107 s., n. 8; Avery, 1999c, p. 82, doc. 85), di cui è nota anche una versione in terracotta, ugualmente firmata, nel seminario patriarcale (Martin, 1998, pp. 108 s., n. 9); i ritratti di Giovanni Battista e Girolamo Gualdo (quest’ultimo con la testa rimaneggiata da Giacomo Cassetti nel 1747: Saccardo 1982), entrambi in terracotta dorata e provvisti di firma, per il cenotafio nella cattedrale di Vicenza (1574 circa: Leithe-Jasper, 1963, pp. 168 s.; Martin, 1998, pp. 114-116, n. 14, p. 140, n. 38); quello in bronzo di Tommaso Rangone oggi nell’Ateneo Veneto, proveniente dal portico della sagrestia di S. Geminiano, e di cui è nota anche una versione in terracotta al Museo Correr (ante 1577: Martin, 1998, pp. 123-125, nn. 20-21; Avery, 1999c, pp. 77-81, doc. 80); quello in marmo di Ottaviano Grimani, autografo, degli Staatliche Museen di Berlino (Martin, 1998, p. 114, n. 13); quello, sempre in marmo e firmato, di Orsato Giustiniani al Museo civico di Padova (pp. 106 s., n. 7; Avery, 1999c, p. 176, doc. 146); quello di Sebastiano Venier, in marmo e dotato di firma, nel palazzo ducale veneziano, dove approdò per disposizione testamentaria dell’autore (Martin, 1998, pp. 125 s., n. 22); il ritratto femminile in terracotta del Kunsthistorisches Museum di Vienna, già in palazzo Zorzi a Venezia (p. 129, n. 27); quello di giovane, in terracotta e siglato, proveniente dalla stessa sede, e oggi alla National Gallery of art di Washington (pp. 127 s., n. 24); il busto virile fittile, siglato, del Victoria and Albert Museum (p. 128, n. 25).

Gli anni Ottanta furono inaugurati con la statua in pietra, firmata, di S. Zaccaria per il portale dell’omonima chiesa veneziana, opera menzionata per la prima volta da Francesco Sansovino (1581, c. 28r; Leithe-Jasper, 1963, pp. 137-139; e 1999a, p. 30). Al 1581 risale la commissione a Vittoria della pala bronzea dell’Annunciazione per la cappella privata di Hans Fugger nel castello di Kirchheim, in Baviera. Il rilievo, attualmente all’Art Institute di Chicago, risultava incompiuto nel 1583, ma si deve comunque immaginare terminato entro la metà del decennio (Leithe-Jasper, 1963, pp. 192 s.,; Id., in La bellissima maniera, 1999, pp. 370-379, n. 84; Avery, 1999c, pp. 119 s., doc. 108). Al 1581 si devono datare anche il Cristo marmoreo per la facciata della basilica dei Frari e il S. Giacomo, parimenti in marmo, per la Scuola Grande della Misericordia (Leithe-Jasper, 1963, pp. 173 s.; Avery, 1999c, pp. 120 s., doc. 109).

Tra il 1582 e il 1584 Vittoria fu impegnato nel monumento del doge Niccolò da Ponte in S. Maria della Carità, di cui sopravvive soltanto il busto, siglato e in terracotta, oggi nel seminario patriarcale (Martin, 1998, pp. 122 s., n. 19; Avery, 1999c, p. 147, doc. 124). Contemporaneamente, intorno al 1583, portava a termine il monumento di Paolo Costabili in S. Domenico di Castello, attestato oggi dall’effigie in marmo, autografa, al Museo del Bargello a Firenze (Martin, 1998, pp. 99 s., n. 2). Si conserva anche una versione fittile di tale ritratto, non firmata ma attribuibile al maestro trentino, in collezione privata (Bacchi, 2000, p. 804).

Tra il 1583 e il 1584 lo scultore è documentato nel cantiere della Scuola di S. Fantin, con l’incarico di realizzare le statue in pietra dell’Assunta e di due Angeli per il frontone (Leithe-Jasper, 1963, pp. 183-185; e 1999a, p. 30; Avery, 1999c, pp. 130-133, doc. 115). Occorre circoscrivere entro questa campagna di lavori, sebbene non esista alcun riscontro documentale, pure le figure bronzee, firmate, della Vergine Addolorata e di S. Giovanni Evangelista per l’altare del Crocifisso in S. Fantin, approdate ai Ss. Giovanni e Paolo in età napoleonica (Leithe-Jasper, 1963, pp. 203-207; e 1999a, pp. 32, 44 nota 117; S. Sponza, in La bellissima maniera, 1999, pp. 356-359, n. 80; Avery, 1999c, pp. 133-135, doc. 116). A Ca’ Rezzonico è inoltre custodito un probabile modello per l’Addolorata tra le terrecotte del fondo di bottega di Giovanni Maria Morlaiter (Martinelli Pedrocco, 1981; Bacchi, 2000, p. 802). Sono visibili ai Ss. Giovanni e Paolo, sin dall’epoca napoleonica, anche alcuni marmi di Vittoria provenienti dall’altare di S. Girolamo in S. Fantin, ovvero una statua del santo titolare del complesso, firmata, e un rilievo dell’Assunzione. Queste sculture, che paiono ugualmente databili al nono decennio nonostante l’assenza di prove archivistiche, rappresentano un gruppo di particolare rilevanza. Il Girolamo si configura come uno snodo nell’attività dell’artista, inaugurando gli sviluppi dell’ultima produzione, improntata in misura ancora maggiore all’astrazione. Rispetto al gemello sull’altare Zane, il Girolamo oggi ai Ss. Giovanni e Paolo ha in comune soltanto il rigido schema compositivo, elicoidale, entro cui sono serrate le membra; l’espressione facciale, quasi rarefatta, non è infatti paragonabile al volto segnato dal pathosdel santo dei Frari (Leithe-Jasper, 1963, pp. 203-205; Sponza, 1981, pp. 17-25; e 1982, pp. 192-196; Leithe-Jasper, 1999a, pp. 32, 44 nota 119; Avery, 1999c, pp. 135 s., doc. 117).

Intorno al 1583 Vittoria partecipò all’allestimento della cappella del Sacramento in S. Zulian. I documenti contabili riferiscono a lui le figure in terracotta bronzata ai lati dell’altare, anche se esse risultano firmate dal collaboratore Agostino Rubini (Leithe-Jasper, 1963, pp. 201 s.; Davis, 1985, pp. 166-169; Avery, 1999c, pp. 123-130, doc. 114). L’anno seguente, sempre in S. Zulian, il maestro lavorò all’altare dei Merciai, che vide anche il coinvolgimento di Jacopo Palma il Giovane per la pala dipinta. Il contributo dello scultore consistette nelle statue marmoree del Profeta Daniele e di S. Caterina, entrambe firmate, e del paliotto, ugualmente in marmo, con la Natività della Vergine. Risulta qui interessante la contrapposizione tra le due figure laterali, con i loro volumi compatti e torniti, e la sensibilità pittorica, più vibrante, che informa il rilievo. Quest’ultimo, una composizione di vesti svolazzanti e increspate, dimostra la varietà delle possibilità espressive del maestro ancora a questo tempo. Le figure a tutto tondo, dalle forme e dai gesti tanto essenziali, in accentuato moto rotatorio, esemplificano al contempo il suo prevalente orientamento stilistico (Leithe-Jasper, 1963, pp. 185-192; e 1999a, pp. 32-35; Avery, 1999c, pp. 136-141, doc. 119).

Tra il 1584 e il 1585 Vittoria eseguì le statue marmoree dei santi Francesco ed Elena per l’altare Bernardo ai Frari (Leithe-Jasper, 1963, pp. 194 s.; Avery, 1999c, pp. 144-147, doc. 123). Nel 1585 fu incaricato di progettare l’apparato architettonico dell’altar maggiore di S. Giovanni Battista della Cucca (attuale Veronella), non più esistente (Zavatta, 2016).

Tra il 1586 e il 1589 è nuovamente attestato nel cantiere del palazzo ducale veneziano, allora in ristrutturazione dopo l’incendio del 1577. Ricevette l’incarico di scolpire le figure in marmo della Vigilanza, dell’Eloquenza e dell’Udienza per il timpano dell’ingresso della sala delle Quattro porte, e altre tre immagini allegoriche (VeneziaGiustizia e Prudenza) per il portale dell’Anticollegio (Leithe-Jasper, 1963, pp. 197 s.; e 1999a, pp. 37, 44 nota 137; Avery, 1999c, pp. 160-162, doc. 129). Tra il 1586 e il 1587 era occupato anche sul fronte del monumento di Giovanni Battista Peranda in S. Maria degli Angeli, che presenta al centro il busto marmoreo del defunto, firmato (Leithe-Jasper, 1963, p. 196; Martin, 1998, pp. 145 s., n. 43; Avery, 1999c, p. 148, doc. 126).

Alla seconda metà del nono decennio risale la decorazione della cappella del Rosario ai Ss. Giovanni e Paolo, oggi conservata solo parzialmente: sopravvivono i Profeti e le Sibille in stucco, databili tra il 1586 e il 1587, mentre sono perdute le figure marmoree di S. Giustina e di S. Domenico, eseguite entro il 1591 (Leithe-Jasper, 1963, pp. 198-200; e 1999a, pp. 37, 44 nota 138; Avery, 1999c, pp. 149-159, doc. 128; e 2001a). Al 1588 deve datarsi il busto in marmo, siglato, di Vincenzo Morosini per la tomba in S. Giorgio Maggiore, stando alle carte dello scultore (Martin, 1998, pp. 144 s., n. 42; Avery, 1999c, p. 162, doc. 129 [ii]). Sono inquadrabili entro questo torno d’anni, per ragioni formali, anche le statue in marmo di S. Sebastiano e S. Rocco per l’altare dei Luganegheri in S. Salvador. In questo complesso si è riconosciuto, a ragione, uno dei momenti più alti della tarda attività di Vittoria. Le statue esibiscono un dinamismo più complesso e articolato rispetto alle opere precedenti, che riesce a conquistare l’intero spazio circostante. Il Sebastiano, in confronto alla statua di medesimo soggetto presso l’altare Montefeltro, è qui in una posa ancora più appassionata, quasi protobarocca, tesa tra spasmo di dolore e pura idealizzazione (Leithe-Jasper, 1963, pp. 211-213; e 1999a, pp. 35-37; Bacchi, 2000, p. 803).

Vanno collocati entro gli anni Ottanta numerosi busti, oltre a quelli già citati: il ritratto in terracotta, firmato, di Pietro Zen, oggi nel seminario patriarcale (1583-85: Martin, 1998, pp. 126 s., n. 23); quello di Apollonio Massa, ugualmente fittile e nel medesimo luogo, dalla chiesa delle Convertite alla Giudecca (1587 circa: pp. 120 s., n. 17); l’effigie in terracotta già in collezione Zeri, e oggi all’Accademia Carrara di Bergamo, pressoché sovrapponibile, da un punto di vista fisionomico, a quella di Massa (Il conoscitore d'arte, 1989; Bacchi, 2000, p. 804); il busto di Giovanni Donà, in marmo e firmato, alla Ca’ d’Oro, dai Ss. Giovanni e Paolo (Martin, 1998, pp. 100-102, n. 3); quello di uomo in armatura, fittile e siglato, del Victoria and Albert Museum (pp. 128-129 n. 26); quello in marmo di Tommaso Contarini, firmato, per la tomba alla Madonna dell’Orto (pp. 133-135, n. 32); l’effigie virile in marmo del Metropolitan Museum di New York, anch’essa dotata di firma, che si deve identificare con il ritratto di Francesco Bocchetta per Santa Caterina (pp. 151-152, n. 50; Noè, 2000); un altro esemplare al Metropolitan, forse effigiante Tommaso Contarini, in terracotta e siglato (Martin, 1998, pp. 135 s., n. 33); il busto virile fittile del Louvre (pp. 129 s., n. 28); il busto di ignoto in terracotta, siglato, del Musée des beaux-arts di Strasburgo (Martin, 2001, pp. 36-40).

L’ultimo decennio del secolo prese avvio con la decorazione lapidea della cappella di S. Saba in S. Antonin, finanziata dall’allora proprietario Francesco Tiepolo. La campagna di lavori, condotta tra il 1591 il 1594 con Vittoria in qualità di regista, culminò con l’esecuzione del busto in marmo, firmato, di Alvise Tiepolo, padre del committente (Leithe-Jasper, 1963, p. 202; Martin, 1998, pp. 147 s., n. 45; Avery, 1999c, pp. 164-167, doc. 133). Nel 1592 il maestro veniva ricompensato per l’effigie in marmo di Marino Grimani, autografa, oggi alla Ca’ d’Oro, di cui si conserva una versione in terracotta, anch’essa dotata di firma, a Palazzo Venezia a Roma: l’esemplare fittile è segnalato nella documentazione contabile del 1593, anno in cui veniva pagata la doratura (Martin, 1998, pp. 110-114, nn. 11-12; Avery, 1999c, p. 169, doc. 136).

Nel 1595 Vittoria stipulò un nuovo testamento (pp. 169-171, doc. 138), da cui si apprende che aveva scolpito l’autoritratto in marmo, firmato, per la propria sepoltura (Martin, 1998, p. 148, n. 46). L’anno seguente registrava nelle sue carte la realizzazione del busto marmoreo di Domenico Duodo, firmato, oggi alla Ca’ d’Oro (pp. 136 s., n. 35; Avery, 1999c, p. 171, doc. 139).

Stando alle fonti documentali risulta eseguito intorno al 1599 il ritratto, in marmo e firmato, di Antonio Montecatini per S. Paolo a Ferrara (Martin, 1998, p. 144, n. 41; Avery, 1999c, p. 175, doc. 144). Altri busti sono scalabili entro gli anni Novanta: quello di Francesco Duodo, in marmo e firmato, alla Ca’ d’Oro, di cui è nota una versione in terracotta, ugualmente provvista di firma, al Museo Correr (ante 1592: Martin, 1998, pp. 102-105, nn. 4-5; Avery, 1999c, pp. 168 s., doc. 135); quello in marmo di Guglielmo Helman, siglato, per la tomba in S. Maria Formosa (1593 circa: Martin, 1998, pp. 140-142, n. 39); quello in marmo di Lorenzo Cappello, firmato, oggi al Museo del Castello del Buonconsiglio di Trento (1596 circa: pp. 130 s., n. 30); quello, sempre marmoreo e autografo, di Jacopo Soranzo in S. Maria degli Angeli (1599 circa: pp. 146 s., n. 44); e il busto virile, forse Pietro Zen, degli Staatliche Museen di Berlino, anch’esso in marmo e firmato (pp. 149 s., n. 48).

Agli inizi del Seicento la Scuola del Rosario incaricò Vittoria di progettare un altare nella chiesa, oggi scomparsa, di S. Domenico di Castello (Avery, 1999c, pp. 175 s., doc. 145). Intorno allo stesso periodo risale il suo coinvolgimento nell’arredo statuario dell’altar maggiore di S. Giacomo di Rialto, commissionato probabilmente dopo la ristrutturazione dell’edificio nel 1601. A lui va riconosciuta la figura marmorea di S. Giacomo, la cui paternità è attestata da una menzione, pressoché coeva, di Giovanni Stringa (in Sansovino, 1581, 1604, c. 155v; Leithe-Jasper, 1963, pp. 213 s.).

Nel 1601 Alessandro dettò un nuovo testamento, in cui disponeva di essere seppellito in S. Zaccaria (Avery, 1999c, pp. 176-178, doc. 147). Solo l’anno seguente, tuttavia, ottenne dalle monache la concessione di un luogo in cui erigere la tomba. Tra il 1602 e il 1605 si registrano inoltre pagamenti da parte sua agli assistenti per il completamento del proprio deposito funerario, al quale aveva cominciato a lavorare già negli anni Sessanta (Leithe-Jasper, 1963, pp. 214-217; e 1999a, p. 37; Avery, 1999c, pp. 178-181, doc. 148).

Le ultime commissioni furono affrontate da Vittoria con un ricorso sempre più frequente e più vasto alla bottega, una scelta obbligata dall’avanzare dell’età. A quest’ultimo tratto della sua esistenza risale un episodio che segnò il definitivo tramonto della sua carriera. L’artista fu superato dal più giovane Girolamo Campagna nella commissione della statua in marmo del duca Federico da Montefeltro, richiesta dall’allora signore di Urbino Francesco Maria II della Rovere. In una lettera indirizzata a Giulio Giordani, segretario della corte roveresca, l’abate Giulio Brunetti, ministro ducale in Laguna, informava che il maestro, a causa della sua anzianità, era ormai incapace di lavorare con lo scalpello: «il Vittoria, il qual soleva lavorar bene anch’esso, è tanto vecchio che non attende più niente» (pp. 183 s., doc. 153).

Al 4 maggio 1608 risale infine l’ultimo testamento di Alessandro (pp. 184-186, doc. 155), rogato ventitré giorni prima della morte, avvenuta a Venezia il 27 di maggio (p. 187, doc. 157).

Fonti e bibliografia

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