POMPEI, Alessandro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 84 (2015)

POMPEI, Alessandro

Elena Granuzzo

POMPEI, Alessandro. – Esponente della nobiltà veronese, nacque a Verona il 6 luglio 1705 (Archivio di Stato di Verona [d’ora in avanti ASVr], Accademia Filotima, 157, c. 3), figlio del conte Alessandro e della contessa Cecilia Porto. Fu chiamato Ercole, ma alla morte del padre (1706) ne prese il nome.

All’età di dodici anni venne mandato dalla madre a studiare nel collegio dei nobili di Parma, sotto la direzione del pittore Clemente Ruta. Tornato a Verona nel 1725, continuò a dipingere sotto la guida del pittore Antonio Balestra.

Non a caso Scipione Maffei gli dedicò un elogio nella terza parte della Verona Illustrata, chiudendo la serie dei pittori operanti nel Veronese ma, soprattutto, intravedendo in lui la classica figura del nobile illuminato dilettante d’arti.

Pompei rispose perfettamente alle esortazioni di Maffei («Ci sia lecito esortare i Cittadini veronesi al bellissimo studio dell’Architettura», S. Maffei, Verona Illustrata, Verona 1732, p. 153), applicandosi, negli anni 1731-32, ai rilievi delle fabbriche sanmicheliane per rimettere ordine, come scrisse in una lettera a Maffei, «alla confusione della moderna architettura della quale vorrei, se si potesse, che il nostro paese si disfacesse» (Biblioteca civica di Verona, A. e G. Pompei, b. 97).

Il suo trattato Li cinque ordini dell’architettura civile di Michel Sanmicheli (Verona 1735), «tentativo di sintesi del patrimonio del linguaggio classico» (Sandrini, 1988, p. 290), basato sulla comparazione degli ordini architettonici da Vitruvio ai più importanti trattatisti del Rinascimento, si prefiggeva come scopo proprio quello di rimettere ordine nella confusione della moderna architettura, ponendosi come occasione per il recupero dei valori patri attraverso la celebrazione del grande architetto veronese.

Come per Maffei, anche per Pompei era essenziale dare vita a un movimento generale di rinnovamento del gusto che avrebbe portato alla ripresa di regole classiche e a una violenta polemica antibarocca, in nome di un atteggiamento critico illuminato che rifiutava di assumere a riferimento la lezione di un solo maestro e poneva invece la ragione, l’ordine, la razionalità come perni del rinnovamento architettonico.

La scelta architettonica di Pompei sorgeva, quindi, come dichiarato impegno civile: un programma per l’azione che sarebbe andato a colmare quel vuoto lamentato nella Verona Illustrata, e che si sarebbe concretizzato nelle fabbriche intraprese di lì a poco.

Precoce fu anche l’ingresso del giovane patrizio nella vita politica. Nel Consiglio cittadino entrò nel 1731, a soli ventisei anni, occupando successivamente, in virtù della dignità di consigliere, diverse cariche fra le quali quella di provveditore di Comun, ricoperta da Pompei per ben sei volte.

Nello stesso tempo si dedicò anche a importanti impegni progettuali. Agli anni 1731-37 risale la costruzione della villa di famiglia a Illasi, la cui monumentale facciata, a pronao con frontone, richiama uno schema di tipo palladiano, in una pulitissima versione settecentesca. Il fronte nord conserva ancora pregevoli affreschi, opera dello stesso Pompei.

Di tipologia differente si presenta, invece, villa Giuliari a Settimo di Gallese, costruita tra il 1739 e il 1743 (i disegni originali sono conservati alla Biblioteca capitolare di Verona, Giuliari, Architettura ecclesiastica e civile, P/S-19, b. 20), ove il pronao con colonne venne sostituito dal sistema portico-loggia che ne riduceva la maestosità, con un gusto più consono alla rusticitas della fabbrica. L’ordine adottato è quello tuscanico, presente persino nel pronao del corpo dominicale.

Tra il 1739 e il 1746 Pompei conobbe un periodo intenso, sia per l’attività progettuale sia per l’impegno profuso in favore della propria città. Nel 1742 venne inviato a Genova come procuratore speciale per seguire importanti affari, ottenendone pubblico elogio (ASVr, Comune, reg. 126).

Nel 1739 si dedicò ai manoscritti del senese Teofilo Gallacini, autore di un Trattato sopra gli errori degli Architetti, pubblicato a Venezia nel 1767. Sempre nel 1739 tornò per la seconda volta a Roma (dopo un primo viaggio nel 1729) insieme all’architetto veronese Adriano Cristofali: occasione straordinaria per arricchire la propria formazione culturale.

Agli stretti rapporti tra Maffei e i Pindemonte va fatta risalire la villa eretta negli anni 1738-39 per il marchese Pindemonte al Vo’ di Isola della Scala, conclusa nel 1742, come indica la data riportata nell’iscrizione del fregio di facciata. Classicismo e funzionalismo, fusi insieme in un severo equilibrio, mostrano qui in maniera paradigmatica la svolta impressa all’architettura da Pompei.

Entro il 1740 fu concluso il rifacimento del prospetto interno del palazzo urbano della famiglia Spolverini, ove Pompei aggiornò la fronte verso il giardino, secondo un’aulica ‘parlata’ all’antica basata su una sequenza di finestre accoppiate.

Tra il 1739 e il 1746 egli risultò impegnato in due tra i poli più significativi della Verona settecentesca, ovvero il Museo lapidario (uno dei primi musei pubblici in Europa) e la Dogana, lo splendido edificio che nei pressi della chiesa di S. Fermo era adibito a centro di smistamento delle merci, in forma più ampia rispetto alla ristretta località territoriale della vecchia Fiera.

Per la Dogana (entrata in funzione nel 1753) Pompei propose una struttura organizzata attorno a un cortile, sviluppata in un portico trabeato sormontato da una loggia di uguale forma e dimensioni. Dagli ampi passaggi coperti prendevano luce quarantotto stanzoni, la cui funzionalità come magazzini era assicurata dalle comode scale e dai raccordi. Si presentava, quindi, come un complesso ordinato e razionale di uffici e depositi, che l’estetica settecentesca affiancava bene ai valori artistici della Verona dell’epoca. Il merito maggiore di Pompei è riconducibile proprio a questo: all’avere elaborato un linguaggio in cui il classicismo e la razionalità, fusi insieme in un rigoroso equilibrio, hanno dato vita a un’architettura carica di valenze simboliche.

Per il Museo lapidario Pompei scelse lo stile dorico, ma un dorico raffinatissimo e non a profili curvilinei (undulatis) come avrebbe voluto l’architettura allora di moda (S. Maffei, Museum Veronense, Verona 1749, p. IV). Scopo del Museo era esibire le collezioni lapidarie della vicina Accademia filarmonica, raccolte dallo stesso Maffei.

Il criterio classificatorio di incastonare i cimeli lapidei nei muri perimetrali voleva proprio identificare il flusso continuo della storia e raccogliere in un luogo ‘deputato’ il materiale per una educazione pubblica. Appare evidente l’intento di dare vita a uno dei primi istituti pubblici di tutela programmaticamente costituito con intenti didascalici, i cui richiami al classicismo, alla ragione, all’ordine naturale valsero come riproposizione di un nuovo linguaggio che assumeva quale modello il primato civile dell’età antica. Il dogmatismo di Pompei non solo si opponeva alle avventure linguistiche tardobarocche e rococò, ma finiva per configurarsi come richiamo e sollecitazione per il recupero di quelle virtù etiche e civili che erano alla base del rinnovamento culturale formulato da Maffei.

Dopo la metà del secolo l’impegno di Pompei come architetto declinò rapidamente, a causa della morte del fratello maggiore, Alberto, e degli obblighi familiari. Degne di interesse risultano in ogni caso alcune opere quali il tempietto rotondo di Sanguinetto (1746), a pianta circolare, omaggio alla cappella di S. Bernardino del Sanmicheli, oppure il ‘modello’ per la ricostruzione del teatro Filarmonico distrutto da un incendio (1749), che aveva inaugurato, su progetto di Bibiena, una tipologia planimetrica innovativa.

Meritevoli di attenzione sono anche i progetti per l’ampliamento della parrocchiale di Pescantina e per due chiese: quella di S. Giacomo Maggiore (1756, distrutta nel 1959), a pianta quadrata, con soffittatura a crociera e ampio presbiterio, di chiaro linguaggio classico soprattutto nella complessa orditura di lesene e trabeazioni, e quella di S. Paolo in Campo Marzio, di cui Pompei restaurò la facciata nel 1763 imprimendo all’intera fabbrica una vigile disciplina illuminista, di raffinata compostezza. La chiesa di S. Paolo è l’ultima opera a cui si possa attribuire una datazione certa.

Al 1759 risale la sua partecipazione al concorso indetto dall’Accademia di Parma per l’ideazione di un «tempio rotondo», il cui disegno è andato perduto.

Nel 1761 lo sappiamo impegnato, insieme a Girolamo Dal Pozzo, nelle scelte decorative di villa Trissino a Trissino (Vicenza) documentate da un carteggio (Biblioteca Bertoliana di Vicenza, Trissino, G.2.1.6). Ciò è spiegato dal fatto che tra i Pompei e i Trissino si era stabilito un legame di parentela con il matrimonio, concluso il 13 ottobre 1701, tra la sorella maggiore di Alessandro, Francesca Maria, e Marcantonio Trissino.

Seguirono la sistemazione a esedra della piazzetta antistante palazzo Pellegrini in via Emilei, a Verona, l’oratorio di villa Bernini-Buri a San Michele (con una purezza di linee che richiama il progetto per palazzo Spolverini), un dormitorio per le monache di San Michele di Campagna, la libreria (distrutta) dei padri francescani a Bergamo e, infine, «il piedistallo di marmo dell’Antenna» di piazza delle Erbe. Tutte opere di cui, purtroppo, non ci è dato conoscere con esattezza la datazione.

Al di là di tutto ciò, Pompei continuò a essere personaggio di primo piano nella vita pubblica della città, infittendo i suoi impegni pratici. Nel 1757 venne interpellato per la ricostruzione del ponte Navi, distrutto da una piena dell’Adige (ASVr, Comune, pr. 1059, b. 30). Nel 1771 gli venne assegnato l’incarico per l’asciugamento delle Valli Grandi veronesi: questione di importanza cruciale, in quanto sul tema delle acque si rispecchiavano gli interessi del patriziato veronese. Egli stese quindi un piano completo di bonifica delle valli con un «disegno» approvato dall’Accademia di agricoltura il 23 febbraio 1772, poi inviato al magistrato sopra i Beni inculti (Venezia, Museo Correr, Cod. Cicogna, b. 3087, XIII).

Nel 1766 venne eletto presidente dell’Accademia di pittura, cui donò «sei nudi, cinque di Annibale Carracci e uno dell’Albano, da lui disegnati a lapis e velati» (Sandrini, 1988, p. 302). Carica che mantenne per sei anni, fino alla morte, giunta improvvisamente il 1° ottobre 1772 nella villa di Garda. Le spoglie vennero conservate dapprima nella chiesa di S. Maria della Vittoria, a Illasi, poi trasportate nell’oratorio annesso alla villa da lui stesso disegnata.

Fonti e Bibl.: A. Sandrini, A. P. (1705-1772), in L’architettura a Verona nell’età della Serenissima (sec. 15-sec. 18), a cura di P. Brugnoli - A. Sandrini, II, Verona 1988, pp. 287-302, a cui si rimanda per la bibliografia precedente; G. Mazzi, La genesi di un catalogo grafico: i rilievi del Settecento e dell’Ottocento per lo studio di Sanmicheli, in Il disegno di architettura. Atti del Convegno... 1988, a cura di P. Carpeggiani - L. Patetta, Milano 1989, pp. 61-66 (in particolare p. 62); A. P. e i suoi “Trattati” di architettura, in Notiziario della Banca Popolare di Verona, LII (1991), 2, pp. 20-27; Illasi. Una colonia, un feudo, una comunità, a cura di G.F. Viviani, Illasi 1991, pp. 133-143; G. Baldissin Molli, Note biografiche su alcuni artisti veronesi del Settecento, in Bollettino del Museo civico di Padova, LXXXIII (1994), pp. 131-168 (in particolare pp. 160-162); L. Puppi, Michele Sanmicheli: punti fermi e nuove ipotesi di ricerca, in Michele Sanmicheli. Architettura, linguaggio e cultura artistica nel Cinquecento, a cura di H. Burns - C.L. Frommel - L. Puppi, Milano 1995, pp. 7-13; M. Marconcini - R. Regnoto, L’evocazione storica del giardino. Villa Giuliari a Settimo del Gallese, in Architetti Verona, s. 3, 1996, n. 23, pp. 41-43; G. Borelli, Figure e problemi della cultura veronese nella seconda metà del Settecento, in Bonaparte a Verona, a cura di G.P. Marchi - P. Marini, Venezia 1997, pp. 39-43; P. Rigoli, Un nuovo documento sulla costruzione della parrocchiale di Pescantina e una nuova ipotesi sul progettista, in Annuario storico della Valpolicella, 1997-98, pp. 255-259; S. Lodi, Studiare Sanmicheli nel Settecento. Lettere di Luigi Trezza a Tommaso Temanza, in Archivio veneto, CXXX (1999), pp. 125-155; A. Sacerdoti, Le ville venete. Itinerari tra Veneto e Friuli, Venezia 1999, p. 124; D. Hemsoll, Sanmicheli and his patrons: planning for posterity, in Studi in onore di Renato Cevese, a cura di G. Beltramini et al., Verona 2000, pp. 161-188; G. Mazzi, La costruzione della città cinquecentesca, in Edilizia privata nella Verona Rinascimentale. Atti del Convegno di studi..., Verona... 1998, a cura di P. Lanaro - P. Marini - G.M. Varanini, Milano 2000, pp. 193-217; A. Tomezzoli, Ritratti scultorei a Verona nel Sei e Settecento, Verona 2000-01, pp. 417 s.; S. Marinelli, Il Regno Italico e l’età austriaca, in L’Ottocento a Verona, a cura di S. Marinelli, Verona 2001, pp. 9-42; Bernardo Bellotto un ritorno a Verona. L’immagine della città nel Settecento, a cura di G. Marini, Venezia 2002, p. 60; I. Chignola, Notizie e documenti sugli artefici di villa Vecelli Cavriani, in Villa Vecelli Cavriani. Un complesso emblematico del Settecento veronese, a cura di I. Chignola, Mozzecane (Verona) 2003, pp. 251-290; Ville venete: la Provincia di Verona, a cura di S. Ferrari, Venezia 2003, p. 200; P. Davies - D. Hemsoll, Michele Sanmicheli, Milano 2004, pp. 343, 362; A. Ferrarese, Aspetti e problemi economici del diritto di decima in Terraferma veneta in età moderna, Verona 2004, pp. 192, 223, 261, 263, 271-273; C. Capuzzo, Francesco Lorenzi e la famiglia Pompei, in Francesco Lorenzi (1723-1787): un allievo di Tiepolo tra Verona, Vicenza e Casale Monferrato, Atti della giornata di studi..., Mozzecane... 2002, a cura di I. Chignola - E.M. Guzzo - A. Tomezzoli, Caselle 2005, pp. 85-89; W. Oechslin, Palladianesimo: teoria e prassi (ed. it. a cura di E. Filippi), Venezia 2006, pp. 110-112; A. Sandrini, Villa Giuliari a Settimo di Gallese: l’architettura di A. P., in Buttapietra. Il territorio e le comunità, a cura di B. Chiappa - G.M. Varanini, Buttapietra 2006, pp. 80-82; A. Sandrini, Adriano Cristofali e A. P., in Adriano Cristofali (1718-1788). Atti del Convegno..., Mozzecane... 2005, a cura di L. Camerlengo - I. Chignola - D. Zumiani, Verona 2007, pp. 25-35; M. Molteni, Divagazioni sanmicheliane: Bartolomeo Giuliari e il restauro della cappella Pellegrini, in Magna Verona vale: studi in onore di Pierpaolo Brugnoli, a cura di A. Brugnoli - G.M. Varanini, Verona 2008, pp. 527-548; G. Volpato, Tra conservatorismo illuminato e nuove idealità: testi, immagini ed altri elementi paratestuali nei libri veronesi del Settecento, in Testo e immagine nell’editoria del Settecento. Atti del Convegno..., Roma... 2007, a cura di M. Santoro - V. Sestini, Pisa-Roma 2008, pp. 97-138; F. Monicelli, Il Settecento a Verona. Alla ricerca di pittori, frescanti, scultori e lapicidi, Milano 2011, pp. 7, 41 s.; L. Olivato, L’architettura civile a Verona fra tradizione e innovazione: l’età di Scipione Maffei, in Il Settecento a Verona. Tiepolo, Cignaroli, Rotari: la nobiltà della pittura, a cura di F. Magani - P. Marini - A. Tomezzoli, Milano 2011, pp. 75-81.

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