Alessandria d’Egitto

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Alessandria d’Egitto (arabo al-Iskandariyya) Metropoli del mondo antico, oggi la seconda città del moderno Egitto (5.000.000 ab. nel 2006), capoluogo dell’omonimo governatorato (2679 km2). Sorge a una ventina di km dalla sezione più occidentale del delta del Nilo, su un lembo di terreno sabbioso che separa il lago litoraneo Maryūt dal Mediterraneo. L’isoletta di Faro (in arabo Ras et-Tīn), congiunta alla terraferma da una diga (lunga circa 1200 m), determina due golfi: l’orientale, il ‘porto grande’ degli antichi, di scarsi fondali, oggi frequentato soltanto da piccole imbarcazioni; l’occidentale, di costruzione moderna, protetto da un fran;giflutti esterno, con un ampio specchio d’acqua, 12 km di banchine e buoni fondali, vasti depositi e magazzini. Maggior porto del Mediterraneo orientale, ha assunto sempre più importanza e consistenza di traffici, grazie anche all’apertura del SUMED, l’oleodotto che collega Suez con A.; qui sbocca anche il canale Mahmudieh, che unisce la città al Nilo e le fornisce l’acqua potabile. La popolazione di A., cresciuta rapidamente negli ultimi decenni del 20° secolo, comprende numerosi stranieri, dediti prevalentemente alle attività commerciali. I principali prodotti dell’esportazione sono cereali, zucchero, ortaggi e soprattutto cotone; si importano attrezzature e prodotti alimentari. L’industria rappresenta una discreta voce nell’economia della città ed è sviluppata in diversi settori (dell’abbigliamento, della cellulosa e della carta, raffinazione del petrolio, pastificio, cotonificio, saponificio; produzione di sale marino).

La città fu fondata da Alessandro Magno nel 332-331 a.C.; con i primi Lagidi (Tolomeo I e II) divenne una grande realtà monumentale e urbanistica, accolse le spoglie del fondatore e sostituì Menfi come capitale dell’Egitto ellenizzato. Fin dal tempo del primo Tolomeo cominciarono a sorgere, nel quartiere reale, il Museo e la Biblioteca, due delle più grandi istituzioni culturali dell’antichità. Tutti i successivi sovrani Lagidi contribuirono all’incremento e abbellimento della città, che ebbe non solo nelle costruzioni, ma nella lingua, negli ordinamenti e nelle leggi un carattere prettamente greco sino alla fine del mondo antico. Passata con Augusto a far parte integrante dell’Impero romano, fu sede del governatore della provincia imperiale d’Egitto e oggetto delle premure di Augusto stesso, di Adriano e di Antonino. La decadenza cominciò sotto Caracalla, si accentuò con Aureliano e con Diocleziano. Sotto Traiano vi fu una violenta rivolta di Giudei, i sec. 4° e 5° videro l’affermazione del cristianesimo e la secessione monofisita fra tumulti e distruzioni in cui perì buona parte del patrimonio monumentale antico. Nel 619, dopo un rovinoso assedio, il persiano Khusraw II strappò A. all’Impero d’Oriente, a cui un decennio dopo la recuperò Eraclio. Nel 642 vi entrò il conquistatore dell’Egitto, ‛Amr ibn al-’Āṣ: a partire da quel periodo il centro politico e amministrativo d’Egitto tornò a spostarsi a S del delta (Fusṭāṭ, poi Cairo) e A. divenne centro secondario, cui tuttavia la posizione sul mare serbava importanza economica e militare. Nel sec. 8° vi si rifletté la contesa fra Omayyadi e Abbasidi; fra 811 e 827 vi si insediarono avventurieri e pirati musulmani provenienti dalla Spagna. Nel 1166 la città fu assediata da Amalrico re di Gerusalemme, appoggiato da una flotta pisana e dal visir fatimida Shāwar, contro una guarnigione sira comandata da Saladino. La decadenza si accentuò sotto i Mamelucchi e i Turchi, che usarono le rovine dei monumenti antichi come materiali per le moschee e le fabbriche di Costantinopoli. Il dominio di Moḥammed Alī, seguito alla spedizione francese d’Egitto del 1798-1801, diede inizio alla ripresa della città, continuata poi per tutto il 19° secolo. Nel 1882, esplosa la rivolta nazionalista di ‛Orābī Pascià, A. fu bombardata dai britannici, che la occuparono. Nella prima metà del 20° sec. allo sviluppo dei traffici e all’accresciuta importanza militare e civile del porto corrispose l’incremento demografico e urbanistico. Oggetto nella Seconda guerra mondiale di ripetute incursioni aeronavali delle forze italiane e tedesche, alla fine del conflitto riprese la sua ascesa. Nell’ottobre 2002 vi è stata inaugurata la nuova grande Biblioteca, ricostruita grazie all’interesse dell’UNESCO e della comunità internazionale sugli stessi luoghi dell’antica.

Della A. greco-romana si è potuto ricostruire abbastanza esattamente la topografia: divisa in cinque quartieri dall’architetto Dinocrate secondo i principi ippodamei, comprendeva il quartiere indigeno (Rhakòtis) a O, e la vasta Neàpolis a E con i palazzi reali e i giardini, il teatro, il museo, la biblioteca, e gli altri principali templi e monumenti; all’incrocio delle due vie principali era il Σῆμα, la tomba dell’eroe fondatore, eretta da Tolomeo Filadelfo; all’estremità dell’isola sorgeva il celebre faro. Gli incendi e le distruzioni hanno quasi completamente distrutto questo complesso monumentale, il più imponente del mondo ellenistico. La ‘colonna di Pompeo’ (in realtà del 3° sec. d.C.) è l’unico vistoso monumento sopra terra che rimanga della città antica: a esso si possono aggiungere le tombe ellenistiche di Kōm esh-Shuqāfa, con ricca decorazione architettonica e plastica, e le catacombe cristiane di Karmūze, di Qabbārī. Il sottosuolo della città, non esplorato mai sistematicamente, ha dato e dà ancora una ricca messe di oggetti di scavo, che ha arricchito il museo greco-romano di A., fondato e per anni diretto da studiosi italiani. La A. bizantina e quella araba dell’età più antica (che non pare abbia mai avuto uno sviluppo monumentale paragonabile a quello del Cairo) sono parimenti scomparse: le moschee oggi sussistenti sono tutte di epoca tarda, posteriori alla conquista turca.

Attorno alla Biblioteca e al Museo fiorirono gli studi di filologia e critica (Aristarco, Callimaco, Licofrone), di scienze fisico-matematiche (Euclide, Eratostene, Tolomeo, Erone), di filosofia e di medicina. In questi ultimi due campi in particolare si può parlare di una vera e propria scuola alessandrina, che nella medicina vanta i nomi di Erofilo, Erasistrato (4°-3° sec. a.C.), Rufo e Sorano d’Efeso, Marino; verso la metà del sec. 3° si affermarono gli empirici (Eraclide di Taranto), che fondavano la medicina sul ‘tripode’, formato da osservazione, tradizione, analogia. La scuola filosofica alessandrina, invece, rappresenta l’ultima fase del neoplatonismo (5°-7° sec. d.C.) e conta la martire Ipazia, il suo scolaro e poi vescovo Sinesio di Cirene, Ierocle di Alessandria, Giovanni Filopono ecc. Questa estrema manifestazione del pensiero pagano, se da un lato si contrappose al cristianesimo, e ne fu aspramente combattuta, finì d’altra parte con il trasmettergli elementi mistici ed emotivi.

La Chiesa alessandrina fu fondata secondo la tradizione da san Marco. I primi maestri cristiani alessandrini noti sono i dottori gnostici Basilide, Valentino, Carpocrate. Alle dottrine del cristianesimo gnosticizzante si contrappose l’insegnamento della celebre scuola catechistica (Didaskalèion) iniziata da Panteno, cui succedettero Clemente, Origene e, dopo l’allontanamento di questo, Eracla, Dionigi, Pietro Martire, Didimo di Alessandria, Rodone. Caratteristiche della scuola in filosofia la tendenza sincretistica su una base neoplatonica e in teologia l’allegorismo nell’esegesi e il misticismo, che portava a sminuire l’importanza della natura umana di Gesù Cristo. A partire dal 4° sec. le controversie teologiche si mischiarono strettamente con quelle politiche ed ecclesiastiche, superando i confini dei singoli vescovadi. A. ebbe in questa situazione la massima importanza, riuscendo con Atanasio, il più celebre dei suoi patriarchi, a contrapporsi efficacemente agli stessi imperatori durante la controversia ariana e con Teofilo e Cirillo ad avere il sopravvento sui rivali patriarcati di Antiochia e Costantinopoli. Nel medesimo periodo si rafforzò il dominio assoluto del vescovo di A. su tutto il territorio egiziano, e fu abbattuta con la violenza la resistenza degli ultimi pagani, soprattutto con l’aiuto dei monaci. La crisi sopravvenne col concilio di Calcedonia (451), quando il patriarcato di Costantinopoli con l’aiuto di Roma guadagnò una definitiva vittoria, facendo esiliare il patriarca alessandrino Dioscoro. Iniziò da quel momento la divisione della Chiesa egiziana (e in particolare del patriarcato alessandrino) in due rami: quello cosiddetto monofisita o copto, e quello melchita, fedele agli imperatori di Bisanzio.

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