PAVARI, Aldo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 81 (2014)

PAVARI, Aldo

Marco Paci

PAVARI, Aldo. – Nacque a Roma il 16 agosto 1888 da Giovanni Battista, veneto, ingegnere del genio civile, e Ginevra Podio, romana di lontana origine spagnola.

A undici anni, Aldo era già orfano di entrambi i genitori, condizione che lo costrinse a interrompere gli studi classici e a spostarsi, ospite di un parente, ad Alba, dove ottenne il diploma in viticoltura ed enologia. Successivamente, con una borsa di studio, frequentò la scuola superiore di agricoltura di Milano, dove si laureò nel 1910.

Fresco di laurea, divenne assistente alla cattedra ambulante di agricoltura di Siena, dove svolse l’incarico per quattordici mesi. A ruota, vinse una borsa di studio per frequentare l’Accademia forestale di Tharand in Sassonia, dove ottenne la specializzazione. L’esperienza lo fece riflettere sui diversi significati che può assumere il termine selvicoltura: nella Mitteleuropa (la cui industria aveva accresciuto in modo spropositato la richiesta di legno), il bosco, più che un’entità biologica, era considerato uno strumento di produzione legnosa da cui ricavare il massimo reddito.

Nel 1913 Pavari entrò nell’amministrazione forestale: destinato a Firenze, da gennaio 1914 a giugno 1915 fu assistente alla cattedra di selvicoltura e tecnologia nell’appena nato Regio Istituto superiore forestale nazionale.

Richiamato nel 1916, partecipò alla guerra presso il comando supremo, come ufficiale forestale addetto all’approvvigionamento dei legnami. Per Aldo, il periodo bellico fu scientificamente fecondo. È proprio del 1916 la pubblicazione del suo lavoro più conosciuto, Studio preliminare sulla coltura delle specie forestali esotiche in Italia.

Lo studio nacque in un momento critico per il nostro settore forestale, imputabile a varie cause, fra cui la crescente pressione dell’agricoltura sul bosco e l’insufficienza di produzione legnosa. Il bosco poteva essere salvato solo a condizione di elevarne il reddito. Se le specie indigene non erano in grado di soddisfare tali esigenze, il problema si poteva risolvere solo introducendone di nuove, magari cercandole all’estero: sarebbe così cresciuto, all’interno di un determinato ambiente, il numero di specie su cui effettuare la scelta, in modo da puntare su quelle con i maggiori pregi tecnici, colturali ed economici. La ‘classificazione fitoclimatica’ di Pavari rappresentò il presupposto di tale introduzione: ogni specie esotica fu collocata nella più idonea fascia climatico-vegetazionale, secondo il principio delle ‘analogie climatiche’. Pavari individuò una serie di ambienti, a ognuno dei quali fece corrispondere un nome latino indicativo di zone in cui la presenza di certe specie fosse particolarmente significativa dal punto di vista climatico (Lauretum, Castanetum, Fagetum, Picetum, Alpinetum). Entro ogni zona, definita da limiti termici, si distinsero sottozone. Dal punto di vista metodologico, la classificazione è, sia per il numero di elementi considerati, sia per la ricerca di parametri soglia in grado di separare una zona dall’altra, un perfezionamento di quella precedente di Heinrich Mayr (1906).

Alla fine della guerra, dal 1919 al 1922 Pavari fu amministratore della foresta demaniale di Vallombrosa: furono gli anni del matrimonio, da cui sarebbero nate le figlie Elena Ginevra e Fiorella. Nel 1922 fu istituita la Stazione sperimentale di selvicoltura come cattedra di ruolo annessa all’Istituto superiore agrario e forestale di Firenze, che aveva da un lato una funzione didattica per la preparazione dei tecnici forestali, dall’altro finalità sperimentali e di ricerca. Pavari ne fu, nel 1924, il primo direttore, e lo rimase fino alla morte. Le priorità sperimentali si concentrarono in due grandi filoni: tecniche di rimboschimento e miglioramento dei boschi esistenti, soprattutto sotto il profilo della produzione legnosa.

Dal 1929, Aldo Pavari insegnò ecologia forestale e selvicoltura all’Istituto superiore agrario e forestale. È il periodo in cui iniziò a divulgare in Italia i principi di genetica e di miglioramento delle piante forestali. Le prime esperienze, che risalgono al 1929, riguardarono le provenienze dell’abete bianco, cui seguirono quelle su altre specie arboree forestali, che sarebbero sfociate nella istituzione del Libro nazionale dei boschi da seme, attuato in collaborazione con il corpo forestale dello Stato nel 1948.

Gli anni Trenta videro i notevoli contributi sull’azione del bosco nei confronti dell’ambiente (L’influenza dei boschi mediterranei sul clima. Primi risultati ed esperienze italiane, 1936). Nel 1937, l’allievo Alessandro de Philippis pubblicò la verifica della validità della classificazione fitoclimatica per il territorio italiano, con relativa cartografia. Nel contesto di un regime autarchico, Pavari cercava allora una risposta all’esigenza di conservare, o più spesso ripristinare, l’equilibrio degli ecosistemi forestali disturbati dall’azione dell’uomo. La trovò in una selvicoltura su basi ecologiche (Selvicoltura naturalistica e selvicoltura autarchica, 1938), fondata su un approccio comparativo: una volta conosciuti i fattori ambientali, in particolare il clima e il suolo, e le esigenze delle specie forestali, la selvicoltura idonea a un dato bosco poteva essere applicata, a parità di condizioni ambientali, in boschi strutturalmente analoghi. Su basi ecologiche Pavari volle sviluppare anche l’arboricoltura da legno, fondata sull’impiego di specie arboree a rapido accrescimento e brevi cicli di utilizzazione: nella sua visione, l’indirizzo naturalistico, attento agli equilibri del sistema forestale, e quello economico-finanziario potevano convivere.

L’arrivo della seconda guerra mondiale non frenò la produzione scientifica di Pavari che, nel 1941, con la collaborazione di de Philippis, pubblicò il lavoro conclusivo sulle specie esotiche (La sperimentazione di specie forestali esotiche in Italia. Risultati del primo ventennio). Per quanto riguarda l’attività accademica, dopo che l’Istituto superiore agrario e forestale fu trasformato in facoltà di agraria (1936), vi proseguì l’insegnamento di ecologia forestale e selvicoltura fino al 1943, mentre, dal 1944 al 1958, fu incaricato di botanica forestale.

Subito dopo la guerra, Pavari avvertì l’urgenza di dettare le linee guida della selvicoltura italiana per gli anni a venire (Orientamenti e problemi della selvicoltura italiana, 1946). Fra le priorità, segnalò l’aumento e il miglioramento della produzione dei boschi, l’aumento della produzione legnosa fuori dal bosco (da eseguire con alberature campestri) e il rimboschimento dei terreni nudi o degradati e perciò inadatti all’agricoltura. Un ruolo chiave nel recupero delle terre degradate, in modo da renderle adatte a un’agricoltura di grande produttività, poteva essere svolto a suo parere dai frangiventi, in linea con un pensiero scientifico basato sul coordinamento e l’integrazione di agricoltura, selvicoltura e arboricoltura da legno. Nell’insieme, si trattava di un complesso di operazioni di bonifica, che egli intendeva nell’accezione più estensiva del termine, ovvero restauro di ecosistemi disturbati (Alcune grandi opere di bonifica forestale e i loro insegnamenti, 1949). Va segnalato, in proposito, che Aldo Pavari progettò e diresse le opere di alberatura di due grandi bonifiche: quella di Arborea, in Sardegna, e quella dell’Agro pontino.

Gli ultimi anni furono dedicati alla produzione di compendi scientifici, come quelli dedicati a Governo e trattamento dei boschi (19532) e a Frangiventi (1956).

Morì a Firenze, dopo una breve malattia, il 17 gennaio 1960.

Pavari è stato una delle maggiori personalità delle scienze forestali, e non solo per avere primeggiato in svariati campi di studio, ma per la modernità del suo approccio: la strada di una selvicoltura capace di conciliare le esigenze produttive con quelle ecologiche è stata aperta da lui, come dire che la selvicoltura naturalistica è un patrimonio culturale trasmesso da Pavari alle generazioni future. Si aggiunga che egli ha esplorato e valorizzato settori molto particolari della selvicoltura, come i frangiventi, l’arboricoltura da legno, i rimboschimenti (in particolare quelli dei terreni più inospitali, sterili e degradati, che nella sua visione assumevano valenza di pubblica utilità e, quindi, un ruolo sociale), le sistemazioni montane, per non parlare della sperimentazione di specie esotiche, i cui principi sono stati applicati da generazioni di forestali nella realizzazione dei rimboschimenti e nella coltivazione dei boschi. Introdurre nel nostro Paese specie forestali da altri continenti è stato possibile grazie alla imponente opera sperimentale di cui egli si rese protagonista.

Pavari ha lasciato il segno anche nei campi della botanica forestale, della dendrologia (ne sono testimonianza gli arboreti di Vallombrosa e di Torino) e della genetica (esemplare la descrizione di specie anche a livello intraspecifico, come il caso dell’abete bianco). Soprattutto, per quanto riguarda il nostro Paese, Pavari può essere considerato non solo il pioniere dell’ecologia forestale, ma anche il padre della moderna sperimentazione forestale.

Una riflessione merita la grande attualità del pensiero e dell’opera. La figlia Elena Ginevra ha scritto di avere assimilato precocemente, quasi senza accorgersene, «le basi fondamentali di alcuni concetti divenuti ormai di grande attualità, e di cui oggi tutti discutono: l’ecologia, lo sviluppo sostenibile, la biodiversità, la globalizzazione ecc.» (E.G. Pavari 2010, p. 404).

L’ecologia, per Pavari, non si limitava allo studio dell’ambiente climatico. In accordo con l’etimologia del termine ecosistema (coniato da Arthur Tansely nel 1935, un anno prima della nascita della facoltà di agraria), il bosco era visto come un insieme, soggetto a dinamismo, in cui, ben al di là di una somma di alberi, varie componenti biotiche (compresa quella antropica) convivevano e interagivano fra loro, oltre che con il suolo e con il clima.

Altro elemento di modernità dell’approccio di Aldo Pavari, in accordo con la natura aperta dei sistemi naturali, è stata la collocazione dell’ecosistema forestale all’interno di quello che oggi si chiama il sistema agro-forestale. Nella visione del maestro, più che il bosco in sé, era importante analizzare le relazioni nell’ambito degli agro-ecosistemi, alla luce degli stretti rapporti di interdipendenza esistenti fra bosco, agricoltura e pascolo in ambiente mediterraneo. Le relazioni fra selvicoltura e agricoltura furono da lui analizzate sulla base della sostenibilità della gestione, sottolineando la superiorità di un’agricoltura capace di indurre nel suolo i requisiti di fertilità che più si avvicinano a quelli del terreno forestale. Pavari, soprattutto, riteneva necessario conservare la copertura forestale dovunque non fosse possibile, o economicamente attuabile, una progredita forma di agricoltura.

Osservando i fenomeni di inaridimento nel bacino mediterraneo, egli non esitò ad attribuirne la causa all’azione dell’uomo che, distruggendo la copertura forestale, aveva alterato i rapporti fra ambiente e vegetazione (Foresta e deserto, 1950). Le responsabilità antropiche nei processi di desertificazione furono da lui identificate già oltre sessant’anni fa.

Per quanto riguarda la genetica, ebbe il merito di capire l’importanza della variabilità intraspecifica, sottolineando il ruolo delle interazioni fra piante forestali e ambienti di crescita, soprattutto sotto il profilo di maggiore interesse selvicolturale (produzioni legnose, sviluppo e rinnovazione). Pur credendo nell’utilità del miglioramento genetico, Pavari riteneva che una selezione artificiale troppo spinta fosse rischiosa: la riduzione della diversità biologica nell’ambito delle popolazioni sottoposte a tale metodo di miglioramento ne avrebbe ridotto anche la plasticità ecologica, limitandone così le possibilità di adattamento e di reazione ai fattori avversi. Pur senza usare il termine biodiversità, il problema era ben presente nella sua coscienza di studioso.

Vale infine la pena infine di ricordare gli altri incarichi di prestigio che Aldo Pavari ricoprì, oltre a quelli già descritti. Diresse il Centro studi sul castagno del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), fu fra i soci fondatori dell’Accademia italiana di scienze forestali, socio corrispondente dell’Accademia nazionale dei Lincei, presidente dell’Istituto nazionale del legno del CNR, membro del Consiglio superiore dell’agricoltura e foreste, presidente dell’Unione internazionale degli istituti di ricerca forestale (IUFRO), presidente onorario della Silva mediterranea, dottore honoris causa in scienze forestali al Politecnico di Dresda, socio ordinario dell’Accademia di agricoltura di Francia, medaglia d’oro al merito silvano in campo nazionale.

L’attività di Pavari, al pari della sua fama, oltrepassò i confini nazionali. In aggiunta alle cariche rivestite nella IUFRO e nella Silva mediterranea, fu presidente o membro di commissioni e riunioni della Food and agriculture organization of the United Nations (FAO). Partecipò inoltre al I Congresso forestale mondiale a Roma (1926) e al I Congresso di riorganizzazione della IUFRO a Stoccolma (1929). Soprattutto, Pavari capì quanto giovamento potesse trarre l’attività sperimentale da una rete di scambi culturali, scientifici e tecnici a livello mondiale.

Il quadro, tuttavia, può essere completo solo dopo avere accennato alle doti extraprofessionali dello scienziato. Come ricorda la figlia Elena Ginevra, Pavari aveva una «innata inclinazione per l’arte» (E.G. Pavari 2010, p. 398): grande passione per il violino, il disegno a penna e la cucina, tutti campi in cui sapeva produrre bellezza e armonia. In questo senso, lo scienziato e l’artista andavano a braccetto.

Opere. Studio preliminare sulla coltura di specie forestali esotiche in Italia, I: parte generale, in Annali del regio Istituto superiore nazionale forestale, I (1914-15), Firenze 1916; La sperimentazione forestale come fondamento scientifico della selvicoltura con particolare riguardo all’Italia (con A. Serpieri), in L’Alpe, XIV (1927), p. 99-107; Lineamenti di selvicoltura comparata su basi ecologiche, in Atti dell’Accademia dei Georgofili, s. 5, 1932, n. 29, pp. 257-285; L’influenza dei boschi mediterranei sul clima. Primi risultati delle esperienze italiane, ibid., 1936, n. 2, pp. 474-501; Selvicoltura naturalistica e selvicoltura autarchica, ibid., s. 6, 1938, n. 4, pp. 402-425; La sperimentazione di specie forestali esotiche in Italia. Risultati del primo ventennio (con A. de Philippis), in Annali della sperimentazione agraria, 1941, n. 38, pp. 648; Orientamenti e problemi della selvicoltura italiana, in Atti del convegno agrario italo-americano, Firenze 1946, pp. 305 ss.; Genetica forestale, in Atti del Congresso agrario nazionale... 1948, Torino 1950, pp. 1-23; Alcune grandi opere di bonifica forestale e i loro insegnamenti, Firenze 1949; Foresta e deserto, in Scientia, s. 6, XLIV (1950), pp. 94-105; L’attività della Stazione sperimentale di selvicoltura nel primo venticinquennio, Firenze 1950; Esperienze e indagini sulle provenienze e razze dell’abete bianco (Abies alba Mill.), Firenze, 1951; Boschi e campi nell’equilibrio naturale, in Atti dell’Accademia dei Georgofili, s. 6, 1951, n. 15, pp. 62-83; Governo e trattamento dei boschi (1943), Roma 1953; Frangiventi, Roma, 1956; Scritti di ecologia, selvicoltura e botanica forestale, Firenze 1959.

Fonti e Bibl.: A. De Philippis, A. P., in Annali dell’Accademia italiana di scienze forestali, XI (1962), pp. 265-291; O. Ciancio - R. Mercurio - S. Nocentini, Le specie forestali esotiche e le relazioni tra arboricoltura da legno e selvicoltura, in Annali dell’Istituto sperimentale di selvicoltura, XII-XIII (1984), pp. 1-103; M. Paci, Problemi attuali della selvicoltura naturalistica, in Forest@, 2004, n. 1, pp. 59-69 (http://www.sisef.it/); A. Gabbrielli, A. P., in Su le orme della cultura forestale. I maestri, a cura di A. Gabbrielli, in Annali dell’Accademia italiana di scienze forestali, LIV (2005), pp. 159-163; E.G. Pavari, A. P.: forestale per caso, in L’Italia forestale e montana, 2010, n. 65, 4, pp. 393-406.

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