ALBORNOZ, Gil Ålvarez, cardinale

Enciclopedia Italiana (1929)

ALBORNOZ, Gil (Egidio) Ålvarez, cardinale

Carlo Capasso

Figlio di García Albornoz e di donna Teresa de Luna e nato a Cuenca nei primi anni del sec. XIV, Egidio Albornoz, sebbene ereditasse dalla potente famiglia paterna l'istinto e il gusto delle armi, fu avviato, per volontà dello zio materno, Ximenes de Luna, arcivescovo di Toledo, agli studî di legge, che compì nella città di Tolosa, e alla carriera ecclesiastica. Per influenza degli Albornoz e dei de Luna, l'A., pur giovanissimo, entrò anche a far parte del Consiglio del re. Si può considerare stabilita definitivamente la sua posizione, quando nel 1339 potè succedere allo zio nell'importantissimo arcivescovado di Toledo: molto contribuendovi il favore di re Alfonso X. Toledo era la capitale della Castiglia e l'arcivescovo, oltre che primo tra i colleghi, aveva alto posto a corte e, per conseguenza, funzioni importanti nella politica del regno. L'A. fece le sue prime e brillanti prove e, nello stesso tempo, soddisfece il suo innato spirito di guerriero e di uomo d'azione nella guerra combattuta contro i Mori che, dopo il 1340, avevano iniziato una nuova preoccupante invasione dal Marocco. I documenti segnalano la viva parte personale presa dall'A. alla battaglia di Tarifa, avvenuta nel 1340, nella quale salvò la vita ad Alfonso XI. Ancor di più fece l'Albornoz all'assedio di Algeciras, dove comparve capeggiando una grossa schiera di combattenti radunati mediante una vera e propria leva nelle terre del suo vescovado.

Fino a questo momento, cioè fin verso i suoi quarant' anni, l'A. non era ancora uscito dall'ambiente spagnuolo. Ma quando nel 1343 per reprimere la grossa ondata avanzante dei Mori, fu necessario provvedere anche ad altri mezzi di lotta, oltre quelli militari, egli fu inviato ad Avignone per ottenere dal papa la cruzada, ossia il permesso di determinate imposizioni sulle entrate delle chiese di Spagna, a servizio della lotta contro gl'infedeli. Egli conseguì quello che richiedeva; e successo ancor maggiore fu il riconoscimento della sua abilità di uomo politico e diplomatico da parte della curia, per cui, nel 1350, fu creato cardinale. Questa nomina segnò l'inizio di un secondo e più importante periodo nella vita del vescovo spagnolo. Entrato nell'ambito della politica papale, egli abbandonò del tutto la Spagna, al che non fu estranea anche un'altra circostanza, cioè l'ostilità che, morto il re Alfonso XI, gli dimostrò subito il successore, Pietro il Crudele, per istigazione della sua influente amica Maria de Padilla. Da allora, egli divenne il principale artefice della restaurazione della sede papale in Roma e nello stato della Chiesa. Qui signori e comuni avevano, nel frattempo, soppiantato di fatto l'autorità del pontefice: dovunque un profondo spirito di autonomia; a Roma stessa, dal 1342 in poi, erano avvenuti inquietanti perturbamenti e, per opera di Cola di Rienzo, notevoli trasformazioni negli ordini della città. Bisognava correre ai ripari, come del resto già si era tentato tra il 1320 e il 1330 col cardinale Bertrando del Poggetto, quando la S. Sede aveva tentato non solo di ricuperare le Romagne, ma fors'anche di formarsi un più ampio dominio nella valle padana, combattendo i Visconti e gli altri grandi signori ghibellini. Il cardinale A. parve l'uomo adatto all'ardua impresa. Fatto legato pontificio nel 1353, svolse il suo compito in due riprese: 1353-7 e 1358-67. Oltre 15 anni di attività italiana, che fecero dell'Italia quasi la sua seconda patria.

Nella sua prima spedizione, l'A. si fece accompagnare da Cola di Rienzo, che, fuggito da Roma nel 1347 e pervenuto alla corte dell'imperatore Carlo IV, da questo era stato mandato prigioniero ad Avignone. L'A., sagace conoscitore degli uomini, pur essendo straniero all'Italia e alla sua gente, comprese l'utile che poteva trarne; e, ottenutane la liberazione da papa Innocenzo VI, riuscì, col prestigio di cui il tribuno ancora godeva e con la forza del famoso condottiero fra' Moriale, a entrare in Roma, dove Cola di Rienzo fu fatto senatore e, per qualche tempo, poté sostenersi con l'appoggio del legato, prima che nuovi tumulti popolari gli togliessero il potere e la vita. Ma non da Roma, dove il popolo ben presto si sollevò nuovamente contro Cola di Rienzo, doveva prender le mosse la restaurazione definitiva dell'autorità pontificia, sibbene dalle Romagne e dalle Marche. E qui l'A., dopo aver sottomesso il prefetto Giovanni di Vico, signore di Viterbo, massimo esponente della turbolenta feudalità campagnuola attorno a Roma, diresse la sua attività. Da per tutto erano sorte signorie piccole ma tenacemente abbarbicate, anche pel favore di cui parecchie di esse godevano da parte delle popolazioni. La tattica seguita dall'A. fu assai complessa. Il cardinale aveva in Italia un ben diverso compito che non nella Spagna; non bastava più gettarsi bravamente nella battaglia, animando con l'esempio i cristiani contro gli infedeli; ma bisognava accortamente procedere, fra i meandri di un ambiente politico complicato e insidioso e di un territorio tutto seminato di fortezze. Ma il legato non fu inferiore al suo compito. Tessé una sottile trama di accordi per aver taluni dei signori ausiliarî suoi contro altri, o per suscitare loro avversarî e procurarsi partigiani nell'ambito delle signorie stesse; disciplinò con grande maestria l'impiego delle sue truppe; assalì tempestivamente ora questo ora quel punto, procedé metodicamente a riconquistare il territorio e, via via che procedeva, a consolidare la conquista fatta. Mirabile la prontezza con cui quest'uomo seppe orientarsi su questo campo di battaglia nuovo per lui, penetrar nel vivo delle questioni, giovarsi degli uomini e delle situazioni. Per cui, quando nel 1357 egli fu richiamato ad Avignone, in seguito ad intrighi e ad invidie, l'impresa era già per buona parte compiuta. Le città avevano fatto dedizione a lui; i signori, erano quasi tutti sottomessi o annientati. Violenta e subdola la resistenza di taluni di essi. La lotta, p. es., contro Gentile da Mogliano, signore di Fermo, contro i Manfredi di Faenza, contro gli Ordelaffi di Forlì, contro Galeotto e Malatesta Malatesta in Ancona e in Recanati, assunse un'ampiezza davvero rilevante e provocò una tensione grande in tutta la regione. Specialmente famoso l'episodio contro i Malatesta, forse i più potenti di tutti e capaci, per la loro posizione intermedia fra Romagna e Marche, di raccogliere attorno a sé un vasto complesso di forze e irraggiare la loro azione sopra molta parte del territorio pontificio.

Richiamato l'A., si vide subito che l'edificio aveva ancora bisogno di molte cure per consolidarsi. Un nuovo capitano inviato sul posto a nulla riuscì. Si ricorse allora nuovamente al cardinale A., che avendo intanto potuto sventare le trame tessute contro di lui tornò in Italia nel 1358. Questa volta la campagna fu meno rapida e meno imponente, ma il successo egualmente notevole. L'A. specialmente si adoperò, a preparare un sicuro ritorno al papa nei suoi stati. Con Firenze e Siena egli seppe annodare utili relazioni, giovandosene tanto per i rifornimenti alle sue truppe quanto per la lorro contro i signori, dei quali i due comuni mercantili avevano molto a lagnarsi. Per far fronte alle grosse spese, necessarie specialmente per pagare le compagnie mercenarie, quasi tutte straniere, l'A., malamente sovvenuto da Avignone, supplì anche coi proprî mezzi, vendendo tutta l'argenteria di sua proprietà. All'opera militare e politica egli aggiunse quella legislativa: per cui qualche moderno, come il Wurm, lo ha potuto designare come secondo fondatore dello Stato della Chiesa. Riordinò l'amministrazione e la giustizia, bisogno fondamentale, allora, nelle terre ecclesiastiche e ragione prima per cui le popolazioni si affidavano ai tiranni. Nel Liber constitutionum Sanctae Matris Ecclesiae, emanato a Fano tra il 20 e il 30 aprile 1357, detto anche Constitutiones Marchiae anconitanae, e comunemente Costituzioni egidiane, l'A., come già i grandi signori dell'Italia settentrionale, raccolse, ordinò e ammodernò le leggi e le consuetudini delle Marche, allo scopo di ridare alla vita locale una base stabile di diritto: e le constitutiones risposero in gran parte allo scopo, tanto che esse sono rimaste in vigore sino al 1816, cioè sino alla nuova sistemazione giuridico-costituzionale-amministrativa, introdotta, dopo la Restaurazione, nello Stato pontificio.

L'A. non poté vedere il ritorno dei papi in Roma, sebbene già fosse cosa decisa e da lui preparata, fin dal 1362, per Urbano V. Questo ritorno, per varie ragioni, avvenne solo e in via definitiva nel 1377. Dieci anni prima, il cardinale moriva a Viterbo, dopo che il pontefice, in riconoscimento dell'opera sua, lo aveva creato legato a Bologna. Nulla poté fare l'A. in tale qualità; tuttavia il collegio da lui fondato in quella città, per i giovani spagnuoli che si recavano allo Studio, dura tutt'oggi e porta sempre il suo nome. La salma del legato fu, per sua volontà, trasferita in Ispagna, e a Toledo Enrico di Castiglia fece all'antico favorito di Alfonso XI e al vescovo-soldato onoranze grandiose.

Bibl.: B. Porreño, Vida y hechos hazañosos del gran Cardenal Gil. Al. de Albornoz, Cuenca 1626; J. G. Sepulveda, Historia de bello administrato in Italia per annos XV et confecto ab Aegidio A., Bologna 1559; H. J. Wurm, Kardinal Albornoz der zweite Begründer des Kirchenstaats, Paderborn 1892; F. Ermini, Gli ordinamenti politici e amministrativi nelle Constitutiones Aegidianae, Torino 1893; F. Filippini, La prima legazione del cardinale Albornoz in Italia in Studi storici del Crivellucci, V (1896); id., La riconquista dello Stato della Chiesa per opera di Egidio Albornoz (1353-57), in Studi cit., VI-VIII (1897-99); id., La seconda legazione del card. Albornoz in Italia (1358-67), in Studi cit., XII-XIV (1903-05). Sulle Constitutiones (ed. più recente di P. Sella, Roma 1912) cfr. Storia del diritto italiano pubbl. sotto la direzione di P. del Giudice, I, ii (di E. Besta), Milano 1925, pp. 747-751, con ampia bibl.

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