LIONELLO, Alberto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 65 (2005)

LIONELLO, Alberto

Jacopo Mosca

Nacque a Milano il 12 luglio 1930, da genitori veneti: Luigi, sarto, e Giuditta Bruneri.

Per fare studiare quel ragazzo un po' introverso ma dotato di una brillante intelligenza, il padre non lesinò i sacrifici, spingendolo a frequentare le scuole del quartiere "bene" di S. Babila. Il giovane L., per sdebitarsi della fiducia accordatagli, studiò e cercò di rendersi utile facendo le consegne ai clienti dei vestiti confezionati dal padre. Rappresentò per lui una rivelazione vedere a teatro Vittorio De Sica, nel quale riscontrò una suggestiva somiglianza con suo padre, nello stile pacatamente borghese e nell'elegante straniamento decadente.

Trovò la sua prima ribalta sempre nel cuore di Milano, presso l'oratorio di via della Passione, dove iniziò a recitare per gioco, solo al fine di "vincere la timidezza e rubare agli attori il segreto della loro disinvoltura" (Manin). Presto, tuttavia, il L. comprese che quel gioco si stava trasformando in vocazione e, nel 1948, decise di iscriversi all'Accademia dei filodrammatici. Nel 1949 riuscì a entrare nella compagnia di A. Gandusio, maestro della commedia - dalla classica pochade di derivazione francese alla commedia grottesca, ironica, paradossale: un repertorio che avrebbe influenzato fortemente la formazione del L. -, ma tale ingaggio gli costò l'espulsione dall'Accademia, il cui regolamento vietava agli studenti di accettare qualsiasi scrittura prima del diploma. Ricevette una paga irrisoria per il debutto con Paradiso sotto chiave, una pochade di R. Coolus e M. Hennequin.

Durante quell'indispensabile tirocinio, lavorando contemporaneamente in tre o quattro commedie, il L. dette le prime prove del suo stile d'attore, a cavallo fra la misurata recitazione del "brillante", di tradizione ottocentesca, fondata su un ritmo sapientemente calcolato, e i nuovi modelli interpretativi, più dinamici e risoluti.

Nel 1950 passò alla compagnia di U. Melnati, ma il primo successo personale arrivò l'anno successivo con La pulce nell'orecchio di G. Feydeau messa in scena dalla compagnia Solari-Porelli, nella quale non ebbe, tuttavia, il doppio ruolo del protagonista che avrebbe brillantemente ricoperto in futuro. Nel triennio 1953-55 si dedicò principalmente alla rivista, con due spettacoli accanto a Wanda Osiris: Made in Italy di P. Garinei e A. Giovannini (1953, "in ditta" anche E. Macario) e Festival di Age (A. Incrocci), F. Scarpelli, D. Verde e O. Vergani (1954), in cui si rivelò "canzonettista" dotato di una voce gradevole e ben impostata. Non abbandonò comunque il teatro di prosa: molto lodata fu la sua interpretazione del coadiutore Isidoro nelle Baruffe chiozzotte di C. Goldoni, inscenate nel 1954 a Venezia per il festival del teatro (teatro Verde, regia di C. Lodovici; sempre a Venezia, di Goldoni, stesso teatro e stessa regia, avrebbe successivamente interpretato Le donne gelose nel 1956 e Il campiello nel 1958). Nel 1957-58, al fianco di T. Buazzelli e Lina Volonghi, affrontò un repertorio che spaziava dal tragico al comico, da U. Betti a Feydeau. Sull'onda di un consenso ormai consolidato, nella stagione 1958-59 entrò in ditta con Andreina Pagnani e Lauretta Masiero in La pappa reale di F. Marceau (regia di L. Salce).

Il L. vi ricopriva un duplice ruolo: quello dell'anziano signor Joseph e quello del giovane Roger. Nella performance basata sul "doppio" (che doveva replicare in almeno due fra le sue interpretazioni più famose: I due gemelli veneziani di Goldoni e la già ricordata Pulce nell'orecchio, in questo caso come interprete principale) veniva in evidenza la forte presenza scenica, versante mattatoriale della sua recitazione, governata sempre da un perfetto controllo dei tempi.

Il 1958 fu l'anno del debutto nel cinema: il L. ottenne una parte da caratterista nella commedia di Steno (S. Vanzina) Mia nonna poliziotto, con Tina Pica e M. Riva, e girò, per la regia di P. Mercanti, Ricordati di Napoli. Al cinema tornò tra il 1960 e il 1961 con altri due titoli: Chi si ferma è perduto di S. Corbucci (con Totò e Peppino De Filippo) e Cacciatori di dote di M. Amendola.

Nel 1959 sposò la ballerina inglese Margaret Axon, che morì nel 1962, poche settimane dopo la nascita del figlio Luca.

Nel 1960, grazie alla partecipazione a Canzonissima, all'epoca lo spettacolo di maggior successo della televisione, accanto alla Masiero e ad A. Tieri, il L. (che aveva esordito in televisione nel 1954 con la brillante commedia La carrozza del Ss. Sacramento di P. Mérimée) conquistò il pubblico italiano.

Con la paglietta "sulle ventitré", parodiando con il consueto garbo ammiccante lo chansonnier per eccellenza, il francese M. Chevalier, il L. rese popolarissimo un facile motivetto, che divenne una sorta di "tormentone" epocale. Eppure, "contro quella paglietta e quel facile successo l'irrequieto e mai appagato Lionello avrebbe lottato per tutta la vita" (Geron).

Sempre nel 1960, infatti, il L., consacrato dal grande pubblico ma alla ricerca di ruoli più impegnativi con cui confrontarsi, entrava a far parte dell'organico dello Stabile di Genova, che in quegli anni, diretto da I. Chiesa, contribuiva al rinnovamento del teatro italiano anche dal punto di vista del repertorio. Ebbe così iniziò il sodalizio artistico con il regista L. Squarzina, protrattosi fino alla stagione 1966-67, che lo portò ad alcune tra le sue più apprezzate interpretazioni.

L'esordio avvenne con Uomo e superuomo di G.B. Shaw (stagione 1960-61), in cui il L., nel ruolo di John Tennant, seppe compiere una brillante rilettura del personaggio-mito di Don Giovanni. La stagione seguente si cimentò con successo in Ciascuno a suo modo di L. Pirandello (e alcune delle pièces più note del drammaturgo siciliano divennero, negli anni a seguire, suoi riconosciuti cavalli di battaglia), Don Giovanni involontario di V. Brancati e Il matrimonio di Figaro di P.-A. Caron de Beaumarchais. L'anno più proficuo fu senz'altro il 1963, quando portò in scena Il bell'Apollo di M. Praga, Il diavolo e il buon Dio di J.-P. Sartre (nell'ambiguo ruolo di Goetz fu giudicato esemplare da tutta la critica) e I due gemelli veneziani di Goldoni; quest'ultimo testo fu, per più stagioni, un eccezionale trionfo in Italia e all'estero, girò 33 paesi e andò in scena, nel 1968, anche a Broadway; l'interpretazione del L., che si sdoppiava nei ruoli dello sciocco Zanetto e del furbo Tonino, compiendo un impareggiabile esercizio di virtuosismo trasformistico, fu molto lodata anche da L. Olivier.

Nel 1965 tornò al cinema nei panni di un seduttore di provincia, ruolo che gli fu sempre congeniale, nella pellicola di P. Germi Signore e signori. Nello stesso anno, in teatro, sempre con la regia di Squarzina, fu protagonista di La coscienza di Zeno, adattamento per la ribalta di T. Kezich del romanzo di I. Svevo.

Nel personaggio di Zeno Cosini, il L. si calò "con minuziosaggine quasi autobiografica" costruendo "quella sottile malattia del vivere che è il rovescio esatto della sua cordiale maschera" (Di Giammarco). Ne seguì (1966) un'apprezzata edizione televisiva.

Nel 1969 apparve di nuovo sul grande schermo, chiamato da P.P. Pasolini, per interpretare la sinistra figura del "padre industriale" in Porcile e recitò anche nel film Certo, certissimo… anzi probabile, commedia diretta da M. Fondato. Intanto, dopo un connubio di quasi otto anni, il L. aveva deciso di lasciare lo Stabile di Genova (vi sarebbe ritornato fugacemente solo nel 1987, per la ripresa de I due gemelli veneziani e per una messinscena non troppo persuasiva de L'egoista di C. Bertolazzi), per proseguire in proprio alternando testi "alti" al repertorio che considerava, forse, più conforme alla sua natura interpretativa: "Sono un cultore del vaudeville, di quel delizioso teatro brillante francese considerato, a torto, da certi parrucconi nostrani, di serie B" (Guerrieri).

Nel 1970, con la regia di M. Missiroli, interpretò Joe Egg di P. Nichols (dramma familiare sul fallimento di una coppia, incapace di affrontare la convivenza con una figlia affetta da un grave handicap) e, successivamente, fu il papa immaginario Adriano VII nel testo omonimo di P. Luke.

Nel 1973 Garinei e Giovannini lo vollero in Ciao Rudy per interpretare Rodolfo Valentino, ruolo ricoperto al debutto da M. Mastroianni. Ritornò anche in televisione con lo sceneggiato Puccini, per la regia di S. Bolchi. Il L. preparò il personaggio del musicista toscano con la consueta meticolosità, e riscosse eccellenti critiche. In questo periodo, in cui si era accentuato il carattere "eclettico" della sua recitazione - in realtà da sempre una componente basilare della sua personalità artistica -, anche il cinema lo cercò con più insistenza.

Sono considerate esemplari le interpretazioni del fratello travestito in Sessomatto (1973) di D. Risi e del parvenu nella pellicola di L. Comencini Dio mio come sono caduta in basso! (1974). Di tono minore le altre numerose commedie a episodi, girate negli anni successivi, fatta eccezione per Gran bollito di M. Bolognini, del 1977, in cui il L. recitò en travesti il ruolo di una grottesca zitella.

In teatro, negli anni Settanta e Ottanta, continuò l'operazione di "recupero di polverosi testi borghesi che in bocca sua riprendevano vita" (D'Amico), tra cui: L'anatra all'arancia di W.D. Home e M.-G. Sauvajon; Il nuovo testamento di S. Guitry (riproposto nel '94 con il titolo di Mogli, figli e amanti); Tramonto di R. Simoni; Divorziamo! di V. Sardou. Si cimentò anche nella rivisitazione di classici quali Il piacere dell'onestà e Ma non è una cosa seria di Pirandello, Monsieur Ornifle di J. Anouilh o Il mercante di Venezia di W. Shakespeare.

Nel 1991, dopo una lunga malattia, si sottopose a un intervento di trapianto del rene e, pochi mesi dopo, vestì i difficili panni di Shylock nel citato Mercante di Venezia, diretto da Squarzina.

Da anni impegnato anche nel doppiaggio, diede la sua miglior prova in questo campo nel 1992, prestando la voce per la versione italiana del film A cena col diavolo di É. Molinaro, in cui doppiò il personaggio di Talleyrand.

Nel gennaio del 1994, una nuova malattia lo colpì e fu costretto a ritirarsi dalle scene. Il L. morì a Fregene, presso Roma, il 14 luglio 1994.

Nel 1965 si era risposato, con Gabriella Vannotti (da cui ebbe la seconda figlia Gea, anche lei attrice), dalla quale si separò negli anni Settanta. Nel 1978 conobbe l'attrice Erika Blanc, che fu sua compagna nella vita e sulle scene fino alla fine.

Fonti e Bibl.: Necr., 15 luglio 1994, in La Stampa (M. D'Amico e O. Guerrieri); La Repubblica (R. Di Giammarco); Corriere della sera (G. Manin). A. Grasso, Storia della televisione italiana, Milano 2000, ad ind.; G. Geron, A. L., in Sipario, marzo 2002, p. 48; Enc. dello spettacolo, Agg. 1955-1965, coll. 611 s.; Filmlexicon degli autori e delle opere(aggiornamenti e integrazioni 1958-71), sub voce.

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