DELLA SCALA, Alberto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 37 (1989)

DELLA SCALA, Alberto

Gian Maria Varanini

Secondo di questo nome, nacque nel 1306, primogenito di Alboino signore di Verona e di Beatrice da Correggio. Sin dall'infanzia il suo nome è legato alle scelte (in questo caso, di politica matrimoniale) compiute dallo zio Cangrande (I) (il padre era morto nel 1311): nel 1312 fu combinata la sua unione con Agnese, figlia di Enrico II, conte di Gorizia, nel quadro dell'attività diplomatica del signore scaligero, per il quale i buoni rapporti con le famiglie signorili dell'area alpina restarono sempre obiettivo importante. Nello stesso 1312 i procuratori dei due pupilliet infantes- il D. e il fratello Mastino, minore di due anni -, ai quali già viene attribuita la proprietà di una delle case scaligere della contrada di S. Maria Antica, rinnovavano un feudo già concesso dal padre Alboino.

Del D. non si hanno, sembra, altre notizie sino al 1325, quando - forse non a caso dopo la morte di Francesco detto Chichino di Bartolomeo (stretto collaboratore di Cangrande), nel febbraio 1325 - sorsero dissapori fra i due figli di Alboino e Federico Della Scala, che in quel momento era all'apice del prestigio, circa l'eventuale successione a Cangrande: l'esilio di Federico e i provvedimenti contro i suoi sostenitori spianarono definitivamente la strada al D. e a Mastino. A loro Cangrande affidò compiti di rappresentanza (come il condurre a Verona Maddalena Rossi, designata moglie di un illegittimo del dominus), conferì il cavalierato (nella gran Curia del novembre 1328, dopo l'acquisto di Padova), e soprattutto li designò espiicitamente come suoi successori (lo ricorda l'atto di conferimento dell'arbitrium ai due fratelli, 23 luglio 1329).

Come appare sin da questi primi dati, la carriera politica del D. è, e sarà maggiormente nel periodo più che ventennale di governo comune, inestricabilmente legata a quella di Mastino; e come nelle altre diarchie-scaligere (Cansignorio e Paolo Alboinol Bartolomeo e Antonio) si pone il problema di sceverare l'azione e la personalità di un dominus da quella dell'altro. Una lunga tradizione storiografica, certamente fondata su consistenti argomenti, ha riconosciuto nel D. l'elemento debole della coppia, rispetto al fratello minore. Ne sono prove eloquenti il fatto che la corrispondenza diplomatica (anche le lettere pontificie) è rivolta non di rado al solo Mastino (II), e il fatto che le cronache non locali (per es. toscane, a partire dal Villani) fanno riferimento soltanto a lui per le scelte politiche e l'attività diplomatico-militare; mentre solo quelle della Marca e di zone viciniori (Iacopo Piacentino, i cronisti padovani, il Chronicon Estense)ricordano più di frequente il D. per qualche sua specifica iniziativa. L'appiattimento della figura del D. - lo stesso Simeoni lo dice "inerte e forse incapace" - è staio peraltro eccessivo, sino a farne una sbiaditissima controfigura del fratello minore, priva di qualsiasi rilievo e legata a topoi che la realtà documentaria in parte smentisce. Ad esempio, risale già al Cinquecento il cliché di un D. dedito alla vita di corte e interessato all'attività letteraria: in questa direzione il solo spunto sembra essere la dedica a lui fatta dell'opera del letterato padovano Antonio da Tempo: dedica che proviene pur sempre da un funzionario scaligero, e che ha quindi motivazioni diverse dalle pretese propensioni del D. medesimo. Un'analisi più puntuale mostra invece il D. spesso impegnato nell'attività militare e politica anche in circostanze e in posizioni abbastanza impegnative.

Circa i rapporti fra i due fratelli nell'azione di governo una prima interessante testimonianza viene dal continuatore del Chronicon Veronense:dopo l'insignorimento, fu infatti il D. che (dal 27 luglio al 13 ag. 1329) si recò a prendere possesso delle città soggette; mentre nel mese di settembre fu Mastino ("licet iunior et secundus ... magis edoctus in dominio et cautelis) a occuparsi, particulariter,di rectores,guarnigioni, controllo dei distretti.

Durante la dominazione scaligera su Padova (conclusasi nell'agosto 1337) il D. - con la moglie Agnese - vi risiedette quasi abitualmente, quando non fu impegnato in campagne militari. Fu prassi per gli Scaligeri affidare le città assoggettate nella Marca a collaboratori di grande prestigio militare e politico, che le ressero in lunghissime podesterie (Bailardino Nogarola a Vicenza, Pietro Dal Verme a Treviso): la particolare delicatezza della situazione padovana - la città si era data a Cangrande nel 1328 per la mediazione dei da Carrara, ma restava certo non favorevole ai nuovi domini,e fu per giunta sottoposta a una dura pressione fiscale - rese opportuno il diretto controllo da parte del D., del resto affiancato da podestà veronesi di grande esperienza (Bernardo Ervari, Federico Cavalli, Pietro Del Mesa). Formalmente, il D. era dominus generalis di Padova (come di tutte le altre città via via conquistate) alla stessa stregua del fratello. Di fatto però la sua posizione fu subordinata; nel 1332, per es., i rappresentanti veneti a lui inviati per una questione fra Venezia e il Comune di Padova ebbero mandato di rivolgersi, se non avessero ottenuto soddisfazione dal D., a Mastino (II). Dal D. partivano, comunque, autonomamente, ordini per i podestà scaligeri di Treviso e di Vicenza.

Nel giugno 1332 il D. presenziò alla presa di Brescia; nel settembre partecipò, al comando delle truppe scaligere, alla campagna della lega contro Carlo figlio di Giovanni di Boemia, mostrando peraltro - secondo alcune fonti - scarsa decisione in occasione dell'assedio di San Felice sul Panaro, quando si accordò con i Pio, provocando la reazione di Mastino (II). Prese probabilmente parte anche alla battaglia di San Felice (settembre 1332), conclusasi negativamente per la lega. Nel 1334 il D. partecipò all'assedio di Cremona; ma fu pure ripetutamente presente a Padova. Nel 1335 ebbe poi un ruolo di qualche rilievo nell'iniziale assestamento del dominio scaligero su Parma, acquisita mediante un accordo con una delle grandi casate cittadine, i da Correggio (Azzo era zio dei due Scaligeri), non diversamente da quanto era accaduto a Padova con i da Carrara. Recatosi il 21 giugno 1335 a prendere possesso della città, con 3.000 milites, il D. tentò di promuovere una pacificazione cittadina, oltre al ripristino della normale attività amministrativa comunale; e prese i provvedimenti essenziali per il controllo della città (designazione di massari veronesi, imposizione di una forte guarigione, sorveglianza sui forenses).Stando al Chronicon Parmense,non fu il D., ma qualche tempo dopo Mastino, a decidere l'occupazione del Palazzo comunale da parte degli stipendiarii veronesi; ciò che indispettì non poco i Parmensi. Nel frattempo il D. conseguiva anche, con una rapida incursione, l'assoggettamento di Reggio, poi ceduta ai Gonzaga.

L'anno successivo Venezia promuoveva l'alleanza con Firenze e la guerra nella Marca contro gli Scaligeri, destinata a ridimensionare in modo drastico - territorialmente e politicamente - la signoria veronese. La guerra iniziò nel luglio 1336, con la conquista da parte dei Caminesi (alleati di Venezia) di Oderzo. Il D. reagì prontamente, riconquistando (insieme con i da Carrara) quel castello e prendendo anche Motta e Camino. Subito dopo, però, le operazioni ebbero una battuta d'arresto, e gli Scaligeri inviarono a Venezia Marsilio da Carrara, per trattare un accordo. Successivamente il D. partecipò (con Spinetto Malaspina) all'attacco contro Mestre (16 ottobre) e condivise (secondo il cronista veneto lacopo Piacentino: provocò) la decisione di rifiutare la battaglia campale contro l'esercito veneto-fiorentino comandato da Pietro Rossi (ottobre-novembre 1336).

Le operazioni furono condotte dagli Scaligeri con prudenza, opportuna ma forse anche eccessiva (non fu colta ad esempio, nel 1337, la possibilità di attaccare il campo dell'esercito veneto, posto a Bovolenta, nel cuore del territorio padovano). Poco conclusiva fu anche la campagna s volta, sul territorio veronese, dalla lega antiscaligera costituitasi nel marzo 1337. In realtà, come ha ben dimostrato il Simeoni, la vera ed unica svolta della guerra fu costituita dalla defezione di Padova: Marsilio da Carrara trattò segretamente con Venezia, ottenendo assicurazioni circa il conseguimento della signoria sulla città (luglio 1337) e il 3 ag. 1337 fece imprigionare il D., assumendo il potere. li D. fu tradotto a Venezia alla fine di agosto.

Riguardo a questo episodio, non va ovviamente prestata fede alle novellette messe insieme dai Gatari, secondo i quali l'incrinatura dei rapporti fra il D. e i da Carrara andava ricollegata alla violenza usata dal D. alla moglie di Ubertino. È invece possibile, come opina il Simeoni (ibid.), che il D. non abbia voluto prestar fede alle lettere di Mastino (II) - certo non all'oscuro delle trattative svolte a Venezia - che gli consigliavano di arrestare Marsilio e Ubertino. Per un anno e mezzo il D. restò agli arresti a Venezia, "custoditus a nobilibus venetis", ma pur sempre, "curialiter" (Cortusi). Mastino (II) continuò la guerra, nella vaga speranza di aiuti imperiali, ancora per un anno; si indusse solo nell'ottobre 1338 ad aprire trattative (durante le quali si ventilò la possibilità che il D. fosse sostituito, come ostaggio, da un nipote). Liberato, infine, il 15 genn. 1339 - la pace fu sancita il 23 - insieme con Guidoriccio e Giberto da Fogliano e vari milites veronesi, il D. rientrò a Verona (febbraio 1339) e riprese subito l'attività militare: nel marzo attaccò Marostica, tenuta da Sicco di Caldonazzo, che aveva aderito alla lega antiscaligera e si era impadronito di quell'importante castello nel settembre 1338; "oppresso ab exercitu de Verona" (Cortusi), nel giugno il Caldonazzo capitolò.

Nel 1341 il D. prese parte alla guerra che, dopo la perdita di Parma ad opera dei Correggio (22 maggio), fu mossa contro Verona da Visconti, Carraresi, Estensi, Gonzaga e Bolognesi: riportò qualche successo militare, giungendo sino alle porte di Mantova; ma la situazione politico-militare evolvette sfavorevolmente per gli Scaligeri, che furono costretti non molti mesi più tardi a cedere anche Lucca. Lo Stato scaligero comprendeva ormai, soltanto Verona e Vicenza.

Negli anni successivi il D. compare saltuariamente nella documentazione inerente alle vicende politico-militari della signoria scaligera: sono ricordate, comunque, sue rapide incursioni in territorio mantovano, nel quadro di quell'endemico contrasto che caratterizzò negli anni Quaranta i rapporti scaligero-gonzagheschi (nel 1343, prima della tregua promossa dal legato papale; e nel 1346). In questi anni egli attese forse anche a risistemarre il patrimonio personale (i beni, forse cospicui, accumulati a Padova e Treviso erano stati liquidati sin dal 1339); nel 1346 compare un suo factor. Anche alcuni influenti cortigiani, come Giovanni de Venosto,sono detti suoifamiliares:segno che il D. si circondava, nella corte scaligera, di un proprio entourage.Nell'agosto 1349, accompagnato dal giovanissimo nipote Cangrande, il D. attaccò nel territorio mantovano il castello di Canedole, sconfiggendo poi l'esercito gonzaghesco presso il fiume Tione. L'anno successivo (maggio 1350) contribuì a sedare un tumulto, insorto in Verona fra i mal sopportati stipendiarii tedeschi e la popolazione cittadina.

Rimasto alla morte di Mastino (II) (giugno 1351) unico dominus generalis di Verona e Vicenza, il D. - privo di eredi legittimi - si trasse consapevolmente da parte, consentendo all'insignorimento dei tre nipoti Cangrande (II), Cansignorio e Paolo Alboino e assicurando un trapasso di poteri non traumatico né caratterizzato (per il momento) da faide familiari, com'era pur accaduto anche nel 1329-30 e come accadrà in seguito. Fu senza dubbio un merito non piccolo del D.; sulle motivazioni di questa scelta - il D. era all'incirca quarantacinquenne - non si hanno peraltro informazioni precise.

La concessione dell'arbitrium ai tre nipoti non significò totale disimpegno del D. dalle attività diplomatiche e militari: nel settembre 1351 egli capeggiò con Spinetta Malaspina (che lo ricorda nel suo testamento del 1° marzo 1352) una spedizione sul territorio trentino contro i Castelbarco, e nel marzo 1352 ospitò a Verona il marchese di Brandeburgo; nel giugno 1352, pochi mesi prima della morte, con Cangrande (II) e Cansignorio, nonché con Giovanni Della Scala, si recò a Ferrara presso Aldobrandino. Concludeva così un'attività nella quale l'esercizio delle armi ebbe un ruolo, se non preponderante, certo di rilievo; mentre al fratello Mastino (II) - al quale il D. fu certo in qualche misura subordinato - sembra essere spettata la responsabilità più specificamente politico-diplomatica, oltre a quella militare.

Il D. morì a Verona nel settembre 1352 (il 13, secondo il Chronicon Veronense;ma gli scarsi frammenti pervenuti del suo testamento - in copie, peraltro, tardissime - recano le date del 23 e 28 settembre). Il sospetto di avvelenamento, insinuato dal cronista veronese Marzagaia (in Antiche cronache veronesi,1890) non è provato, né sembra prob abile. Certa è invece la sua buona fama fra i contemporanei: "rexit maximo cum amore populi", afferma ad esempio la Cronachetta edita dall'Orti Manara.

Fonti e Bibl.: Piuttosto che documentazione inerente all'attività politico-militare del D. (per la quale si veda in questo stesso vol. alle pp. 451 ss. la bibliografia in calce alla voce Della Scala, Mastino [II]; importante è comunque il materiale archivistico trevigiano), potranno emergere nuovi dati relativi alle vicende private del D. (patrimoniol familiares e cortigiani) da archivi privati veronesi o anche da fonti padovane. Cfr. inoltre Verona, Biblioteca civica, ms. 876: A. Torresani, Scalanorum principum generis tabella..., c.25r; Chronicon Veronense auctore Parisio de Cereta..., continuatione anonymi...,in L. A. Muratori, Rerum Ital. Script.,VIII, Mediolani 1728, col. 653; S. et P. de Gazata, Chronicon Regiense, ibid., XVIII,ibid. 1731, coll. 50-54, 63, 68; Annales Patavini, in Rerum Ital. Scrip., 2 ed., VIII, 1, a cura di A. Bonardi, pp. 213 ss.; Liber regiminum Padue, ibid., pp. 360, 364, Chronicon Parmense, ibid., IX, 9, a cura di G. "Bonazzi, pp. 247 ss.; G. de Cortusiis Chronicon de novitatibus Padue et Lombardie, ibid.,XI 1, 5, a cura di B. Pagnin, pp. 58 s., 70 s., 75 s.,83 s., 86; Chronicon Estense, ibid., XV,3, a cura di G. Bertoni-E. P. Vicini, pp. 100 s., 106 s., 109; Chronicon Mutinense Iohannis de Bazano, ibid., XV, 4, a cura di T. Casini, pp. 102, 109, 116; P. Azarii Liber gestorum in Lombardia, ibid., XVI,4, a cura di F. Cognasso, p. 104; G. e B. Gatari, Cronaca carrarese..., ibid., XVII, 1, a cura di A. Medin-G. Tolornei, I, pp. 17, 19 s., 22; Gesta domus Carrariensis, ibid., XVII, 1, II,a cura di R. Cessi, pp. 43-48; Corpus chronicorum Bononiensium, ibid.,XVIII, 1, a cura di A. Sorbelli, ad Indicem;G. B. Verci, Storia della marca trivigiana e veronese, VII, Venezia 1787, pp. 150 ss., 156 (Cronichetta); Cronaca inedita de' tempi degli Scaligeri,a cura di G. Orti Manara, Verona 1842, pp. 13 ss., 17; G. Villani, Cronache,Trieste 1857, pp. 340, 353, 390, 398, 402, 417, 432; Liber marchiane ruine, poema storico del sec. XIV, a c. di C. Cantù, in Misc. di st. ital., V(1868), p. 70; A. da Tempo, Delle rime volgari trattato, a cura di di G. Grion, Bologna 1869, pp. 9 s., 69; I libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti,a cura di R. Predelli, II, Venezia 1878, pp. 30-33, 62, 79, 81, 83 s., 91, 95, 123; Monumenti della Università di Padova (1318-1405), a cura di A. Gloria, Padova 1888, I, pp. 10, 13 s., 15; II,p. 19; Antiche cronache veronesi,a cura di C. Cipolla, Venezia 1890, ad Indicem; Poesie minori riguardanti gli Scaligeri,a cura di C. Cipolla-F. Pellegrini, in Bullett. dell'Ist. stor. ital.,t. XXIV (1902), pp. 91 s.;C. Cipolla, La storia scaligera secondo i documenti degli archivi di Modena e Reggio,Venezia 1903, p. 230; Documenti per la storia delle relazioni diplomatiche fra Verona e Mantova nel sec. XIV, a cura di C. 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