Al-YEMEN

Enciclopedia Italiana (1937)

al-YEMEN (A. T., 91)

Giuseppe STEFANINI
Mario SALFI
Carlo Alfonso NALLINO

Stato dell'Arabia, situato nell'angolo SO. della penisola, tra 18° 20′ e 12° 35′ lat. N. e tra 42° 18′ e 45° long. E., confinato a N. dal Ḥigiāz, a E. dal territorio praticamente autonomo del deserto ad-Dahnā', a SE. dal sultanato del Ḥaḍramūt (v.) e dal territorio delle tribù "indipendenti" dei Yāfi‛, al-Ḥawāshib e al-‛Abādil, poste sotto la colonia di Aden (costituita dal 1° aprile 1937). Questa comprende anche l'isolotto di Perim, e geograficamente farebbe parte dello Yemen. Il territorio, con un'area di 62.000 kmq., ha una popolazione di circa un milione e mezzo di abitanti (circa 14 ab. per kmq. in media) tutti musulmani, ma divisi fra sunniti od ortodossi di scuola o rito shāfi‛ita (circa 1/6), sciiti zaiditi (circa 4/6) e sciiti ismā‛īliti (circa 1/6); ma questi ultimi ormai costretti a nascondere la loro credenza. Il governo è retto da un imām, sovrano assoluto e indipendente, di setta zaidita; la capitale è Ṣan‛ā'.

Lo Yemen non costituisce un'unità geografica ben definita: esso non è che un lembo dell'altipiano d'Arabia elevato a tratti fino oltre 3000 m., con le sue pendici e la fascia litorale; mancano perciò vere catene montuose culminanti, così come per l'aridità del clima mancano corsi d'acqua perenni di qualche entità. I torrenti che scendono verso il Mar Rosso, come il wādī Mawr, col suo affluente wādī Lā‛ah, sboccante ad al-Loḥayyah, il wādī Surdud, che ha il suo bacino di recezione verso Ṣan‛ā', il wādī Sahām a S. di al-Ḥodeidah, il wādī Rima‛, il wādī Zabīd, il wādī Ḥais, iI wādī Ḥaidān proveniente da Ta‛izz, e quelli che scendono nel territorio inglese al golfo di Aden, come il wādī Tibbān, che tocca Laheǵ e sbocca presso Aden, disperdono le acque del loro alto corso nelle sabbie ardenti della zona litorale; così pure quelli dell'altipiano che volgono verso oriente, come il wādī Naǵrān a N. e i wādī Khārid e Shibwān, che si esauriscono oggi nel deserto. Lo Yemen può essere distinto in varie zone, morfologicamente, climatologicamente ed economicamente diverse:

1. La Tihāmah litorale (al-Khabī) è una fascia subdesertica, larga da 20 a 30 km., che si eleva gradatamente fino a 200 m., formata di sabbie calcaree coralligene vicino al mare, di sabbie fluviali rimaneggiate dal vento più all'interno: a essa si collega l'isola di Kamaran, d'origine coralligena. Il clima è tropicale asciutto, con escursione stagionale assai elevata (oltre 10°) e forti venti caldi estivi; la scarsa piovosità invernale determina lo sviluppo di vegetazione xerofila e spesso alofila (acacie, tamerici, salsole) in rapporto anche col carattere spesso salmastro delle acque sotterranee, scarsamente alimentate dai corsi d'acqua provenienti dalle montagne e disperdentisi nelle sabbie della Tihāmah. Anche le coltivazioni sono rare e povere, rappresentate da qualche campicello di dura e da gruppi di palme vicino ai centri dove esiste un po' d'acqua nel sottosuolo.

2. Nella Tihāmah interna (200-800 m.) il suolo sale gradualmente, ma in complesso è ancora pianeggiante, formato da una fascia ghiaiosa pedemontana terrazzata dai solchi vallivi attuali, e dalla quale emergono qua e là spuntoni della sottostante roccia granitica, calcarea (giurassica) o vulcanica. I corsi d'acqua, provenienti quasi tutti dai monti, hanno, in ragione del clima arido e caldo, regime di wādī, rimanendo asciutti quasi tutto l'anno, e nel letto di essi alla solita vegetazione steppica di acacie e di tamerici si associano sicomori e tamarindi. Le colture sono le stesse di quelle della Tihāmah litorale, ma assai più estese, più fiorenti, meglio curate, almeno nella parte più elevata; la parte bassa è invece la più povera di tutto il paese, abitata solo da pastori e infestata da briganti.

In tutta la Tihāmah - litorale e interna - la popolazione è costituita da musulmani di rito shāfi‛ita e abita in capanne rettangolari o circolari a pareti di legno intonacate d'argilla e tetto di paglia.

3. La zona intermedia, compresa altimetricamente fra 800 e 1700 m., è molto accidentata: gole e valli profonde della parte alta o media dei wādī, lembi di pianura, monticelli di lava caoticamente disposti fra un labirinto di vallecole. Il clima è tropicale montano: meno caldo che nella Tihāmah, ha un'oscillazione diurna sensibile: la piovosità è alquanto maggiore e le valli hanno generalmente un filo d'acqua, mentre la vegetazione arborea (fichi, sicomori, tamarindi, dobera, euforbie a candelabro) diviene a tratti lussureggiante. Gli abitanti, musulmani di rito zaidita come gli altri montanari, vivono in case di muratura a diversi piani e coltivano dura col solo ausilio delle piogge.

4. Le pendici dei grandi massicci montuosi (basso Serāh) salgono da 1700 a 3500 m. e sono costituite alla base da graniti e scisti cristallini, sormontati da arenarie e calcari giurassici, disposti spesso a gradinata o a picco, coronate alla lor volta dalle arenarie superiori con le loro scarpate ruiniformi grigie rosate o porporine e dalle pittoresche variopinte pile delle rocce eruttive stratoidi, riolitiche e basaltiche, che formano generalmente il ciglio dell'altipiano. Il clima, temperato, è sano e gradevole, con abbondanti piogge estive e copiose precipitazioni occulte che alimentano numerose sorgenti. La vegetazione è costituita in prevalenza da arbusti a foglie caduche; nella parte inferiore tuttavia il terreno, sistemato a terrazze, viene intensamente coltivato a cereali, medica, caffè e qāt (Catha edulis) le cui foglie gli Yemeniti masticano come alimento nervino, contenendo un alcaloide affine alla cocaina. Gli abitanti sono montanari zaiditi e vivono in villaggi formati di case a diversi piani e generalmente inerpicati su pendii e rilievi quasi inaccessibili dominanti le valli.

5. L'altipiano (Serāh) costituisce il tavolato, che lentamente digrada dal ciglione verso levante, dove si perde in un deserto quasi inesplorato: esso comprende altitudini fra 2000 e 3000 metri e si differenzia dalla zona precedente non per l'altezza ma per la forma del suolo, pianeggiante con larghi wādī a fondo piatto (‛) separati da massicci montuosi isolati, residui di colate eruttive e di edifici vulcanici antichi o recenti. Il clima è d'alta montagna, con forti sbalzi giornalieri (a Ṣan‛ā' nel mese più freddo la temperatura oscilla fra 20° e −5°) e notevole escursione annua (Ṣan‛ā' ha in aprile e maggio 34° mentre d'inverno la temperatura scende spesso sotto zero. D'inverno il tempo è costante con aria asciutta, cielo sereno, e raffiche di vento sollevanti turbini di sabbia nel pomeriggio; l'estate ha invece tempo variabile, con salti bruschi di temperatura, piogge temporalesche e violenti uragani. I corsi d'acqua, insignificanti, si esauriscono nella regione interna; le acque di precipitazione sono assorbite dal suolo sabbioso e formano una falda freatica, profonda una diecina di metri, vantaggiosa alla vegetazione spontanea, che è però scarsa e quasi esclusivamente erbacea e steppica, e alle coltivazioni (orzo e grano dei campi; ortaggi e alberi da frutto come noci, albicocchi e rare palme dei giardini) che vengono irrigate con acque di pozzo estratte con norie; i eipressi abbondano e imprimono a tratti al paesaggio un carattere particolare. Gli abitanti, zaiditi come nelle pendici, abitano parimente case a molti piani di pietra o mattoni, raccolte in villaggi o in centri maggiori, talora cinti di mura.

La flora dello Yemen, alla quale si è accennato nella descrizione delle singole zone, è in complesso flora di paese arido, e ha stretti rapporti con quella delle zone africane prospicienti.

La fauna è interessante per la presenza di larghe zone a carattere desertico. Tra i Mammiferi citeremo varie capre, pecore, alcune gazzelle e il caratteristico irace. Varie le specie di Rosicanti, quali scoiattoli, ghiri, topi, arvicole, dipi, spalaci. Discretamente rappresentati i Carnivori, tra i quali citeremo il caracal, il gatto fulvo, il ghepardo iubato, lo sciacallo, varie volpi, martore, puzzole, la iena striata. Molti gl'Insettivori e i Chirotteri. Interessante la fauna ornitologica con numerose specie peculiari, e quella erpetologica. Degna di nota è anche l'entomofauna, specialmente per ciò che riguarda le forme a carattere desertico. I pochi corsi d'acqua che non si seccano sono pescosi.

Quanto alle condizioni sanitarie, il clima in generale è salubre, specialmente sull'altipiano e nei monti; nelle valli non manca la malaria. La tubercolosi, il vaiolo, il tifo esantematico fanno vittime tra gl'indigeni per la loro incuria e la mancanza di misure profilattiche; peste e colera sono invece sconosciuti, forse per la difficoltà di comunicazioni e la scarsità di rapporti commerciali; e anche le malattie intestinali come il tifo e la dissenteria non sono molto diffuse, grazie alla bontà delle acque. Le affezioni degli occhi abbondano, causa la sabbia sollevata dal vento.

Gli arabi dello Yemen raramente si dedicano alla pastorizia; per lo più si dedicano all'agricoltura o al commercio e hanno insediamenti stabili. Il popolo è diviso in quattro classi: gli Ashrāf o Sādah (al sing. Sayyid), discendenti del Profeta, formano la classe aristocratica e dirigente; i Qabā'il, formanti il grosso della popolazione autoctona e che hanno il privilegio di portare armi; la classe commerciante; e finalmente la classe servile, costituita in gran parte di genti introdotte dall'Africa come schiavi e dei loro discendenti. A quest'ultima sono assimilati anche gli Ebrei, che di solito vivono in quartieri separati o formano addirittura villaggi a sé. I principali prodotti del suolo sono: caffè, datteri, frumento, mais, sesamo, indaco, cotone; unica industria quella delle saline. Si esportano: caffè, sesamo, gomma, perle, pellami eec.

La capitale dello Yemen, è San‛ā' (20.000 ab.), posta sull'altipiano, al piede del monte Nuqum, a 2230 m. di altezza. È una grande, caratteristica città, cinta di mura, con una cinquantina di moschee, con grandi case a molti piani e tra queste il palazzo dell'imām, di recente costruzione. Il quartiere di Bīr al-‛Azeb e la vicina citta di ar-Rawdah racchiudono magnifici giardini e frutteti irrigui, dove maturano uva, pere, pesche, susine, agrumi. Altri centri importanti dell'altipiano sono: Ṣa‛dah, all'estremo N. verso l'‛Asīr, Dhamār, ‛Amrān, Shibām, Yarīm, Radā‛, ormai in decadenza, e, nel deserto, Mārib, l'antica Saba, celebre per la sua remota grandezza, della quale fanno testimonianza imponenti avanzi archeologici; nella zona delle pendici sono da ricordare Ta‛izz, ai piedi del granitico monte Ṣaber, con i suoi fiorenti frutteti, la vecchissima Ibb presso il monte Menhar (3219 m.), uno dei punti più alti dello Yemen: la città con le sue fortificazioni domina il wādī as-Saḥūl tributario del Mar Rosso e il wādī Tibbān che scende al golfo di Aden; Menākhah, centro di un'importante regione agricola che ha la reputazione di fornire il miglior caffè di Arabia; Kawkabān, Ḥuqqah (m. 1850), ecc. Nella Tihāmah infine esistono all'interno alcuni centri agricoli, come Zabīd (20.000 ab.), Beit al-Faqīh, Abū ‛Arīsh, ecc., e sulla costa al-Loḥayyah e al-Ghalāfiqah, insignificanti villaggi di pescatori, Moca o al-Makhā (5000 ab.) antico emporio del caffè, oggi in piena decadenza, e al-Ḥodeidah (5000 ab.), centro ricco e fiorente e unico porto notevole della costa yemenita sul Mar Rosso, poiché Aden - che del resto è sul golfo omonimo - è possesso britannico. (V. tavv. CXXXVII-CXXXIX).

Bibl.: A. Botta, Relation d'un voyage dans l'Yemen, Parigi 1841; R. Manzoni, El Yemen: tre anni nell'Arabia Felice, Roma 1884; A. Beneyton, Mission d'études au Yemen, in La Géographie, XXVIII (1913); G. Botez, Rapport définitif sur les études géohydrologiques faites en Yemen, Bucarest 1912; P. Lamare, L'Arabie Heureuse. Le Yemen, in La Géographie (1924); id., Résultats géographiques d'une mission au Yemen, in La Géographie (1930-31); C. Rathjens e H. von Wissmann, Sanaa. Eine Südarabische Stadtlandschaft, in Zeitschr. Gesellsch. f. Erdkunde, Berlino 1929; M. Blanckenhorn, Syrien, Arabien und Mesopotamien, in Handb. reg. Geol., V, 4, Heidelberg s. a.; P. Comucci, Rocce dello Yemen raccolte dalla Missione Gasparini, in Periodico di Mineralogia, IV, Roma 1933.

Storia.

Fin dall'antichità più remota alla quale le nostre cognizioni ci permettano di risalire con certezza in Arabia, ossia almeno fin dal sec. X a. C., le regioni dello Yemen (incluso il Naǵrān) e del Hadramūt (inclusa la Mahrah) risultano abitate essenzialmente da popoli semitici per razza e per lingua, forniti d'una civiltà ragguardevole, sulle origini dei quali nulla è possibile dire. La tradizione araba musulmana li considera discendenti dal misterioso Qaḥṭān, che sembra da identificare con il Iectan (Yåqṭān) della Bibbia, e ciò a differenza dalla grande maggioranza degli abitanti del resto dell'Arabia, i quali sono presentati, invece, come discendenti da un ‛Adnān, discendente a sua volta dal biblico Ismaele figlio d'Abramo; distinzione profondamente radicata poi nel sentimento popolare arabo dei primi secoli dell'islamismo, causa di gravi antagonismi politici soprattutto in Siria e nella Spagna musulmana, e derivante dall'antica differenza linguistica e dal tipo diverso di civiltà fra le due categorie d'Arabi prima che l'islamismo arrecasse la sua opera livellatrice. Perciò la storia dello Yemen dall'antichità ai giorni nostri si divide nettamente in due parti, aventi ciascuna caratteristiche sue proprie: l'età preislamica, che arriva sino a circa il 630 d. C., e l'età musulmana che le sussegue immediatamente e continua tuttora.

L'età preislamica. - Fino all'ultimo venticinquennio del secolo scorso le nostre cognizioni intorno a essa erano o estremamente scarse e frammentarie o puramente illusorie, poiché la sola storia che apparisse ininterrotta e particolareggiata per lo Yemen antico era quella fornita dalla tradizione araba islamica, che le moderne scoperte epigrafiche hanno mostrato essere null'altro che un tessuto di leggende senza fondamento e di liste di sovrani immaginarie per tutto il lunghissimo periodo anteriore al 450 circa d. C. In realtà, un paio d'allusioni storiche in iscrizioni cuneiformi assire del sec. VIII a. C.; il racconto biblico della regina di Saba (v.) venente a rendere omaggio a Salomone (e, del resto, non è ben sicuro che si tratti della Saba yemenita); qualche altro magrissimo cenno del Vecchio Testamento, di carattere fra genealogico e geografico; alcune notizie, slegate fra loro, di autori greci e bizantini a partire dalla seconda metà del sec. III a. C., di Plinio e di qualche testo agiografico cristiano in siriaco e in etiopico, erano i soli materiali quasi sicuri di cui si poteva disporre. Il deciframento delle epigrafi sudarabiche nelle lingue minea, sabeo-ḥimyarita e ḥaḍramita, iniziato timidamente da W. Gesenius (1841) e da E. Rödiger (1842) e progredito rapidamente dopo che J. Halévy (viaggio del 1869-1870) e Ed. Glaser (viaggi del 1882-84, 1885-86, 1887-88, 1892-94) ebbero portato in Europa gran numero di copie e di calchi d'iscrizioni, permise di eliminare le favole arabe, di valutare e coordinare le notizie di fonte assira, ebraica, greca, latina, siriaca, etiopica, e così di formare un quadro sommario della storia e della civiltà dello Yemen preislamico. I punti cardinali di riferimento cronologico per fissare detta storia sono i seguenti: 1. La data 525 d. C. che dalle fonti cristiane risulta per la conquista etiopica dello Yemen; poiché un'iscrizione himyarita data questi fatti dal 640 dell'era locale, ne risulta che l'inizio dell'era himyarita, ricordata anche in altre epigrafi più antiche e riferita a un eponimo Mabḥūḍ (o Mabāḥiḍ) bin Abḥaḍ, si può fissare con quasi assoluta certezza nel 115 a. C. 2. La menzione del re sabeo It-'-am-a-ra (in sudarabico Yatha‛-'amar) in un'epigrafe del re assiro Sargon II (campagna militare del 715 a. C.) e la menzione dell'altro sovrano sabeo Ka-ri-bi-ilu (in sudarabico Kariba'ilu) in un'iscrizione assira degli ultimi anni di Sennacherib, che regnò dal 704 al 681 a. C. 3. Un'epigrafe minea, che, secondo l'interpretazione quasi sicura, accenna a fatti svoltisi durante la guerra fra la Media e l'Egitto, ossia durante la spedizione di Cambise del 525 a. C. 4. La menzione di Χαριβαήλ, re di Ḥimyar e Saba, e di 'Ελέαζος, re del Ḥaḍramūt, fatta dall'anonimo autore del Periplo del Mare Eritreo come di re suoi contemporanei; ora il libro, secondo le conclusioni assai probabili di J. Tkač (1920), fu redatto fra il 41 e il 51 d. C. Su queste basi è possibile coordinare abbastanza bene una parte delle liste genealogiche di sovrani sudarabici ricordati in gran numero nelle iscrizioni.

Fondamentale è un passo d'Eratostene di Cirene (275-194 a. C.), che parla dei quattro territorî vastissimi nei quali l'Arabia Felice si divideva al suo tempo, in base a quattro grandi popoli retti a monarchia, di cui vengono indicate anche l'ubicazione rispettiva e le capitali; tolte di mezzo per i nomi proprî le varianti errate dei vecchi manoscritti e dei modemi editori, i quattro popoli, per ordine di distanza dall'Egitto, sono i Μειναῖοι (la regione Μειναία) con capitale Κάρνα, i Σαβαῖοι con capitale Μαρίαβα, i Καταβανεῖς (la regione Καταβανία) con capitale Τάμνα, i Χατραμωτῖται (la regione Χατραμωτῖτις) con capitale Σάβαταν. Le iscrizioni sudarabiche comprovano l'esattezza di queste indicazioni per parecchi secoli prima e dopo Eratostene e ci additano i seguenti grandi regni: Ma‛īn, con la capitale Qarnāw (Qarnā'u, l'attuale Ma‛īn), nello Yemen settentrionale, avente come regione centrale il territorio ora detto al-Giauf sito a circa mezza strada fra Mārib al sud e il Naǵrān a nord; Saba, con capitale Maryab (in età più tarda Mārib, che è anche il nome attuale), includente il territorio di Ṣan‛ā' ed estendentesi probabilmente sino al Mar Rosso in alcuni periodi della sua storia; Qatābān, nello Yemen orientale contiguo al Ḥaḍramūt, con capitale Tamna‛ (ora rovine dette Koḥlān, sulla sinistra del wādī Baiḥān); Haḍramūt, con cap. Shabwat (la Sabota di Plinio; ora Shabwah, nell'interno). I rispettivi confini ondeggiarono senza dubbio più volte per guerre tra i quattro stati; esistettero inoltre in varie epoche staterelli minori, qualche volta semplici vassalli dei maggiori, fra i quali particolarmente notevoli quello di Ma‛āfir (Μαϕαρῖτις del Periplo del Mare Eritreo, nella prima metà del sec. I d. C.), il cui territorio corrispondeva a gran parte dell'attuale cazà (qaḍā') di Ta‛izz, e il regno di Awsān che abbracciava la zona costiera da poco a oriente di Aden fino al wādī Maifa‛ (da non confondere con il più occidentale Maifa‛ah) nel Ḥaḍramūt.

Problema storico grave e assai dibattuto è quello dei rapporti cronologici fra il regno mineo e il sabeo. Fin dal 1889 il Glaser aveva creduto di desumere da varî indizî, fra cui l'indicazione epigrafica d'una sconfitta del regno di Ma‛īn per opera d'un capo sabeo, che lo stato mineo avesse preceduto il sabeo e fosse stato abbattuto e assorbito da questo, insorto contro di lui; e poiché l'esistenza del regno di Saba è certa già nel sec. VIII a. C., e d'altra parte sembrando naturale assegnare circa 750 anni di tempo per i circa 29 re di Ma‛īn a lui noti dalle iscrizioni, concludeva che l'inizio della monarchia minea fosse da collocare oltre il 1500, se non addirittura al 2000 a. C. Questa ipotesi, salvo piccole modificazioni, fu accolta da molti, ma subito combattuta da altri (J. Halévy, D. H. Müller, J. H. Mordtmann, ecc.), i cui argomenti contrarî sembrano pienamente persuasivi nel mostrare che le epigrafi sabee più antiche hanno caratteri paleografici più arcaici delle minee finora note e che i due stati vissero parallelamente per parecchi secoli, senza che sia possibile parlare d'una anteriorità minea. Passeremo qui brevemente in rassegna i tre regni yemeniti principali, avvertendo che nelle epigrafi le vocali, anche se lunghe di quantità, non sono mai scritte cosicché sono straordinariamente incerte, e discrepanti presso i varî studiosi, in quei nomi proprî per i quali non ci vengano in soccorso trascrizioni contemporanee greche o latine e la sopravvivenza genuina di quei nomi nella lingua araba.

Il regno mineo. - I re sicuramente noti dalle iscrizioni sono da 23 a 25; si può ritenere per certo che la monarchia esistesse già intorno al 700 a. C. Essa era ancora in vita alla metà del sec. III a. C., come risulta dalla testimonianza d'Eratostene, ma dovette estinguersi prima che quel secolo finisse, assorbita dal regno di Saba. Lo stato mineo per qualche secolo ebbe nelle sue mani il commercio di transito terrestre dagli scali dell'Arabia meridionale alla Palestina e al Mediterraneo, e a tale scopo teneva colonie commerciali su alcuni punti del percorso, soprattutto a Dedān (menzionata pure nel Vecchio Testamento, attuale al-‛Olā nel Ḥigiāz molto a nord di Medina), ove le iscrizioni minee colà trovate si dispongono per un periodo di nove re di Ma‛īn. Altra epigrafe famosa ci mostra l'attività commerciale minea attraverso l'Arabia di nord-ovest all'epoca della guerra fra Media ed Egitto, ossia nel 525 a. C. La lingua e lo spirito commerciale del popolo mineo sopravvissero alla fine del regno; basti citare l'iscrizione bilingue, del sec. II a. C.. d'un altare posto a Delo da due negozianti minei in onore del loro Dio nazionale Wadd ('Οάδδος) "e degli altri dei di Ma‛īn", e il sarcofago d'un fornitore d'incenso e mirra defunto in Egitto, la cui epigrafe minea lo dice morto (come provò nel 1931 C. Conti Rossini) nell'anno 22° di Tolomeo Epifane, ossia nel 183 a. C. La menzione dei Minei, quale popolo tuttora vivo e importante, appare presso gli scrittori greci e latini sino alla metà del sec. II d. C.; dopo, sembra trattarsi soltanto di reminiscenze letterarie ed erudite.

Lo stato sabeo e ḥimyarita. - Il nome Saba, nelle epigrafi sudarabiche e in arabo, è denominazione di un vasto territorio e anche del popolo che l'abitava o lo dominava. Nel Vecchio Testamento è nome di persona simboleggiante un popolo o nome del popolo stesso, e compare sotto le due forme diverse Sĕbā' e Shĕbā' e con due genealogie differenti, per cui Sĕbā' è dato come camita (da Kūsh) e Shĕbā' figura come camita (pure da Kūsh) in un passo (Gen., X, 7), e come semita (da Yåqṭān), al pari d'altri popoli sudarabici in un altro (Gen., X, 28, e cfr., XXV, 3); discrepanze che possono dipendere dalle diverse fonti adoperate, ma che probabilmente rispecchiano soltanto distinzioni fra il paese di Saba propriamente detto e le sue colonie nell'Arabia di nord-est e in Africa, e insieme le diverse relazioni, rappresentate sotto forma di rapporti genealogici, della madrepatria e delle colonie con i popoli circostanti. È oltremodo dubbio che alla nostra Saba vadano riferiti nomi geografici simili a essa, ricorrenti in iscrizioni cuneiformi in lingua sumerica del periodo 3000-2500 a. C. In iscrizioni cuneiformi assire, come sopra fu detto, capi e re sabei compaiono quali offrenti tributo o doni a re assiri a proposito della campagna militare di Tiglatpileser III del 734-732 a. C., dei primi anni di Sargon II (722-705 a. C.; uno dei due testi riguarda il 715) e degli ultimi di Sennacherib (704-681); naturalmente si tratta di rapporti derivanti da contatti o conflitti con le colonie o possessi sabei nell'Arabia settentrionale. Presso i Greci e i Latini, a partire dagl'inizî del sec. I a. C il nome dei Sabaei (Σαβαῖοι) acquistò grandissima rinomanza, quale popolo di ricchezze favolose e di vita molle, e fu spesso adoperato a designare tutti i popoli dell'Arabia Felice. Le iscrizioni sabee note sino a oggi non sembrano risalire oltre la seconda metà del sec. VIII a. C.; ma la civiltà avanzata che già risulta per quell'epoca e che, fra l'altro, si manifesta con le colonie lontane e con grandi costruzioni civili e religiose, prova che assai più antico doveva essere lo stato sabeo. Dal punto di vista cronologico il racconto biblico dell'omaggio reso dalla regina di Saba a Salomone (v. sopra), il quale regnò circa dal 972 al 932 a. C., non offre alcuna difficoltà.

Nella storia dello stato sabeo si distinguono i seguenti periodi determinati dalla varia titolatura assunta dai sovrani: 1. Il periodo più antico, nel quale essi si intitolano MKRB (mukarrib?), vocabolo che vedremo usato anche nello stato del Qatābān e che, dati i significati sicuri d'altri vocaboli derivanti dalla radice krb, dovette significare "sommo sacerdote", principe-sacerdote. Di essi sono noti 13 o 14. La loro capitale primitiva fu Ṣirwāh, di cui rimangono le grandi rovine e il nome, a poco più di 2/3 della distanza in linea retta da Ṣan‛ā' a Mārib; ma gli ultimi di questi principi trasferirono la capitale più a est, a Maryab (intorno all'età cristiana detta Mārib come ancor oggi suona il nome), forse in rapporto con le costruzioni gigantesche colà iniziate per arginare e sbarrare la vallata del fiume Adhanat (ora Adhanah o Dhanah), a scopo d'irrigazione, dal mukarrib Sumhu-‛álaya Yanāf e dal suo successore e figlio. - 2. Il periodo dei sovrani che s'intitolano "Re di Saba" e dei quali sono noti una quindicina, conservanti la capitale a Mārib. Il mutamento del titolo sembra dovuto a un ingrandimento dello stato a spese delle regioni limitrofe o anche più in là, nel paese arabo dell'incenso e nell'Abissinia settentrionale. Gl'inizî di questo periodo vanno posti forse intorno al 600 a. C.; il primo re è Kariba'il Watar II. Lo stato sabeo sotto questi re si espande lontano: sappiamo con sicurezza che già intorno al 500 era cominciata la colonizzazione sabea nell'Abissinia settentrionale (Eritrea e Tigrè), soprattutto mediante il popolo dei Ḥabashat, oriundo verosimilmente dello Yemen di sud-ovest sulle rive del Mar Rosso, il quale si era trasferito in quella parte dell'Africa a cui diede il nome; colonizzazione che durò fino all'era cristiana e lasciò, oltre all'alfabeto poi etiopico, rovine considerevoli e iscrizioni a Cohaitò (Qōḥaitō), Jehà (Yeḥā), Tocondà (Takhōnda‛), Kaskasē ed Abbā P???anṭalēōn (presso Aksum). È ancora questa dinastia che, in modo a noi ignoto, assorbì il regno di Ma‛īn, probabilmente intorno al 200 a. C. - 3. Il periodo dei sovrani che prendono il titolo di "Re di Saba e Dhū Raidān", dove il nome aggiunto significa quasi certamente "il territorio di Raidān", la Raidānite, rimanendo tuttavia incerto se si tratti del castello di tal nome noto alla tradizione araba come esistente nella città di Ẓafār dello Yemen, o piuttosto della rocca omonima, su altura isolata, che conserva l'antico nome e domina la pianura di Baiḥān al-Qaṣāb nella parte orientale dello Yemen. Sembra probabile che l'era sabeo-ḥimyarita menzionata qui sopra e corrispondente con sicurezza quasi assoluta al 115 a. C. si riferisca appunto al principio di questo periodo (che altri vorrebbe porre, invece, nella prima metà del sec. I d. C.); in taI caso cade in questo periodo la spedizione condotta da Caio Elio Gallo, per ordine d'Augusto, nel 25-24 a. C. per conquistare l'Arabia fino al paese dell'incenso (Ḥaḍramūt e Mahrah); spedizione della quale non si è ancora trovata alcuna traccia nelle iscrizioni sudarabiche e che, dopo la conquista di numerose città, fallì miseramente dinnanzi alla città forte di Marsyaba (come ha Strabone) o Mariba (come porta il Monumentum Ancyranum d'Augusto), la quale non è Maryab o Mārib, come spesso si ripete, ma l'attuale Maryamah (Maryamat delle iscrizioni), dalle grandi rovine, a sudest di Mārib nel territorio di Baiḥān al-Qaṣāb contiguo a quello di Ḥarīb, che verosimilmente è la Caripeta del racconto di Plinio. Elio Gallo aveva trovato che il regno maggiore era quello dei Sabei e che la capitale di tutti i popoli era Marelibata (probabile corruttela dei mss. per Mareiabata ossia Maryab, Mārib), ma aveva anche riferito che il popolo più numeroso dell'Arabia Felice era quello degli Homeritae (i Ḥimyar delle epigrafi e della tradizione araba musulmana, Homēr delle iscrizioni etiopiche della prima metà del sec. IV d. C.). Ora per la prima metà del sec. I d. C. risulta da fonti contemporame (il Periplo del Mare Eritreo e le notizie di fonte posteriore all'inizio del secolo raccolte in Plinio) che gli Omeriti e i Sabaiti avevano un unico re, Charibael (Kariba'il), la cui capitale era Sapphar o Saphar, vale a dire la Ẓafār dello Yemen, situata circa 15 km. a sud-ovest dell'attuale Yarīm. Dunque la capitale, forse per influsso ḥimyarita o per desiderio di meglio dominare la costa minacciata dagli Abissini o per altra causa, era stata trasportata definitivamente lontano dalla vecchia e celebre Mārib. È possibile che l'ultima serie dei Re di Saba e Dhū Raidān prima dell'ultimo re sia costituita dagli undici sovrani della dinastia sorta dal popolo detto Hamdān, che di solito vengono collocati molto tempo prima, ossia a partire dal sec. I d. C., anzi fatti iniziatori della titolatura dei Re di Saba e Dhū Raidān. Certo è che il primo dei Hamdānidi s'impadronì del potere con l'aiuto di GDRT (Gadarat?) re dei Ḥabashat (Abissini) e del re del Hadramūt. A ogni modo la sene dei Re di Saba e Dhū Raidān si chiude con Shamir Yuhar‛ish, non hamdānide, che porta ancora questo titolo in varie iscrizioni dei primi anni del suo regno, fra le quali una del 281 d. C. - 4. Il periodo dei sovrani intitolati "Re di Saba e Dhū Raidān e Ḥaḍramūt e Yamanat"; titolatura assunta per primo dal suddetto Shamir Yuhar‛ish, evidentemente intorno al 300 d. C. e in conseguenza della grande espansione territoriale dello stato sabeo, la cui capitale permane a Ẓafār. La politica conquistatrice di questo sovrano non andò tuttavia esente da rovesci; infatti l'epigrafe sepolcrale araba, ma in scrittura nabatea, del re arabo settentrionale Mar' al-Qais ibn ‛Amr, morto nel dicembre del 328, vanta l'assedio fatto "a Naǵrān, la città di Shamir". Ed è probabile che le aggressioni del re sabeo contro popolazioni dello Yemen amiche degli Abissini siano state intorno al 300, forse dopo la sua morte, la causa d'una vera occupazione etiopica dello Yemen, della quale sono indizio l'interruzione della serie dei re indigeni nelle iscrizioni sudarabiche fino a circa il 370 e soprattutto il fatto che nella prima metà del sec. IV il famoso ‛Ēzāna re di Aksum, nelle sue epigrafi etiopiche (una accompagnata da redazione greca) anteriori e posteriori al suo passaggio al cristianesimo, prende il titolo di "re degli Aksūmiti, dei Ḥimyariti, del Raidān (τοῦ ‛Ραειδάν), dei Sabei, del Salḥēn, del Ṣiyāmō (Τιαμῶ) ecc.", così inserendo quattro paesi o popoli yemeniti fra gli etiopici Aksum e Ṣiyāmō. Tuttavia questa occupazione etiopica non ebbe lunga durata, poiché già nel 378 abbiamo un'iscrizione del re yemenita Malikīkariba Yuha'min con l'antica titolatura. È notevole che nelle epigrafi di questo sovrano e dei suoi successori agli dei pagani sottentra il "Dio, signore del cielo", il quale poco più tardi, nel 448, certamente sotto l'influenza giudaica ormai sensibile nello Yemen (Ebrei furopo trovati frammisti agli Omeriti pagani da Teofilo l'Indiano nel 341-346), si trova anche designato con l'epiteto di raḥmānān "il misericordioso". Intanto l'elemento himyarita assunse importanza sì grande da eclissare il nome stesso di Saba quale designazione dello stato, all'incirca nel 480. - 5. Il periodo dei "Re dei Ḥimyar". Ci mancano finora epigrafi di questi sovrani; ma desumiamo la nuova titolatura reale dalla tradizione araba musulmana, che dopo la metà del sec. V ha elementi di verità, dai racconti agiografici greci, siriaci, etiopici, e dall'iscrizione himyarita del 525 narrante la sconfitta e la morte dell'ultimo re. È questo un periodo di decadenza politica, alla quale non furono estranee contese religiose: l'elemento ebraico si fece sempre più forte e l'ultimo re, detto Dhū Nuwās nella tradizione araba (Δουναάς di due testi greci), volle imporre il giudaismo e perseguitò i cristiani molto numerosi del Naǵrān, anche in odio alla pericolosa Abissinia cristiana. Ciò provocò la spedizione etiopica del 525 nello Yemen, che, spalleggiata da feudatarî himyariti cristiani dello Yemen di sud-est, abbatté per sempre le dinastie indigene.

Il regno di Qatābān. - Il nome Qatābān indica, come Saba, tanto il territorio quanto il popolo che l'abitava; territorio che si estendeva fra lo Yemen e il Hadramūt nelle loro parti interne, e che non sembra essere mai arrivato al mare, dal quale lo sbarrava lo stato di Awsān. La capitale era Tamna, come si è detto sopra. Le sue origini rimontano senza dubbio assai lontano e sembrano contemporanee alla fase antica a noi nota del regno mineo; a giudicare dal tipo delle monete, la sua esistenza si è prolungata almeno sino al primo quarto del sec. I d. C., per poi venir assorbita in quella del regno sabeo in epoca imprecisabile. In seguito si perdono le tracce anche del nome. Come a Saba, i sovrani più antichi portano il titolo sacerdotale di mukarrib sopra ricordato; inoltre si dichiarano figli di qualche divinità loro, come i re dell'Awsān e come l'abissino ‛Ēzānā prima della conversione al cristianesimo. Finora si conoscono 9 mukarrib e 21 re.

La fine dello Yemen indipendente. - Come si è detto poco sopra, ebbe luogo nel 525 d. C. per opera dell'esercito abissino inviato dal re Kāleb Ella Asbeha e unito a ribelli locali. Lo Yemen fu costituito in vicereame; il primo viceré fu il sudarabico cristiano Sumyafa‛ Ashwa‛ ('Εσιμιϕαῖος di Procopio), cui successe dopo non molto l'abissino Abraha, famoso per le grandi chiese cristiane da lui costruite a Mārib e a Ṣan‛ā' (che gli Abissini fecero capitale dello Yemen, mentre la sede vescovile monofisita fondata all'epoca dell'imperatore bizantino Anastasio, ossia fra il 491 e il 518, rimase a Zafār), per i grandi restauri alle dighe famose di Mārib negli anni 542-543 e per il tentativo ardito di muovere dall'Arabia meridionale contro la parte mesopotamica dell'impero persiano dei sāsānidi, per istigazione dell'imperatore Giustiniano; tentativo che va posto fra il 540 e il 570, e che forma un episodio della lotta secolare fra i due imperi di Bizanzio e di Persia e che fallì nel Higiāz di fronte a coalizioni arabe: al suo fallimento allude la brevissima sūrah CV del Corano. Ma intomo al 575 la dominazione etiopica ebbe fine, abbattuta dall'invasione persiana che segnò un duro colpo per il cristianesimo. Costituito dapprima in regno vassallo dato al himyarita Saif ibn Dhī Yazan, alla morte di questo lo Yemen divenne semplice provincia retta successivamente da cinque governatori persiani. Decadenza e anarchia si accentuarono sotto questo dominio; i signorotti nei loro castelli erano semi-indipendenti; le grandi costruzioni della diga di Mārib andarono in rovina, probabilmente assai poco dopo l'occupazione persiana, così trasmutando in steppa incolta un territorio fertile vastissimo; elementi arabi beduini si infiltrarono sempre più nel paese a ulteriore scapito dell'agricoltura già fiorentissima. In tal modo, quasi senza scosse, il paese, ormai negletto dai re di Persia, cadde rapidamente in mano dell'islamismo, ancor vivo Maometto, a partire dall'anno 8° dell'ègira (629-630); l'ultimo governatore persiano, Bādhān, finì con l'abbracciare l'islām e governare lo Yemen in nome di questo.

La civiltà nello Yemen preislamico. - Il divieto di scavi archeologici, l'impossibilità di percorrere liberamente le zone più importanti del paese anche a scopo di semplici esplorazioni superficiali, lo stesso fatto che di molte iscrizioni s'ignora con esattezza il luogo di provenienza e più ancora i particolari delle costruzioni alle quali appartenevano, impediscono di fare qualsiasi ipotesi sull'origine dell'antica civiltà yemenita, la quale ci appare in piena fioritura fino dal sec. VIII a. C., l'epoca più antica alla quale è possibile arrivare. Basterebbero le mura della città di Ṣirwāh, primitiva capitale dello stato sabeo, con le loro lunghissime iscrizioni annalistiche, per mostrarci l'alto grado raggiunto già allora dall'architettura sabea, la quale fin dall'epoca dei mukarrib di Saba ha saputo costruire i grandi lavori idraulici di Mārib, fatti con blocchi di pietra squadrata e più volte ricordati qui sopra. I templi e palazzi sontuosi sono celebrati anche dagli scrittori greci ch'ebbero notizia diretta dell'Arabia meridionale (Eratostene e Agatarchide); i templi spesso hanno pianta ellittica. La visita superficiale di poche parti dello Yemen, combinata con le indicazioni delle epigrafi, ha provato l'esistenza anche di altre costruzioni fatte con blocchi regolari di pietra o con mattoni: castelli a più piani per signorotti locali, edifici pubblici per riunioni del consiglio degli ottimati, caravanserragli, torri (delle quali molte avevano nomi proprî particolari), cisterne, canali, passaggi sotterranei, camere sepolcrali. Innumerevoli sono le statuette d'alabastro o anche di pietra calcare, raffiguranti per lo più uomini, ma talora anche donne, e qualche volta portanti inciso alla base il nome della persona raffigurata; molto spesso la persona, seduta o in piedi, è in atto di preghiera, cosicché sembra naturale supporre che quelle statuette siano ex-voto presentati ai templi per grazie avute dagli dei; ma non mancano esempî di altro atteggiamento, cioè di uomo seduto con le mani appoggiate sulle ginocchia. Qui siamo nel campo di un'arte prettamente indigena; ma dopo che i Tolomei d'Egitto riuscirono a iniziare rapporti politico-commerciali con lo Yemen nel sec. III a. C., l'arte greca penetrò anche laggiù, portandovi figure umane di bronzo di grandi dimensioni; a essa si deve, senza dubbio alcuno, la statua di bronzo d'un uomo nudo, in grandezza doppia del naturale, venuta alla luce nel 1931 a Nakhlah al-Hamrā presso le rovine di Ghaimān (12 km. in linea retta a sud-est di Ṣan‛ā') e ora collocata nell'embrionale museo di Ṣan‛ā'; la scritta sul petto ha la dedica fatta da Dhamar-‛álaya Yuhabirr re di Saba e Dhū Raidān. Così pure la monetazione cominciò sotto diretta influenza greca; le prime monete, che compaiono nel sec. III a. C., sono imitazioni dei tetragrammi argentei di Atene, con al recto la testa di Atena e al rovescio la civetta, l'olivo e la mezzaluna, e sembrano sostituite soltanto alla metà del sec. I d. C. da tipi indigeni, nei quali la testa di Atena diventa una testa virile dai capelli acconciati alla foggia sudarabica. L'abbondanza dell'oro favorì una grande produzione di oggetti d'oreficeria veramente notevoli. Le fonti precipue della ricchezza erano l'agricoltura e il commercio internazionale degli aromi (incenso, mirra, ladano) e di legni preziosi, sia indigeni, sia importati per mare dall'India e dalla Somalia, sulle cui coste i Sabei avevano emporî o colonie commerciali; del grande sviluppo agricolo sono testimonio le iscrizioni con la loro abbondanza di particolari circa l'irrigazione delle terre, la distribuzione delle acque fra proprietarî vicini, la definizione dei confini fra terreni privati e i trapassi di proprietà.

Come risulta dal quadro storico data sopra, e contrariamente a quanto accadeva nel resto della penisola arabica, fin dall'antichità più remota alla quale possiamo risalire le varie regioni dello Yemen e il contiguo Ḥaḍramūt si reggevano in forma di grandi monarchie costituite solidamente e con organismi statali bene sviluppati. La potestà regia si trasmetteva di padre in figlio, anzi il figlio spesso si trova associato al padre nelle epigrafi. Nel periodo antico il re sembra rivestire anche carattere sacerdotale, come fu detto sopra a proposito del nome mukarrib dato agli antichi sovrani sabei e qatābānici; anzi gli antichi mukarrib del Qatābān nelle iscrizioni si dicono figli di qualche divinità; ma non si trova traccia di quel divinizzamento del sovrano e di quello spirito servile verso di lui che s'incontrano in Egitto e nell'Assiria e Babilonia. Inoltre, fino dalle fasi antichissime, presso i Minei e negli stati del Qatābān e dell'Awsān l'autorità del re è limitata dal miśwad (ś essendo la lettera ) ossia da un consiglio di ottimati, insieme con il quale il sovrano legifera; ed è probabile che così fosse anche nel vecchio stato sabeo, poiché in esso, come nel mineo, troviamo che un miśwad assiste i singoli kabīr o capi amministrativi regionali. Le leggi ricevevano pubblicità; fra gli altri testi legislativi ci è pervenuto un decreto di Shamir Yuhar‛ish sopra citato, re di Saba e Dhū Raidān (vivo nel 281 d. C.), sul diritto di recesso nella compravendita, inciso su pietra calcare; e pubblicità ad atti fra privati riguardo a proprietà fondiarie era data parimenti mediante iscrizioni su pietra o su bronzo che sembra venissero collocate nei templi. Nello stato sabeo tardo e nel ḥimyarita incontriamo numerosi qawl (in arabo qail), specie di grandi feudatarî, che sembra avessero l'amministrazione civile e militare dei singoli distretti. Ovunque esistevano stirpi nobili, designate con la voce dhū "appartenente a", "signore di" premessa a un nome di luogo, ovvero con bin "figlio di" posto innanzi al nome d'un antenato; e risulta pure l'esistenza di vassalli e clienti che avevano per patrono una famiglia nobile o un membro di questa. La maggioranza della popolazione si divideva in popoli (ashāb) territoriali, non in tribù come in quasi tutto il resto dell'Arabia; accanto ad essa, ma separati, erano i Beduini (arāb) ordinati a tribù. Non mancavano gli schiavi. Dalla parte che nelle epigrafi dedicatorie è fatta a componenti della famiglia si arguisce la salda costituzione di questa. Non si sono incontrate fino a ora tracce di poligamia; anzi la menzione, che ricorre talvolta, della moglie come partecipante a offerte dell'uomo a templi, sembra indicare un ordinamento familiare monogamico e al tempo stesso la posizione elevata delle donne. Da un passo di Strabone (lib. XVI, p. 783) e da certe formule epigrafiche alcuni studiosi hanno dedotto l'esistenza d'una poliandria, nella quale i mariti dovessero essere stretti parenti fra loro; ma tutto ciò va escluso, poiché la storiella di Strabone è evidentemente una delle frequenti invenzioni maligne narrate da guide ai viaggiatori stranieri per colpirne l'immaginazione e per divertirli; mentre le formule epigrafiche hanno senza dubbio un significato assai diverso da quello che si credette di vedervi.

Tutta la vita pubblica nel regno mineo e nell'antico sabeo è impregnata di colorito religioso; i templi sono uno dei centri della vita dello stato, possiedono grandi beni fondiarî amministrati dal capo dei sacerdoti e ricevono in gran copia offerte varie dai fedeli, che vogliono propiziarsi le divinità oppure ringraziarle di favori implorati dal cielo e ottenuti. Le mura cittadine, come anche parti di esse rifatte o ingrandite, vengono dedicate agli dei. Altari e incensieri attestano l'uso dei sacrifizî d'animali e del bruciare incenso e mirra in onore delle divinità, alle quali venivano offerte anche innumerevoli statuette, spesso dorate e raffiguranti sia uomini, sia animali; schiavi vengono donati ai templi; parecchi santuarî sono meta di pellegrinaggi ai quali partecipano anche donne. Notevoli, anche quale indizio dei rapporti della religione con la morale privata, sono alcune iscrizioni penitenziali, collocate in templi per lo più da donne, a confessione di colpe commesse. Un'aureola religiosa circondava persino la coltivazione e il commercio degli aromi nascenti nelle parti d'Arabia a oriente dello Yemen, le quali erano sotto dominio o protettorato sabeo; gli autori classici ne dànno notizie precise per il periodo che va dal 300 circa a. C. alla metà del sec. I d. C.: la raccolta era accompagnata da cerimonie religiose e richiedeva uno stato di purità nei raccoglitori; i mucchi del prodotto, monopolio dei sovrani, erano sotto la protezione degli dei e per tale carattere sacro potevano essere lasciati incustoditi; il trasporto dal luogo di produzione ai lontanissimi punti yemeniti di concentramento doveva esser fatto secondo strade ben determinate e con pagamento di quote ai templi maggiori sul passaggio. Che i popoli sudarabici credessero nella vita futura appare indubbio da molti indizî, compresa la ricchissima suppellettile che veniva posta nelle tombe; ma ignoriamo del tutto come tale sopravviveenza fosse concepita. Il politeismo fu generale sino alla metà del sec. V d. C. e si mantenne anche dopo, accanto al giudaismo e al cristianesimo. Grande è il numero delle divinità, designate con nome proprio o con epiteti o con la specificazione di "signore della città o del luogo tale", anche senza preporvi il nome proprio della divinità. Per es., un'iscrizione minea del 525 a. C. porta l'invocazione: "per ‛Athtar di Qabaḍ, per Wadd, per Nikraḥ, per ‛Athtar di Yahriq, per la padrona di Nashq e per gli dei di Ma‛īn e di Yathīl". Comune a tutti i popoli sudarabici è ‛Athtar (‛Astar delle iscrizioni etiopiche pagane), che è divinità maschile a differenza dell'omonima Astarte (ebr. ‛Ashtōret, babil. Ishtār) dei Semiti settentrionali; in esso alcuni vogliono vedere il pianeta Venere sorgente al mattino (Lucifer), altri il cielo come presso gli Etiopi. Accanto ad ‛Athtar compaiono fra i Minei le divinità maschili Wadd, Nikraḥ e alcune minori; fra i Sabei Hawbas, Almaqah, Ta'lab e molto più di rado altre (fra cui Wadd e Sīn); nel Ḥaḍramūt Sīn (la luna), Ḥawl, Shams (il sole, dea femminile); mentre nel (Qatābān ‛Athtar passa in seconda linea rispetto al Dio principale ‛Amm, al quale fanno corona anche Warkh (la nuova luna), Shams (il sole), Anbay, Ḥawkam, Niswar, Ḥārimān. Alcune di queste divinità sono evidentemente astrali (sole, luna, Venere mattutina o, secondo altri, cielo); ma della maggior parte s'ignora completamente l'origine. Alcuni hanno creduto di poter raggruppare in triadi astrali le principali divinità sudarabiche; ma i loro tentativi non hanno base seria. Vi era la credenza in ordini, oracoli e responsi emanati da qualche dio; ma dalle iscrizioni non si ricava in qual modo l'oracolo fosse pronunziato.

Lingue. - Le lingue delle epigrafi sudarabiche sono strettissimamente parenti fra loro e, insieme con quelle da esse derivate in Etiopia (etiopico antico o ghe‛z, tigrē, tigrino e le degeneri amarica hárarī, gurāghē), formano un gruppo ben definito delle lingue semitiche. Naturalmente, il fatto che siano scritte soltanto le consonanti, ossia la parte non fluttuante nelle lingue suddette, fa sì che la rassomiglianza ci appaia maggiore di quella che doveva esistere in realtà. Le lingue delle epigrafi si possono ridurre a due: quelle che usano il prefisso h per dedurre dalla prima la quarta forma dei verbi, e il suffisso (plur. humū) per il pronome accusativo e possessivo della 3ª persona (lingua sabeoḥimyarita), e lingue che a questi h sostituiscono s (mineo, qatābānico, awsānico, ḥaḍramita). La penetrazione araba dal nord andò a poco a poco soppiantando le antiche lingue, parallelamente al decadere dello stato sabeo-ḥimyarita; l'islamismo diede presto l'ultimo colpo. Nel sec. IV eg. (X d. C.) in parti isolate delle montagne yemenite esisteva ancora un cosiddetto ḥimyarita, che sembra essere stato un miscuglio di vecchio sudarabico e d'arabo, con larga prevalenza di quest'ultimo. Le propaggini moderne del sudarabico sono costituite da dialetti incolti che si parlano lungo la zona costiera della Mahrah (fra il Ḥaḍramūt propriamente detto e l'‛Omān) e nell'isola di Socotra (Soqoṭrah), ossia l'éḥkilī o shkhawrī o qrāwī (parlato nel territorio della Ẓafār orientale non yemenita, e a Mirbāt), il mahrī (parlato nella Mahrah occidentale, ossia a Qishin, al Ghaiḍah, Ḥaṣawēl, ecc.) e il soqoṭrī (parlato nelle due isole di Soqoṭrah e ‛Abd al-Kūrī).

Scrittura. - È composta di 29 consonanti, che si scrivono senza legature fra loro e ognuna delle quali può presentare lievi varianti a seconda dell'epoca e della regione. Le parole sono separate fra loro da una barra verticale alta quanto le lettere e non distanziata da queste. La scrittura procede da destra a sinistra, salvo che nelle epigrafi più antiche, nelle quali si usa il sistema bustrofedico, per cui, arrivati alla fine sinistra della riga, si continua da sinistra a destra nella riga seguente, per poi riprendere l'andatura da destra a sinistra. Le iscrizioni sono sempre incise nell'età antica; poi sono ora incise e ora a rilievo. Non esiste distinzione fra maiuscole e minuscole, né vi sono segni speciali per indicare i nomi proprî. L'opinione prevalente è che gli Arabi meridionali abbiano dedotto il loro alfabeto da quello delle popolazioni della Palestina, con le quali venivano a contatto durante le loro grandi imprese di trasporti commerciali terrestri dall'Arabia meridionale a Ghazzah sul Mediterraneo; verosimilmente ciò accadde intorno al 1000 a. C. Le forme della scrittura indicano una parentela con l'alfabeto da cui derivò il greco, maggiore che con il tipo dal quale sorse l'alfabeto fenicio (Conti Rossini); ma, su ciò, v. alfabeto (II, 377, e la tavola II, 376). Col prevalere dell'arabo settentrionale sulle vecchie lingue, la scrittura sudarabica scomparve completamente in Arabia; ma vive ancora la sua diretta discendente, l'etiopica, che tuttavia procede da sinistra a destra e ha introdotto un modo originale di esprimere le vocali.

L'età musulmana. - Nell'anno 9 eg. (630-631) erano già cominciate in modo spontaneo adesioni di gruppi yemeniti all'islamismo personificato religiosamente e politicamente in Maometto, il quale perciò, nel rabī‛ I del 10 (giugno-luglio 631), mandò nello Yemen a fare propaganda musulmana due personaggi per varie ragioni famosi nella storia islamica, Mu‛ādh ibn Giabal e Abū Mūsà al-Ash‛arī, seguiti poi da luogotenenti di Maometto per reggere singole città o singoli distretti. L'islamizzamento politico e religioso procedette rapido, appena turbato per alcuni mesi dal moto rivale d'un profeta monoteista al-Aswad al-‛Ansī (ucciso da congiurati nel maggio-giugno del 632) nel Naǵrān e da un conflitto fra elementi persiani residui e arabi nel 12 eg. (633-634). Così lo Yemen entrò a far parte dell'impero arabo musulmano. Retto dapprima da governatori di singoli distretti, ricevette unità amministrativa nel 36 eg. (656-657), quando ‛Alī, il quarto califfo, gli diede un governatore unico con sede a Ṣan‛ā'. Il movimento disgregatore che cominciò ad affliggere molte parti dell'impero e a dar luogo a dinastie locali, dipendenti quasi solo nominalmente dal califfo ‛abbāside di Baghdād, toccò anche lo Yemen intorno al 200 eg. (815-816), tanto che la serie dei governatori inviati da Baghdād sembra poi chiudersi definitivamente nel 312 eg. (924-925). Si videro sorgme varie dinastie, più o meno fortunate, rivali fra loro non soltanto per interessi mondani ma anche per gravi differenze religiose, e in ogni caso portanti seco lo smembramento del paese; talché il grado maggiore d'unità (ma non mai completa) si ebbe sotto i dominî stranieri degli Ayyūbidi d'Egitto (569-625 eg., 1174-1228) e dell'impero ottomano (923-1045 = 1517-1635 e 1288-1337 = 1871-1918), salvo, naturalmente, l'attuale governo zaidita succeduto al secondo dominio ottomano. La prima dinastia costituitasi nello Yemen fu quella degli Ziyādidi (204-409 eg., 820-1018), signori del territorio a occidente di San‛ā' fino al Mar Rosso e aventi come capitale la città dotta di Zabīd nella Tihāmah meridionale; le successe nello stesso territorio la dinastia dei Nagiāḥidi (412-554 eg., 1022-1159), soppiantata poi dall'altra dei Mahdidi (554-569 eg., 1159-1173), i quali, sunniti hanafiti in rituale e diritto, nel campo delle credenze avevano accolto le dottrine degli eretici khārigiti (ibāḍiti), cosa veramente eccezionale per lo Yemen. Frattanto nei territorî di Ṣan‛ā' e di al-Gianad (poco a nord di Ta‛izz) era sorta la dinastia dei Ya‛furidi (247-387 eg., 861-997), nel cui periodo di tempo l'eresia sciita fece la prima apparizione nello Yemen sotto la forma estremista dei Cármati e Ismā‛īliti e sotto l'altra moderata degli Zaiditi. L'astuta propaganda cármata ebbe inizio nel 268 eg. (agosto 881) per opera del famoso propagandista (ī) ‛Alī ibn al-Faḍl e d'un suo compagno; egli, insediatosi ad ‛Adan Lā‛ah presso Ḥaggiah (a metà circa di distanza fra San‛ā' e il Mar Rosso), riuscì in pochi anni a formarsi tanti seguaci da combattere sunniti e zaiditi e costituirsi un dominio assai ampio; nel 297 (ottobre-novembre 909) pose a sacco Zabīd e il 3 ramaḍān 299 (23 aprile 912) conquistò definitivamente Ṣan‛ā', che già nel 293 aveva tolto in modo provvisorio agli Ya‛furidi. Ma nel 303 (915-916) perì avvelenato, e il suo successore nel 305 fu sbaragliato dall'imām zaidita di Ṣa‛dah; così il dominio cármato ebbe fine. Sennonché il crescere della potenza dei Fāṭimidi in Egitto non mancò di avere riflessi nello Yemen, ove erano rimaste propaggini delle dottrine ismā‛īlite dei Cármati; l'ismā‛īlita ‛Alī ibn Muḥammad aṣ-Sulaiḥī, signore del gruppo montuoso del Gebel Ḥarāz, si levò in armi nel 429 (1037-1038) o, secondo altri, nel 439 (1047-1048), conquistò tutta la Tihāmah, Aden e l'altipiano occidentale e si stabilì a Ṣan‛ā', che così divenne la capitale della dinastia ismā‛īlita dei Ṣulaiḥidi durata sino al 492 (1099). Dopo d'allora, e dopo la fine dell'altra dinastia ismā‛īlita dei Zurai‛idi, che regnò in Aden negli anni 476-569 (1083-1173), gl'Ismā‛īliti non formarono più se non piccoli gruppi autonomi sparsi per lo Yemen, dei quali il più noto è lo stato dei Banū Yām nel territorio del Naǵrān, che conservò la sua indipendenza contro zaiditi e contro Turchi e che nel 1934 fu annesso al Regno Arabo Sa‛ūdiano dopo breve occupazione zaidita. Gli altri piccoli distretti ismā‛īliti autonomi (i cui capi erano detti ī o mákramī) erano stati soppressi con violenza e stragi dall'attuale imām zaidita Yaḥyà.

Dopo la morte di Zaid, figlio di ‛Alī Zain al-‛Ābidīn e quindi pronipote del quarto califfo ‛Alī per la linea ḥusainide, morte avvenuta in combattimento nel 122 (740), gli sciiti temperati, che da lui presero il nome di Zaiditi (v.), a poco a poco si trovarono limitati, durante la prima metà del sec. III eg. (sec. IX d. C.), alle provincie persiane a sud del Mar Caspio, all'Arabia centrale e ad alcune parti dello Yemen. Quivi lo zaidita Yaḥyà ibn al-Ḥusain, che poi assunse l'epiteto principesco di al-Hādī ilà 'l-Ḥaqq (il guidante verso la verità) e che discendeva dal quarto califfo ‛Alī per la linea ḥasanide, mescolando come al solito la propaganda religiosa con l'agitazione politica, fondò nel 280 (893-894) uno stato indipendente a Ṣa‛dah, in regione montuosa dello Yemen settentrionale, iniziando così la dinastia detta impropriamente degli imām Rassiti, la quale in alcuni periodi riuscì a impadronirsi temporaneamente della stessa Ṣan‛ā' e fu travolta, a quanto pare, dai Rasūlidi sunniti verso il 700 (1300-1301). Ma lo zelo zaidita non si spense; e appena le circostanze tornarono favorevoli fu proclamato imām a Ḥaggiah, nel 912 (1506-1507), un discendente dei Rassiti predetti, Yaḥyà Sharaf ad-Dīn, col quale ebbe principio la seconda serie degli imām zaiditi, detta degli imām di Ṣan‛ā' perché riuscì a mantenere quasi sempre la capitale a Ṣan‛ā', donde la divelse il secondo dominio ottomano (1288-1337 eg., 1871-1918), senza però riuscire a snidarla da Ṣa‛dah. Lo scoppio della guerra mondiale obbligò i Turchi all'evacuazione del paese e permise all'imām attuale, Yaḥyà ibn Muḥammad Ḥamīd ad-Dīn, insignito del titolo di al-Mutawakkil ‛alà Allāh (l'affidantesi a Dio, onde il suo governo è detto ufficialmente Mutawakkilita), di imporre la sua sovranità sopra lo Yemen intero.

Altre dinastie indigene, ma sunnite, che in passato furono padrone di tutto o quasi tutto lo Yemen, sono quella dei Rasūlidi o Ghassānidi (626-858 eg., 1229-1454), che succedette alla dominazione egiziana degli Ayyūbidi e diede grande impulso alla cultura (notevolissimi, fra l'altro, gli oggetti di bronzo e d'ottone di questo periodo), e la successiva dei Ṭāhiridi (850-923 eg., 1446-1517), caduta sotto i colpi della conquista ottomana; prima di esse, a cavallo fra gli sciiti Ṣulaiḥidi e gli egiziani Ayyūbidi, era esistita la dinastia dei Ḥamdānidi (492-569 eg., 1098-1173), con capitale Ṣan‛ā'.

L'attuale imām Yaḥyà, nato nel rabī‛ I 1286 (giugno-luglio 1869), uomo autoritario, circondante nel mistero i proprî disegni, ma anche valente guerriero, aveva lottato accanitamente, e talora con buona fortuna, contro i Turchi (sunniti); ma dopo che questi, nel marzo del 1919, ebbero sgomberato lo Yemen, si mostrò favorevole alla Turchia, in pretto spirito musulmano, negli anni che seguirono immediatamente la fine della guerra mondiale. Ligio alla setta zaidita, perseguitò crudelmente gl'ismā‛īliti o bāṭiniti del suo stato, obbligando i superstiti alle stragi a tener occulte le loro credenze; invece fu ed è tollerante verso la maggioranza sunnita (di scuola giuridica shāfi‛ita) e vietò le controversie vivaci prima frequenti tra i dottori delle due scuole. Contrario a tutte le innovazioni che gli sembrino contrarie allo spirito genuino e alla tradizione dell'islamismo, come non ammette i grammofoni nel suo stato, così si oppone al libero ingresso degli Europei nei suoi dominî, solo lasciando entrarvi, e con itinerario obbligato, chi abbia avuto apposito permesso; non ha mai accettato rappresentanze diplomatiche e consolari; ha sempre impedito l'attuazione del vecchio progetto franco-turco d'una ferrovia unente al-Ḥodeidah a Ṣan‛ā'. Gelosamente attaccato all'idea dell'unità dello Yemen sotto scettro zaidita, rivendicò l'annessione dei cosiddetti nove distretti che costituiscono il protettorato (ora, 1937, colonia) di Aden e iniziò a tale scopo una azione militare, arrestata nell'estate del 1928 dall'aviazione britannica. Nel 1925 conquistò, sulla dinastia degli al-Idrīsī, al-Ḥodeidah e tutta la Tihāmah del ‛Asīr; ma alla fine del 1926 il sovrano wahhābita Ibn Sa‛ūd sottoponeva l'‛Asīr interno al proprio protettorato e nel 1930 lo annetté senz'altro al suo regno. Nel maggio del 1933 il figlio primogenito dell'imām conquistò il territorio del Naǵrān, che per secoli aveva saputo conservarsi indipendente, e vi fece grosse stragi di ismā‛īliti o bāṭiniti; tale conquista risvegliò le gelosie sa‛ūdiane e provocò al principio del 1934 una guerra, conchiusasi rapidamente con la sconfitta degli yemeniti, alla quale susseguì il trattato di pace del 20 maggio 1934, pieno d'espressioni di fratellanza islamica, che fissa i confini settentrionali dello Yemen, lasciando al Regno Arabo Sa‛ūdiano il Naǵrān e l'‛Asīr.

L'imām Yaḥyà, che già da qualche anno aveva ammesso una missione medica italiana a Ṣan‛ā', ad al-Ḥodeidah e a Ta‛izz, concluse il 2 settembre 1926 un trattato d'amicizia e di commercio con l'Italia, le cui clausole di privilegio commerciale per il nostro paese non furono tuttavia osservate a causa soprattutto di pressioni straniere; esso, con scambio di note fra le due parti dal 21 aprile al 17 agosto 1936 (approvate con r. decr.-legge 15 dicembre 1936) fu prorogato fino al novembre 1937. Trattati d'amicizia furono pure conclusi con l'Unione delle Repubbliche Sovietiche (1° novembre 1928), con l'Olanda (aprile 1933) e con la Francia (25 aprile 1936); particolare importanza ha quello d'amicizia con la Gran Bretagna, concluso frettolosamente l'11 febbraio 1934 sotto l'incubo dell'imminente guerra fra lo Yemen e il Regno Arabo Sa‛ūdiano, per cui lo Yemen si impegnò allo sgombero della parte occupata dei nove distretti del protettorato di ‛Aden e all'abolizione degl'impedimenti da esso frapposti alle relazioni commerciali terrestri con ‛Aden.

Bibl.: Per l'età preislamica mancano buoni lavori d'insieme; il Handbuch der altarabischen Altertumskunde, edito da D. Nielsen con altri, non è andato oltre il vol. I (Copenaghen 1927), e di esso le parti riguardanti la storia e la religione lasciano a desiderare. Utili i voll. I e II del Rathjens-von Wissmannsche Südarabien-Reise, Amburgo 1931 e 1932 (J. H. Mordtmann e E. Mittwoch, Sabäische/Inschriften, C. Rathjens e H. v. Wissmann, Vorislamische Altertümer); C. Conti Rossini, Chrestomathia Arabica meridionalis epigraphica, Roma 1931; Corpus Inscriptionum Semiticarum, parte 4ª (pubbl. sinora soltanto i primi due volumi, Parigi 1892-1920, contenenti solo una parte piccola delle iscrizioni fino a oggi scoperte); J. Tkač, art. Saba, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I A, coll. 1298-1495 (soprattutto esame delle fonti classiche); M. Hartmann, Die arabische Frage, mit einem Versuche der Archäologie Jemens, Lipsia 1909, pp. 4-48 e 126-509; infine una quantità innumerevole di ricerche disperse in periodici e atti accademici, di valore assai disuguale, e fra i quali ora primeggiano le monografie di N. Rhodokanakis nei Sitzungsberichte dell'Accademia di Vienna. Per il periodo musulmano manca un buon lavoro d'insieme; una trattazione alquanto confusa, desunta da cronache arabe inedite, si trova in C. Ansaldi, Il Yemen nella storia e nella leggenda, Roma 1933, pp. 105-172 (fotoincisioni di antichità preislamiche).

TAG

Eratostene di cirene

Aviazione britannica

Protettorato di aden

Abū mūsà al-ash‛arī

Arabia meridionale