Agricoltura

Enciclopedia delle scienze sociali (1991)

Agricoltura

Emrys Jones

Le origini dell'agricoltura

Introduzione e teorie sulle origini

La nascita dell'agricoltura risale così indietro nella storia dell'umanità che la ricerca delle sue origini si basa necessariamente su congetture e teorie piuttosto che su dimostrazioni e prove risolutive. L'idea di una successione di stadi di sviluppo, che ha dominato per tutto il secolo scorso, in conformità con la teoria evoluzionistica, dà luogo a scansioni temporali poco realistiche, soprattutto quando si tratta di tempi remoti. Per comodità e semplicità si tende a far risalire gli inizi dell'attività agricola al Neolitico: in questa prospettiva V. Gordon Childe ha chiamato l'insieme dei cambiamenti che portarono dalla raccolta del cibo alla sua produzione 'rivoluzione neolitica'. Tuttavia questa espressione, pur indicando la grande portata del mutamento, dà un'impressione erronea del tempo richiesto dal processo.

I pochi dati di cui si è in possesso suggeriscono che molte attività attinenti alla produzione alimentare esistevano o cominciavano a esistere in stadi culturali precedenti, cioè nel Mesolitico. Come esistono oggi popoli di raccoglitori che praticano anche semplici forme di coltivazione e di domesticazione, così nella preistoria devono esserci stati lunghi periodi di sovrapposizione. Le prime vere comunità agricole furono il prodotto ultimo di un lunghissimo processo: il modello culturale sviluppato alla fine di tale processo dalle popolazioni che vivevano sulle rive del Nilo, per esempio, era molto diverso da quello dei millenni precedenti, quando il processo era appena agli inizi, mentre non differiva troppo dal modello risalente a epoca storica, familiare all'uomo moderno. Da tempo è stata abbandonata la semplice idea che la coltivazione sia stata inventata dai raccoglitori e la domesticazione dai cacciatori, e che l'agricoltura sia una fusione delle due attività. La relazione tra pastorizia e agricoltura è complessa, e la prima è considerata piuttosto come una specializzazione marginale della seconda.La nascita dell'agricoltura è un processo lungo e complicato, le cui origini precedono di gran lunga l'avvento della ceramica, punto di riferimento fondamentale nelle datazioni archeologiche. I reperti fittili una volta erano considerati indicatori decisivi, in quanto i vasi di ceramica erano usati per conservarvi il grano.

Anche facendo riferimento alle più antiche date accertate - il 7000 a. C. per la coltivazione delle piante e il 9000 a. C. per l'allevamento degli animali -, si tratta pur sempre di una frazione minima della storia dell'uomo, e molti mutamenti che hanno dato origine all'agricoltura sono iniziati nel Mesolitico e hanno probabilmente avuto radici nel Paleolitico, tra i 14.000 e i 35.000 anni fa.I dati principali di cui disponiamo per dissipare queste grandi incertezze sono quelli archeologici, per loro natura molto frammentari; perciò dobbiamo rassegnarci a una conoscenza incompleta. Gli scavi sono effettuati in aree estremamente limitate, in particolare nel Medio Oriente, e questo produce, di per sé, una visione parziale. La qualità delle ricerche è enormemente cambiata e molte di esse sono state condotte prima che venissero introdotte le tecniche di datazione moderne. Nelle regioni umide molte tracce sono andate perdute per sempre.

Per comprovare la domesticazione degli animali, il ricercatore deve basarsi sui resti ossei, ma spesso è problematico stabilire se le ossa appartenevano ad animali selvatici o addomesticati: le prove consistono nel numero delle ossa e nelle loro caratteristiche morfologiche, diversi a seconda che si tratti di ossa di animali domestici o selvatici. I resti di piante coltivate sono pochissimi: qualche materiale carbonizzato o delle impronte su strutture d'argilla o di silice; se poi si trattasse di piante selvatiche o coltivate è tutto da vedere. Gli utensili - falci, pestelli e mortai, aratri - sono indizi più importanti, sebbene le falci potrebbero essere servite per tagliare l'erba selvatica da utilizzare come alimento o come rivestimento per i tetti.Gli archeologi si avvalgono necessariamente sia di dati complementari riguardanti le società primitive sia di confronti con le società protoagricole attuali. Anche in tal modo le prove possono essere contraddittorie e aperte a interpretazioni che dipendono dai diversi presupposti. Secondo alcuni studiosi le scoperte e le invenzioni che portarono all'introduzione dell'agricoltura furono così fondamentali che non possono essersi verificate più di una volta o, al massimo, più di un numero assai limitato di volte; ciò significa sostenere l'idea di un singolo centro di diffusione o di un numero molto ristretto di centri del genere. Altri studiosi ritengono invece che le condizioni necessarie all'invenzione dell'agricoltura fossero molto comuni e che quindi il passaggio dalla raccolta alla coltivazione possa essersi verificato più volte; in altre parole essi sostengono l'ipotesi di una pluralità di centri di diffusione.

La prima prospettiva è strettamente legata alla teoria della diffusione, ampiamente accettata nei decenni scorsi, la quale, nella sua forma estrema, suggeriva che tutti gli aspetti della civiltà avessero avuto origine in Medio Oriente. La diffusione è senza dubbio un fattore di grande importanza, un riflesso delle migrazioni dell'uomo e della sua capacità di colonizzare quasi ogni parte del globo: essa ha certamente svolto un ruolo fondamentale nella propagazione dell'agricoltura. Tuttavia i più entusiasti sostenitori della teoria della diffusione sostenevano l'ipotesi di un'origine unica della civiltà, ipotesi ormai ampiamente screditata. Oggi pochi studiosi cercano spiegazioni universali; esiste piuttosto una tendenza al particolare, cioè a ricercare spiegazioni all'interno di specifici complessi culturali, in varie parti del mondo, concentrandosi sui reperti della singola regione, che sono probabilmente molto diversi, quantitativamente e qualitativamente, da quelli rinvenuti in altre regioni. Questo non per negare la diffusione, ma per chiamarla in causa solo quando le prove lo giustifichino. Ciononostante permangono dispute notevoli: per esempio, si discute se sia esistito un centro di diffusione indipendente nel Nuovo Mondo o se le condizioni necessarie alla nascita della coltivazione vi siano state importate dal Vecchio Mondo.Le opinioni sulle origini dell'agricoltura, quindi, non sono concordi. L'archeologia può soltanto suggerire quali processi abbiano avuto luogo, ma non può affrontare il problema del 'perché'. I confronti con le comunità agricole esistenti non possono in alcun modo fornire la spiegazione di un mutamento che non è mai stato osservato.

Per quanto riguarda il 'come' e il 'perché' ci basiamo dunque solo su teorie.

Le spiegazioni che fanno riferimento all'ambiente hanno svolto un ruolo modesto nella formulazione delle teorie. Se l'ambiente fosse un fattore causale, allora ambienti simili avrebbero dovuto produrre culture simili, mentre così non è. Nelle sue prime ipotesi sull'origine dell'agricoltura nelle oasi bagnate da fiumi, Childe prese in considerazione alcuni fattori ambientali, teorizzando l'esistenza di un periodo di siccità postglaciale che costrinse uomini e animali a dividersi una riserva d'acqua sempre più scarsa nel Nordafrica e in Medio Oriente; in un rapporto simbiotico di questo genere la domesticazione sarebbe stata inevitabile. Tuttavia i dati suggeriscono che tali condizioni si verificarono in un periodo di gran lunga precedente quello della prima domesticazione, e addirittura che la semiaridità è spesso una conseguenza piuttosto che un prerequisito della domesticazione. Inoltre è molto probabile che le prime forme di domesticazione abbiano avuto luogo in regioni del Medio Oriente dove la siccità sarebbe stata moderata dall'altitudine.

Nella sua teoria sulle origini delle città, Jane Jacob assume un punto di vista puramente economico e suppone che tutte le innovazioni siano provenute dai centri urbani, fondati inizialmente per svolgervi attività commerciali. L'insediamento permanente è un fattore concomitante dell'agricoltura, ma vi sono forti dubbi sul fatto che centri così 'sofisticati' abbiano preceduto i mutamenti che portarono alla nascita dell'agricoltura: è più verosimile che li abbiano seguiti, stimolandone, peraltro, il progresso e la diffusione.

Alcuni studiosi hanno ricercato le origini dell'agricoltura in regioni non fluviali, nelle zone tropicali dove venivano coltivate piante tuberose (taro e igname) e dove venivano allevati numerosi piccoli animali domestici. Il più convincente di questi studiosi, Carl Sauer, si dedicò, in particolare, a ricostruire l'ambiente più propizio al verificarsi dei mutamenti che diedero origine a queste attività. Secondo Sauer un centro d'origine della domesticazione e della coltivazione avrebbe dovuto essere una zona molto fertile, popolata dalle più varie specie di animali e di piante, suscettibile di essere coltivata senza far ricorso a metodi sofisticati - come l'irrigazione - e situata in prossimità di foreste, relativamente più facili da ripulire dalle erbacce che non i terreni erbosi. Infine, i fondatori della domesticazione avrebbero dovuto essere popoli già sedentari prima che i mutamenti iniziassero. Ciò ha portato a ipotizzare l'esistenza di un centro d'origine nel Sudest asiatico, in regioni dove si era stabilito un popolo di pescatori per i quali il pesce era una componente fondamentale dell'alimentazione. Sauer ha inoltre sottolineato l'importanza del cerimoniale religioso fra i fattori che condussero alla pratica della domesticazione. Egli ha postulato un centro analogo, contemporaneo, nel Nuovo Mondo, ipotizzando che da entrambi i centri abbia avuto origine una diffusione delle primitive tecniche di domesticazione e di coltivazione verso il Nord, dove le più semplici forme di coltivazione sarebbero state sostituite da metodi di semina più sofisticati: quegli stessi metodi che, nel Vecchio Mondo, condussero ai sistemi di coltivazione dei cereali basati sull'uso dell'aratro tirato dai buoi. Secondo Sauer gli animali da mandria (da gregge) ebbero origine in Asia e la loro domesticazione fu una conseguenza dell'agricoltura sedentaria praticata nel Sudovest asiatico. Forse il fascino di questa teoria è inversamente proporzionale alla prova dei fatti, che, quasi per definizione, non si potrà mai ottenere.

Alcuni studiosi hanno interpretato il cambiamento in termini di variabili socioculturali, considerandolo un risultato della specializzazione e della differenziazione culturali, nonché della più approfondita conoscenza e del maggior controllo dell'habitat, conseguiti in zone dove si erano verificate le condizioni necessarie. I popoli di raccoglitori, che praticavano una caccia selettiva, poi diventata stagionale, optarono per insediamenti semipermanenti o permanenti. Questo discorso, pur vero da un punto di vista descrittivo, non ha però alcun potere esplicativo, in quanto si limita ad affermare che il mutamento è inerente alla natura umana.

Analogamente certe idee recenti, come quella di applicare i principî della cibernetica, secondo cui un feedback negativo ripristina l'equilibrio e un feedback positivo scatena un'innovazione, possono spiegare il 'come' piuttosto che il 'perché'. L'impostazione in termini di ecosistema sottolinea la complessità del problema, additando come prerequisiti le risorse potenziali, le capacità tecniche e l'ampio spettro delle attività economiche; ma anch'essa non suggerisce spiegazioni. Si sono invocate anche cause demografiche, anche se si potrebbe sostenere che l'aumento di popolazione è una conseguenza e non una causa delle innovazioni. Il 'possibilismo ambientale' e la teoria della casualità non fanno altro che allargare il campo, cioè rendono più accettabile l'ipotesi di una molteplicità di centri d'origine; ma anche in queste teorie sussiste sempre la tendenza a supporre che le condizioni in cui si sono verificati i mutamenti "diventino una spiegazione del perché abbiano avuto luogo" (v. Isaac, 1970, p. 15).La domanda che resta senza risposta è: perché popolazioni pienamente adattate a un'economia basata sulla caccia e sulla raccolta avrebbero dovuto abbandonarla per dedicarsi all'agricoltura?

La coltivazione delle piante

Si presume che la coltivazione di una determinata pianta possa aver avuto origine soltanto entro l'area di diffusione della specie selvatica della pianta in questione. Ma talvolta è difficile identificare una specie selvatica originaria e può anche darsi che l'attuale distribuzione delle piante selvatiche non sia che un relitto di una distribuzione precedente. N.I. Vavilov ha ipotizzato che la coltivazione sia nata in quelle zone dove oggi si riscontra il maggior numero di varietà domestiche. Esistono effettivamente aree caratterizzate da un'alta variabilità della vegetazione, ma supporre che corrispondano a centri d'origine della coltivazione solleva alcune difficoltà. Per esempio, il ragionamento di Vavilov porta a localizzare in Abissinia l'origine dell'orzo e del grano diploide; ma il corollario che questa innovazione si sia quindi diffusa in Egitto inverte l'indiscutibile direzione del flusso culturale nella preistoria. È significativo che alcuni dei centri d'origine della coltivazione ipotizzati da Vavilov siano regioni dove l'agricoltura primitiva sopravvisse per lunghissimo tempo: ciò può spiegare la variabilità. Tuttavia le zone indicate da Vavilov - il Perù e il Messico, il Medio Oriente, l'India, la Cina e il Sudest asiatico - possono ben essere state centri d'origine della coltivazione.

Le ipotesi di Vavilov hanno anche richiamato l'attenzione di alcuni studiosi sulle regioni tropicali, dove la vegetazione è estremamente varia e, come abbiamo visto, la grande varietà di specie vegetali è il fattore che ha indotto Sauer a localizzare un centro d'origine della coltivazione nel Sudest asiatico. Uno degli aspetti più affascinanti di quest'ultima teoria è la relativa semplicità con cui spiega la propagazione delle varietà coltivate (cultivar); ma E. Isaac, adottando un punto di vista diffusionistico, suggerisce che l'impulso alla coltivazione possa aver avuto origine nel Medio Oriente, donde si sarebbe propagato seguendo anch'esso il ben noto percorso del mutamento culturale.

Una delle prime piante coltivate è l'orzo (Hordeum), di cui è stata trovata un'impronta risalente al 7000 a. C. a Jarmo, nel Turkestan iracheno. Esso era distribuito su una vasta area nel Medio Oriente; si diffuse nell'Europa meridionale in epoca classica e nell'Europa settentrionale a partire dal 1000 d. C. La farragine (Triticum monococcum) derivò dalla forma selvatica (T. boeoticum), rinvenuta nella Turchia sudorientale e nell'Iran e nell'Iraq settentrionali. Anche in questo caso le tracce più antiche provengono da Jarmo; a partire dal terzo millennio a. C. la farragine è presente nella valle del Danubio. Il farro (Triticum dicoccum), da cui derivano i frumenti tetraploidi moderni, può essere un ibrido tra la farragine selvatica e un'erba diploide (T. speltoide) e fu probabilmente coltivato in Turchia e nella Giordania occidentale.Sia l'orzo sia il frumento, basi della coltivazione cerealicola, facevano probabilmente parte della cultura natufiana della Palestina. I natufiani costruivano falci e grossi mortai per macinare il grano; mentre le prime potrebbero essere state usate per tagliare l'erba selvatica, i secondi lasciano intuire la presenza della coltivazione.

È stato suggerito che i reperti di Jarmo indichino uno sviluppo della coltivazione intorno alle zone in cui crescevano le specie selvatiche, cioè indichino un'estensione delle aree di crescita spontanea di questi cereali. I reperti provenienti da Gerico potrebbero corrispondere a questo schema.

Il miglio (Panicum miliaceum) è stato trovato in siti preistorici del Medio Oriente, ma divenne più importante in aree circostanti e potrebbe aver avuto origine in un centro secondario localizzato in India. Esistono parecchie teorie sull'origine del miglio, ma il fatto che l'allevamento dei bovini sia associato alla sua coltivazione suggerisce un centro d'origine molto ampio che dovrebbe includere l'India.Altro argomento di dibattito è se la coltivazione del riso abbia avuto un'origine indipendente o sia stata indotta per diffusione. Coloro che propendono per la seconda ipotesi sostengono che la coltivazione del riso abbia subito l'influsso di quella del grano, che si propagò verso est dando origine, come nel caso del miglio, a centri di diffusione secondari. La pianta originaria del riso era probabilmente una varietà di montagna (Oryza montana) che, nelle aree tropicali e monsoniche a clima umido, diede origine a Oryza sativa, o riso di pianura. Secondo un'ipotesi, quest'ultimo si sarebbe diffuso dall'India alla Cina (dove sono state rinvenute impronte di semi risalenti al 3000 a. C. circa), al Giappone e al Sudest asiatico.

La segale e l'avena fecero la loro comparsa all'inizio del primo millennio a. C., probabilmente come erbacce che crescevano intorno ai campi di grano, del quale divennero un surrogato; ebbero poi una diffusione limitata, in quanto crescono meglio in zone dal clima più freddo. La segale (Secale cereale) divenne comune in quasi tutta l'Europa ai tempi dei Romani. L'avena (Avena fatua sativa) invase le zone dove cresceva il grano nel Medio Oriente e nell'Europa orientale, si diffuse generalmente in Europa nel primo millennio a. C. e nel Medioevo divenne uno dei prodotti principali dell'agricoltura delle regioni settentrionali e nordoccidentali dell'Europa.

I legumi, come i piselli (Pisum sativum) e le lenticchie (Lens esculenta), furono introdotti nell'alimentazione umana a partire dal quarto millennio; i reperti indicano una loro vasta diffusione nel Medio Oriente. Anche la coltivazione delle piante da frutta risale a tempi remoti, benché per lunghissimo tempo l'uomo debba essersi cibato di molte varietà di frutta e di bacche allo stato selvatico.

Particolare importanza ebbe la coltivazione della vite (Vitis vinifera), iniziata verso la fine del quinto millennio e praticata su un'area comprendente il Caucaso, la Turchia e i monti Zagros; altrettanto importanti furono la coltivazione delle olive e quella dei datteri, di cui sono state rinvenute tracce risalenti al quarto millennio in Palestina e in Egitto.Le piante non erano usate solo a scopo alimentare, ma anche per costruire ripari, confezionare vesti e, soprattutto, come sostanze medicinali. Impronte di semi risalenti al quinto millennio, rinvenute nel Kurdistan iracheno, dimostrano che in quella regione si coltivava il lino (Linum usitatissimum). Il cotone (Gossypium herbaceum), invece, pone alcuni problemi, in quanto la sua forma selvatica (G. arboreum) è stata trovata in un'area molto vasta, che comprende l'India, il Sudest asiatico, l'Africa e il Nuovo Mondo. Secondo un'opinione largamente condivisa, la coltivazione del cotone, per quel che riguarda il Vecchio Mondo, ebbe origine nella valle dell'Indo, donde raggiunse la Mesopotamia intorno al 1500 a. C.; d'altra parte il cotone era conosciuto nel Nuovo Mondo già nel 2500 a. C. (queste 'anomalie' nella diffusione della coltivazione del cotone costituiscono un problema affascinante). In epoca post-colombiana il cotone del Nuovo Mondo fu importato nel Vecchio.Tutto sommato si pensa che la coltivazione nelle Americhe abbia avuto un'origine indipendente, anche se si può essere tentati di ipotizzare una fase protoagricola americana (caratterizzata da forme di coltivazione estremamente rudimentali), collegata con la fase analoga dell'Europa mesolitica. Un suggerimento in tal senso può essere fornito dalla presenza, nel continente americano, della zucca Lagenaria siceraria, nota nel Vecchio Mondo durante il Mesolitico. Benché sia possibile che il seme di questa zucca sia stato trasportato nel Nuovo Mondo dalle correnti, la vasta area di distribuzione della pianta in quel continente fa pensare che l'agente di diffusione sia stato l'uomo. Probabilmente la più antica pianta indigena coltivata nel Nuovo Mondo fu la zucca Cucurbita pepo, di cui sono state scoperte tracce risalenti al 7000 a. C. nell'America centrale; tuttavia fu il mais (Zea mays) a diventare l'elemento principale dell'alimentazione: ne sono state ritrovate tracce risalenti al periodo compreso fra il 5200 e il 3000 a. C., mentre non si è riusciti a scoprirne la specie selvatica originaria.

Altri prodotti agricoli tipici del continente americano sono i fagioli, la manioca, la papaya, i pomodori, il pepe e il cacao, originari dell'America centrale; il tabacco, le arachidi e le patate, originari del Sudamerica. Questa gamma di prodotti lascia supporre che i principali centri d'origine della coltivazione, nelle Americhe, fossero localizzati in Messico - probabilmente il più antico - e in Perù.

A parte le fibre, agli inizi la coltivazione fu diretta alla produzione di generi alimentari, ma sarebbe un'errore sottovalutare gli elementi puramente culturali che favorirono il processo: quasi tutte le vesti confezionate con sostanze di origine vegetale erano abiti da cerimonia; prodotti vegetali ancor più importanti erano i coloranti per la pittura del corpo e per i tatuaggi e le sostanze medicinali di tutti i tipi; l'uso di eccitanti, narcotici e veleni rappresenta un aspetto estremamente importante dell'impiego delle piante da parte dell'uomo. Motivi culturali, inoltre, possono aver in larghissima misura contribuito alla diffusione di determinate innovazioni, come la viticoltura nell'Europa centrale e settentrionale - dato il valore sacro del vino -, la coltivazione del Ficus religiosa dall'India a Ceylon e al Giappone, da parte dei buddhisti, e quella del cedro da parte degli ebrei, per scopi religiosi.

La domesticazione degli animali

È possibile che la domesticazione degli animali abbia preceduto la coltivazione delle piante: in effetti le tracce più antiche di un'attività agricola risalgono al 7000 a. C., mentre quelle relative alla domesticazione risalgono al 9000 a. C. e il cane potrebbe essere stato addomesticato molto prima di questa data. Vi sono parecchie specie di animali semiaddomesticati, ma quelli veramente addomesticati sono pochi. Non bisogna confondere il termine 'addomesticato' con il termine 'domato': il primo implica un complesso rapporto simbiotico con l'uomo. Un animale domestico è un animale abituato a essere nutrito e protetto dall'uomo. Perché la domesticazione sia completa è necessario che l'animale dipenda in tutto dall'uomo e che l'uomo ne controlli la riproduzione; la domesticazione comporta modificazioni del comportamento e la comparsa di nuovi caratteri morfologici.L'utilizzazione degli animali da parte dell'uomo è sempre molto specifica. È abbastanza utile distinguere gli animali addomesticati in animali da mandria (da gregge) e animali domestici.

Gli animali domestici sono quelli che vengono tenuti in prossimità dell'abitazione: maiali, gallinacei, anatre, oche; Sauer mette in relazione la loro domesticazione con certe economie agricole basate su semplici forme di coltivazione, sviluppatesi nel Sudest asiatico; egli nota anche come la cura di questi animali fosse generalmente affidata alle donne. La cura delle mandrie e delle greggi è, invece, un lavoro da uomini. Pecore, capre, bovini, cavalli e cammelli sono stati tutti addomesticati per la prima volta nel Sudovest asiatico; è probabile che la loro domesticazione sia stato uno dei processi che portarono, nel Neolitico, alla trasformazione dei modi di procacciarsi il cibo. Sicché dobbiamo concludere che anche l'allevamento degli animali prese le mosse dal centro d'origine situato nel Medio Oriente: i primi a essere stati addomesticati furono gli animali che vivevano a contatto con i primissimi agricoltori.

A parte il cane, il primo animale a essere stato addomesticato è forse la pecora, del cui allevamento sono state ritrovate tracce sicure a Zawi Chemi Shanidar in Iraq e a Tepe Sarat in Iran: le prime risalgono al 9000 a. C. e le seconde all'8000 a. C. Probabilmente esistevano diverse varietà di pecore selvatiche in Europa, Nordafrica e Asia; di queste il muflone (Ovis aries musimon) sopravvive in Sardegna e in Corsica, ma la pecora domestica (Ovis aries) potrebbe discendere dal muflone asiatico (O. a. orientalis). La pecora domestica fece la sua comparsa nella valle dell'Indo prima del 6500 a. C., in Egitto intorno al 5000 a. C., nell'Europa nordoccidentale verso il 4000 a. C. e nella regione del Fiume Giallo, in Cina, attorno al 3000 a. C. La pecora fu in un primo tempo allevata come animale da carne e poi come animale da latte; l'utilizzo della lana risale a un'epoca ancora più tarda: iniziò dopo che una notevole opera di selezione aveva consentito di ottenere gradualmente un vello morbido al posto di quello ruvido originario.

Animale fra i più adattabili, la pecora fu importata in Messico nel 1521 e in Cile nel 1540; come animale da allevamento svolse poi un ruolo importante nel processo di colonizzazione dell'Australia, a partire dalla fine del XVIII secolo.Il bue domestico (Bos taurus) discende dal Bos primigenius, che, probabilmente originario dell'Asia, si diffuse in Europa e in Africa durante il Pleistocene. Le tracce più antiche della sua presenza sono state scoperte ad Argissa Magula, in Tessaglia, e a Nea Nikomedeia, in Macedonia, e risalgono rispettivamente al 6500 a. C. e al 6100 a. C. I bovini dal dorso piatto erano di due varietà: a corna lunghe a a corna corte. Tracce di bovini a corna lunghe sono state rinvenute a ÇCatal Hüyük; esse risalgono al 5800 a. C. e ciò significa che questi bovini furono addomesticati nel settimo millennio. In Iran si diffusero intorno al 5500 a. C., in Egitto durante la seconda metà del quinto millennio e nella valle dell'Indo nel 2700 a. C. circa; ne sono state ritrovate tracce risalenti a quest'ultima data nella regione abitata dai Sumeri (Mesopotamia meridionale). È possibile che i bovini a corna corte siano derivati da quelli a corna lunghe; di fatto i primi incominciarono a soppiantare i secondi nel terzo millennio. I bovini a corna corte producevano più latte e il loro moltiplicarsi può aver coinciso con lo sviluppo della civiltà urbana in Mesopotamia; nel terzo millennio si diffusero in Egitto e in Abissinia. I bovini gibbosi sembra siano stati addomesticati nelle steppe orientali dell'Iran; entro la fine del quarto millennio avevano raggiunto la valle dell'Indo, il Belucistan e la costa del Makrā'n, donde si ritiene che siano stati esportati in Egitto e in Mesopotamia intorno alla metà del secondo millennio. In Europa i bovini a corna lunghe, prevalenti fino al XVIII secolo, furono poi in larga misura soppiantati da quelli a corna corte.

I bufali sono esclusivamente asiatici; la loro domesticazione risale al 2000 a. C. circa. Come animali da tiro erano particolarmente importanti nelle culture della Mesopotamia e della valle dell'Indo; in seguito furono ampiamente impiegati in India e in Pakistan e intorno alla metà del secondo millennio si diffusero in Cina.La capra, probabilmente, fu addomesticata contemporaneamente alla pecora. Capra hircus è un animale da pascolo, si trova a proprio agio negli habitat di montagna, ma è capace di resistere anche in condizioni di semiaridità e non necessita di molto foraggio. Veniva allevata come animale da carne e per il suo vello, e più tardi come animale da latte. Oggi la capra selvatica (Capra hircus aegarus) è diffusa nel Sudovest asiatico, dalla Turchia all'Indo; probabilmente la capra fu addomesticata nella regione dei monti Zagros intorno al 7000 a. C., raggiunse l'Egitto nel quinto millennio e l'Europa durante il Neolitico. Si diffuse anche nel subcontinente indiano - area in cui attualmente le capre sono più numerose - e nel resto del Sudest asiatico. La capra rappresenta la più importante fonte di carne e di latte per gli agricoltori dell'America Latina, dell'Africa e dell'Asia. Anche il maiale (Sus scrofa scrofa) fu addomesticato in tempi remoti. La varietà selvatica (Sus scrofa) è molto diffusa in Europa, in alcune zone del Nordafrica e in tutta l'Asia meridionale e sudorientale. I primi agricoltori del Medio Oriente addomesticarono la varietà europea (S. scrofa scrofa), mentre S. scrofa vittatus vive in Malesia e in Indonesia. Le tracce più antiche della domesticazione del maiale sono state rinvenute a Cayonu, nell'Anatolia sudoccidentale, e risalgono al 7000 a. C. circa. Il maiale domestico si diffuse in Mesopotamia all'inizio del quinto millennio e in Egitto alla fine dello stesso millennio. Non si sa se i maiali abbiano svolto un ruolo importante nell'economia della valle dell'Indo; essi comunque furono importati in Cina nel terzo millennio. Nelle comunità agricole più primitive il maiale è spesso lasciato nei boschi allo stato brado e talvolta si inselvatichisce. Nei paesi musulmani è raro, perché considerato impuro, mentre è molto importante nell'economia contadina dell'Estremo Oriente.

Mentre i bovini, le pecore, le capre e i maiali divennero parte integrante della vita agricola fin dai suoi primi stadi, il cavallo fece la sua comparsa molto più tardi. La prima traccia inequivocabile di Equus caballus è stata scoperta in Ucraina e risale al 3500 a. C. circa, ma è frammentaria e appartiene a un animale con caratteristiche molto simili a quelle della varietà selvatica. Già allora l'uomo doveva essere perfettamente consapevole del significato della domesticazione: il cavallo fu scelto col preciso intento di destinarlo a particolari lavori. Nel terzo e nel secondo millennio se ne diffuse l'impiego nelle steppe dell'Asia e poi in Europa.

L'uso del cavallo diede inizio a una vera rivoluzione nei sistemi di trasporto, a partire dall'età del Bronzo, e determinò anche grandi cambiamenti nel modo di fare la guerra. In occidente si selezionò una razza da tiro pesante e docile; in oriente il cavallo leggero e snello. Fin dagli inizi dell'era musulmana nel Vicino Oriente si sviluppò l'allevamento del cavallo arabo.L'asino (Equus asinus) fu probabilmente addomesticato in Medio Oriente agli inizi del quarto millennio; subentrò nel ruolo di bestia da soma ad altri animali domestici, come i buoi, e fu usato anche per la trebbiatura. Nel terzo millennio gli asini erano già presenti in tutto il Sudovest asiatico, donde si diffusero poi rapidamente, per essere adottati come animali da lavoro nell'intero bacino del Mediterraneo, in epoca classica.

L'area di distribuzione del cammello era periferica rispetto alle regioni del Medio Oriente dove ebbe inizio l'agricoltura: il battriano (Camelus bactrianus) viveva nelle steppe dell'Asia e il dromedario (C. dromedarius) nelle terre aride del Nordafrica e del Sudovest asiatico. Il primo fu probabilmente addomesticato nel terzo millennio, forse da popolazioni che impiegavano già bovini domestici. Il dromedario è più importante, in quanto fu adottato come cavalcatura principale (forse sull'esempio del cavallo). Addomesticato in Medio Oriente, il dromedario raggiunse il Nordafrica soltanto in epoca storica, quando acquistò importanza per il suo impiego in guerra.

Gli uccelli, benché per lungo tempo siano stati parte integrante delle comunità agricole, probabilmente furono addomesticati per scopi non economici. Il pollo domestico (Gallus gallus) discende dal gallo rosso della giungla, originario del Sudest asiatico, che fece la sua comparsa nella valle dell'Indo nel 2000 a. C. circa e poco più tardi in Egitto e in Cina. Il periodo della sua più rapida diffusione fu il primo millennio, quando divenne importante anche in Europa. L'oca risale a un'epoca precedente: comparve contemporaneamente nell'Europa sudorientale, in Egitto e in Cina intorno al 3000 a. C. L'anatra, viceversa, è comparsa in tempi molto più recenti: originaria del Sudest asiatico, si diffuse in Cina nel 1000 a. C. circa, mentre in Europa le sue tracce più antiche risalgono al XII secolo d. C. Il tacchino, noto nel Nordamerica sudoccidentale fin dal 500 d. C., fu addomesticato nel Nuovo Mondo; importato in Europa dal Messico agli inizi del XVI secolo, si diffuse molto rapidamente.Nessuno dei dati raccolti fornisce indicazioni sul perché l'uomo abbia incominciato ad addomesticare gli animali. Dato che parecchi vantaggi economici della domesticazione risultano apprezzabili soltanto dopo un lungo periodo, molti studiosi non considerano il fattore economico come il movente originario.

Forti indizi inducono a ritenere che la magia e le usanze rituali abbiano svolto un ruolo cruciale. Vero è che alcuni animali sembrano predisposti a essere adottati dall'uomo, specialmente da cuccioli, in quanto ispirano tenerezza; d'altra parte per addomesticare, per esempio, dei bovini selvatici è necessaria una forte motivazione, che può essere fornita dal simbolismo, dalla magia e dai riti sacrificali. La diffusa e stretta correlazione fra bovini e credenze religiose, nel corso di tutta la storia, tende a confermare quest'ipotesi. Il pollo domestico fu usato nei combattimenti di galli e nei riti molto prima di essere sfruttato economicamente; anche le colombe erano strettamente associate a pratiche rituali. Il gatto rappresenta probabilmente il miglior esempio di come le esigenze ritualistiche abbiano portato alla domesticazione: in Egitto, dove il gatto fu addomesticato a partire dal 2000 a. C. circa, esiste una serie di gatti mummificati che testimonia della transizione dalla razza selvatica a quella domestica. Secondo alcuni studiosi la prima domesticazione di animali e piante costituì una tale rottura con il passato che "i mutamenti economici da essa indotti devono essere stati preceduti da un balzo in avanti di tipo intellettuale, ed esistono prove di questa rivoluzione intellettuale e, per forza di cose, religiosa" (v. Isaac, 1970, p. 115). Simili motivazioni avrebbero avuto origine nel periodo preneolitico e spiegherebbero la formazione sia dei centri d'origine della domesticazione, nelle regioni tropicali, sia di quelli della coltivazione per semi, nel Sudovest asiatico. Quel che sembra assodato definitivamente è che la domesticazione degli animali non fu un contributo fornito da popolazioni di pastori alle comunità che praticavano la coltivazione per semi.

La coltivazione e la domesticazione sembrano inestricabilmente intrecciate l'una con l'altra. Intorno alla metà del quinto millennio a. C. nel Sudovest asiatico prosperava un'economia, integrata e complessa, basata sulla produzione alimentare, in cui cereali e animali rivestivano ruoli culturali complementari. Un'origine indipendente della coltivazione per semi, forse strettamente collegata con la coltivazione per piante, portò alla formazione, nel Nuovo Mondo, di comunità agricole che non praticavano l'allevamento di animali e che fiorirono molto più tardi.

Tecniche paleoagricole

Un altro aspetto importante delle prime comunità agricole è quello che riguarda gli attrezzi e le tecniche, i manufatti e i procedimenti che costituirono le basi su cui si fondò l'agricoltura sofisticata dei tempi storici. L'agricoltura tradizionale nel Vecchio Mondo era incentrata sull'uso dell'aratro trainato da animali; in seguito si aggiunsero due innovazioni: l'applicazione delle ruote all'aratro e l'impiego del concime animale. Nelle regioni tropicali l'attrezzo fondamentale è la zappa e nelle culture molto primitive il bastone da scavo. Si ritiene improbabile che l'aratro sia derivato dalla zappa, perché i due attrezzi richiedono movimenti del corpo del tutto diversi: la zappa viene tirata a sé, l'aratro spinto; il primo movimento è all'indietro, il secondo in avanti. Per questo motivo si pensa che l'aratro non derivi da alcun attrezzo manuale. D'altronde un bastone da scavo potrebbe evolversi in una vanga: quello peruviano, per esempio, è provvisto di una sporgenza su cui appoggiare il piede. Il loy irlandese e anche 'l'aratro a piede' o cashcrom scozzese sono sostanzialmente simili. L'aggiunta di una trave per la trazione trasformerebbe uno qualsiasi di questi attrezzi in una specie di aratro.

Gli stadi iniziali dell'evoluzione degli attrezzi, dal bastone da scavo, usato per estirpare le piante, alla vanga, sono facilmente ricostruibili; nel Nuovo Mondo non si andò oltre l'invenzione della vanga. Le tappe che portarono all'invenzione dell'aratro sono oggetto di congetture. L'idea che la zappa sia precedente all'aratro era basata sulla sua relativa semplicità e sul presupposto che l'agricoltura nelle regioni tropicali avesse preceduto quella praticata nelle zone fluviali. Non esistono prove archeologiche a sostegno di questa idea; si potrebbe anche sostenere che la zappa sia posteriore all'aratro o, persino, che ne costituisca una forma più rozza.Una tecnica che caratterizzava gran parte dell'agricoltura primitiva era l'irrigazione. L'idea di fornire artificialmente acqua alle piante per agevolarne la crescita è nota anche al di fuori delle culture agricole mature, ma l'irrigazione su vasta scala e il terrazzamento probabilmente ebbero origine nel Sudovest asiatico, donde si diffusero. Si potrebbe ipotizzare l'esistenza di un centro secondario nell'Indocina settentrionale, da cui le tecniche dell'irrigazione e del terrazzamento si sarebbero diffuse in tutto il Sudest asiatico.

Uno dei presupposti per la pratica dell'irrigazione estensiva è l'esistenza di una comunità stabile e permanente, dotata di un'esplicita struttura sociale: l'irrigazione è un'impresa collettiva. Questa considerazione fa capire quanto dovesse essere sofisticata, complessa, pienamente sviluppata e caratterizzata da specifici tratti distintivi quella che era considerata la più antica forma di agricoltura: per esempio l'agricoltura praticata dai Badari della valle del Nilo. Le sue origini risalgono senza dubbio molto indietro nella preistoria.

Le prime comunità agricole

I mutamenti riguardanti la coltivazione e la domesticazione procedettero di pari passo con i cambiamenti dell'organizzazione sociale, altrettanto difficili da localizzare nello spazio e nel tempo. Il mutamento fondamentale fu la comparsa di insediamenti fissi, cioè di villaggi che divennero i nuclei di futuri paesi e città. Tutti i dati raccolti suggeriscono l'esistenza di villaggi preagricoli, o almeno di insediamenti semipermanenti, forse abitati periodicamente. Le comunità di pescatori - come quelle del Sudest asiatico, ipotizzate da Sauer, o quelle, molto recenti, della Colombia britannica - erano stabili e compatte. Persino certe comunità di raccoglitori potrebbero aver scoperto che se avessero sfruttato intensivamente un campo di prodotti selvatici, effettuando la raccolta in un breve arco di tempo, sarebbe stato più facile immagazzinare una considerevole quantità di cibo vivendo in accampamenti permanenti.

Dopo un lunghissimo periodo durante il quale la coltivazione e la domesticazione rimpiazzarono gradualmente la raccolta e la caccia, alcune comunità devono senz'altro aver istituzionalizzato l'uso delle scorte onde favorire una diversificazione, una specializzazione e una complessità sociale crescenti; a poco a poco prese forma la comunità agricola vera e propria, tappa terminale di un lungo processo e, a sua volta, punto di partenza di ulteriori trasformazioni. Questo processo si svolse in parecchie regioni, per cui si può ipotizzare che le innovazioni siano comparse indipendentemente entro un'area molto vasta, dove l'habitat biologico e il livello culturale avevano creato le condizioni necessarie per il cambiamento. Tutto ciò non esclude l'importanza della trasmissione e della diffusione culturali.

Le prime comunità agricole sorsero nel Vicino Oriente, sulle colline e nelle praterie circostanti le zone fluviali. In queste zone, a partire dall'ottavo millennio, andò crescendo l'importanza dei cereali selvatici come fonte di sostentamento: lo dimostrano le falci e le macine rinvenute sul luogo. Nella cultura natufiana, diffusa dalla Giordania ai monti Zagros, al Kurdistan iracheno, forse non esistevano villaggi permanenti, benché a Gerico siano state trovate tracce, risalenti al 9000 a. C., di un'attività commerciale praticata ai livelli più elementari. Mutamenti morfologici riscontrati nelle sementi e tracce di animali domestici suggeriscono l'ipotesi che l'agricoltura stabile abbia fatto la sua comparsa intorno al 7000 a. C., e forse prima, a Cayonu Tepesi nell'Anatolia sudorientale, dove farro, farragine, legumi, pecore e forse capre facevano parte dell'economia. Tracce più chiare di un'attività agricola, pur esercitata in un contesto in cui si praticavano ancora diffusamente la caccia e la raccolta, sono state trovate nell'Anatolia occidentale, per esempio a Çatal Hüyük, dove, alla fine del settimo secolo, erano presenti bovini e cereali non originari della regione.

Molto più tardi, nel corso del quarto millennio, sorsero comunità agricole nella Mesopotamia meridionale; all'epoca l'agricoltura era già molto sofisticata e l'irrigazione ne faceva parte integrante. Veri e propri canali e argini per proteggere i raccolti dalle piene primaverili sono il segno eloquente di un'organizzazione sociale avanzata, basata sulla consuetudine di accumulare scorte. In quel periodo alcuni villaggi si trasformarono in paesi e infine in città.Questi sviluppi si verificarono più tardi nella valle del Nilo e potrebbero persino essere stati importati dal vicino Sudovest asiatico. Comunque l'agricoltura era un'attività pienamente consolidata nel quinto millennio, cui risalgono le tracce di farro, orzo e lino, e di pecore, capre e maiali, rinvenute nella regione di el-Fayyū'm. Nel 3600 a. C. gli insediamenti umani erano ormai villaggi fissi; ancora una volta i mutamenti intervenuti indicano un'organizzazione sociale stabile e avanzata. Mentre l'irrigazione per allagamento può essere una tecnica semplice, la costruzione di una complessa rete di canali, il perfezionamento dell'aratro e l'uso del giogo cui attaccare i buoi sono il riflesso di una società sofisticata. Ben presto questa società fu in grado di accumulare ingenti scorte e forse di realizzare un doppio raccolto; su queste basi fu fondata la civiltà urbana dell'Egitto dei faraoni.

Nel Neolitico le continue migrazioni di comunità protoagricole attraverso l'altipiano iraniano possono aver fornito lo stimolo per lo sviluppo della terza regione ad agricoltura intensiva: la valle dell'Indo. I suoi precedenti sono meno conosciuti di quelli dell'Anatolia e dei monti Zagros; comunque, intorno alla metà del terzo millennio vi prosperava una civiltà urbana. I suoi enormi granai suggeriscono l'ipotesi che i prodotti principali fossero l'orzo e il frumento, per quanto anche i datteri, i piselli e le lenticchie fossero elementi importanti dell'alimentazione. Bovini, pecore, capre e pollame erano già stati addomesticati; si praticava l'irrigazione, ma non si faceva uso dell'aratro. È probabile che da questa regione l'agricoltura si sia diffusa nel resto dell'India e anche oltre. Nell'India meridionale queste comunità fecero la loro comparsa nel secondo millennio; producevano soprattutto miglio e legumi, ma anche cotone.

Nel primo millennio a. C. comunità simili alle precedenti vivevano nella regione del Gange, dove le invasioni indo-ariane avevano introdotto l'aratro.Le conoscenze sulle prime forme di agricoltura in Cina sono estremamente frammentarie, benché alcuni studiosi ipotizzino che la valle del Fiume Giallo sia stata il centro d'origine della coltivazione del miglio. I primi dati attendibili risalgono soltanto alla fine del primo millennio a. C. All'apice della sua prima fase di sviluppo, intorno al 1000 d. C., l'agricoltura cinese era saldamente basata sulla coltivazione del riso, la cui pianta, probabilmente, era stata importata dall'Indocina. Un secondo cambiamento radicale si verificò nel XVI secolo, quando iniziò la coltivazione di piante provenienti dal Nuovo Mondo: mais, patate dolci, patate e arachidi.

Le prove più lampanti della comparsa di innovazioni indipendenti riguardano le prime forme di agricoltura praticate nel Nuovo Mondo; anche all'interno di questo vasto territorio, le coltivazioni del cotone, del pepe, dei fagioli e della zucca ebbero, probabilmente, origini indipendenti in Messico e in Perù. Prove certe provengono dalla valle di Tehuacán, in Messico, dove l'avocado era coltivato fin dal 7000 a. C. Il mais e i fagioli, ingredienti complementari del regime alimentare fondamentale, come risulta anche da altri contesti, fecero la loro comparsa nel 5000 a. C. circa, ma sembra fossero stati importati da altre zone. È quasi certo che la facilità con cui le diverse varietà di mais potevano essere coltivate diede luogo a raccolti abbondanti e ciò consentì lo sviluppo di villaggi permanenti. Malgrado il basso livello tecnologico di queste culture, che non conoscevano né l'aratro né la ruota, l'agricoltura, probabilmente, aveva già sostituito la pratica della raccolta fin dal 500 a. C.

La civiltà dei Maya raggiunse il suo apice fra il 300 e il 900 d. C. ed era ancora fiorente quando fu distrutta dagli spagnoli nel XVI secolo.Le radici commestibili, in particolare la manioca e la patata dolce, erano coltivate nelle zone delle foreste tropicali intorno al 3000 a. C.; le tracce più antiche provengono dal Venezuela. In Perù la zucca era coltivata già nel quinto millennio; dal 3800 a. C. si verificò un forte aumento dei raccolti, come risulta da diversi reperti. Nel corso di un lungo periodo di transizione si svilupparono i villaggi, sicché intorno al 1800 a. C. le comunità agricole permanenti erano molto diffuse. La civiltà basata su questo tipo di economia raggiunse il suo apice fra il 600 e il 1000 d. C. con l'unificazione della regione andina culminata nel regno Inca (1438-1532).

Lo sviluppo storico dell'agricoltura

Dal periodo romano al XIX secolo

All'inizio dell'era cristiana il modello base dell'attività agricola, com'era stato sviluppato dai Romani, comprendeva la maggior parte degli elementi oggi familiari agli agricoltori del Vecchio Mondo che fanno uso del solo aratro. La natura collaudata di questo modello e l'integrazione delle sue componenti hanno prodotto un sistema stabile che ha dato prova della sua validità per altri due millenni. I cambiamenti verificatisi in questo periodo, fino al secolo scorso, sono stati relativamente di poco conto, ma accumulandosi nel tempo, senza essere radicalmente innovativi, hanno migliorato il sistema. Esistono ancora aree in Europa dove questo modello di agricoltura sopravvive quasi immutato dai tempi dei Romani.

La maggior parte dell'attività agricola in Europa era praticata intorno al Mediterraneo e veniva adattata al clima e all'ambiente. La tecnica fondamentale si basava sull'uso dell'aratro semplice, fatto di legno, ma spesso dotato di un vomere di ferro e talvolta, in epoca più recente, di un coltro. L'aratro era tirato da buoi, i quali fornivano anche il letame che veniva interrato mediante arature multiple. Le sementi erano seminate a spaglio e i campi talvolta erano erpicati, anche se l'erpice usato poteva essere soltanto un cespuglio di spini. Il grano invernale e i legumi si alternavano al maggese secondo una rotazione biennale. Per la mietitura si usava la falce e gli animali, soprattutto i muli, venivano impiegati per trebbiare il grano, poi macinato in apposite macine.

Oltre che le messi si coltivavano anche oliveti e vigneti. In effetti queste coltivazioni erano così importanti che anche ai tempi dei Romani il grano era spesso importato nelle città più grandi. Gli animali si nutrivano sui pascoli naturali, si seminava l'erba da fieno, e l'erba medica costituiva un foraggio comune. Le pecore erano più importanti dei bovini e il sistema della transumanza ne ampliò le possiblità di pascolo; la loro lana era particolarmente apprezzata e utilizzata. Si allevavano in gran numero capre e maiali, che si cibavano di piante boschive spontanee complementari ai prodotti agricoli. Questo, dunque, il quadro risultante da cinque millenni di sviluppi verificatisi nel Medio Oriente, quadro su cui si innestarono ulteriori variazioni nei due millenni successivi, fino alla radicale trasformazione dell'agricoltura, avvenuta nei secoli XIX e XX.Alcuni cambiamenti incominciarono a manifestarsi quando l'agricoltura si diffuse oltre le Alpi e nell'Europa settentrionale. Qui fu messo a punto l'aratro pesante, strumento più adatto ai difficili terreni delle zone temperate. Il coltro venne adottato sistematicamente, come pure il versoio, che apriva completamente il solco; infine, con l'aggiunta della ruota, l'aratro assunse la sua configurazione attuale. Nell'Europa settentrionale, inoltre, le piogge estive permettevano la semina primaverile, sicché ai cereali invernali faceva seguito il maggese e quindi un raccolto primaverile. Il sistema della rotazione delle tre colture fu consolidato tra il 500 e il 1000 d. C.

La terza innovazione fu la sostituzione del bue con il cavallo. Fu inventato il collare, tramite il quale lo sforzo della trazione fu trasferito sulle spalle dell'animale, e questa innovazione, insieme con l'applicazione della ferratura introdotta probabilmente nell'VIII o nel IX secolo, aumentò notevolmente la potenza di trazione degli animali. Il cavallo presentava un vantaggio ulteriore: si nutriva d'avena e non necessitava di pascoli estesi, come i buoi. Un indice della gradualità del cambiamento è il fatto che il cavallo fu adottato diffusamente, anche al di fuori dell'area mediterranea, solo dopo molti secoli. Durante questo periodo la tecnica della mietitura non subì molti mutamenti; benché già i Romani avessero dimestichezza con la falce, il falcetto non fu sostituito fino al XIV secolo.Nel Medioevo si diffusero i mulini ad acqua e i mulini a vento. I primi fecero la loro comparsa in Inghilterra nel X secolo; nel 1086 erano circa 5.000. I primi mulini a vento comparvero nel 1105 in Francia, donde si diffusero rapidamente, prima in Normandia e poi in Inghilterra, agli inizi del XIII secolo; in seguito si diffusero anche nelle Fiandre, in Olanda e in Germania.

Questo susseguirsi di miglioramenti tecnici coincise con un ampliamento massiccio delle terre coltivate nell'Europa settentrionale, contemporaneo a un notevole aumento della popolazione. Durante il periodo carolingio prese forma una società in cui, scomparsa gradualmente la servitù della gleba, il villaggio divenne l'unità agricola standard per lo sfruttamento collettivo della terra. L'impiego dell'aratro pesante e di coppie di buoi o di cavalli presupponeva l'esistenza di una qualche unità sociale estesa di questo tipo, che fosse anche capace di regolare lo sfruttamento del suolo mediante l'assegnazione di strisce di terreno appartenenti a campi comuni. Soprattutto in Germania invalse la pratica del diboscamento estensivo, che consentì la nascita di insediamenti su aree vergini. Altrove, per la prima volta, vaste zone furono bonificate, impiegando pompe meccaniche, e protette con argini.

L'opera di bonifica fu estesa persino al mare: i primi polder furono prosciugati nel XII secolo.Questo fu anche un periodo di sviluppo dei mezzi di trasporto: nuove vie di comunicazione, nuove strade e carri più perfezionati contribuirono a collegare i villaggi fra loro e i mercati con le fiere. A partire dall'XI secolo, a mano a mano che le regioni dell'Europa settentrionale diventavano le più intensamente popolate, in conseguenza della capacità di produrre più cibo, fiorirono piccole città. Nel XIII secolo la Francia contava circa 20 milioni di abitanti rispetto agli 8 milioni dell'Italia, e persino l'Inghilterra poteva vantarne 3 milioni. Alcune città crebbero sproporzionatamente: Firenze, Venezia e Milano contavano circa 90.000 abitanti, Parigi 80.000, Gand 60.000, Bruges e Londra 35.000.

Questo è un chiaro indice della capacità di sovrapproduzione e del sempre maggior rendimento dell'agricoltura europea.In generale la policoltura, cioè il sistema agricolo basato sulla coltivazione dei cereali e sull'allevamento degli animali, cedette gradualmente il posto alla specializzazione. Mentre in precedenza la coltivazione dei cereali veniva spesso direttamente trasferita su terreni poco adatti, ora molte delle nuove terre occupate erano destinate al pascolo. Ciò avvenne in Inghilterra e ancor più in Spagna, dove l'allevamento delle pecore merinos, importate dai musulmani, divenne un'attività specializzata: dal mezzo milione di esemplari del 1350 si passò a oltre tre milioni nel 1450. La produzione di vino, come specializzazione, fece la sua comparsa nel 1300 in Borgogna, sulla Mosella, sul Reno e nel Poitou. Di conseguenza le popolazioni di queste zone, per far fronte al proprio fabbisogno di grano, dovettero ricorrere in misura crescente alle importazioni dai paesi del Mediterraneo orientale e dalla regione anseatica.

Negli immediati dintorni delle città sorsero frutteti e orti per la produzione di verdure fresche; tutto ciò portò a una diversificazione del regime alimentare diminuendo la dipendenza dai cereali. Nell'area mediterranea furono introdotti la canna da zucchero e il riso; il lino e il cotone si aggiunsero alla lana come materie prime per la confezione di tessuti; si incominciò a coltivare il guado e lo zafferano per ricavarne coloranti. L'allevamento del bestiame assunse una nuova importanza. Il foraggio invernale fu integrato con l'aggiunta di leguminose e di veccia, e ciò fece crescere enormemente il numero dei bovini. I prodotti caseari entrarono a far parte dell'alimentazione. La Danimarca incominciò a specializzarsi nella produzione del burro, che soppiantò gradualmente il lardo via via che i bovini diventavano più importanti dei maiali. Nell'insieme tutti questi cambiamenti indicano un innalzamento del tenore di vita dovuto alla diversificazione dei generi alimentari. I vari tipi di specializzazione si conservarono e si intensificarono in epoca moderna.I secoli XVII e XVIII sono talvolta considerati come periodi di notevole progresso dell'agricoltura, mentre costituirono piuttosto un'epoca di consolidamento, di introduzione di piccole innovazioni tecnologiche e di generale miglioramento dell'agraria nel suo complesso.

La recinzione delle terre si diffuse rapidamente, soprattutto in Inghilterra, dove il paesaggio rurale assunse l'aspetto a noi familiare, caratterizzato da piccoli campi, siepi, boschi e da un complesso di villaggi e di fattorie sparse. In altre parti d'Europa la recinzione e l'unificazione dei campi furono attuate più tardi e si protrassero per buona parte del XX secolo. I macchinari furono perfezionati e il cavallo divenne l'animale da tiro comune. Nel 1636 fu inventata la trebbiatrice, alla fine del XVII secolo la seminatrice e i sarchi trainati da cavalli. Queste macchine furono via via perfezionate e nel 1826 fu brevettata la mietitrice. In concomitanza con questi progressi si verificò anche un notevole miglioramento delle tecniche di selezione e di allevamento del bestiame; ma forse l'innovazione più importante fu l'introduzione della rotazione quadriennale delle colture: alla coltivazione del grano faceva seguito quella delle rape e poi quella mista dell'orzo, del trifoglio e della segale; quest'ultima, nel quarto anno, veniva adibita al pascolo o tagliata per farne foraggio.Una qualche misura dei progressi complessivi dell'agricoltura nel lungo periodo può essere fornita dalle cifre riguardanti la produzione di cereali in Europa (v. Braudel, 1979).

Prima della metà del XIII secolo tale produzione ammontava, probabilmente, a circa 3,0-3,7 quintali per ettaro; fra il 1250 e il 1820 la produzione media di cereali era di 4,1-4,7 quintali per ettaro, ma tra il 1500 e il 1800 raggiunse i 6,37,0 quintali e in Inghilterra, in Irlanda e nei Paesi Bassi, fra il 1750 e il 1820, probabilmente superò i 10,0 quintali. Queste cifre riguardano la produzione media di grano, avena, segale e orzo, ma durante questo periodo dal Nuovo Mondo erano stati importati due nuovi importanti prodotti: il mais, introdotto in Europa verso la metà del XVI secolo, e la patata, introdotta subito dopo. Ci volle del tempo perché questi due prodotti si affermassero, ma alla fine del XVIII secolo entrambi facevano parte integrante della produzione agricola: il primo coltivato nelle regioni meridionali, a clima più caldo, il secondo nelle regioni settentrionali, più fredde.

L'agricoltura occidentale nei secoli XIX e XX

I cambiamenti fondamentali nell'agricoltura ebbero luogo nel XIX secolo. Nei due secoli precedenti si era provveduto a perfezionare e ad applicare sistematicamente tecniche già note da tempo e, benché sotto il profilo qualitativo quasi tutta l'Europa e le sue propaggini culturali in Nordamerica fossero su posizioni molto avanzate rispetto all'agricoltura contadina praticata nel resto del Vecchio Mondo, anche in quest'area si conoscevano quasi tutte le tecniche e i principî produttivi disponibili all'epoca.

Ma i cambiamenti intervenuti dopo il 1850 rappresentarono un progresso che incise talmente sulla produttività da distaccare nettamente l'agricoltura occidentale dalla sua controparte contadina e da creare quei vistosi contrasti fra diversi continenti ancor oggi tanto evidenti. Mentre in precedenza il miglioramento dei raccolti dipendeva da una più accurata preparazione del letto di semina, da una migliore concimazione e dalla rotazione delle colture, i nuovi progressi furono determinati dall'adozione di nuove fonti di energia: il vapore contribuì a trasformare l'agricoltura influendo su diverse attività, come la trebbiatura. Le locomobili permisero di spostare i macchinari da una fattoria all'altra. Nel 1860 il motore a vapore fu applicato con successo all'aratro, specie nelle praterie, da poco colonizzate, del Nordamerica.

Benché piuttosto rozzo e rudimentale, il nuovo marchingegno era dieci volte più potente di un cavallo. Non sorprende il fatto che queste innovazioni siano state adottate con il massimo entusiasmo nei 'paesi nuovi', dove la manodopera scarseggiava, le terre sembravano sconfinate e la gente non era afflitta da inerzia culturale. In Europa, viceversa, queste stesse innovazioni furono introdotte a poco a poco, quasi con riluttanza, perché gli agricoltori europei erano restii ad abbandonare i metodi tradizionali e, d'altra parte, la manodopera non costituiva un problema. Comunque la macchina a vapore fu impiegata, per esempio, nell'industria casearia in Danimarca, per la mungitura, la scrematura e il raffreddamento del latte.Il vapore trasformò altri aspetti della vita, rivoluzionando, in particolare, il settore dei trasporti e dando l'avvio alla circolazione su scala mondiale dei generi alimentari.

Le ripercussioni sull'agricoltura furono enormi. Locomotive e navi a vapore svolsero un ruolo cruciale nell'aprire l'accesso alle immense risorse del Nordamerica, dell'Australia e della zona temperata del Sudamerica. Negli Stati Uniti nordorientali aveva preso piede un'agricoltura di tipo europeo, praticamente identica a quella praticata in Europa; negli Stati Uniti meridionali, nei Caraibi e nell'America Latina, invece, si era provveduto ad adattare l'agricoltura importata dall'Europa per sfruttare appieno le diverse condizioni ambientali: in queste regioni l'agricoltura si basava su un sistema di piantagioni di tabacco, riso, cotone, zucchero e caffè, coltivate dagli schiavi importati dall'Africa. La colonizzazione delle praterie delle zone temperate - caratterizzate da un clima più asciutto - in America e in Australia consentì di attingere a enormi risorse utilizzabili per la coltivazione dei cereali e per l'allevamento del bestiame. Tutto ciò serviva per nutrire le popolazioni in rapida crescita dell'Europa nord- occidentale, che andavano trasformandosi per via dell'industrializzazione.

La chiave di volta del processo era il trasporto via mare delle merci, reso praticabile su vasta scala dal motore a vapore. Ma lo sfruttamento delle nuove terre fu reso possibile dalla meccanizzazione: incominciarono a diffondersi le mietitrici meccaniche, anche se in Europa non furono adottate estensivamente fino agli anni trenta.Verso la metà del XIX secolo fra le altre innovazioni comparve il filo spinato, che consentì di recintare i pascoli trasformandoli in tenute (ranches). Anche i fertilizzanti contribuirono ai miglioramenti. Il guano e i superfosfati erano usati già dal 1840, mentre i fertilizzanti chimici furono introdotti solo nel XX secolo; il loro impiego stentò a diffondersi, ma ora sono usati comunemente in associazione con erbicidi e pesticidi (introdotti nel 1945).

Agli inizi del XX secolo si passò a una nuova fonte di energia: il motore a combustione interna. Ancora una volta furono le 'nuove terre' a fare da battistrada. I trattori equipaggiati col nuovo motore fecero la loro comparsa nel 1907 e divennero subito popolari negli Stati Uniti, dove nel 1920 erano 250.000, nel 1940 500.000 e nel 1950 3,4 milioni. Le mietitrebbiatrici furono impiegate per la prima volta in California e nel periodo fra le due guerre mondiali si diffusero nei territori a ovest delle Montagne Rocciose. Oggi esistono macchine specifiche per diverse funzioni: per irrorare i campi, per raccogliere il co tone, il grano, le patate, per imballare il fieno, ecc. Anche l'evoluzione dell'autocarro contribuì indirettamente al progresso dell'agricoltura. Gli autocarri hanno consentito di operare su scala più vasta e hanno fornito un collegamento fra produttori e consumatori. Negli Stati Uniti, nel 1970, gli autocarri in servizio erano 3 milioni.

Alla fine del XIX secolo un'ennesima innovazione - la diffusione dell'elettricità - fece progredire ulteriormente l'agricoltura, fornendo i mezzi per esercitare un maggior controllo sulla produzione. Le tecniche di refrigerazione contribuirono ad annullare le distanze. Il trasporto di cibi congelati iniziò nel 1879 e dal 1890 la Nuova Zelanda incominciò a esportare burro in tutta Europa. Ma a prescindere dagli effetti diretti, l'applicazione in genere dell'elettricità ebbe una portata rivoluzionaria: il diffondersi dell'illuminazione artificiale in tutte le comunità rurali modificò la qualità della vita. Dopo la seconda guerra mondiale le applicazioni dell'elettricità all'agricoltura divennero più specifiche: se ne diffuse l'impiego nell'industria casearia, nei processi di preparazione, immagazzinamento ed essiccazione dei cereali, ecc.; ma la sua applicazione più sensazionale fu quella che consentì di creare ambienti artificiali in cui ogni singolo parametro poteva essere tenuto sotto controllo. L'impatto maggiore di questa tecnica si è avuto nella produzione di polli e di uova.Infine sono progredite rapidamente le tecniche di selezione. La selezione era già praticata correntemente, per esempio per produrre un tipo di grano che crescesse più rapidamente o che resistesse meglio alla siccità; ma la messa a punto di tecniche di ibridazione e di selezione più scientifiche ha consentito di creare, per esempio, nuove varietà di riso.

È stato il ritmo con cui questi progressi si sono succeduti negli ultimi cento anni che ha contraddistinto l'agricoltura occidentale, creando un baratro fra i paesi 'sviluppati' e quelli 'in via di sviluppo', in quanto gli effetti dei cambiamenti sono stati recepiti in modo diverso dalle varie comunità agricole sparse per il mondo. Quasi tutti i cambiamenti sono derivati direttamente dai risultati conseguiti dalla scienza in Occidente; molti sono una conseguenza della vasta scala su cui venivano svolte le attività agricole nei nuovi paesi. Le innovazioni si diffusero con velocità diverse nelle diverse parti del mondo e in pratica vennero adottate sistematicamente soltanto nei paesi più ricchi e già industrializzati. La tecnologia aumentò il divario fra l'agricoltura rurale e quella occidentale: lo dimostra il numero dei trattori nelle diverse parti del mondo, anche se le cifre attuali riflettono una situazione di saturazione, da una parte, e uno sforzo di mettersi in pari, dall'altra. In tutto il mondo il numero dei trattori è cresciuto da 18.773.000, nel periodo 1974-1976, a 22.917.000, nel 1983, di cui 5.485.000 nel Nordamerica.

Sempre nel 1983 in Europa i trattori erano più di 9 milioni e il loro numero continuava a crescere, mentre in Asia si era passati da 1.896.000 a 4.087.000; in Africa, dove tuttora i trattori scarseggiano, non si arrivava al mezzo milione. Non si può presumere, comunque, che la tecnologia occidentale possa essere applicata automaticamente nei paesi in via di sviluppo. In certi casi può determinare delle trasformazioni, com'è avvenuto, per esempio, nel Punjab con la costruzione di dighe e l'introduzione dell'irrigazione estensiva. Dove esiste un'agricoltura intensiva su piccola scala le innovazioni scientifiche possono aumentare i raccolti e migliorarne la qualità, senza incidere radicalmente sulla struttura delle coltivazioni. L'ingegneria genetica, le tecniche di ibridazione e soprattutto l'uso di pesticidi e di fertilizzanti potrebbero determinare quella che è stata chiamata 'rivoluzione verde'; che questa non si sia mai realizzata compiutamente dipende dal fatto che i mutamenti incidono sull'equilibrio ecologico, oltre a determinare sconvolgimenti, sul piano culturale, che non possono essere assorbiti facilmente. Nel contesto di un delicato equilibrio socioambientale può essere necessario molto tempo prima che un'innovazione sia assimilata fino a dar luogo a un nuovo equilibrio. Intanto il divario fra le capacità produttive dei paesi sviluppati e quelle dei paesi in via di sviluppo è diventato notevole e i sistemi politici non sembrano capaci di escogitare metodi efficaci per compensare con la sovrapproduzione dei primi le carenze dei secondi; donde le enormi quantità di generi alimentari prodotte dalla CEE e dal Nordamerica e le carestie ricorrenti nelle aree agricole meno sviluppate.

Esiste un altro aspetto dell'agricoltura occidentale che ben si presta a evidenziare il contrasto: si tratta dell'organizzazione su basi imprenditoriali della produzione agricola. Uno dei migliori esempi al riguardo è rappresentato dall'allevamento dei polli, perché viene praticato ovunque e rientra nell'economia di quasi tutte le comunità agricole. Oggi esistono 6,5 miliardi di polli in tutto il mondo; i polli facevano parte dell'economia di tutte le civiltà del Vecchio Mondo e si diffusero ovunque in Europa in epoca storica. Fin dal 1900 sono stati allevati scientificamente; a partire dalla metà del secolo, nei paesi occidentali, l'allevamento si è concentrato quasi esclusivamente sulla razza livornese bianca, per la produzione di uova bianche, e su razze incrociate per la produzione di uova brune e di polli da carne.

Al giorno d'oggi la produzione di uova può essere definita industriale, perché basata sull'allevamento intensivo di un gran numero di polli; il numero delle razze, invece, è talmente diminuito da far nascere il pericolo che la specie diventi monotipica e quindi esposta a un disastro genetico: in particolare, questo pericolo è determinato dal fatto che il futuro del settore è nelle mani di undici allevatori principali, che costituiscono una multinazionale operante in regime quasi monopolistico. Nell'allevamento su piccola scala esistono ancora molte razze e varietà utilizzate in modo tradizionale, ma in alcuni paesi occidentali in pratica è rimasta un'unica razza.

Anche la produzione mondiale di carne di tacchino, ormai completamente industrializzata, è sotto il controllo pressoché completo di poche multinazionali che operano in regime monopolistico.Questo sistema produttivo è tutt'altra cosa rispetto all'azienda agricola tradizionale europea e rappresenta il limite estremo in fatto di razionalizzazione della produzione e di centralizzazione del controllo organizzativo. Ma il vecchio modello non è scomparso: in Europa è ancora possibile trovare quasi tutti gli stadi intermedi tra la produzione tradizionale, rimasta per molti aspetti ferma al passato, e la produzione moderna ad alto livello tecnologico, che sta trasformando l'agricoltura in un'attività altamente industrializzata intorno a cui ruota un imponente giro d'affari.

L'agricoltura contemporanea nei paesi in via di sviluppo

Introduzione

Nel cercare di descrivere le diverse attività agricole oggi praticate nel mondo ci si imbatte in due difficoltà. In primo luogo esiste ancora una serie intermedia di economie basate in sostanza sulla raccolta e sulla caccia o dove alcuni aspetti della caccia persistono all'interno di un sistema più evoluto, fondato sull'agricoltura: un sistema di sussistenza non ne esclude un altro. I metodi di coltivazione più semplici - che non necessitano dell'impiego di animali - si riducono a un intervento, effettuato con gli arnesi più rudimentali, per favorire la crescita naturale. Secondo alcuni studiosi quando gli arnesi diventano più specifici - un bastone da scavo o una vanga - si entra in una fase 'orticolturale', soprattutto in presenza di strumenti accessori, come recipienti, stoviglie, ceste e vasi; strade, recinzioni di vario genere e argini: innovazioni che facilitano la produzione di cibo e il suo controllo.

L'agricoltura vera e propria è più complessa: comprende la domesticazione degli animali e la loro macellazione, implica strumenti e macchinari più sofisticati e, di norma, presuppone un'organizzazione sociale più elaborata. Alcuni di questi stadi intermedi, come quelle economie incentrate prevalentemente sull'allevamento degli animali - sulla pastorizia -, rappresentano elementi essenziali della scena economica mondiale.

La seconda difficoltà è quella di trovare una classificazione soddisfacente dell'agricoltura. La tecnologia potrebbe fornire uno schema di classificazione particolarmente adatto alla precedente rassegna storica, basata in larga misura sui progressi tecnici. Sotto questo punto di vista esistono economie legate all'uso di strumenti manuali - dal bastone da scavo alla zappa -, altre basate sull'impiego dell'aratro semplice e infine economie basate sull'utilizzo della potenza meccanica. Si può anche adottare come criterio discriminante l'organizzazione sociale, distinguendo fra agricoltura di sussistenza e agricoltura basata esclusivamente sulla coltivazione a piantagione, fra agricoltura praticata su piccola scala e agricoltura praticata su media scala e, inoltre, fra agricoltura organizzata collettivamente e agricoltura privata. La descrizione che segue fa in larga misura riferimento alle differenze tecnologiche, ma accenna anche ad aspetti organizzativi, in modo da fornire una visione molto generale di una complessa gamma di attività, dipendenti da diverse capacità umane, da diversi vincoli ambientali e da diversi valori sociali.

La coltivazione itinerante

La forma più semplice di agricoltura è la coltivazione itinerante, talvolta definita bush fallow, slash and burn ( 'taglia e brucia'), swidden (un termine europeo per indicare un campo bruciato), milpa (nell'America Centrale) e ladang (in Indonesia). Questa tecnica consiste nel diboscare tratti di foresta, in genere bruciando la vegetazione, perché la cenere è un importante fattore di arricchimento del suolo. I terreni diboscati, benché possano essere sfruttati più di una volta, in genere sono utilizzati temporaneamente e quando vengono abbandonati riassumono il loro aspetto forestale. Gli arnesi usati sono semplici: la zappa e il piolo o il bastone da scavo. Con questo sistema si coltivano il mais (in America Latina), il miglio (in Africa), il riso montano (nel Sudest asiatico), varie radici commestibili, quali igname, manioca, patata dolce e taro (nella zone tropicali). Questo è il tipo di economia prevalente nell'Africa e nell'America intertropicali, nelle zone più remote dell'India e del Sudest asiatico, in Corea e nella Cina sudoccidentale.

La coltivazione itinerante non necessita di molta manodopera, ma richiede vasti territori e può essere praticata dove la densità di popolazione è bassa. Questo sistema ha ridotto gran parte delle foreste a prateria, perché successivi adattamenti ecologici hanno finito per impedire la ricrescita della foresta. Lo sfruttamento intermittente potrebbe far pensare a una sorta di equilibrio, ma la rigenerazione richiede lunghi periodi di tempo. La coltivazione itinerante sta perdendo di importanza e viene praticata sempre meno - malgrado il fatto che circa 200 milioni di persone dipendano da essa - perché talvolta la si associa alla coltivazione di prodotti commerciali: nel Sudest asiatico si coltivano alberi della gomma e palme da cocco, nel Pacifico meridionale copra e nell'Africa occidentale arachidi, cacao, caffè e palme da olio. Una condizione necessaria per questo genere di attività è un facile accesso a fiumi, coste o strade; quando questa condizione si verifica, spesso si instaura un legame fra società tribali e mercati internazionali.

La coltivazione itinerante non comporta necessariamente la temporaneità degli insediamenti: i coltivatori possono risiedere in villaggi stabili, spesso posti a grandi distanze dagli appezzamenti coltivati. Alcuni di questi gruppi stanziali praticano un tipo di agricoltura un po' più elaborata di quella 'orticola', in quanto sfruttano in modo più estensivo le risorse forestali e allevano animali quali capre, maiali e polli. Gli appezzamenti vicini al villaggio possono quindi essere concimati e impiegati per periodi molto più lunghi.

Le piantagioni

L'agricoltura basata sulla piantagione è qui descritta più in dettaglio perché rappresenta l'intrusione di un'attività agricola più complessa in aree dove si pratica un'agricoltura elementare, specie la coltivazione itinerante. È difficile definire in modo semplice l'agricoltura basata sulla piantagione; si tratta comunque di una forma di agricoltura praticata esclusivamente nelle zone tropicali e su vasta scala, che comporta un certo trattamento del prodotto. Il suo carattere 'intrusivo' dipende dal fatto che essa viene organizzata da un'autorità straniera e implica l'assoggettamento della popolazione indigena: il controllo, da parte degli occidentali, delle società tribali. Fu introdotta per la prima volta in America Latina, anche se le tenute spagnole (haciendas) erano più status symbols che imprese economiche.

Piantagioni vere e proprie nacquero con l'avvio della produzione dello zucchero; i capitali e l'organizzazione erano europei, la manodopera locale. In seguito furono avviate piantagioni di cotone, tabacco, cacao e caffè, spesso dagli olandesi e dai francesi, in un secondo tempo anche dagli americani. Già da tempo la domanda di spezie da parte dell'Europa aveva promosso il commercio nel Sudest asiatico e gli spagnoli avevano introdotto la canna da zucchero nelle Filippine; con l'apertura del canale di Suez le Filippine entrarono a far parte dei territori sfruttati dagli occidentali: Giava e le Filippine divennero i principali paesi produttori di zucchero, china e gomma divennero i principali prodotti della regione, mentre la coltivazione del tè si sviluppò soprattutto nell'Assam e a Ceylon.

La massiccia domanda di manodopera non poteva sempre essere soddisfatta sul posto, per cui si ebbe una notevole migrazione dai paesi più popolosi: i cinesi emigrarono in Indonesia e gli indiani andarono a lavorare nelle piantagioni di gomma della Malesia. In Africa le piantagioni si svilupparono molto più tardi, ma alla fine acquistarono importanza le coltivazioni di sisal e di tè nell'Africa orientale, di palma da olio e di caffè nell'Africa occidentale e di zucchero nel Natal. La caratteristica dell'agricoltura basata sulla piantagione è lo sfruttamento commerciale di una monocoltura. Con lo sviluppo in altre parti del mondo dell'agricoltura estensiva, specializzata e praticata a fini commerciali, questa caratteristica sta perdendo la sua peculiarità; anche l'organizzazione delle piantagioni sta cambiando, a mano a mano che i paesi dove esse fiorirono si vanno emancipando dal controllo coloniale e occidentale.

L'agricoltura tradizionale

L'agricoltura nelle società tradizionali, spesso chiamate 'società contadine', è semplice dal punto di vista tecnico, ma rappresenta il mezzo di produzione alimentare della maggior parte delle popolazioni del Vecchio Mondo; è caratteristica dell'Africa a nord dei tropici e di tutta l'Asia non sovietica. Nonostante i molti cambiamenti introdotti in queste economie, esse non hanno ancora subito tutti quei mutamenti che hanno trasformato l'Europa negli ultimi due secoli. Le comunità agricole sono tutte stabili, data la localizzazione estremamente circoscritta delle coltivazioni; sia la produzione sia il consumo avvengono nell'ambito della famiglia e del villaggio. Il senso della comunità e la solidarietà sociale costituiscono le basi culturali della cooperazione e della mutua assistenza.

Molti dei cambiamenti che hanno luogo nella vita dell'agricoltore sono legati alle stagioni. La caratteristica principale di questa forma di economia è l'alta intensità di lavoro, cui corrispondono scarsi proventi. Il problema principale è quello di rigenerare la fertilità del suolo, sfruttato in continuazione; allo scopo si impiegano diversi mezzi: arature e concimazioni continue o irrigazioni che depositano limo. Le culture tradizionali dipendono molto più dalle abilità manuali - talvolta molto sviluppate - che non da strumenti sofisticati, e dall'energia umana più che dalle macchine.

Gli elementi basilari dell'agricoltura sono quelli derivati dai primi centri del Sudovest asiatico: la coltivazione di cereali e l'uso dell'aratro. Nel corso del processo di diffusione verso est, a queste attività possono essersi aggiunte la coltivazione con strumenti manuali e la coltivazione del riso, che può aver avuto origine nel Sudest asiatico. I prodotti coltivati sono in buona misura gli stessi ovunque, ma nell'Africa settentrionale, nel Sudovest asiatico e nelle zone fluviali dell'India predominano il grano e i cereali affini, mentre nelle regioni costiere dell'India, in Cina, in Giappone e nel Sudest asiatico prevale il riso. Nella maggior parte di queste aree l'allevamento degli animali è un'attività del tutto secondaria; la coltivazione ha carattere intensivo e il pascolo è limitato ai terreni non coltivabili. Nonostante l'alto numero di bovini, bufali, asini e capre, il latte non è un elemento importante del regime alimentare; è un concetto diffuso che non si debbano nutrire animali per ricavarne cibo, e in effetti gli animali svolgono un ruolo minimo nella produzione alimentare.

Naturalmente esistono moltissimi animali, come maiali e polli, che si cibano di rifiuti, ma non c'è molto spazio per gli animali 'da mandria' in paesi dove le terre coltivabili scarseggiano (costituiscono il 10-15% del territorio in Cina, il 15% in Giappone e il 30% in India e in Pakistan). Nel Deccan indiano, in Nordafrica, in Manciuria e nel Sudovest asiatico, comunque, la coltivazione è più estensiva che intensiva e in queste regioni i numerosi capi di bestiame rivestono un certo ruolo nell'economia e nel regime alimentare, anche se la loro importanza nella società trascende spesso questi due aspetti: in India, per esempio, esistono ben 175 milioni di bovini, ma la loro importanza è dovuta a fattori religiosi; l'India è una terra di vegetariani.

Sia la scarsità sia l'eccesso di acqua hanno contribuito a modellare l'agricoltura nel Vecchio Mondo. I primi centri prosperarono grazie all'irrigazione: dalla semplice irrigazione per allagamento a quella connessa con la costruzione di sbarramenti e col terrazzamento, tecniche che portarono, in un secondo tempo, ai complessi tunnel d'irrigazione iraniani (Karez). Analogamente anche il Punjab poteva essere coltivato soltanto facendo ricorso all'irrigazione, la cui tecnica si è sviluppata fino alla realizzazione di quei grandiosi sistemi, ispirati alla tecnologia occidentale, che oggi assicurano il controllo completo delle forniture d'acqua. Questi sistemi spesso mal si adattano alle società tradizionali, in cui la frammentazione delle proprietà, la concessione in locazione e la mancanza di infrastrutture costituiscono altrettanti ostacoli al cambiamento. Il Bengala e il Bangladesh, d'altra parte, beneficiano dell'abbondanza di precipitazioni tipica delle zone monsoniche; in questi paesi si coltivano riso e iuta. In alcune regioni del Sudest asiatico si verificano precipitazioni equatoriali, in altre monsoniche; l'intensità della coltivazione è alquanto minore in Indonesia e in Malesia che in alcune parti dell'India e, benché i raccolti di riso siano più scarsi, ne avanza un certo quantitativo per l'esportazione.

D'altro canto, si fanno spesso due raccolti nelle Filippine, a Giava e a Bali; in questi paesi, come in Cina, il terrazzamento ha raggiunto il massimo grado di elaborazione e interi pendii sono stati rimodellati artificialmente. Si tende a utilizzare tutti i rifiuti organici e l'impressione generale è che vi sia un'intensa coltivazione a giardini.L'Egitto e il Sudan sono i paesi dove l'ingegnosità dell'irrigazione è più evidente. Già nel 4000 a. C. la semplice operazione del piantare dopo l'inondazione fu rimpiazzata dall'irrigazione controllata tramite l'impiego di bacini; benché vantaggiosa, questa forma di irrigazione non eliminò il problema della siccità stagionale finché, alla fine del XIX secolo, la costruzione delle dighe di ispirazione occidentale, sul delta del Nilo e ad Assuan, rese possibile l'irrigazione perenne. Questo tipo di irrigazione ha prodotto una striscia, unica nel suo genere, coltivata a grano, orzo e cotone, ma ha anche creato il bisogno di fertilizzanti artificiali per fornire il nutrimento precedentemente apportato dal limo.

Alla periferia delle aree coltivate del Vecchio Mondo, in posizione marginale in senso vero e proprio, vivono i pastori nomadi, che, per tradizione, occupano le regioni aride del Nordafrica, l'Arabia, l'altipiano iraniano, l'Afghanistan e le province esterne della Cina. La loro economia può essere considerata una specializzazione della domesticazione e sarebbe un errore dedicare loro una trattazione a sé stante. Essi spesso intrattengono stretti rapporti con le comunità di coltivatori stanziali, presso cui si riforniscono di farina, datteri, tè e caffè; molti sono soltanto seminomadi e gravitano intorno alle oasi dove prospera la coltivazione. Il loro nomadismo nasce dalla necessità di cercare pascoli in aree aride e povere di risorse: talvolta sono costretti a percorrere un circuito annuale per attingere alle poche e sparse risorse disponibili. In zone più temperate e di montagna queste necessità vengono tradizionalmente soddisfatte alternando pascoli estivi e pascoli invernali: lo spostamento dagli uni agli altri si chiama 'transumanza'.

È particolarmente evidente che la transumanza deriva da un'economia basata sulla coltivazione permanente, e il fatto che comporti l'esistenza di una base invernale stabile la distingue nettamente dal nomadismo. In una società di pastori nomadi l'animale più importante, il cammello o il cavallo, viene usato per cavalcare e come bestia da soma: in Mongolia, per esempio, pecore e capre forniscono latte e carne e sono molto più numerose dei cavalli e dei cammelli, ma questi hanno un enorme significato sociale, sono status symbols, indici di ricchezza e beni pregiati in caso di guerra. A queste società, che dipendono dal cavallo o dal cammello, si deve anche attribuire lo sviluppo del commercio e di una vasta rete di percorsi attraverso il Vecchio Mondo.

L'allevamento del bestiame è una forma importante di economia anche nelle regioni circostanti la fascia delle foreste tropicali in Africa. Qui l'allevamento del bestiame è più esclusivo, anche se la presenza di gruppi di coltivatori nella stessa regione fa pensare a un'interdipendenza. Il significato sociale dei bovini trascende di gran lunga la loro utilizzazione economica: essi danno poco latte e le principali fonti di cibo sono le pecore e le capre.In generale si tende a identificare l'agricoltura tradizionale con un'economia di sussistenza. Il cibo prodotto è consumato sul posto e moltissimi agricoltori stentano a sollevarsi al di sopra del livello di mera sussistenza, anzi spesso non lo raggiungono neppure, per esempio in caso di siccità. Tuttavia l'agricoltura tradizionale è capace di produrre un notevole surplus, e questo fatto ha aumentato in varia misura il potenziale culturale di alcuni gruppi sociali.

L'entità di questo progresso dipende dai meccanismi sociali, che consentono, in primo luogo, la sovrapproduzione e, in secondo luogo, la sua istituzionalizzazione, tesa a soddisfare i bisogni sociali. In altri termini, il surplus alimentare deve essere convertito in surplus sociale. Anche a un livello elementare questo comporta la specializzazione dei ruoli nella società, cioè la comparsa di diversi mestieri e il conseguente sviluppo dei villaggi. Questo stesso processo porta anche al commercio, che viene intrapreso soprattutto per procurarsi prodotti non disponibili sul posto, come metalli o macchinari, e alla realizzazione di infrastrutture - vie e strade - per agevolare le comunicazioni. A un livello più sofisticato il surplus alimenta un intero settore della società, quello concernente gli scambi, il controllo e la difesa, cioè un sistema di mercato urbano in rapporto simbiotico con i produttori di generi alimentari. I livelli di vita più elevati, la tecnologia più avanzata e la produzione artistica si concentrano nelle città. Nelle grandi civiltà preistoriche le culture tradizionali giunsero all'apice nelle grandi città in cui si concentrava la ricchezza prodotta dal surplus. Nel XX secolo megalopoli come il Cairo e Città del Messico sono ancora sostenute da società tradizionali.

L'agricoltura nelle società moderne

Molti elementi dell'agricoltura tradizionale basata sull'uso dell'aratro persistono tuttora nel mondo occidentale, per esempio nel bacino del Mediterraneo e nelle zone più isolate e remote dell'Europa; ma si tratta di un modello di vita che si mescola impercettibilmente con l'agricoltura moderna, la cui caratteristica più evidente è che, pur continuando a dominare il paesaggio, si è trasformata in un settore economico altamente selettivo, che impiega soltanto una piccola parte della popolazione. Nelle economie più avanzate solo una minoranza si dedica all'agricoltura: il 3% della popolazione in Gran Bretagna, il 4% negli Stati Uniti e il 19% in Italia, dove solo dopo il 1945 sono avvenuti cambiamenti radicali e dove è tuttora in atto un processo di trasformazione. La Grecia col 43% di addetti e la Iugoslavia col 50% rappresentano una fase di transizione fra l'agricoltura tradizionale e quella moderna; ma il contrasto con l'agricoltura tradizionale è netto nei paesi in via di sviluppo: in India si dedica all'agricoltura il 69% della popolazione, in Cina il 68%, in Tanzania e in Uganda l'86% e nel Ciad il 90%. In realtà il confronto non è del tutto corretto, perché nelle società tradizionali la lavorazione dei prodotti alimentari è effettuata all'interno della comunità che li produce e la vendita è un'attività molto limitata. Nei paesi occidentali questi due aspetti sono stati separati dalla produzione: la lavorazione dei prodotti alimentari è diventata un settore importante dell'industria, mentre la vendita è affidata al terziario.

Queste attività e le infrastrutture cui hanno dato luogo incidono profondamente sulle comunità agricole: nelle società avanzate la contrapposizione fra città e campagna, dal punto di vista sociale e da quello materiale, è meno accentuata che nelle società tradizionali. Comunque è ancora utile considerare separatamente le comunità agricole e analizzare le loro attività in termini di utilizzazione della terra e dei loro rapporti tecnici, economici e sociali con le risorse che sfruttano.È difficile classificare l'agricoltura avanzata e le classificazioni di comodo non dovrebbero in alcun modo celare non soltanto l'enorme varietà dei sistemi agricoli, ma anche il modo in cui, nella pratica, diversi sistemi si mescolano fra loro. Una delle variabili più ovvie è la dimensione dell'impresa: le piccole aziende, difficilmente distinguibili da quelle tradizionali, si collocano a un estremo della scala, le grandi imprese collettive dell'Unione Sovietica all'altro. Nell'Europa occidentale, in Giappone, nella maggior parte degli Stati Uniti e in alcune zone dell'America Latina prevale l'azienda di piccole dimensioni, che comporta investimenti limitati e un basso rapporto terra/manodopera.

La produzione è destinata soprattutto al mercato, benché vi sia tuttora una componente di sussistenza. Accanto a queste aziende, sia in Europa sia negli Stati Uniti, vi sono imprese di medie dimensioni, che si contraddistinguono perché finanziate con capitali più ingenti e perché la loro produzione è destinata esclusivamente al mercato. Queste aziende, inoltre, dipendono in misura maggiore da una tecnologia avanzata e, improntate alla massima efficienza, sono spesso centralizzate e in genere specializzate. In queste imprese la distinzione fra attività agricole in senso stretto e allevamento d'animali è marcata: nel complesso le prime sono meglio organizzate e sfruttano maggiormente le risorse tecnologiche. È utile, trattando di imprese di queste dimensioni, distinguere tra aziende private e aziende statali, finanziate con capitale pubblico. È necessario sottolineare ancora una volta come queste imprese possano condividere lo stesso territorio con imprese che operano su una scala diversa.Un'altra variabile è il titolo di godimento.

Nell'agricoltura occidentale avanzata la maggior parte delle aziende è di proprietà o di un singolo agricoltore o di un proprietario terriero che le concede in affitto a singoli agricoltori. Generalmente si tratta di 'aziende familiari', cioè di aziende in cui almeno la metà della manodopera è fornita dai familiari del proprietario o dell'affittuario. Le piantagioni possono essere considerate una variante della proprietà terriera: appartengono a un'aristocrazia terriera o a una classe analoga. Un altro sistema è la cooperativa e un terzo l'azienda collettivistica. In quest'ultima i mezzi di produzione appartengono a una comunità: il kibbutz israeliano, in cui si realizza una completa integrazione tra impresa economica e struttura sociale, ne rappresenta l'esempio migliore. In Unione Sovietica le imprese collettive si chiamano kolchoz; in questo caso la comunità, che pur possiede i mezzi di produzione e controlla le risorse, è tuttavia soggetta alle direttive statali e ai vincoli imposti dalla pianificazione centralizzata.

Le aziende statali sono completamente controllate dallo Stato, che corrisponde un salario a quanti vi lavorano e possiede i mezzi di produzione; uno degli svantaggi di questo sistema è la mancanza di incentivi e motivazioni.La proprietà statale è tipica dei paesi socialisti; in particolare domina completamente l'agricoltura in Unione Sovietica, benché una qualche forma di proprietà privata sia consentita, specie nei settori produttivi del latte, della frutta e della verdura; ciò integra il sistema statale e inoltre offre a un piccolo numero di agricoltori l'opportunità di vendere i loro prodotti sul libero mercato. Il sistema socialista è diffuso in tutta l'Europa orientale, benché in Polonia prevalgano le aziende private. Negli altri paesi socialisti la proprietà privata integra l'agricoltura di Stato, ma rappresenta il 28% della produzione in Ungheria e il 25% in Bulgaria.In Cina, negli ultimi quarant'anni, si sono verificati parecchi cambiamenti radicali nella struttura della proprietà: con l'introduzione di riforme successive si è ottenuto un netto incremento dell'efficienza, che, fra il 1980 e il 1984, ha raggiunto il tasso del 7,7% annuo. Recentemente la linea politica e la struttura della proprietà sono cambiate di nuovo. Nel 1981 fu introdotto un 'sistema di responsabilità', in base al quale si passò dalla gestione comunitaria alla gestione familiare delle aziende; ai contadini venne concesso in locazione, per un periodo di quindici anni, un particolare appezzamento di terreno nell'ambito del loro villaggio. I salari furono legati alla produzione. Inoltre lo Stato sottoscrisse un contratto con l'intero villaggio per la fornitura di materiali e la vendita dei prodotti; il contratto specificava anche, fissandone i quantitativi, i tipi di prodotti che dovevano essere consegnati al governo. Con l'aumento della specializzazione, la conseguenza di un controllo così rigido fu una perdita di autosufficienza a livello locale.

La maggiore efficienza ha portato a una grande eccedenza di manodopera, forse pari a un terzo del totale. Mentre gran parte di questa manodopera viene convogliata nell'industria, come previsto dal programma di sviluppo industriale cinese, un'altra parte trova lavoro nei settori collegati all'agricoltura: industrie per la lavorazione dei prodotti, industrie locali basate sull'agricoltura e persino servizi. Le infrastrutture sono ancora notevolmente arretrate e dovranno essere sviluppate parecchio per attuare la politica statale ed evitare eccedenze irregolari.

Modelli di agricoltura nel mondo

La caratteristica essenziale della stragrande maggioranza delle imprese agricole del mondo occidentale è la coltivazione mista combinata con la rotazione delle colture. I prodotti agricoli sono destinati sia alla vendita diretta sia al foraggiamento degli animali, che a loro volta sono destinati alla macellazione. La rotazione delle colture in genere segue quest'ordine: la coltivazione di cereali - grano, orzo, segale o avena - è seguita da un periodo di riposo, durante il quale si pratica la coltivazione di trifoglio, erba comune o erba medica; infine si passa a una coltivazione a filari, di granoturco, patate, barbabietole o rape. Una simile rotazione garantisce una fornitura costante degli ingredienti fondamentali dell'agricoltura moderna. L'equilibrio tra coltivazione e allevamento del bestiame varia notevolmente: nel bacino del Mediterraneo, così come nelle vaste regioni del Nuovo Mondo specializzate nella produzione di cereali, la coltivazione è praticata intensivamente; nell'Europa nordoccidentale e in certe zone degli Stati Uniti, viceversa, l'allevamento del bestiame assume maggiore importanza, specie nei paesi dove l'industria casearia è particolarmente sviluppata. Altrove il sistema agricolo può basarsi su un raccolto commerciale, come il cotone, o sull'allevamento specializzato praticato su pascoli naturali.

La presenza di tante varianti è dovuta in parte ai vincoli ambientali e in parte allo sviluppo storico e alle forze di mercato. Soprattutto il clima, ma anche il terreno e la topografia, restringono il novero delle regioni più adatte alla coltivazione e, in misura minore, di quelle più adatte all'allevamento del bestiame. All'interno di questi vincoli di carattere generale, la storia della cultura ha svolto un ruolo decisivo, specie nel soddisfare i bisogni delle società avanzate grazie alla capacità di sfruttare la maggior parte delle zone della Terra.

Le forze economiche costituiscono forse il fattore più importante fra quelli che determinano l'equilibrio fra le diverse attività agricole, per esempio fra coltivazione e allevamento, fra produzione casearia e produzione di carne. Tutte queste componenti danno luogo a un sistema di attività molto complesso. Va sottolineato che la seguente descrizione non riguarda una regione agricola particolare; le varianti sono pressoché infinite e le generalizzazioni sono necessariamente molto ampie quando si riferiscono al mondo intero.In Europa c'è un netto contrasto fra l'agricoltura praticata nel bacino del Mediterraneo e quella praticata nelle regioni centrali e settentrionali. Intorno al Mediterraneo, compresa gran parte della fascia costiera del Nordafrica, si pratica la coltivazione intensiva, perché la siccità estiva limita la possibilità di produrre il foraggio necessario per l'allevamento del bestiame. Il cereale tradizionale è il grano, alla cui coltivazione si affiancano quelle dell'ulivo e della vite, piante resistenti alla siccità. Nelle zone dove i campi vengono irrigati si coltivano agrumi. Grecia e Turchia si sono specializzate nella produzione di uva da vino, uva sultanina e uva passa, l'Italia in quella del tabacco; si tratta di raccolti commerciali che diversificano la produzione dell'azienda familiare, in cui l'elemento base è la sussistenza. I bovini sono pochi, mentre le pecore, che si spostano dai pascoli invernali a quelli estivi, sono comuni. Le capre forniscono il latte, da cui spesso si ricavano formaggi. Sui terreni collinari, spesso pietrosi e infecondi, crescono gli ulivi, il cui olio è usato come surrogato del burro e dei grassi animali.

L'agricoltura intensiva caratterizza anche altre parti del mondo a clima mediterraneo, per esempio alcune zone della California, del Sudafrica, del Cile e dell'Australia occidentale, benché la scala operativa vari molto a seconda delle diverse esigenze commerciali. La San Joaquin Valley e l'Imperial Valley, in California, non soltanto godono di una lunga stagione produttiva, ma dispongono anche di molta acqua per l'irrigazione e producono in abbondanza uva, agrumi e frutta tipica dei climi temperati, noci e verdure. Gli agricoltori di queste zone dipendono da un sistema di trasporti sofisticato, perché molti dei loro mercati si trovano sulla costa orientale. Lo stesso tipo di specializzazione esiste anche in Florida, negli Stati del Golfo e sulle coste del Texas e si estende perfino lungo la costa orientale, dove predomina la cosiddetta agricoltura 'ortofrutticola', che produce soprattutto frutta e verdura, ma nel Connecticut anche tabacco da sigari. Esiste una stretta relazione fra l'agricoltura ortofrutticola e il mercato urbano con la sua elevata domanda. Il funzionamento delle aziende che operano in questo settore è cambiato, passando da un regime imperniato sull'impiego massiccio di manodopera a un regime basato sulla meccanizzazione spinta; la produzione spesso è nelle mani di grandi corporazioni capaci di adeguarsi facilmente ai capricci del mercato. Questa forma di attività, che sta influenzando l'agricoltura tradizionale anche nell'area mediterranea, è stata chiamata 'industriale-commerciale'.

La tipica agricoltura europea è una combinazione di coltivazione e allevamento del bestiame, almeno nelle regioni che non rientrano nell'area mediterranea e che si trovano a sud dei paesi in cui prevale l'industria casearia; questo genere di agricoltura è diffuso anche in vaste zone dell'Unione Sovietica e caratterizza gran parte della metà orientale degli Stati Uniti. L'essenza del sistema è la rotazione delle colture, che consente la produzione di foraggio per il bestiame. La semplice rotazione a tre colture ha ceduto il passo a sequenze più adatte alla natura del suolo e alle richieste del mercato. Negli Stati Uniti il centro dell'area ad agricoltura mista è quella regione che una volta era conosciuta come 'zona del grano', compresa fra l'Ohio, il Minnesota e il Nebraska. Sempre negli Stati Uniti l'agricoltura mista sta anche soppiantando la monocoltura della zona del cotone: oggi, in questa zona, l'allevamento del bestiame è molto diffuso. Il grano è il prodotto principale dell'agricoltura mista europea, anche se le condizioni climatiche fanno sì che esso ceda il posto al mais nelle regioni sudorientali, dove le estati sono più calde e più umide, e all'orzo e all'avena nelle regioni settentrionali, dove le estati sono più fredde e la stagione produttiva più breve. Dove il terreno è povero spesso si coltiva prevalentemente la segale, ma esistono anche forti tradizioni culturali in base alle quali il pane di grano è preferito nell'Europa occidentale e quello di segale nell'Europa centrale e orientale. Più a nord la patata assume un ruolo importante nel regime alimentare: in Irlanda, durante le carestie degli anni quaranta del secolo scorso, il grano era addirittura esportato e il mais rifiutato come alimento alternativo, malgrado la morte di un milione di persone.

Analogamente anche l'equilibrio fra coltivazione e allevamento del bestiame varia da paese a paese: per esempio un nordamericano consuma più carne di un europeo e quindi in Nordamerica si dà più importanza alla produzione di foraggi.Ai confini delle aree ad agricoltura mista intensiva si estendono le regioni dove si pratica l'agricoltura estensiva: in primo luogo quelle che producono i raccolti più abbondanti, benché anche gli animali facciano parte della produzione. Sia la Francia, sia la Spagna, sia l'Italia producono a scopo commerciale grossi quantitativi di grano, ma l'area principale specializzata in agricoltura estensiva si trova in Russia, e precisamente nella steppa che si estende dall'Ucraina alla Siberia meridionale. Lo stesso modello produttivo caratterizza quelle regioni, scarsamente popolate, dove l'agricoltura è stata introdotta per fornire generi alimentari a popolazioni di altri paesi. I grandi quantitativi di grano prodotti in Nordamerica, in Argentina e in Australia contribuirono, nel secolo scorso, a nutrire gli europei. Tutte queste zone, situate a una latitudine media, hanno lo stesso tipo di clima (temperato) e di terreno (pianeggianteondulato).

La scarsità di manodopera ha comportato un rapido processo di meccanizzazione, un aumento della scala operativa e una compensazione dei modesti raccolti mediante una produzione e una distribuzione più efficienti. Nella fascia più settentrionale del Nordamerica, dove gli inverni sono rigidi, si coltiva grano primaverile, mentre più a sud (Kansas) si produce grano invernale. In Argentina c'è una striscia di pampa a forma di mezzaluna dove si coltiva grano destinato all'esportazione; in Australia, a ovest del Great Dividing Range, si trova una striscia di terra analoga, anch'essa coltivata a grano, che si estende dal Queensland all'Australia meridionale. In entrambe queste regioni, comunque, l'allevamento del bestiame è più importante che in Nordamerica: in Argentina si allevano bovini, in Australia pecore. Dal momento che l'agricoltura estensiva di questo tipo è praticata esclusivamente a fini commerciali, quasi sempre è affiancata da un'agricoltura di sussistenza, praticata in territori limitrofi, coltivati a cereali, la cui produzione è destinata anche ai mercati locali.Il secondo tipo di agricoltura estensiva è il ranching, l'allevamento del bestiame su grandi pascoli, anch'esso praticato a fini commerciali su larga scala.

Così come la pastorizia nomade può essere considerata una diramazione della semplice agricoltura rurale, analogamente l'allevamento del bestiame a scopo commerciale è una diramazione dell'agricoltura mista occidentale. Il ranching è tipico delle praterie più aride di entrambi gli emisferi, dove l'erba è bassa e prevale la macchia, ma lo si trova anche nelle zone temperate a clima un po' più umido dell'Argentina e della Nuova Zelanda. Nella parte meridionale dell'Unione Sovietica sono adibiti a pascolo gli aridi bacini interni a sud della steppa. Il pascolo domina le praterie del Nordamerica, dell'Australia, del Sudafrica e della Nuova Zelanda. Nel secolo scorso molti di questi terreni erano pascoli liberamente accessibili; l'avanzata dell'agricoltura mista, entrata in conflitto con l'allevamento del bestiame, ha sospinto il ranching verso terreni più difficili. Nel nostro secolo l'allevamento del bestiame su larga scala ha raggiunto un alto livello di organizzazione: grazie soprattutto ai miglioramenti intervenuti nelle comunicazioni e nei sistemi di refrigerazione, la carne prodotta nei ranches è ormai esportata in tutto il mondo. Nelle zone aride il terreno può essere scarsamente produttivo, di conseguenza i ranches hanno raggiunto enormi dimensioni: negli Stati Uniti spesso si estendono su 100 ettari e in Australia sono persino più grandi. Negli Stati Uniti spesso si fa ricorso a foraggio supplementare, in particolare a erba medica coltivata in campi irrigati; in questo modo il ranching diventa un po' più simile all'agricoltura mista. In Australia la variabilità del clima è un fattore che espone il ranching a qualche rischio e determina una maggiore dipendenza dal foraggio; per questo spesso le pecore sono preferite ai bovini, se si eccettua la parte settentrionale del paese, dove il clima è più umido. La pecora è l'animale da allevamento più importante anche nell'America Latina meridionale.

Nelle zone temperate ai confini dell'area dell'agricoltura mista - nel New England e nella regione dei Grandi Laghi in Nordamerica, nella Francia settentrionale, in Gran Bretagna e nei Paesi Bassi, nella Scandinavia meridionale, nelle regioni alpine dell'Europa centrale e nell'Australia sudorientale - predomina l'industria casearia. Questa attività, benché costituisca in larga misura una risposta a condizioni meno favorevoli alla coltivazione, ma propizie alla crescita dell'erba - estati fredde e piovose, stagione produttiva breve e terreni poveri -, rappresenta anche una risposta all'urbanizzazione intensiva verificatasi in queste regioni nel secolo scorso e in quello attuale. A mano a mano che le città crescevano, cresceva anche il loro fabbisogno di latte fresco, di panna, di burro e di formaggio. Fino a poco tempo fa questi generi alimentari dovevano provenire dagli immediati dintorni di ogni singola città ed erano prodotti da una moltitudine di piccole aziende agricole; ma con il rapido progresso delle comunicazioni l'industria casearia è diventata più specializzata e sofisticata e oggi è in grado di servire contemporaneamente molte città, anche lontane. Questo discorso vale in particolar modo per l'Europa, dove gli agricoltori sono stati costretti a specializzarsi, non potendo competere con gli agricoltori delle 'nuove terre' per quel che riguarda la produzione di grano. I piccoli paesi, come la Danimarca, sono sempre stati all'avanguardia nel settore caseario, al cui sviluppo hanno contribuito, in particolare, le cooperative: un sistema per introdurre la meccanizzazione e diventare competitivi sui mercati. Nel 1984 la Danimarca produceva ancora il 3,6% del latte prodotto in tutto il mondo, l'Olanda il 6,9% e la Gran Bretagna l'8,5%. Questo tipo di agricoltura intensiva è stato descritto come un mezzo per trasformare prodotti vegetali in un prodotto animale, la cui lavorazione si spinge anche più avanti, in quanto molti di questi paesi producono latte condensato e cioccolata. Un altro paese che ha sviluppato con successo l'industria casearia è la Nuova Zelanda, dove le condizioni dell'Isola del Nord sono ideali per il pascolo permanente. L'efficienza e l'alta qualità dei prodotti hanno consentito di superare la grande barriera delle distanze, grazie anche all'introduzione di tariffe differenziali.

Una rassegna delle principali attività imperniate sulla produzione alimentare sarebbe incompleta senza un accenno alla pesca. Attività fondamentale per molte comunità di cacciatori e raccoglitori, la pesca ha anche contribuito a integrare il regime alimentare di parecchie popolazioni contadine tradizionali in tutto il mondo. Il pesce, inoltre, è un componente importante del regime alimentare delle comunità occidentali e una ricca fonte di proteine; esso ha svolto un ruolo fondamentale nella vita delle comunità che avevano accesso al mare. La pesca si pratica con una vasta gamma di strumenti: dalle reti e dalle fiocine più semplici al sonar e alle attrezzature elettroniche. Come risultato dei progressi fatti nei sistemi di pesca, la produzione mondiale di pesce si è triplicata fra il 1948 e il 1968. Le zone più pescose del mondo sono la piattaforma continentale dell'Europa, il Mare del Nord, il Mediterraneo orientale, le coste dell'Atlantico e del Pacifico in Nordamerica, la costa latino-americana del Pacifico, il Capo di Buona Speranza in Sudafrica, la costa orientale dell'India, il Mar della Cina e il Sudest asiatico. Nel 1983 il pescato mondiale è stato di 76.470.000 tonnellate; a questo quantitativo ha contribuito con la quota maggiore (14,7%) il Giappone, seguito dall'Unione Sovietica (8,7%); ma anche piccoli paesi hanno fatto della pesca un'attività specializzata: la Norvegia contribuisce al pescato mondiale con il 2,5% e il Cile con il 3,5%. La pesca indiscriminata appartiene ormai al passato: la consapevolezza che il pesce è una risorsa soggetta a esaurimento ha portato ad accordi internazionali concernenti le zone di pesca e i quantitativi di pescato permessi.

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