AGRICOLTURA

Enciclopedia Italiana (1929)

AGRICOLTURA

Giovanni NEGRI
* Enrico FILENI Fabio LUZZATTO Carlo MANETTI *

(dal lat. agricultura; fr. agriculture; sp. agritultura; ted. Ackerbau; ingl. agriculture).

Con questo nome si designa il complesso delle attività che l'uomo dirige al fine di conseguire dalla terra la maggiore quantità e la migliore qualità dei prodotti vegetali necessarî alla sua esistenza e a quella degli animali domestici. In tutte le età e in tutti i luoghi la coltivazione del suolo si è svolta in stretta unione con l'allevamento del bestiame.

Le origini e lo sviluppo dell'agricoltura.

L'agricoltura tra i primitivi. - Le forme assunte successivamente dalla ricerca, l'accumulo, il miglioramento e l'utilizzazione delle materie prime vegetali, le fasi cioè attraversate dalla tecnica e dall'economia rurale prima di giungere alle condizioni che esse presentano oggi nei paesi civili, possono essere esaminate, sia presso i popoli viventi anche attualmente in condizioni più o meno selvagge, sia, con minor ricchezza di documenti, ma col risultato di mettere in evidenza un interessante parallelismo fra la mentalità dei primitivi odierni e quella dei primitivi preistorici, negli avanzi che questi ultimi ci hanno lasciato.

Gli aspetti generali dell'utilizzazione dei prodotti vegetali da parte dell'uomo debbono anzitutto essere riferiti a due categorie fondamentali: processi di semplice raccolta e processi di coltura vera e propria. Essi differiscono tra di loro per il carattere essenziale che coi primi l'uomo, analogamente a quanto fanno gli animali, preleva direttamente dall'ambiente materiali prodottisi completamente all'infuori di ogni sua attività; coi secondi esso tende ad accumulare nello spazio più ristretto, e adattato nel modo più favorevole possibile, una scelta di individui vegetali appartenenti ad una sola specie o ad un numero limitato di specie e che, in condizioni di tecnica più progredita, vengono anche modificati nella totalità od in parte della loro morfologia e nella loro periodicità biologica, sempre a servizio di esigenze economiche. Processi di questa seconda categoria s'incontrano solo eccezionalmente e solo in forma rudimentale nel mondo animale, per esempio presso certi imenotteri. Subordinatamente poi, i processi di raccolta possono classificarsi in processi dei popoli primitivi e processi dei popoli evoluti; quelli di coltura venvono abitualmente distinti in colture alla zappa, colture orticole e colture arative od agrarie.

Processi primordiali di raccolta sono tuttora praticati da popolazioni abitanti nelle più differenti regioni del globo e nelle più diverse condizioni ambientali. Così da popolazioni della foresta equatoriale (Negrilli dell'Africa centrale, Vedda di Ceylon, Semang e Senoi di Malacca, Kubu di Sumatra, Maku e Botocudos del Brasile); da popolazioni delle steppe intertropicali più o meno desertiche (Africa meridionale, Australia); delle coste subantartiche americane (Terra del Fuoco). Naturalmente i particolari di questi processi risentono, nei varî paesi, della grande varietà degli ambienti, dei contatti fra popolazioni finitime e spesso differenti per razza e per evoluzione mentale, e del fatto che le condizioni attuali di tali popolazioni possono essere primarie (Semang, Senoi) o secondarie ad un periodo di impoverimento (Boscimani). Anche il rapporto assai vario fra l'importanza assunta, presso i diversi popoli, dalla raccolta di materie prime vegetali e quella assunta dalla caccia, che non vengono mai praticate esclusivamente, dipende dall'ambiente, cosicché, p. es., popoli forestali sono piuttosto collettori, quelli steppici piuttosto cacciatori.

I materiali vegetali utilizzati sono poi molto varî; organi aerei, quali parti del caule e del fogliame, spesso allo stato di germoglio; frutti, semi, od organi sotterranei, fungenti per la pianta da serbatoi di alimenti di riserva (radici tuberose, tuberi, bulbi); si aggiungano i corpi fruttiferi di alcuni funghi, alcune produzioni patologiche determinate dall'azione di micromiceti, e finalmente succhi di varia natura dall'azione inebbriante, stimolante o medicamentosa. Si aggiunga ancora l'utilizzazione dei materiali tessili e tintorî, quella di alcuni frutti per la preparazione di un vasellame rudimentale, industrie primordiali legate al possesso di una certa perizia tecnica, ma che incontriamo anche presso popolazioni molto primitive.

Per impadronirsi degli alimenti sotterranei, il primo strumento fu il palo appuntito, eventualmente indurito al fuoco; o furono valve di mollusco, schegge di selce, immanicate o no; per i frutti, oltre alla semplice raccolta sul terreno eseguita per lo più dalle donne e dai bambini, fu adoperata la mazza di legno indurito od armata di una selce. Si aggiungano anche gli artifici della bacchiatura delle fronde per provocare la caduta dei frutti e quelli destinati a facilitare la scalata dei tronchi più elevati. Esulerebbe dall'argomento la menzione degli svariati processi di preparazione delle materie prime vegetali (macinazione, cottura, macerazione delle fibre, indurimento ed avvelenamento della punta delle armi, ecc.); ma merita di essere rilevata l'osservazione del Krause, che popoli molto primitivi, utilizzando a scopo alimentare, e previo opportuno trattamento, materiali che in condizioni naturali, presentano un alto grado di tossicità, superano già il limite posto dalle condizioni naturali all'alimentazione delle specie animali, dimostrando, anche nei più bassi gradini della civiltà umana, la presenza dei due fattori nuovi: l'esperienza e l'ingegnosità.

Malgrado la ricchezza originaria delle risorse naturali che noi troviamo, p. es., nelle foreste equatoriali, la condizione di semplici collettori implica, nei popoli primitivi, la poca importanza numerica delle collettività, la loro distribuzione sporadica e poco addensata e l'esigenza di migrazioni più o meno periodiche; cioè, insomma, un livello sociale ancora basso ed un'azione inducente scarse modificazioni nel paesaggio vegetale originario delle regioni occupate. Sostanzialmente diversa invece è la condizione dei popoli che conservano un'attività predominante di collettori, sebbene abbiano raggiunto una condizione di civiltà abbastanza elevata. Esistono infatti popoli nei quali il complesso delle manifestazioni sociali porta l'impronta della dipendenza economica da una materia prima vegetale, della quale essi dispongono largamente in natura. Così il Krause cita il caso degl'Indi Californiani, la nutrizione dei quali si fonda completamente sul raccolto delle ghiande. Questo materiale, abbastanza ricco di principî nutritizî, viene raccolto, seccato, e ridotto in farina; senza escludere l'utilizzazione nello stesso senso di semi e di organi vegetativi ottenuti da altre specie vegetali ricche di materiali di riserva. La meta ultima di queste ricerche e manipolazioni, quella di ottenere una farina che forma la base dell'alimentazione, è dunque la stessa alla quale tendono le popolazioni dei coltivatori campestri. Anche nei nostri paesi, quantunque in grado minore, vediamo il raccolto delle castagne entrare in larga proporzione nell'alimentazione di popolazioni montane, che praticano, d'altra parte, la coltivazione alla zappa ed anche quella arativa; ma soltanto nei casi estremi tutta la vita economica e sociale è esclusivamente legata alla raccolta di un prodotto naturale. In queste condizioni poi contrariamente a quanto avviene nei collettori primitivi, noi ci troviamo di fronte ad un regime di vita sedentaria ed anche ad una certa densità demografica.

Il passaggio dal regime della semplice raccolta a quello delle colture si deve ritenere come avvenuto in modo assolutamente graduale, malgrado la tendenza di tutte le tradizioni dell'antico e del nuovo mondo ad attribuire i progressi della tecnica agricola e l'introduzione delle piante utili all'influenza diretta di divinità o di personaggi più o meno leggendarî (v. anche civiltà).

È facile supporre che i primordî dell'agricoltura siano legati alla tendenza incosciente dell'uomo a favorire la presenza attorno alla sua abitazione di numerosi individui delle specie utili, scegliendo in un primo tempo, a seconda di questo criterio, l'ubicazione stessa della sua capanna e, in un periodo di mentalità alquanto più evoluta, proteggendo la moltiplicazione spontanea delle giovani piante ed aumentandole con lo spargerne abbondantemente i semi sul terreno naturale. L'adozione di molte disposizioni protettive, che troviamo anche presso popolazioni assai primitive (tabù), risponde allo stesso bisogno, ma implica già una lunga serie di esperienze di questa natura, perché il vincolo delle abitudini di regime e di costume è così potente, specialmente nei primitivi, che deve avere contribuito, con l'instabilità dei focolari e le diffidenze e rivalità fra individui e gruppi umani, a rallentare questi primi passi sulla via di uno sfruttamento metodico delle risorse vegetali. Bisogna quindi pensare a cause più generali, quali possono essere lo stimolo della necessità in un paese poco favorito dalle condizioni del clima troppo rigido o troppo secco, o l'interruzione di risorse di caccia o di pesca primitivamente godute. L'uomo primitivo rifugge dallo sforzo ed è, del resto, più facilmente tentato dal prodotto aleatorio, dovuto piuttosto all'abilità ed alla pazienza, della caccia e della pesca, che dalle fatiche gravose e regolari dell'agricoltura. Il De Candolle rileva inoltre l'influenza favorevole della disponibilità facile e copiosa di determinate specie, capaci di fornire prodotti universalmente apprezzati, nel provocare il desiderio di moltiplicarle con la coltura. Quantunque infatti anche i selvaggi meno evoluti posseggano nozioni abbastanza estese circa le proprietà di numerose piante dei loro paesi, la mancanza di specie di notevole valore economico ha mantenuto estranee alle pratiche agricole intere popolazioni. Così, quantunque sir F. Hooker abbia enumerato più di cento specie della flora australiana che possono essere in un modo o nell'altro utilizzate, non solo nessuna di esse era coltivata dagli indigeni prima della colonizzazione europea, ma anche oggi, malgrado la tecnica perfezionata dei coloni inglesi, nessuno pensa a coltivarle.

In questa osservazione appare anche la ragione della diffusione grandissima sin dalla preistoria delle nostre specie economiche. Un popolo che non sia accantonato in un settore particolarmente isolato riceve facilmente da genti finitime, meglio dotate in fatto di prodotti spontanei o più evolute economicamente, le specie vegetali ed animali di evidente utilità e le preferisce alle proprie, eventualmente utilizzate prima in mancanza di meglio; così sono stati limitati o addirittura fermati tentativi di sfruttamento colturale di piante locali meno produttive o meno gradevoli. Il concorso di questa circostanza favorevole giustifica inoltre l'eccezionale importanza assunta da alcune colture, per esempio dal riso e da parecchie leguminose nell'Asia meridionale, dall'orzo e dal frumento in Mesopotamia, dal mais, dalla patata, dalla batata, dalla manioca in America; e spiega come queste regioni siano diventate altrettanti centri d'irradiazione di specie alimentari e di pratiche agricole, man mano che popolazioni finitime raggiungevano un grado di intellettualità e di organizzazione sociale che consentisse di accogliere, mediante gli opportuni adattamenti imposti dalle condizioni locali, i prodotti della loro esperienza colturale.

Per quanto riguarda poi la data relativa, in corrispondenza della quale il trapasso dal regime della semplice raccolta a quello delle colture può essere fissato, è da ritenersi che le popolazioni paleolitiche mancassero della capacità necessaria all'allevamento tanto delle piante che degli animali. L'agricoltura compare invece chiaramente nel Neolitico, quantunque, certo per molto tempo, sussidiata dalla raccolta di prodotti vegetali spontanei. Infatti la lista dei semi trovati nei detriti delle abitazioni lacustri della Svizzera e dei palafitticoli della valle del Po comprende ancora, a lato dei principali cereali - segala, orzo, frumento, avena - della vite e di alcune piante fruttifere certamente importate, abbondanti accumuli di nocciuole, castagne d'acqua, ghiande, faggiuole, ecc. Un'anzianità corrispondente presentano d'altronde i principali attrezzi rurali. Neolitica è la zappa, costituita da una selce impiantata lateralmente in un robusto mazzuolo di legno, forma primordiale che questo strumento ha conservato, salvo la sostituzione della selce con un massello di bronzo o di ferro, sino ai tempi presenti presso molte popolazioni abbastanza evolute, p. es. in Abissinia. Neolitica è la falce messoria ad armatura di legno e tagliente costituito da selci dentellate (Flinders-Petrie), riscontrata in Egitto, in Caldea, in Siria ed anche in Ispagna; e parimenti la macina a mano, composta da una larga lastra piana o leggermente concava di pietra dura e di un frantoio grossolanamente cilindrico o sferoidale. All'età del bronzo dobbiamo il carro; ad un'età imprecisata, ma molto remota, risale l'aratro, costituito originariamente da un frammento di legno indurito e forcuto, un ramo del quale era attaccato al giogo mentre l'altro penetrava nel suolo, e che solo più tardi ha acquistato il rivestimento metallico. Né deve infine dimenticarsi l'origine anche neolitica dell'allevamento degli animali, così strettamente connesso alla pratica agraria.

La coltura alla zappa rappresenta il più semplice dei processi agricoli veri e proprî di dissodamento manuale diretto del suolo da parte dell'uomo.

I particolari tecnici non solo ma anche le condizioni di abitazione e di organizzazione sociale ed economica variano sensibilmente, a seconda anzitutto che questa lavorazione è rivolta ad un terreno che ha dovuto venire precedentemente liberato, col fuoco o più raramente con l'ascia, dalla vegetazione forestale primitiva, o che, per il suo carattere steppico, cioè originariamente privo di un rivestimento boscoso, ha potuto essere assoggettato senz'altro alla zappatura, o che infine è stato conquistato a spese di aree paludose e bonificate mediante acconci lavori di drenaggio.

Anche la qualità della coltura è assai varia: cereali, legumi, piante munite di organi sotterranei di riserva alimentare. Nella sua forma inferiore la coltura alla zappa è, come gia si è accennato, largamente sussidiata dalla raccolta dei prodotti spontanei, che del resto, non si sospende mai completamente nelle popolazioni rurali; nella condizione più evoluta è, d'altra parte, intimamente associata all'allevamento del bestiame che fornisce il concime, del quale l'uomo ha assai presto compreso l'alto valore fertilizzante. La varietà delle colture alla zappa è poi tanto maggiore, in quanto anche la loro estensione alla superficie del globo è molto grande; può dirsi infatti che le popolazioni indigene dell'Africa, dell'Indonesia, dell'Oceania e dell'America tropicale la pratichino tuttora esclusivamente.

Anche alcune conseguenze di carattere sociale di questo regime agricolo possono essere brevemente indicate. L'assunzione da parte di questo tipo di coltura di un predominio assoluto nell'attività di un popolo implica un regime sedentario; essa consente d'altronde un'occupazione assai densa del suolo, quando sia intelligentemente eseguita. Alla stabilità di queste popolazioni ed al complicarsi delle loro esigenze di vita corrisponde poi una maggiore differenziazione della casa, ed il raffinarsi, per opera di artigiani domestici, delle industrie primitive della ceramica e dei tessuti, sia nell'esecuzione sia nella decorazione. D'altra parte la scarsa varietà di tipi dei terreni sfruttabili da una popolazione sedentaria ed ancora primitiva, ma con esigenze sociali in via di progressiva complicazione, limita il numero dei prodotti che possono essere chiesti alla sua agricoltura, obbligandola ad ampliare sempre più le relazioni di scambio ed a specializzare invece la sua produzione migliore fino ad ottenere la maggiore quantità possibile delle derrate che è capace di fornire ai mercati che essa frequenta. Giungiamo così per gradazioni insensibili alla coltura orticola.

Quest'ultima rappresenta la forma più intensiva dell'agricoltura ed è necessariamente legata ad un regime di definitiva sedentarietà, ad un'attività esercitantesi permanentemente su di un terreno estremamente frazionato e all'incremento della produttività di questo terreno mediante un'intensa concimazione ed un'abbondante ed intelligente irrigazione. Di carattere essenzialmente familiare, questa forma di regime agricolo è difesa, contro l'insorgere di un dannoso egoismo individuale e familiare, dalla necessità di una collaborazione fra gruppi di famiglie e di concorsi statali, imposta dalle complesse esigenze della coltura stessa (irrigazione, concimazione ecc.). Grazie all'equilibrio che così si determina fra iniziativa individuale e concorso sociale, la maggior parte dei materiali necessarî alla vita può venire prodotta localmente; cosicché, nei suoi casi più caratteristici, la coltura orticola costituisce un tipo economico adatto all'addensarsi in uno spazio ristretto di una popolazione non soltanto numerosa, ma anche caratteristicamente indipendente, potendo i popoli che la praticano prescindere quasi completamente dal commercio esterno. Tipici esempî di questo regime colturale incontriamo sporadicamente fra i popoli occidentali di civiltà più elevata e, altrove, presso i Messicani ed i Peruviani; ma soprattutto essa ha durato per qualche millennio e persiste tuttora in Cina. Grazie ad essa, in quest'ultimo immenso paese, la densità della popolazione raggiunge in media i 600 abitanti ed eccezionalmente i 1200-1500 abitanti per kmq.

Finalmente, l'intima associazione dell'agricoltura con l'allevamento degli animali domestici ha condotto alla coltura arativa, forma di economia agraria certo altrettanto antica quanto la precedente, e propria delle popolazioni primitive dell'Europa, dell'Africa settentrionale e dell'Asia occidentale; da noi, come abbiamo visto, essa dura dal Neolitico in poi, e, grazie alla tecnica raffinata di popolazioni che hanno raggiunto i gradi più elevati di civiltà, è giunta a dare il massimo di produzione. Sino dai suoi primordî essa risponde infatti bene alle sue esigenze fondamentali, perché se, come si è detto, il bestiame fornisce la forza di trazione ed il concime, il campo produce a sua volta il foraggio, che assicura il mantenimento degli animali domestici e, in determinate stagioni, funziona addirittura come luogo di pascolo. Oggetto di coltura arativa sono anzitutto i cereali, poi la patata (generalizzatasi in Europa dal sec. XVIII in poi), poi piante a radici commestibili, legumi, piante oleifere, foraggiere, tessili. Strumenti, l'aratro (v.), l'erpice ed il rullo a trazione animale. Le prime aree ridotte a coltura arvense sembrano essere state quelle originariamente prive di vegetazione arborea, e soltanto con l'accrescersi della popolazione cominciarono ad essere accaparrati terreni forestali richiedenti un intenso lavoro preliminare di abbattimento di alberi e di liberamento del suolo dalle radici e dal grosso pietrame. Soltanto in un secondo tempo è possibile infatti procedere in esso all'aratura, grazie alla quale si ottengono superficie uniformi a terreno profondo, regolarmente percorse da solchi paralleli, cioè il campo, il quale si presta alla semina regolare di un'unica specie culturale e che verrà anzi accuratamente difeso dalle piante infeste.

Si sono poi verificati, nel succedersi dei tempi, differenti gradi di sfruttamento del terreno. Originariamente si coltivavano sempre nuovi appezzamenti, estendendo progressivamente il dissodamento del suolo vergine. Quando questo cominciò a mancare e la proprietà terriera venne più strettamente definita, sorse la necessità di alternare, sulle singole aree, periodi di coltura e periodi di riposo; e noi troviamo infatti, all'inizio dei tempi storici, il terreno dissodato coltivabile occupato annualmente dalle colture per la sola parte corrispondente alla necessità della popolazione rurale e del suo commercio, e per il resto dal pascolo comune. Negli anni successivi questo cede poi regolarmente il passo allo spostarsi graduale dei campi, i quali finiscono così col percorrere tutta l'area disponibile, ogni parcella della quale viene, entro un certo volgere di tempo, assoggettata ad un anno di coltura cui seguono parecchi anni di riposo e di concimazione da parte del bestiame pascolante. È appena il caso di accennare che, nei tempi storici, queste disposizioni atte a ridare al terreno, esaurito dalla coltura, la primitiva fertilità, si sono perfezionate ed arricchite di numerosi particolari, frutto dell'esperienza rurale e delle ricerche scientifiche. Così già al secolo VIII d. C. risale il sistema dei tre campi, secondo il quale la coltura arvense viene, come è noto, suddivisa in tre turni, uno dei quali destinato ad una specie invernale, uno ad una specie estiva ed il terzo al riposo; e così già nell'antichità classica si hanno accenni all'azione fertilizzante delle colture di leguminose alternate con quelle dei cereali, pratica che ha poi trovato un'applicazione metodica a cominciare dal sec. XVI.

La coltura campestre di carattere specializzato e prettamente estensivo può alimentare soltanto una popolazione limitata, perché una volta che tutta l'area disponibile è sfruttata, un ulteriore aumento della produzione diventa impossibile, ed anche l'applicazione di processi di coltura intensiva, consentiti dal perfezionamento della tecnica agraria, non permette l'aumento della produzione al di là di una determinata misura. Dove nuove terre utilizzabili diventano accessibili alla coltura campestre, essa è destinata ad estendersi; dove queste mancano, le popolazioni rurali che la praticano, raggiunta una certa densità, sono obbligate a migrare in paesi più o meno lontani ed ancora suscettibili di sfruttamento.

Infine, una trattazione anche breve sull'origine e sulle condizioni dell'agricoltura nelle popolazioni primitive non può omettere il ricordo delle cosiddette semicolture; col quale termine vengono indicate principalmente quelle associazioni vegetali comunemente note come bosco e prato. Il bosco, costituito per lo più nei nostri paesi da una specie arborea unica o nettamente dominante ed assoggettata a turni regolari di taglio secondo i due tipi della fustaia e del ceduo, depauperato della maggior parte della sua flora e della sua fauna spontanea, e difeso contro i danni delle acque selvagge e dell'inconsulto sfruttamento umano, è un prodotto artificiale recente ed assai differente dalla foresta primitiva, più varia di composizione, anche perché più ricca di stazioni assai diverse fra di loro, grazie all'irregolare distribuzione delle acque che ce la presentano sempre più o meno intimamente associata ad aree paludose. Appunto l'uso già accennato del fuoco da parte dei primitivi abitanti, le opere di bonifica iniziatesi in forma rudimentale sin da tempi assai antichi e le varie forme più o meno legittime di sfruttamento, hanno dato inizio alla trasformazione delle aree boschive. Parimenti artificiale è il prato, che può essere definito l'opera della falce. Soltanto la falciatura periodica di consorzî erbacei di diversa origine (abbattute di foreste, irrigazione di aree aride, bonifiche di paludi), associata ad una certa regolarità nella distribuzione delle acque, ha potuto consentire la selezione di specie, prevalentemente graminacee, capaci di cestire, accrescendosi vegetativamente e costituendo un feltro erboso, del quale i primitivi osservatori hanno probabilmente trovato l'esempio e valutati i vantaggi sul margine di terreni paludosi. Ma anche la prateria non conservarsi più del bosco, quando non ne vengano accuratamente protette le condizioni.

Lo sviluppo dell'agricoltura. - Non è possibile fare una vera storia dell'agricoltura senza tener conto di tutti gli aspetti della vita sociale e politica, estendendo perciò la ricerca a tutta la storia della civiltà. Questo vale in particolar modo per i popoli più antichi - basti pensare all'Egitto - per i quali l'agricoltura informa non solo la vita economica e pratica, ma anche l'arte, la letteratura, la scienza e perfino la religione. Le più remote tracce di vita agricola in età storica vanno ricercate nella storia babilonese ed egiziana: sulle rive dei grandi fiumi, del Tigri, dell'Eufrate e del Nilo, periodicamente fecondate dalle alluvioni, apparvero i segni della prima coitivazione regolare della terra. Alcuni millennî prima di Cristo il territorio babilonese fu trasformato nella più fertile pianura che la storia ricordi. Disciplinato con dighe il corso del Tigri e dell'Eufrate, e utilizzata l'enorme massa d'acqua mediante una vasta opera di canalizzazione, il suolo della Mesopotamia divenne di una fecondità addirittura favolosa. Prodotti principali erano il frumento e l'orzo, che rendeva, secondo si narra, fino al 300 per uno: venivano in secondo luogo i datteri e l'olio di sesamo. Scarsissima era l'arboricoltura, e mancava del tutto l'olivo. Quanto all'ordinamento della proprietà rurale, vigeva il criterio della piccola coltura, che implicava, se non la proprietà individuale, almeno la divisione per gruppi di poche famiglie. Ci sono pervenuti, e sono stati ormai in gran parte decifrati, numerosissimi contratti di lavoro, di vendita, di locazione, di mezzadria, ecc.

Grazie al Nilo ed alle sue annue inondazioni, non meno fiorente che nella Mesopotamia si svolgeva l'agricoltura in Egitto. Sulle sponde del Nilo, in una zona larga pochi chilometri, ma lunga parecchie centinaia, si addensò a poco a poco una popolazione che raggiunse fin sette milioni di abitanti e che, in un territorio non più grande della valle del Po, riuscì ad ottenere una produzione eccedente di molto i suoi bisogni. Ancora nel sec. VII d. C. l'Egitto inviava a Costantinopoli 350.000 ettolitri di grano all'anno. Oltre il grano e i cereali in genere, orzo, miglio, ecc., si coltivavano legumi, ortaggi, frutta ed anche l'olivo e la vite. Grande importanza assunse la coltivazione della canapa e del lino, da cui trassero alimento famose industrie tessili. Le pitture od iscrizioni pervenuteci ci dànno notizia degli strumenti agricoli dei quali facevano uso gli Egiziani: la zappa o sarchiello, la falce, l'aratro - la cui invenzione si attribuiva ad Osiride - il flagello per trebbiare, ecc. Proprietario della terra era lo stato, che la dava in fitto ai privati: i confini dei campi venivano spesso cancellati dalle periodiche alluvioni e conveniva segnarli di nuovo dopo il ritiro delle acque. Una fitta rete di canali di irrigazione e di scarico contribuiva a rendere il terreno ancor più fecondo e atto alla coltivazione di piante, che, come il lino, abbisognano di grande umidità. La necessità di dividere i campi, quella di prevedere le alluvioni, di regolare il corso delle acque e di misurare i tempi, diedero impulso allo sviluppo delle scienze, e in particolar modo alla geometria ed all'osservazione di alcuni fenomeni astronomici (per esempio il levare eliaco di Sirio).

La civiltà babilonese e quella egiziana si congiunsero e si fusero specialmente per opera dei Fenici, popolo eminentemente commerciale, che fece da ponte tra Oriente e Occidente. La Fenicia, chiusa tra il mare e i monti, e soprattutto la Siria, montuosa e confinante col deserto, non erano adatte a una grande coltura di cereali come la Mesopotamia e l'Egitto: diffusione grandissima ebbero invece l'arboricoltura e il giardinaggio, e famosa divenne la coltivazione dell'ulivo, della vite e dei cedri. I boschi fornivano in abbondanza il materiale da costruzione per le navi destinate a quell'intenso traffico commerciale che assicurò ai Fenici un assoluto primato, fino all'affermarsi della nuova civiltà greca.

Tra gli altri popoli orientali sono da ricordare i Lidî, che giunsero poi al dominio di tutta l'Asia Minore; gli Ebrei, dediti nella massima parte all'agricoltura (orzo, vite, olivo e fico) e all'allevamento del bestiame; gli Indiani, che, per le particolari caratteristiche delle zone coltivate, riuscirono ad ottenere una grande varietà di prodotti (riso, frumento, orzo, legumi, agrumi, canna da zucchero, cocco, e specialmente pepe, cannella, garofano ed altre piante aromatiche); e infine i Persiani, che, sotto gli auspici della legge di Zaratustra, si consacravano con fervore religioso all'agricoltura, all'allevamento del bestiame e all'arte del giardinaggio.

In Europa, la prima regione che avvertì l'influsso della civiltà orientale, soprattutto attraverso la Siria, l'Asia Minore e l'Egitto, fu la Grecia. Regione straordinariamente frastagliata, con poche ampie pianure, in gran parte sterile per mancanza d'acqua, la Grecia mal si prestava alla coltivazione dei cereali; scarsissima era quindi la produzione del frumento, e poco rilevante anche quella dell'orzo e del farro; grande sviluppo ebbe invece la coltura della vite e celebri divennero alcuni vini, esportati in notevole quantità; grande importanza ebbe pure l'olivo, tanto per l'olio destinato a varî usi, quanto per il legno molto ricercato. I Fenici introdussero forse la coltivazione del fico, che ben presto si estese a tutta la Grecia.

Con un'attività agricola così limitata, la Grecia non poteva bastare a sé stessa, e altre vie doveva cercare per sopperire ai proprî bisogni e svilupparsi. L'angustia e l'insufficienza del suolo divennero per tal modo stimolo incalzante all'attività del popolo ellenico, e ragione principale del fiorire delle arti, delle industrie, e, soprattutto, della marina mercantile e del commercio mediterraneo. Il bisogno di cercare altrove quel che mancava alla propria terra favorì anche il sorgere delle numerose colonie disseminate tra il Mar Nero e l'Italia meridionale. Queste colonie divennero esportatrici di cereali e in particolar modo di grano; la Grecia a sua volta di olio, vino e prodotti industriali.

Grande importanza i Greci attribuirono sempre all'agricoltura, e ne fanno testimonianza, oltre alla letteratura da Esiodo in poi, le legislazioni delle varie epoche. La terra libera e divisa in piccole proprietà, veniva coltivata in gran parte dagli stessi proprietarî: nella legislazione di Solone si trovano norme per la protezione dei confini e le prime disposizioni riguardanti le servitù.

L'agricoltura in Italia prima dell'epoca romana. - Agli antichi Greci l'Italia appariva come un paese di carattere più nordico che meridionale. La vegetazione, per la massima parte diversa da quella di oggi, era prevalentemente boscosa, ed il clima stesso, in conseguenza, più freddo e più umido. Boschi e fitte foreste ricoprivano perfino la valle del Po, la Liguria e le pianure della Lombardia e dell'Emilia.

La vita civile in Italia ha origini antichissime, ma la sua prima affermazione si ha per merito degli Etruschi: popolo alacre e lavoratore, dedito al commercio ed alle industrie, essi tennero in gran conto pure l'agricoltura e riuscirono a far prosperare le loro terre, sì da renderle famose nell'antichità e da destare l'ammirazione dei Romani, quando la prima volta le raggiunsero. Grandi campi di cereali: orzo, frumento, ma specialmente spelta o farro; ricchi vigneti, che resero celebri fin dall'antichità i vini della Toscana; boschi con alberi giganteschi; estesi terreni per il pascolo di mandre e di greggi; numerose miniere di metalli, di pietre e di marmi, facevano dell'Etruria una delle regioni più opulente che la storia ricordi.

Alla fertilità ed alla ricchezza del suolo contribuirono gli Etruschi con le grandiose opere di bonifica, che si estesero a quasi tutta l'Italia, dalle Alpi al Lazio. La pianura padana fu prosciugata, e così pure i territori di Mantova, di Padova, di Verona, le pianure di Arezzo, di Firenze e il Valdarno superiore. Altri lavori di bonifica furono compiuti nell'Umbria e nel Lazio: le paludi Pontine vennero coltivate e rese abitabili.

Le altre regioni della penisola che ebbero una rigogliosa agricoltura prima dell'epoca romana sono le Calabrie e la Sicilia. La loro storia agricola si inizia con la colonizzazione greca ed è strettamente collegata con le vicende dell'agricoltura in Grecia. Le principali colonie greche della Magna Grecia (Metaponto, Taranto, Lipari, Reggio, ecc.) si dedicarono soprattutto al commercio ed alle industrie, e alcuni porti, come Taranto e Lipari, divennero gli scali più importanti per il commercio con le regioni settentrionali e con l'Oriente. Ciò non ostante, anche l'agricoltura ebbe uno sviluppo importantissimo, dovuto in gran parte alla straordinaria fertilità del suolo. Vino e olio erano i prodotti principali, e venivano esportati in notevole quantità: molto diffuso e perfezionato l'allevamento del bestiame, e in particolar modo delle pecore, le cui lane erano tenute in gran pregio.

Prevalentemente agricolo fu lo sviluppo della Sicilia, in un primo tempo caratterizzato dalla pastorizia e in seguito, nei primi secoli della colonizzazione greca, dalla granicoltura, che ben presto divenne fiorente e fece della Sicilia uno dei granai della Grecia e ancor più di Roma. Vini, olî, formaggi e pelli furono gli altri prodotti principali di esportazione.

L'agricoltura presso i Romani. - Gli storici non sono d'accordo sulle condizioni agricole di Roma all'epoca dei re e del più antico periodo della repubblica. La tradizione di una fiorente agricoltura non è parsa giustificata a molti studiosi, che, ponendo mente alla vita belligera dei Romani, hanno ritenuto tale tenore di vita incompatibile con quello pacifico del lavoratore dei campi. Non mancano tuttavia buone ragioni per affermare che agricoltura e commercio siano stati sempre tenuti in gran conto dai Romani fin dai tempi più remoti. Il suolo del Lazio non è stato mai dei più adatti per una fiorente coltivazione: grandi boschi ed estese paludi non consentivano un rapido sviluppo ed escludevano la possibilità di una buona coltura intensiva. Prodotti principali furono quasi esclusivamente i cereali, e soprattutto il farro, che serviva a tutti quegli usi, ai quali fu poi destinato il frumento. Le colline e le montagne erano riservate al pascolo. Lo stato di continua guerra che caratterizza la storia dell'antica Roma contribuiva a limitare l'agricoltura alla coltivazione dei cereali ed al pascolo: vigneti, oliveti e arboricoltura in genere esigono invece il tranquillo lavoro di generazioni.

Nella più antica epoca repubblicana la proprietà terriera si distingueva in privata e pubblica. La prima apparteneva alla gente o famiglia, sotto la sovranità del suo capo o padre, ed era giuridicamente costituita dal fondo con le relative servitù, dalla casa, dagli schiavi e dal bestiame: la seconda era l'agro pubblico, che veniva dato in fitto o in possesso, dietro un corrispettivo, ai capi delle genti o delle famiglie (v. agro e agrarie, leggi).

Con l'espansione e la colonizzazione dei Romani, i caratteri dell'agricoltura del Lazio vennero gradatamente a mutarsi: i primitivi bisogni trovarono più larga e facile soddisfazione nelle terre di conquista, e nuove esigenze invece si affacciarono per la più raffinata vita dei nobili e dei plebei. La storia dell'agricoltura del Lazio si collega per tal modo alla storia del movimento coloniale romano, e ne subisce le conseguenze buone e cattive.

Vinti i nemici, i Romani si impadronivano di un terzo delle terre, che veniva così a far parte dell'agro pubblico. Le colonie propriamente dette erano costituite da nuclei di soldati-agricoltori, che si trasferivano con le loro famiglie nei territorî conquistati, formandovi dei comuni autonomi collegati allo stato. Gli abitanti indigeni, quando non preferivano vivere a parte accanto alle colonie, ne diventavano membri con diritti eguali o inferiori.

Allargatasi l'espansione romana a quasi tutti i territorî italici, e assicurato, in maniera pressoché gratuita, l'approvvigionamento mediante i grani della Campania, della Sardegna e della Sicilia, la coltura dei cereali nel Lazio andò sempre più decadendo. La vite venne ad occupare il primo posto tra le varie coltivazioni; grande diffusione acquistò pure l'olivo, e nei dintorni di Roma cominciarono ad estendersi i famosi orti.

Con l'ulteriore sviluppo della potenza romana la trasformazione dell'agricoltura del Lazio si estende a poco a poco a tutta la penisola. Roma va conquistando il mondo e i suoi mercati si moltiplicano in tutto il Mediterraneo: contemporaneamente la sua esperienza si arricchisce di quella dei popoli vinti: nuovi metodi e nuove colture si diffondono, la mano d'opera si accresce di una moltitudine di schiavi, apportatori anch'essi di elementi tecnici preziosissimi. L'agricoltura muta così di carattere e fa rapidi progressi: i boschi si diradano, la cerealicoltura passa in secondo piano e dovunque nella penisola fioriscono vigneti, oliveti, frutteti e giardini. Grande sviluppo acquista pure la pastorizia, e alle greggi vengono aperti grandi pascoli, sottratti alla coltivazione del grano. Sulla fine della repubblica, l'Italia raggiunge il più alto grado di perfezione agricola e vien decantata come il giardino del mondo.

Senonché le stesse ragioni che avevano determinato un tale sviluppo e un tale perfezionamento finiscono per contribuire, in un secondo tempo, a un processo inverso di rilassatezza e di decadenza. La vita diventa sempre più raffinata, l'amore per la terra e per i lavori agricoli sempre meno sentito; la coltivazione viene affidata per la massima parte agli schiavi e il fenomeno dell'urbanesimo dà origine allo spopolamento delle campagne. L'azienda rurale di tipo patriarcale, che prima caratterizzava la vita agricola di Roma, viene gradatamente a scomparire, e con essa si spezza un'unità fondamentale: classi superiori e classi inferiori divengono ormai due termini antitetici, che, appunto per la loro estraneità, condurranno fatalmente alla dissoluzione.

Uno degli effetti della crisi, e forse il più grave per l'economia rurale, è senza dubbio il costituirsi e il moltiplicarsi dei latifondi. Mutato l'ordinamento economico delle classi e aumentato in enorme misura il numero degli schiavi, diventa inevitabile il formarsi dei grandi capitali e il riassorbimento progressivo della piccola nella grande proprietà. Latifundia Italiam perdidere (Plinio). Tuttavia la decadenza fu lenta, e durante l'epoca imperiale l'Italia ha ancora un'agricoltura abbastanza florida: solo alcune regioni cominciano a mostrare i segni del futuro abbandono. Ma alle cause più profonde della crisi altre se ne aggiungono, e la situazione si aggrava sempre più: natalità diminuita, burocrazia dilagante, gravami fiscali onerosissimi, deprezzamento della moneta, ecc., contribuiscono a dissestare la vita economica dell'impero. Negli ultimi secoli la crisi si accentua e si estende: l'Etruria, la Campania, l'Apulia, la Lucania e la Calabria vanno rapidamente spopolandosi; la pressione fiscale diventa intollerabile e giunge fino a costringere i proprietarî a distruggere alberi e viti per sfuggire alle imposte. Il trasferimento della capitale a Bisanzio e l'invasione barbarica segnano il definitivo crollo dell'agricoltura romana.

L'agricoltura in Italia dal Medioevo ad oggi. - Lo stabilirsi dei barbari in Italia riportò il paese al suo aspetto primitivo. Abbandonate le colture più raffinate, si ritornò ai prodotti che si confacevano a una vita economica molto elementare. Ebbe grande incremento la pastorizia, cui più facilmente si adattavano popoli rozzi e poco esperti di lavori agricoli. Si abbandonarono le grandiose opere di bonifica del terreno, cosicché le paludi resero nuovamente incoltivabili regioni fertilissime. Maggiore resistenza a questo processo d'involuzione offrirono le regioni meridionali, e soprattutto la Calabria e la Sicilia.

Dalla decadenza spaventosa dell'alto Medioevo, che culminò nel sec. IX, l'agricoltura italiana non si risollevò se non con grande fatica e attraverso complesse vicende storiche. Le cause della crisi, infatti, non erano state di carattere meramente economico e non potevano rimuoversi con provvedimenti di natura estrinseca: era tramontata una civiltà, e un'epoca nuova doveva instaurarsi con elementi affatto diversi. Finché questo spirito nuovo non informerà la vita italiana, l'agricoltura non potrà superare la crisi sofferta. Un lento processo di fusione dei popoli barbarici con quelli italiani cominciò a preparare le condizioni del risanamento. Per quanto radicale fosse stata la distruzione dell'antica civiltà, gli elementi fondamentali di essa erano stati tuttavia assorbiti dagli invasori; essi costituirono, quindi, i germi della rinascita. Ma le difficoltà da superare erano enormi: occorreva bonificare e dissodare ex novo intere regioni, rinnovare colture dismesse da secoli, preparare una organizzazione economica rurale confacente ai nuovi tempi e alle nuove esigenze.

Le terre cominciarono ad assegnarsi ai coltivatori in enfiteusi, con contratti a lunghissima scadenza, tali da permettere ai possessori di cogliere il frutto della loro opera di bonifica e di miglioramento dei fondi. Dato lo scarso valore immediato di terreni tanto trascurati, e per invogliare all'ardua impresa della loro coltivazione, le condizioni economiche dei contratti di enfiteusi erano delle più favorevoli, e alcune volte il canone fisso da pagare era ridotto a proporzioni addirittura irrisorie. I primi segni di risveglio si notano specialmente sulle coste, dove erano i maggiori centri dell'antica civiltà e dove la vita commerciale non si era mai spenta del tutto. In Sicilia il risorgimento rapido e profondo era stato favorito dall'invasione degli Arabi, che, pur eliminando quasi affatto vigneti ed oliveti, diedero nuovo impulso all'agricoltura e introdussero nuove coltivazioni, come quelle degli agrumi e del riso. Ma un rinnovamento più radicale si cominciò ad affermare con il fiorire delle prime repubbliche marinare, le quali, se aprirono di nuovo all'Italia le grandi vie commerciali, si dedicarono pure, con l'entusiasmo che veniva loro dal senso di libera proprietà delle terre, alla restaurazione dell'agricoltura. Si inaugura così per l'Italia un periodo di floridezza, che va presso a poco dall'inizio del sec. XII fino al sec. XVI. L'intensissima vita commerciale e industriale si rifletté necessariamente anche su quella agricola, ponendo a disposizione di questa ingenti capitali e aprendo ai suoi prodotti i mercati di tutto il mondo. I rapporti continui con gli altri popoli favorirono pure il diffondersi di colture esotiche, che rapidamente acquistarono grande importanza. Oltre che degli agrumi e del riso, s'iniziò la coltivazione della canna da zucchero e quella del cotone, entrambe probabilmente introdotte dagli stessi Arabi. Dalla Sicilia queste coltivazioni si diffusero qua e là per tutta l'Italia, a seconda dei climi e delle condizioni dei terreni.

Le opere di bonifica si intensificarono e i terreni paludosi tornarono nuovamente fertilissimi; grandi canali irrigatori si costruirono specialmente nell'alta Italia, valorizzando terreni altrimenti sterili; si limitarono notevolmente le zone boschive e i terreni destinati al pascolo. Contemporaneamente l'aumentata ricchezza riconduceva ai più raffinati bisogni, e le colture superiori acquistarono di nuovo un grande sviluppo: fiorirono vigneti e oliveti, e riacquistarono l'antica fama, anche fuori d'Italia, i nostri vini ed olî. Per dare incremento alle industrie tessili, si diede impulso non solo alla coltivazione del cotone, ma anche a quella del gelso, del lino e della canapa.

La prosperità commerciale e industriale, e, in misura corrispondente, quella agricola ad essa strettamente collegata, non andò tuttavia oltre la fine del sec. XV e la prima metà del sec. XVI. Già negli ultimi decennî del '400 nuovi fattori della storia mondiale intervennero ad alterare l'equilibrio europeo, e il traffico italiano ne risentì ben presto dannosissimi effetti. La caduta di Costantinopoli aveva chiuso al nostro commercio le vie dell'Asia centrale; il passo di Buona Speranza apriva ad altre nazioni occidentali la via delle Indie; la Francia, la Germania, l'Olanda, l'Inghilterra, a loro volta progredite nelle industrie e nei commerci, cominciavano a fare all'Italia una forte concorrenza; la scoperta dell'America, infine, apriva nuovi orizzonti e imponeva la necessità di forti marine mercantili, che vennero a porsi accanto alla nostra. Intanto le condizioni politiche dell'Italia sotto l'incubo degli stranieri, le abitudini di vita sorte con gli agi e le ricchezze, la rilassatezza dei costumi e le discordie civili non consentivano di far fronte energicamente alla nuova situazione e di reggere alla concorrenza straniera. Molti mercati vennero sottratti, molte industrie decaddero o cessarono, il ritmo della vita economica italiana andò allentandosi, e l'agricoltura finì col subire la stessa sorte, anche per la notevole diminuzione dei capitali di cui essa poté ulteriormente disporre. Sintomo caratteristico di questo impoverimento generale del paese e della vita agricola in ispecie è la grande diffusione che verso la fine del sec. XVI assunse la coltivazione del grano turco, prima destinato esclusivamente al foraggio e d'allora in poi divenuto alimento principale della massima parte della popolazione. Circa un secolo dopo comincerà a generalizzarsi anche l'uso delle patate, destinate ben presto a occupare uno dei primi posti nell'alimentazione del proletariato. La coltivazione del frumento andava gradatamente limitandosi, e, per lo più mal condotta, diveniva scarsamente redditizia.

Le sorti dell'agricoltura in Italia vanno di pari passo, dopo il sec. XVI, con le condizioni politiche della penisola. E quando, nella seconda metà del sec. XVIII, compaiono i primi segni del rinnovamento, l'attenzione torna a volgersi ai campi e nuove energie vengono ad essi consacrate. Leopoldo II di Toscana compie il prosciugamento delle paludi della Val di Chiana e riduce la distesa delle maremme; a Firenze si afferma e diventa benemerita degli studî agricoli l'Accademia dei Georgofili, fondata nel 1753; Pio VI inizia la bonifica delle paludi Pontine; il Piemonte estende la coltivazione del riso nella Lomellina; il ministro Tanucci, a Napoli, dà incremento all'agricoltura e la incoraggia con speciali disposizioni legislative; un simile movimento, infine, si verifica a Milano, promosso in gran parte dagli uomini di cultura che si riunivano intorno al Caffè. Intanto i progressi scientifici e le nuove teorie ed esigenze sociali cominciano a gettare le basi per quel più radicale mutamento dell'agricoltura italiana che avrà inizio nel secolo successivo.

Alla vigilia della rivoluzione francese le condizioni generali di tutta l'Europa non erano tali da favorire lo sviluppo dell'agricoltura. Il terreno era tecnicamente mal coltivato, i mezzi di trasporto difficili e insufficienti; i sistemi fiscali gravissimi distoglievano i capitali dalla terra ed ostacolavano fortemente il commercio. Alla fine del sec. XVIII e nei primi decenni dell'800, dopo lo sconvolgimento generale apportato dal periodo rivoluzionario, l'agricoltura cominciò ad avvertire gli effetti del nuovo impulso impresso alla vita sociale, e così in Francia come in Italia prese a rifiorire, nella misura consentita dalle condizioni politiche tuttora molto instabili.

Alle vicende politiche del Risorgimento è subordinata la storia dell'agricoltura italiana fino al 1870, epoca in cui si può dire incominci il periodo del maggiore incremento. I fattori che agevolano il più rapido sviluppo sono, oltre alla relativa tranquillità politica, i notevolissimi progressi delle industrie in genere e, in particolar modo, dell'industria chimica per la fabbricazione dei concimi razionali, dell'industria meccanica e metallurgica per la fabbricazione delle macchine agricole. A questi potenti ausilî un altro di enorme importanza se ne aggiunge ben presto, con la costruzione della rete ferroviaria e con la conseguente radicale trasformazione dei mezzi di trasporto.

Si inizia così, alla fine del sec. XIX, un nuovo periodo per la storia dell'agricoltura italiana e mondiale. La rapidità dei trasporti, e ancor più quella delle comunicazioni telegrafiche, consentono a poco a poco il formarsi di mercati sempre più estesi e, entro certi limiti, di un mercato internazionale unico: si pensi al funzionamento delle borse delle merci, che permettono una relativa immediata perequazione della domanda e dell'offerta di prodotti agricoli in tutto il mondo. Alla storia dell'agricoltura di questi ultimi decenni è strettamente connesso anche lo sviluppo gigantesco della banca e specialmente del credito fondiario. La relativa facilità di procurarsi i capitali necessarî al miglioramento dei fondi, l'accrescersi dei risparmî fruttiferi e tutte le altre facilitazioni che le banche arrecano al commercio e agli scambî, hanno contribuito in misura notevole al soddisfacimento dei bisogni essenziali della industria agricola. Rapidità di comunicazioni, unità di mercati, sviluppo della banca e del risparmio hanno consentito poi all'agricoltura di sottrarsi, per quanto è possibile, agli effetti aleatorî della diversità dei raccolti, e a tutti quegli altri che nel passato erano fonte continua di disagio economico, di crisi più o meno gravi ed estese, di carestie spesso disastrose.

Bibl.: A. De Candolle, L'origine des plantes cultivées, Parigi 1883; Ch. Joret, Les Plantes dans l'Antiquité et au Moyen Age, I e II, Parigi 1897-1904; Ed. Hahn, Die Entstehung der Pflugkultur, 1909; id., Von der Hacke zum Pflug, 1914; C. Neuweiler, Die praehistorischen Pflanzenreste Mitteleuropas, Zurigo 1905; J. Hoops, Waldbäume und Kulturpflanzen im germanischen Altertum, Strasburgo 1905; V. Hehn, Kulturpflanzen und Haustiere, 3ª ed., Berlino 1911; I. De Morgan, L'Humanité préhistorique, Parigi 1921; J. Bruhnes, La Géographie humaine, Parigi 1924; F. Krause, Das Wirtschaftleben der Völker, Breslavia 1924; W. Schmidt e W. Koppers, Gesellschaft und Wirtschaft der Völker, Ratisbona 1924; N. Rostovzeff, The social and economic history of the Roman Empire, Oxford 1925; J. Toutain, L'économie antique, Parigi 1927. Per lo sviluppo storico dell'agricoltura, v. G. Rosa, Storia dell'agricoltura nella civiltà, Milano 1883; V. Niccoli, Saggio storico e bibliografico dell'agricoltura italiana, Torino 1902; C. Ohlsen, Storia e sviluppo dell'agricoltura e sua importanza, Roma 1874; O. Orlandini, Sommario analitico della storia dell'agricoltura italiana esaminata nei suoi rapporti con le vicende politiche della penisola, Firenze 1867; C. Bertagnolli, Storia dell'agricoltura, in Digesto italiano; id., Delle vicende dell'agricoltura in Italia, Firenze 1881; R. Ricci, Compendio storico dell'agricoltura italiana, Catania 1920; V. Cancelon, Histoire de l'agriculture, Parigi 1857; N. Scott Brien Gras, A History of Agriculture in Europe and America, New York 1925. Per una più esauriente bibliografia sull'argomento cfr. G. Acerbo, Studii riassuntivi di agricoltura antica, Roma 1927.

Stato presente dell'agricoltura in Italia.

Il patrimonio agricolo. - Il patrimonio rustico italiano (terreni, case, bestiame e beni mobili diversi) calcolato in lire carta nel 1925, ha un valore, secondo il Gini, di circa miliardi 250, cui corrisponderebbe un reddito globale di circa miliardi 32.

La produzione lorda agricola è stata oggetto di molteplici valutazioni; ma le cifre date dai diversi studiosi, alquanto discordanti fra di loro, non sono rigorosamente confrontabili perché calcolate con metodi diversi e in momenti molto diversi di valore della moneta. Registriamo qui quella del Valenti per il 1910 in 7 miliardi di lire oro: quella del Carlucci (1924) riferibile alla media triennale 1920-22 in L. 35.642.000.000, pari a miliardi 8,5 di lire oro; e quella recentissima del Franciosa (1928), riferita alle produzioni del 1927, in L. 42.408.000.000, pari a lire oro 11.196.000.000, e calcolata all'origine e cioè ai prezzi effettivamente realizzati dall'agricoltura.

Se si pensa che nel 1904 era ancora valutata in meno di 5 miliardi la produzione lorda agraria, fatta pur la debita parte alla larga approssimazione dei computi e all'apporto delle terre redente, è facile vedere il grande progresso fatto dall'Italia agricola negli ultimi lustri. Tuttavia i suoi prodotti non bastano a soddisfare il fabbisogno alimentare della popolazione italiana: si calcola che essi vi sopperiscano nella proporzione dell'85%.

In compenso essi dànno luogo ad una esportazione all'estero per circa sei miliardi di lire annue, ai quali vanno aggiunti miliardi 3,5 a 4,5 di prodotti esportati dalle industrie, ma fabbricati prevalentemente con materie fornite dall'agricoltura (allevamenti e foreste comprese).

Infine più della metà della popolazione (20.097.476 abitanti su 39.943.528 del regno, comprese le nuove provincie, nel 1921) vive dell'agricoltura. In quali forme sia ad essa cointeressata (proprietà, fittanze, mezzadria, salariato ecc.) e come distribuita nei varî compartimenti, risulta dalle tabelle seguenti:

Questa popolazione con la sua mirabile virtù operosa e parsimoniosa e con il suo tenace amore alla terra, ha fatto di gran parte del nostro paese - tutt'altro che favorito dalla natura come si è per tanto tempo favoleggiato - un'accolta molteplice, se pur non ancora completa, di ridenti e produttivi giardini.

Caratteristica saliente dell'agricoltura italiana è la molteplicità e varietà dei terreni e delle colture, dal nord al sud, entro i suoi undici gradi di latitudine, influenzate dalle esposizioni e altitudini, dalle zone di collina (40% della superficie territoriale del regno) e di montagna (40%) e dai mari che circondano penisola e isole per 8000 chilometri. Cereali e legumi, piante industriali e foraggere si coltivano nelle specie e varietà più diverse in seminativi semplici o arborati, nei quali ultimi predominano viti, olivi, fruttiferi, agrumi, gelsi. Il quadro è completato da pascoli, castagneti e boschi.

Tutta questa varietà di colture, di condizioni ambientali, di sistemi di conduzione, determina l'esistenza non di una, ma di più Italie agricole, secondo l'espressione del Jacini, e quindi una grande varietà di tipi di aziende che vanno dalla frazione di ettaro alle migliaia di ettari, e, in ciascun tipo, dalle alte e altissime alle mediocri produzioni lorde unitarie. Portiamo qualche esempio:

"Nel tipo di grande azienda irrigua lombarda, condotta a salariati, troviamo produzioni lorde di 5000 lire ad ettaro, che si distribuiscono pel 40-45% circa al lavoro manuale e pel 20% (lordo d'imposte) alla proprietà e impresa (escluso il reddito dei capitali di esercizio e del lavoro direttivo).

"Nel tipo di azienda asciutta della pianura padana, condotta a mezzadria, troviamo produzioni lorde di 3-4000 lire, che si ripartiscono in ragione di ⅓ circa al lavoro manuale e ¼ alla proprietà e impresa.

"In altro tipo simile al precedente, di piccola azienda a conduzione famigliare, ma meno intensivo, dell'Italia centrale, una produzione lorda di 2500 lire va pel 45% al lavoro manuale e pel 30% costituisce reddito di proprietà ed impresa.

"Nei tipi estensivi di grandi aziende, come quello latifondistico cerealicolo, condotto con mano d'opera salariata, si riscontrano produzioni lorde di 6-700 lire per ettaro di cui il 45% assorbite dal lavoro manuale e il 20% dal reddito del proprietario-imprenditore.

"In tipi di aziende altamente intensivi, infine, come quelli agrumicoli, non depressi dalla crisi, il prodotto lordo supera le 10.000 lire ad ettaro ed è per meno di 1/5 assorbito dal lavoro manuale e va per quasi 2/3 alla proprietà ed impresa" (Tassinari, 1927).

La superficie agraria e forestale del regno si suole ripartire nelle grandi categorie di terre produttive che risultano dal prospetto seguente, nel quale è indicata la superficie da ciascuna categoria occupata immediatamente prima della guerra (nei vecchi confini) e nel 1927 (entro i nuovi confini).

Come si vede, grande è lo sviluppo dei seminativi che, fra semplici e arborati, occupano il 42% dell'intera superficie territoriale e il 45,7 della superficie agraria e forestale, ponendo l'Italia fra le nazioni d'Europa che hanno la maggiore estensione del proprio territorio sottoposto a coltura.

Ai seminativi fanno seguito prati e pascoli permanenti, occupanti circa sette milioni di ettari (24,5% della superficie agraria e forestale); estensione eccessiva ed in parte suscettiva di coltivazioni più produttive.

I 5.585.400 ettari di boschi, compresi i castagneti, occupano il 18% della superficie territoriale e il 19,6% della superficie produttiva; e sono per ha. 3.541.498 in montagna, per ha. 1.739.607 in collina, e per ha. 304.295 in pianura. Bisogna avvertire che nelle cifre indicate sono compresi boschi spesso non più meritevoli di questo nome, essendosi oggi ridotti ad incolti produttivi più o meno arborati. Anche se fossero tutti in pieno assetto e rigoglio, sarebbero sempre troppo scarsi per un territorio che, come accennammo, è per il 40% montagnoso e nel quale le sorti dell'agricoltura del piano sono strettamente dipendenti dalle condizioni del monte. L'incolto produttivo e anche in parte i seminativi dovrebbero spesso cedere il luogo al bosco. L'aumento della superficie registrata per l'anno 1927 in confronto alla superficie del 1914 è dovuto all'inclusione, nel computo, delle superficie boschive delle terre redente. Altrettanto è da ritenersi per l'aumento dell'incolto produttivo, passato da 1.035.000 ettari ad ettari 1.251.000 e per la superficie occupata da fabbricati, acque, strade, ecc.

I progressi dell'agricoltura italiana, continui dalla costituzione del regno ad oggi, furono in un primo periodo assai meno notevoli e dovuti in prevalenza alla sottomissione a coltura di terre più o meno abbandonate o paludose e agli impianti di coltivazioni legnose effettuate anche in forza di speciali contratti agrarî cosiddetti a migliorìa e simili. Nel periodo più recente, dal 1890 in poi, sono invece in prevalenza dovuti all'impiego più intenso ed esteso di capitali e di mezzi tecnici perfezionati. Infatti fin verso il 1885-90 l'influenza degl'insegnamenti e degli esempî dei grandi agronomi e agricoltori, che l'Italia ha avuti, si era fatto sentire soltanto nella ristretta cerchia delle loro rispettive attività; le scuole d'ogni grado, per sé stesse non numerose, avevano vissuto stentatamente; le libere organizzazioni di agricoltori come gli stessi comizî agrarî, promossi dal governo, (1866) svolgevano un'attività - fatte rarissime eccezioni - pressoché priva di risultati pratici; i progressi della scienza agricola più notevoli non erano penetrati nelle campagne italiane. L'incremento annuo era dovuto alla mirabile abnegazione del coltivatore italiano, ma con l'applicazione, nell'esercizio dell'agricoltura, di metodi più o meno empirici.

Fu appunto verso il 1890 che si iniziò un vasto movimento in favore dell'agricoltura moderna interessante non più soltanto studiosi e pionieri, ma le masse agricole. In quel periodo sorsero i primi consorzî o società agrarie cooperative che nel 1892 si unirono per dar vita alla Federazione italiana dei consorzi agrarî cooperativi, che doveva avere un così rapido sviluppo e tanto contribuire al sorgere di nuovi consorzî e a dar loro assistenza ed efficenza. Dal 1890 funzionò regolarmente la prima cattedra ambulante di agricoltura per la provincia di Rovigo, seguita a breve distanza da altre in altre provincie che tutte svolsero opera meravigliosa di divulgazione. Scuole e istituti di sperimentazione, pur fra grandi strettezze, lavorarono intensamente. In quello stesso periodo sorsero e si moltiplicarono le casse rurali. Sicché data da quel tempo il felice connubio dell'intensa propaganda agricola teorico-pratica con l'assistenza tecnica e commerciale agli agricoltori e con l'aiuto ad essi del credito di esercizio, che venne pure intensificato a loro favore dalle preesistenti casse di risparmio e poi dalle banche popolari, che nel 1898 erano già 696, con una clientela nella quale prevalevano i piccoli agricoltori.

Da allora le provvidenze legislative si moltiplicarono continuamente come le private iniziative e le organizzazioni di agricoltori; ma le leggi rimasero spesso inefficaci perché non aderenti alla realtà e soprattutto non adeguatamente finanziate; le iniziative private fecero qua e là miracoli, ma non abbastanza sorrette non conseguirono sempre i risultati voluti; infine le nuove associazioni agricole vissero piuttosto stentatamente, finché, dopo lo sconvolgimento della guerra e l'anarchia del dopo guerra, il fascismo, ponendo in primo piano l'agricoltura, ha dato stimolo, con leggi veramente agrarie, alle private attività, ed efficenza disciplinatrice e propulsiva alle grandi organizzazioni agricole sindacali e di altra natura, come pure ad enti e istituti di insegnamento, di esperimento, di propaganda, preparando all'agricoltura italiana un periodo di splendore di cui i primi segni e i primi risultati sono già manifesti.

Bonifiche. - Considerando particolarmente l'agricoltura italiana in relazione ai suoi più vistosi progressi, va dato il primo posto all'opera di redenzione compiuta con le bonifiche; opera nella quale e il bonificatore italiano, vero pioniere, e la legislazione sono di esempio al mondo.

Risulta al 1928 che dei 2.385.000 ettari di terre classificate soggette a bonifica idraulica, oltre il 50% sono già redenti, e che il capitale per essi finora effettivamente speso supera il miliardo e mezzo di lire. Se si pensa che la maggior parte della superficie bonificata è data dal Veneto, dalla Campania e dall'Emilia, è facile immaginare il contributo da essa portato all'incremento della produzione di importantissimi prodotti alimentari e industriali (canapa, bietole, patate, frumento, mais, foraggi, bestiame, ecc.).

Impulso particolare hanno poi ricevuto le opere di bonificamento dal governo fascista, il quale ha voluto prima con la legge 30 dicembre 1923, n. 3256, coordinatrice di tutte le norme precedentemente in vigore, estendere le agevolazioni e i contributi alle opere non soltanto idrauliche, ma anche a quelle della cosiddetta piccola bonifica (provvidenze antimalariche) e a quelle delle trasformazioni fondiarie e agrarie, poi con la legge 6 dicembre 1928, n. 3134, detta della bonifica integrale o "legge Mussolini", tracciare il vero piano regolatore della bonifica integrale del territorio italiano, largamente finanziando l'attuazione di tutte le opere connesse con quelle fondamentali della bonifica, dalla sistemazione dei bacini montani e dai rimboschimenti alle irrigazioni, dall'istituzione di borgate rurali e dalla costruzione di case agli acquedotti, alle strade, alle linee elettriche a servizio dell'agricoltura. Il comitato interministeriale per le trasformazioni fondiarie di pubblico interesse ha già classificato e delimitato in base ad altra legge provvida e organica (18 marzo 1924) i primi ventitré comprensorî interessanti una superficie di 1.200.000 ettari, sui quali dovranno effettuarsi lavori per una spesa prevista non inferiore ai 10 miliardi di lire.

Il ritmo accelerato delle opere di bonifica in questi ultimi anni è confermato dal fatto che mentre dal 1862 (data della prima legge - Baccarini - dello stato italiano sulle bonifiche) al 1928 sono state assunte dallo stato opere di bonifica idraulica per un complessivo importo di L. 2.720.648.057, di questa somma ben lire 1.086.189.757 riguardano il solo periodo successivo al 28 ottobre 1922; ed il concorso dello stato nelle spese relative, già effettivamente pagate, ammonta dal 1862 al 1922 a L. 464.328.834, mentre per i soli esercizi dal 1921-22 al 1925-26 esso ammonta a L. 345.230.753. Una riprova eloquente, fra le altre, è data dallo sviluppo assunto dai lavori di bonificamento nell'Agro romano nel primo quinquennio fascista, com'è documentato da una speciale relazione del Ministero dell'economia nazionale.

Irrigazioni. - A fianco di queste opere procedono quelle per le irrigazioni, che, di tradizione pressoché millenaria in Italia, e particolarmente sviluppate nell'alto Medioevo, assumono importanza e organizzazione agli inizî del secolo XIX, finché vengono anch'esse sorrette da speciali leggi dello stato unitario. Ma queste - a cominciare dal primo intervento, 29 maggio 1873 e fino alle leggi e ai decreti del 1919, 20, 21 e 22 - poco influiscono sul progresso di nuovi impianti irrigatorî, i quali invece si sono piuttosto avvantaggiati dal decreto 9 ottobre 1919, n. 2161, sulle derivazioni e utilizzazioni delle acque pubbliche, che permette al governo di accordare sussidî per la costruzione di serbatoi e laghi artificiali aventi lo scopo di regolare il corso delle acque; e dalla ricordata legge 30 dicembre 1923. In forza di queste leggi sono sorte grandiose opere per i laghi artificiali del Tirso e del Coghinas, e progettate quelle del Flumendosa in Sardegna, che complessivamente irrigheranno oltre 90.000 ettari; quelle di Val Tidone e Val d'Arda, in provincia di Piacenza; quelle incluse nelle grandi bonifiche di Maccarese (Roma) e del Sele (Salerno).

Ma con r. decreto del 20 maggio 1926, integrato da quello 13 agosto dello stesso anno, sono regolati con criterî pratici e moderni e opportunamente sussidiati, con contributi dal 35 al 50% nelle spese necessarie, tutti i lavori di ricerca delle acque del sottosuolo e di irrigazione, sia nell'Italia settentrionale sia nella meridionale, dove le irrigazioni sono scarse, ma dove le possibilità di esse si fanno sempre più manifeste e le iniziative vanno perciò moltiplicandosi.

Con questi decreti del 1926 si può ben dire che "è stata ripresa la gloriosa tradizione italiana che, nella valle del Po, aveva dato al nostro paese il primato nei lavori di irrigazione" (Petrocchi).

In complesso si può ritenere che presentemente 1.600.000 ettari siano irrigati, di cui il 75% nell'Italia settentrionale e il 25% nelle restanti regioni del continente e nelle isole; mentre nel solo anno 1928 si sono costituiti diecine di consorzî di irrigazione interessanti almeno altri 250.000 ettari. Le domande di contributo presentate nel 1924 per l'Italia settentrionale e centrale al Ministero dell'economia nazionale ascendevano a 30 per una spesa complessiva di circa L. 1.250.000; e con un rapido incremento sono arrivate, nel 1927, comprese quelle degli anni precedenti, a 1.300, per una spesa totale complessiva di L. 350.000.000. Inoltre, dall'aprile 1926 al novembre 1928, sono stati accordati contributi dello stato, per il tramite dei RR. Provveditorati alle opere pubbliche, per oltre 27.000.000 di lire, per piccole e medie opere di irrigazione nel Mezzogiorno, interessanti una superficie di circa ettari 5.400.

Avvicendamenti. - I principali perfezionamenti tecnici che hanno più contribuito ad elevare e garantire una relativa costanza di alte produzioni nonché il loro più elevato rendimento economico, oltre l'irrigazione, sono l'adatto avvicendamento o rotazione delle colture integrate da proporzionato allevamento di bestiame; l'impiego dei concimi, delle macchine, delle sementi di gran pregio; le cure colturali appropriate; la prevenzione e la cura di quanto può danneggiare le piante coltivate.

Si può dire che il balzo innanzi più potente dell'agricoltura italiana è stato in un primo tempo determinato - dopo un periodo di lento e scarso progresso - dall'introduzione delle leguminose nell'avvicendamento delle colture.

Oggi buoni e ottimi avvicendamenti, con alternanza di leguminose da foraggio o da granella, con cereali e coltivazioni industriali, sono largamente diffusi. Veramente, se si tien conto che in un'azienda ben ordinata la superficie a foraggi avvicendati non dovrebbe occupare meno del 25 al 40% della superficie coltivata, si vede che i prati artificiali di leguminose dovrebbero occupare in Italia da 2.700.000 a 4.400.000 ettari, anziché soltanto 1.875.000 ettari, quanti ne registra la statistica.

È innegabile tuttavia che questi, in grandissima parte occupati da erba medica, trifogli, sulla e lupinella, integrati da circa 300.000 ettari di erbai, anch'essi in prevalenza di leguminose e avvicendati, hanno impresso all'agricoltura italiana in tutte le regioni ove non domina il latifondo, e anche in varie plaghe occupate da questo, un carattere di razionalità e di modernità dove più dove meno accentuato. Tale carattere risulta dal fatto che la leguminosa da foraggio ha facilitato e affrettato il largo impiego utile dei concimi chimici, in quanto, fra tutti questi, dà un risultato economico più sicuro in ogni ambiente il fosfatico applicato appunto alle leguminose. Sicché è stato specialmente attraverso ai primi tentativi ed esperimenti fatti su questa base che l'agricoltore italiano si è lasciato persuadere all'impiego di concimi chimici d'ogni genere e su tutte le colture, portando nella sua azienda quel meccanismo e ciclo colturale che va dall'induzione dell'azoto atmosferico nel terreno e dall'abbondante arricchimento di questo in materia organica per mezzo della leguminosa chimicamente concimata, all'aumento negli allevamenti di bestiame e nella produzione di letame, tale da consentire buone lavorazioni e letamazioni del terreno a vantaggio di coltivazioni così dette preparatrici o da rinnovo (granturco, patate, colture industriali), atte - come le leguminose stesse - a lasciare il terreno nelle migliori condizioni fisiche e di fertilità per la successiva coltivazione del frumento.

Concimi chimici. - È così che da un consumo di concimi chimici probabilmente inferiore ad 1.000.000 di q. nel 1890, e calcolato in 3.370.000 nel 1900, si è saliti (pur dopo la grave restrizione di consumo del periodo della guerra) alla rispettabile cifra di circa 18.500.000 q. fra concimi fosfatici, potassici ed azotici, nel 1926, cifra ridottasi alquanto, per transitorie ragioni di mercato, nel 1927, e già in ripresa nel 1928.

I prospetti seguenti dicono in qual misura le varie categorie di concimi concorrano a formare la cifra ora indicata e precisano, con riferimento al 1926, quanto sia diverso l'impiego dei concimi chimici da regione a regione: esso va, grosso modo, diminuendo dal nord al sud, dalle regioni prevalentemente pianeggianti a quelle prevalentemente montuose, dalle zone a clima umido a quelle a clima più o meno accentuatamente asciutto. Fra le varie parti d'Italia si ripartisce in ragione di circa il 62% per l'Italia settentrionale, del 19% per la centrale e del 19% per la meridionale e le isole.

Benché l'impiego dei concimi chimici, per l'andamento del clima, non possa raggiungere nei paesi meridionali l'intensità che si nota nei paesi settentrionali è tuttavia certo che anche a questo riguardo l'Italia progredirà in virtù delle nuove terre che dalla bonifica saranno conquistate alla coltura, in virtù della introduzione delle leguminose da foraggio nelle zone che ne sono ancora prive, in virtù infine dell'estendersi delle irrigazioni che porranno, entro certi limiti le terre e gli agricoltori delle regioni a clima arido in condizioni simili a quelle delle zone a clima umido.

Molto, infine, potrà contribuire alla maggiore diffusione dei concimi chimici nelle regioni di montagna e nelle zone lontane dalle grandi comunicazioni la disponibilità, oggi scarsissima, ma augurabile, di concimi complessi o ad alta concentrazione.

È stato calcolato che la quantità massima di concimi chimici che l'agricoltura italiana potrebbe impiegare ogni anno, sia di 50.000.000 di q. di concimi fosfatici, di 16.000.000 di q. di azotati e di 5.000.000 di q. di potassici. In attesa di raggiungere questi consumi massimi si dovrebbe salire prontamente, per sopperire ai bisogni delle nostre terre e delle nostre colture, a 25 milioni di q. di concimi fosfatici e, in proporzione, a 5.000.000 di q. di concimi azotati e a circa un milione di q. di concimi potassici.

Macchine agricole. - Di pari passo - e con ritmo di poco più lento e difficoltoso - coll'incremento del consumo dei concimi chimici è proceduto l'impiego di macchine e attrezzi agricoli moderni a cominciare dagli aratri, con o senza avantreno, a versoio fisso o girevole, che consentirono, trainati da animali, lavorazioni sempre più profonde con rovesciamento totale o parziale della terra lavorata. L'introduzione degli aratri fu accompagnata gradatamente da quella dei varî tipi di erpici, estirpatori, coltivatori, frangizolle, zappe cavallo, rincalzatori, rulli ecc., attrezzi tutti destinati ad eseguire rapidamente i lavori complementari di trituramento, raffinamento, pareggiamento, costipazione, ecc. del terreno arato o anche già seminato e l'aerazione dei vecchi prati: tutte pratiche dimostrate dal progresso degli studî agrarî e dall'esperienza assai utili, nel tempo stesso che sarchiatrici, rincalzatoi, trapiantatrici, falciatrici, mietitrici, ecc., venivano man mano introdotte per ridurre la più costosa mano d'opera. Discreta diffusione hanno avuto - ma insufficiente - gli svecciatoi e vagli ventilatori; grandissima invece tutte le macchine per la trasformazione dei prodotti agricoli (enotecnia, oleotecnia, caseificio, ecc.).

Negli anni immediatamente anteriori alla guerra ebbe inizio l'applicazione di apparecchi - da tempo apparsi qua e là in Italia, ma non entrati nell'uso - per l'aratura meccanica dei terreni: le grandi macchine a vapore a trazione funicolare (tipo Fowler) capaci di lavorare a settanta, ottanta e più centimetri di profondità anche i terreni più compatti e che sono utilizzate (in numero di una sessantina di coppie) specialmente nelle zone a cultura estensiva e in via di trasformazione e bonifica agraria (Agro romano, Maremme, Emilia ecc.); i trattori con motore a scoppio - che si son diffusi solamente e largamente durante e dopo la guerra mondiale - prima esclusivamente di origine straniera, poi fabbricati anche in Italia (Romeo, Pavesi, Fiat, ecc.), adatti nei loro numerosissimi tipi a rapide lavorazioni di terreni a venti, trenta, quaranta e più centimetri di profondità, come pure ai lavori complementari superficiali del terreno. Essi hanno inoltre incontrato il favore degli agricoltori per la loro facile adattabilità a trainare seminatrici e macchine da raccolto; e far muovere macchine fisse (trebbiatrici, pressaforaggi, trinciatrici, ecc.) e ad effettuare trasporti su strade. Ne funzionavano, in Italia, nel 1918 circa 700 ed oggi (gennaio 1929) si può calcolare che ne siano in funzione circa 18.500, coi quali si ara dal 7 al 9% della superficie aratoria nazionale.

Il consumo complessivo di macchine agricole, che fu nel 1906 di lire 5.500.000, è salito gradatamente ed è stato nel 1927 di 45.000.000 circa di lire oro.

C'è ancora margine notevole per il più diffuso impiego utile di tutte le macchine ed attrezzi sopra menzionati, come anche per l'industria italiana a fabbricarli, dato che tuttora se ne importano in complesso per un ammontare dai sessanta ai novanta milioni di lire all'anno, e data la politica instaurata dal governo fascista a favore della produzione nazionale.

Elettricità. - Anche l'applicazione dell'elettricità all'agricoltura registra in Italia progressi, ma, eccezion fatta per le opere di bonifica, troppo modesti. Solo in questi ultimi anni si sono moltiplicate le applicazioni all'arature e al funzionamento di macchine minori, specialmente nelle industrie rurali, e infine e soprattutto alle trebbiatrici e al sollevamento delle acque a scopo di irrigazione. Ma si tratta ancora di applicazioni incomplete; manca la vasta rete di linee elettriche rurali, e rare sono le aziende agricole organicamente elettrificate, mentre sono stati calcolati in cinque milioni gli ettari suscettivi in Italia di una conveniente utilizzazione di energia elettrica. L'aratura elettrica, condotta direttamente dai proprietarî, si trova attualmente in sei sole aziende; e tre sono le ditte che la forniscono a cottimo a chi la richieda. L'ostacolo è nel prezzo, spesso troppo elevato, al quale finora l'energia può essere ceduta all'agricoltura. Siamo di fronte a problemi tecnici e finanziari in parte sufficientemente studiati e che sarà compito dell'Italia nuova affrontare e gradatamente risolvere.

Sementi elette. - L'impiego delle sementi pregiate, di alta produttività, è stato pure curato negli ultimi decennî e adottato largamente. Specialmente per i cereali, per le foraggere (semenzine), per le bietole zuccherine, per la canapa, per il tabacco, per gli ortaggi, si sono create e adottate varietà provenienti, secondo i casi, da importazioni estere o da ibridazioni o selezioni nostrane, curate da istituti diversi, che sono sempre efficacemente incoraggiati dallo stato, e disciplinate talora - come per le bietole zuccherine e per la canapa - dalle organizzazioni dei coltivatori interessate; o - come p. es. avviene pel tabacco - dalla stessa amministrazione statale (Direzione generale dei monopoli).

Un particolare rilievo merita, a questo proposito, il favore incontrato in questi ultimi anni dalle razze di frumento, dette "elette" create per selezione o per ibridazione, adatte particolarmente ai terreni molto fertili e capaci di sostenere lautissime concimazioni, di alta resistenza alle più gravi avversità, per modo da condurre generalmente a produzioni molto più elevate di quelle conseguite con le varietà ordinarie. Di tali razze elette si calcola che circa un milione di quintali siano state seminate nel 1928.

A parte ciò, si deve aggiungere che dovunque, per ragioni varie, non si sono ancora sostituite le razze elette di frumento, si cura da diversi anni grandemente il miglioramento delle più pregiate razze locali e si pratica assai diffusamente la selezione meccanica. Lo stato stesso, coi provvedimenti per la "battaglia del grano", ha distribuito a questo scopo, nel 1926-28, 1600 macchine svecciatrici.

Difesa delle piante dalle malattie. - Nel campo della difesa delle piante dalle malattie gli agricoltori italiani hanno fatto pure notevoli progressi, essendosi in questi ultimi tempi diffusa la conoscenza dei danni enormi da esse arrecati, che si traducono in perdite annue di prodotti valutabili a miliardi di lire. Molti sono ancora coloro che trascurano questa lotta; molti sono ancora gli avversarî contro i quali non si combatte; ma contro i più dannosi parassiti animali e vegetali si lotta dai migliori agricoltori, soli o riuniti in appositi consorzî.

Così oggi si possono ritenere generalizzati: i trattamenti preventivi dei frumenti da seme; le solforazioni e le irrorazioni delle viti; la lotta più o meno a fondo - con assidue lavorazioni superficiali al terreno e con altri accorgimenti - alle erbe infestanti; sono pure molto praticate tutte le cure e difese contro i nemici degli agrumi e degli alberi fruttiferi nella frutticultura industriale, cure e difese invece assai trascurate nella frutticultura così detta casalinga; sono in uso, benché meno generalizzate, le irrorazioni antiperonosporiche delle patate e dei pomodori e i trattamenti varî degli ortaggi per difenderli da crittogame, insetti ed animali, degli olivi contro il vaiolo e contro la mosca, del tabacco nei semenzai, ecc. La diffusione poi della Prospaltella Berlesei ha debellato la Diaspis pentagona che trent'anni or sono minacciava di distruggere la gelsicultura italiana; e ora il Novius cardinalis ha annullato i danni già cagionati agli agrumi da un'altra nefasta cocciniglia: l'Icerya Purchasi. Ma sforzi enormi sono, poi, quelli compiuti contro la fillossera della vite, con le costose ricostituzioni su ceppi americani; e quelli che di volta in volta si rendono necessari contro le cavallette e le arvicole di trista notorietà. Si aggiungano, poi, le cure apprestate e le garanzie escogitate nel commercio interno e nella importazione dall'estero di piante e semi, il tutto sorretto e disciplinato da disposizioni di leggi, in forza delle quali gl'interessati si costituiscono in appositi consorzî, come appunto quelli antifillosserici e per la lotta contro la mosca degli olivi, contro le cocciniglie degli agrumi, ecc.

Organizzazione degli agricoltori. - Tutti questi sforzi e progressi sono stati in molti casi facilitati dall'organizzazione economica e cooperativistica che, attraverso a faticosi ripetuti tentativi e a sforzi ammirevoli di pionieri, si sono data, prima liberamente, poi anche con intervento di leggi, gli agricoltori stessi: pel conseguimento sia di scopi specifici determinati, sia di scopi d'ordine generale. Grande è il beneficio che da tale organizzazione è derivato allo sviluppo dell'industria agricola; ma assai maggiore esso sarà nell'avvenire in quanto l'ordinamento sindacale fascista è per sé stesso un inquadramento coordinato di organizzazioni nelle quali trovano posto ed incentivo a più potente sviluppo tutti i raggruppamenti delle varie categorie produttive.

Nel campo speciale della cooperazione sono da registrare in piena efficienza le seguenti organizzazioni (1928):

n. 314 cooperative agricole che coltivano ettari 240.000 di terreno;

n. 615 consorzî agrarî per la distribuzione di generi occorrenti all'agricoltura, che vendono per circa 1600 milioni di lire;

n. 98 cantine sociali che producono 660.000 ettolitri di vino all'anno;

n. 1276 latterie sociali che lavorano oltre 370.000 q. di latte;

n. 180 casse rurali;

n. 89 essiccatoi di bozzoli, con ammasso globale di 4.614.000 kg. di bozzoli;

n. 458 cooperative di credito diverse.

Quanto alle organizzazioni sindacali, la Confederazione nazionale fascista degli agricoltori (datori di lavoro) contava, al 28 ottobre 1928, 234.600 organizzati; e la Confederazione nazionale dei lavoratori agricoli ne contava, alla medesima data, circa 1.300.000,

Principali colture. - La situazione delle singole principali colture, in superficie occupata e in produzione totale di ciascuna, nel periodo immediatamente anteriore alla guerra e attualmente, risulta dai seguenti dati del catasto agrario, istituito nel 1908. Essi non sono troppo esatti in quanto furono rilevati, per ciò che si riferisce alle superficie, circa vent'anni fa, e vennero poi aggiornati, ma incompletamente, tanto che sono ora in via di generale revisione.

Tali dati sono riuniti nei seguenti prospetti:

Le cifre di questi due prospetti, messe a confronto, dànno una idea generale, benché imperfetta, di quali colture siano in incremento e di quali in regresso o stazionarie, sia per superficie sia per produzione totale dal sessennio prebellico (1909-1914) al sessennio 1922-1927.

Fermandoci ad esaminarle più attentamente si vede che, da questo punto di vista, le coltivazioni ora elencate possono riunirsi nei seguenti quattro gruppi (cifre arrotondate):

Per una conoscenza particolare delle vicende di ogni singola coltura si rimanda alle rispettive voci. Qui possiamo limitarci a pochi rilievi, avvertendo che le variazioni delle superficie e delle produzioni medie, in più o in meno, registrate dal prospetto, sono dovute a cause complesse, spesso di carattere contingente, cosicchè non sempre sono indice di una decisa tendenza.

La diminuzione di prodotto nella coltivazione degli agrumi, dei castagneti e delle frutta in genere è, probabilmente, soprattutto da attribuirsi all'infierire di avversità che spesso ne hanno decimato il prodotto; contro le quali talora si lotta tenacemente, come contro i nemici degli agrumi e contro quelli dei fruttiferi nella frutticoltura industriale; talora invece infruttuosamente, come nel caso del gravissimo "mal dell'inchiostro" del castagno, per mancata conoscenza o possibilità di applicazione di mezzi efficaci; oppure, infine, insufficientemente come, in genere, per tutti i malanni che colpiscono le piante da frutta nella frutticoltura a carattere casalingo o a piante sparse, che in Italia predomina su quella industriale e nella quale la lotta è difficile e costosa e anche per queste ragioni trascurata.

La diminuzione invece di superficie investita a granturco corrisponde a ragioni di progresso dell'agricoltura, in quanto questa coltivazione estiva ricorre troppo di frequente in terreni dove per difetto di acqua dà prodotti spesso irrisori. Onde da tempo si fa dagli agronomi una insistente propaganda per eliminarla da tali zone e per curarla invece di più nelle zone adatte dove dà prodotti molto elevati.

Le leguminose da granella, consociate appunto, prevalentemente, al granturco - e poi anche ai vigneti, pur essi in decrescenza - seguono, entro certi limiti, le sorti di queste coltivazioni e segnano una diminuzione di superficie, la quale però - forte com'è - in gran parte è dovuta anche all'aleatorietà del suo prodotto e alla tendenza a eliminarla dalle colture con le quali si consocia per curare di più queste. Contemporaneamente anche ad esse leguminose da granella si preferisce assegnare la coltura specializzata che in fatti, come si vede, è aumentata.

Per le fave da seme, si deve ritenere causa di diminuita superficie e produzione l'orobanche, erba parassita diffusissima e contro la quale rimedî efficaci di cura non si conoscono e le cure preventive, non troppo evidenti nei loro effetti, poco si praticano, cosicchè il coltivatore, disanimato, restringe la cultura; e, per le viti, la fillossera, afide ben noto che fa da 50 anni in Italia il suo inesorabile cammino distruttore senza che il viticultore - benché sorretto da un'apposita organizzazione ufficiale per la lotta (consorzi antifillosserici, regie delegazioni antifillosseriche, regi vivai di viti americane) - possa riuscire a tenerle dietro con le costose ricostituzioni su ceppo americano.

Infine la diminuzione di superficie per il lino e per la canapa sono insignificanti e va avvertito che per la canapa - coltura tanto più importante in Italia del lino, e coltivata alla perfezione, - alla sua estensione attuale si è pervenuti - dopo sbalzi dovuti nel periodo della guerra a forti oscillazioni nel prezzo della sua fibra e ad altre cause complesse - in seguito a studiati accordi fra i canapicultori stessi, attraverso un loro consorzio nazionale che vuole appunto disciplinare la coltivazione, tenendo conto delle esigenze quantitative e qualitative dei mercati.

Sono in aumento relativamente lieve per superficie ma sensibile per produzione, le coltivazioni delle patate e della segale, che certamente risentono, oltre che di un progresso di carattere generale, anche dei benefici effetti della battaglia del grano; e gli ortaggi, specialmente quelli di grande coltura, ai quali in questi ultimi anni si sono dedicati con slancio gli agricoltori di molte plaghe, organizzandosi più o meno fortemente per i commerci di esportazione.

Quanto alle barbabietole da zucchero, si può ripetere ciò che si disse per la canapa, nel senso che la estensione da esse occupata è concordata in relazione alle necessità del consumo da una forte federazione nazionale dei bieticultori coi rappresentanti dell'industria zuccheriera, fissando con questa anche le basi per i prezzi di cessione delle bietole, tenuto conto del titolo zuccherino.

Così pure in situazione speciale - ed in sommo rigoglio - è la coltivazione del tabacco, monopolio di stato. Il grandioso incremento del consumo di questo prodotto, salito nell'esercizio 1926-27 a 3 miliardi e duecento milioni di lire, è stato sapientemente fronteggiato dall'ammirevole organizzazione della Direzione generale dei monopoli, di cui l'agricoltore italiano, prima restio e diffidente, asseconda pienamente gli sforzi, sia per fornire la quantità voluta, sia per migliorare la qualità e per avvivare una già iniziata e promettente, per quanto non facile, esportazione.

Il riso è certamente fra tutti i cereali quello che ha fatto maggiori progressi nei sistemi di coltura. Alle qualità nostrane di bassa resa si sono sostituite, in parte, qualità un po' meno fini, ma di alto rendimento; alla risaia stabile è succeduta largamente quella avvicendata; le concimazioni sono spinte a dosi molto elevate; alla semina a mano è succeduta quella a macchina a righe ed anche il sistema del trapianto, il quale consente, fra altri vantaggi, quello grandissimo di permettere una seconda coltivazione, sullo stesso appezzamento nello stesso anno, fra cui quella dei grani precoci.

Anche per regolare il mercato di questo importante cereale, che per un terzo ed oltre della sua produzione viene annualmente esportato, si è costituito un consorzio fra i risicultori, facente capo anch'esso, come quelli per la canapa e per le bietole, alla Confederazione nazionale fascista degli agricoltori.

L'orzo e l'avena, coltivazioni non troppo curate, hanno anche esse, come la segale, risentito l'influenza benefica dei perfezionamenti fatti nelle altre culture, e pur restringendosi rispettivamente di ha. 13.200 e di ha. 6.900, hanno dato un aumento di produzione media totale annua, nel sessennio 1922-27 di q. 121.000 e di q. 228.000.

La situazione del frumento è del massimo interesse. Pur avendo dimostrato nell'ultimo triennio una decisa tendenza a qualche aumento di superficie, tuttavia la superficie media investita nel sessennio 1922-27 è inferiore di 17.700 ettari a quella del sessennio antebellico; viceversa la produzione è stata, in confronto a questa, superiore, nel sessennio 1922-27, di ben q. 5.790.000.

Gli è che questa coltura, tanto discussa ma tanto diffusa, tanto spesso trascurata fino a pochi anni or sono e tanto prediletta ora da tutti, ha fatto in questi ultimi anni passi meravigliosi per ciò che riguarda i procedimenti tecnici, favoriti dai progressi scientifici e dall'ardore della propaganda voluta dal Capo del governo, che si fece banditore, nel luglio 1925, della "battaglia del grano". Tutte le pratiche richieste dalla coltivazione del grano sono state intensificate e perfezionate da un capo all'altro d'Italia, concentrando i massimi sforzi nel combattere i tre malanni fondamentali che più ne minacciano il raccolto: la stretta, la ruggine, l'allettamento. E la lotta si combatte principalmente adottando sempre più largamente le razze elette, delle quali si è fatto cenno in precedenza e che l'istituto nazionale di genetica di Roma e l'istituto di cerealicoltura di Bologna specificatamente studiano e producono attraverso ammirevoli lavori di ibridazione e di selezione.

La produzione media unitaria, che fu di q. 10,4 nel sessennio 1909-1914 e scese al di sotto dei 10 quintali nel periodo della guerra, è salita a q. 12,10 nel sessennio 1923-28. Ma si sono raggiunte medie da q. 25 a q. 30 per vaste zone e si sono toccati e superati qua e là, da non pochi agricoltori provetti, i 45 e i 50 quintali per ettaro.

La coltivazione dell'olivo subì una diminuzione durante il periodo della guerra a causa di inconsulti abbattimenti di piante, ma riprese tuttavia in questi ultimi anni; di modo che oggi la superficie di oliveti a coltura promiscua, in confronto del sessennio prebellico, è diminuita di ha. 23.500, ma quella a coltura specializzata è aumentata di ha. 21.000. Anche la produzione dell'olio si è accresciuta di oltre 200.000 quintali.

In generale non si può dire che questa coltura sia tra le più curate, ma è anche certo che in vaste zone, rinomate per i loro olî sono stati fatti progressi molto notevoli nell'adozione delle lavorazioni tempestive del terreno, delle concimazioni appropriate, della potatura e rimonde a regola d'arte, della moltiplicazione con piantine da seme innestate, nella difesa assidua dalle più dannose malattie, specialmente dalla mosca olearia e dall'occhio di pavone.

Gelsicoltura e bachicoltura. - Nel prospetto in esame non figurano le produzioni dei gelsi e bozzoli e dei foraggi. Ciò si deve alla mancanza o difficoltà di avere dati confrontabili. Gelsicoltura e bachicoltura se non in regresso, sono certo in una fase di troppo lento sviluppo. La foglia di gelso prodottasi in media ogni anno nel sessennio 1909-1914 fu di q. 10.238.000; mentre nel quinquennio 1923-27 è salita a q. 13.971.600; ma essa non risulta sempre completamente utilizzata. La produzione di bozzoli ammontò per il regno a circa cinquanta milioni e mezzo di kg. all'anno nel decennio 1903-1912, scese a 35.680.350 kg. all'anno nel periodo 1913-1922, ed è risalita faticosamente a circa 51 milioni di kg. nel periodo 1923-1928. Essa non ha dunque quell'incremento che parrebbe doversi aspettare da un'industria di così antiche tradizioni in Italia, che si trova in crisi per difetto di materia prima nazionale, e che tuttavia dà luogo ad una imponente esportazione che oscilla annualmente intorno ai due miliardi e mezzo di lire. Le cause sono molteplici e, a parte le difficoltà di ordine generale che ostacolano il diffondersi della gelsi-bachicoltura nelle zone in cui è poco diffusa, esse vanno ricercate soprattutto nel rincaro della mano d'opera e nelle cresciute esigenze di gran parte dei campagnoli che trascurano o non vogliono più sobbarcarsi all'intenso lavoro richiesto - benché per breve periodo - dagli allevamenti o che sono attratti qua e là dagli alti salari degli stabilimenti industriali nei quali preferiscono occuparsi.

Infine, per i foraggi, la cui produzione totale si è pressoché mantenuta costante, non è possibile istituire confronti di variazioni di superficie, data la varietà dei tipi di prati, pascoli, ecc., da cui sono ricavati. Detta produzione ragguagliata a fieno normale in circa 225.000.000 annui di quintali, è data per il 50% da prati artificiali, per il 12,5% da prati naturali asciutti, per il 10% da prati naturali irrigui, per il 12,5% da pascoli permanenti e per il 15% da terreni con produzione accessoria di foraggio.

Ma per i prati artificiali, alla cui grande importanza fu già accennato, è da rilevare che, se la loro superficie e produzione hanno subìto una lieve diminuzione nella media del sessennio 1922-27, in confronto a quelle d'anteguerra, ciò dipende dal fatto che produzioni basse si ebbero nei primi due anni del sessennio stesso, mentre poi si ebbe una decisa tendenza all'aumento, e ciò in armonia col miglioramento generale dell'agricoltura di cui essi sono fulcro, come fu già affermato.

A completare il quadro sommario dello stato dell'agricoltura si riportano alcune cifre relative al patrimonio e ai prodotti della industria zootecnica che di quell'agricola è parte integrante, notando che in questo ramo i progressi hanno seguìto di pari passo quelli strettamente agricoli, particolarmente col miglioramento di prati e di stalle, cogli impianti non più rari di silos da foraggi, coll'uso diffuso dei mangimi concentrati, con le importazioni e selezioni di soggetti miglioratori, con speciali iniziative di agricoltori e di enti:

Il valore del capitale bestiame, che raggiungeva approssimativamente i due miliardi e mezzo di lire nel 1901, ammonta oggi a circa 24 miliardi. Il valore dei prodotti sopra indicati per il 1926 raggiunge i dodici miliardi di lire (Fotticchia, 1927).

Nell'insieme, in tutti i campi l'agricoltura italiana ha fatto in passato, sia pur lentamente, sensibili progressi, applicando - dove prima, dove dopo - i perfezionamenti suggeriti dalla scienza e dalla tecnica agricola; ma raggiunte, anteriormente alla guerra, quasi soddisfacenti posizioni, cominciava a subire una stasi. Nelle classi dirigenti e anche fra i tecnici dominava una mentalità pessimistica, per cui si considerava pressoché impossibile, nelle condizioni ambientali e della pubblica finanza italiana, poter fare con qualche rapidità nuovo cammino. Superate le terribili prove dei periodi della guerra e dell'immediato dopoguerra, uno spirito nuovo ha pervaso l'agricoltura italiana e tutto il popolo; e una nuova fede si è diffusa sulle possibilità, oltreché sulle necessità di più vasti progressi agricoli. Scienziati, tecnici, proprietarî e coltivatori, tutti, in uno slancio concorde, operano al fine di strappare alla terra in maggior copia i suoi tesori.

Miracolo, questo, dovuto in gran parte alla pronta intuizione e alla singolare forza propulsiva del regime fascista, che governando l'Italia con un'alta visione delle sue possibilità agricole e del suo carattere fondamentalmente rurale, le ha dato una serie di leggi e di provvidenze, che vanno incontro ai suoi reali bisogni, che rimuovono ostacoli, che rendono più equamente remunerato ogni sforzo e che accelerano quindi il cammino di quanti lavorano in agricoltura.

Bibl.: Ministero di agricoltura e commercio, ufficio di statistica agraria, Prospetti riassuntivi dei XX prodotti rilevati nel sessennio 1909-1914, Roma 1915; id., Istituto di economia e statistica agraria, Studî e Notizie, Annate 1926 e 1927; id., Istituto centrale di statistica, Annuario statistico italiano (annate varie); id., Bollettino mensile di statistica agraria e forestale, I, 1928; Federazione italiana dei consorzî agrarî, Piacenza, 1927. Pubblicazioni varie; XIII.me Congrès international d'agriculture, Actes, Roma 1927; XIII Congresso internazionale di agricoltura, Note sull'agricoltura italiana dell'ultimo venticinquennio, Roma 1927; Direzione generale della statistica, Le banche popolari in Italia, Roma 1895; Camera dei deputati, Relazione del Ministro dei LL. PP. (Giuriati) sul disegno di legge sulla bonifica integrale presentato alla presidenza della camera il 15 settembre 1928-VI; Banca nazionale dell'agricoltura, Credito agrario, bonifiche, irrigazioni, Milano 1928; Associazione fra le società italiane per azioni, Piccolo annuario statistico italiano, Milano 1928; Economia, Rivista mensile di politica economica e di scienze sociali, VI, settembre 1928. P. N. F. Efficienza del movimento cooperativo italiano aderente all'Ente nazionale della cooperazione, Roma, 1928.

Legislazione.

Che un'azione debba esercitarsi dallo stato anche sull'agricoltura, allo scopo di promuoverne, per quanto è possibile, il progresso, l'incremento, lo sviluppo, è superfluo dire.

Molteplici forme può assumere l'intervento dello stato in questo campo, sia analoghe a quelle mediante le quali in genere si promuove o s'incoraggia l'attività economica e morale dei privati, sia proprie della natura specifica dell'industria e del lavoro agricolo; e può agire sopra i singoli fattori della produzione - terra, capitale e lavoro - come sopra l'impresa nel suo complesso, ora tutelando, integrando, e sussidiando l'iniziativa privata, ora sostituendosi ad essa.

Il diritto antico (diritto romano, diritto comune) si limitava a disciplinare i rapporti contrattuali: locazione di fondi rustici e colonia parziaria principalmente, poi enfiteusi; e nel Medioevo enfiteusi, canoni, livelli, censi, ecc., presero grande sviluppo. La legislazione statutaria molto si diffuse specialmente in materia di danno: altrettanto frequenti quanto poco osservate furono le norme sancite sulle coltivazioni, particolarmente obblighi di piantare o ripiantare alberi, piante da frutto, olivi, viti.

Così pure gli statuti disciplinarono talvolta gli obblighi di prestazioni ai padroni; ma per la massima parte diedero largo posto alle disposizioni penali, e specialmente alle sanzioni contro i furti campestri.

Successivamente varî stati - p. es. Venezia e Lombardia - disposero per la difesa contro le acque e regolarono l'istituzione ed il funzionamento di consorzî di proprietarî e di utenti.

Molto è stato legiferato in materia di foreste e di pascoli; ma tralasciando la pastorizia, l'allevamento del bestiame e la legislazione zootecnica, come pure la materia forestale, atteniamoci alla agricoltura strettamente intesa quale coltura dei campi.

Per questa tanto la legislazione, quanto l'attività amministrativa propriamente detta, datano dal sec. XVIII, come effetto del nuovo indirizzo di politica statale, dello sviluppo delle scienze camerali e degli studî economici in generale, e particolarmente per l'influsso della scuola fisiocratica, del progresso della tecnica agraria, principalmente per le applicazioni della chimica, e per gli studî di economia dell'agricoltura, che determinarono ed accompagnarono il maggior investimento di capitali nell'impresa agraria.

I caratteri di questo primo momento di politica e legislazione agraria differiscono nelle varie parti d'Europa. L'Inghilterra (seguita dalla Francia) stabilisce norme per la chiusura dei fondi (enclosure), per cui vengono sempre meglio assicurate le proprietà dei privati, e così la coltivazione e l'investimento di capitali; si restringe il vago pascolo, si limitano i diritti d'uso e godimento da parte delle popolazioni.

In armonia con questo movimento vengono gradatamente alienati anche in Italia i beni comunali, mentre si sviluppa la proprietà fondiaria privata e disponibile.

Nella Germania si compie il movimento di liberazione dei contadini. L'emancipazione dei contadini (che costituisce il tratto caratteristico della legislazione agraria germanica del sec. XVIII e del principio del sec. XIX) era già in quel tempo un fatto compiuto in Italia; viene poi la Francia con la liberazione dei fondi. È la fine dei feudi, dei fidecommessi, della manomorta.

Prima ancora che Napoleone portasse nel resto dell'Europa le riforme attuate dalla rivoluzione francese, le esigenze economiche avevano già determinato in varî stati una politica agraria.

La repubblica di Venezia, p. es., si preoccupava di limitare la coltivazione delle risaie; di regolare la proporzione di campi e prati; di favorire, in un primo momento, lo sviluppo della coltura dei cereali, in un secondo momento la produzione del bestiame da macello e da lavoro; promuoveva l'impianto dei gelsi, le accademie di agricoltura, l'istruzione agraria.

Tutta una politica agraria di carattere liberale e liberista, come è noto universalmente, fu seguita nella seconda metà del sec. XVIII, dal granduca di Toscana.

Un piano di politica agraria era stato metodicamente concepito da Maria Teresa (o, per meglio dire, dai suoi ministri), e disordinatamente seguito da Giuseppe II. Questo ebbe particolare esplicazione, per l'Italia, nella Lombardia austriaca.

Già in materia di servitù di pascoli, Maria Teresa dispose che fosse vietato l'ingresso del bestiame nei pascoli in primavera e prima di S. Michele in autunno, tranne nei prati umidi, e volle esclusi i maiali dai prati (Notificazione 6 giugno 1775). Un'altra ordinanza (12 maggio 1775) dimostra alle signorie ed ai coloni della Boemia il danno che deriva dal condurre le pecore nei prati quando la stagione è già avanzata, e li consiglia di astenersene sì nella prateria propria che in quella altrui, per quanto possibile, prima della fine di aprile, e di non esercitare il pascolo nei seminati, almeno dopo la fine di febbraio.

Per quel che riguarda la distribuzione della proprietà, la legislazione di Maria Teresa, seguita da quella di Giuseppe II (patenti 3 febbraio 1770 - 13 novembre 1772) tenta di creare la piccola proprietà agraria, pur non riuscendovi - probabilmente perché i campagnuoli difettavano dei capitali necessarî per il riscatto delle terre - provvede alla divisione dei pascoli comunali in Boemia e in Austria, e all'esenzione dalla decima per trent'anni con un vero programma di colonizzazione interna; limita la facoltà di acquisto da parte degli enti ecclesiastici (1753), provvedimento cui succede la famosa legge di ammortizzazione (1771); dispone l'indivisibilità delle terre coloniche formanti parte integrante della casa o necessarie al miglior sostentamento delle famiglie e ne ordina l'aggiudicazione all'erede favorito da migliori condizioni economiche, col rimborso della porzione ereditaria agli altri (1770), contro il soverchio sminuzzamento delle terre signorili. In materia d'acque, disciplina l'uso e la difesa contro le inondazioni.

Assicurata la libertà personale dei contadini, ebbero garanzia legale anche le condizioni contrattuali ed economiche contro gli abusi padronali.

Per l'incremento e il progresso dell'agricoltura si presero varî provvedimenti: la ridistribuzione di terre non coltivate, il risanamento di terre incolte, l'incoraggiamento all'irrigazione, la lotta contro le cavallette e contro i vermi delle campagne, l'istituzione di scuole agrarie, di poderi modello, premî ad agricoltori, esenzioni fiscali, riduzioni di feste, limitazioni ed esenzioni da servizî militari. Forma rudimentale di credito agrario, fu disposto un anticipo di sementi ai padroni per la distribuzione ai contadini, e dai padroni stessi ai coloni; furono istituiti monti frumentarî prima in Boemia e in Moravia e poi anche altrove. Discipline particolari furono pur date in vario senso per le viti e la vendemmia. Giuseppe II provvide inoltre, specialmente nel Mantovano, a promuovere le fabbriche rustiche.

Ma la Lombardia, e in parte il Veneto, risentirono, ancor più che l'influenza austriaca, quella napoleonica, allorché venne tracciata tutta una legislazione agraria.

A prescindere dalle foreste e dai pascoli, la materia delle acque venne, si può dire, codificata in una legge relativa alle spese pei lavori ed all'amministrazione delle acque pubbliche (1804) e poi particolarmente dei canali.

E già prima (1803) era uscito un decreto relativo alla riparazione e manutenzione delle strade e alle arginature e ai ripari dei fiumi, torrenti e canali.

Celeberrimo è il catasto effettuato nella Lombardia austriaca ma lavori di catasto e di estimo e precise disposizioni seguirono anche nell'Italia napoleonica: come il riordinamento delle ipoteche (1806-1808), la promulgazione dei codici, le disposizioni circa l'affrancazione di livelli, censi, decime (1802-1804-1806-1807), le disposizioni circa le alienazioni e gli affitti (con riserva dei pascoli) dei beni comunali (1803-1804-1807); alla stessa epoca debbono riportarsi le disposizioni contro le epizoozie (1806) e a favore della scuola veterinaria di Milano, i provvedimenti per distanziare dalle città le risaie (3 febbraio 1809 - 14 settembre 1810), le disposizioni per la bonifica dei terreni paludosi e vallivi (20 novembre 1810 n. 258), l'incoraggiamento alle società agrarie (1802), le disposizioni sulla coltivazione dei tabacchi; le quali tutte si può dire costituiscano in parte il modello dei provvedimenti che nella seconda metà del sec. XIX furono presi dal regno d'Italia. Né si deve tacere che divieti e licenze di esportazione di prodotti (specie di grani e bestiame: bovini, cavalli, e muli) sono la caratteristica della politica di guerra, sia nel periodo napoleonico, sia nel periodo 1914-1918.

Così si iniziava il secolo XIX.

I progressi vennero paralizzati dalla Santa Alleanza (1815-1848), che in parte richiamò in vita vecchi istituti, in parte oppose diffidenza ai nuovi. Per l'Italia dopo il '48 europeo e il diffondersi del sistema costituzionale e parlamentare, venne, il periodo delle guerre d'indipendenza nazionale. L'unità (1861) diede nuovo, dapprima timido, impulso alla legislazione agraria. Ripresa la tradizione democratica, si tornò di nuovo gradatamente nelle varie provincie annesse all'abolizione dei feudi, dei fidecommessi, dei vincoli feudali, e all'affrancazione da censi, livelli, canoni enfiteutici, ecc.

Maggiore sviluppo assunse così la politica agraria dopo la costituzione del regno d'Italia. Già un primo sviluppo si era avuto in Piemonte, dopo la promulgazione dello statuto (1848); e istituzioni e leggi vennero estese gradatamente alle nuove provincie.

Nuova spinta in Italia ebbe poi la legislazione dell'agricoltura dall'inchiesta agraria (Jacini, 1885), alla quale, oltre quella del Pais sulla Sardegna, doveva 15 anni dopo seguire quella sulle condizioni dei contadini nelle provincie meridionali e nella Sicilia.

Cresceva così la conoscenza delle condizioni dell'agricoltura, illuminata anche dai rilievi statistici e dagli studî privati (Carlo Cattaneo, Gabriele Rosa; poi Morpurgo, Lampertico, Sonnino, Franchetti, Jacini ed infine Valenti). Faceva progressi la tecnica agraria, mentre la libertà politica consentiva il movimento degli interessati.

Accanto all'attività legislativa da parte dello stato, e cioè al regolamento dell'attività agraria dei privati e pubblica si ebbe anche l'istituzione di organi specifici atti a promuovere, a stimolare, concorrere, coadiuvare, o addirittura raggiungere direttamente determinati scopi di utilità in relazione all'agricoltura.

Furono così costituiti appositi dicasteri, ministeri, o uffici, sia al centro sia alla periferia (Ministero dell'agricoltura, poi agricoltura industria e commercio, quindi economia nazionale). Accanto agli organi dell'azione centrale si costituirono consigli superiori consultivi per assistere e indirizzare l'opera degli organi statali; mentre alla dipendenza degli organi direttivi si creavano anche uffici tecnici. Così, più che l'azione legislativa, l'azione ordinata, continua e costante del potere esecutivo nelle forme dell'attività amministrativa poteva efficacemente eccitare l'attività agricola, cioè specialmente l'attività produttiva. Questa azione si svolse naturalmente anche attraverso gli organi locali e soprattutto attraverso le autorità provinciali (prefetti). Particolari istituti vennero promossi o sovvenuti: istituti di credito, di sperimentazione, vivai, ecc.

Una particolare forma di attività fu quella che, coordinata all'azione internazionale, sorse a combattere le malattie delle piante non meno che la diffusione delle malattie delle specie animali.

Mentre da un lato vennero stipulate convenzioni internazionali, dall'altro leggi e decreti imposero ai privati l'osservanza di norme preventive e repressive; all'uopo vennero creati anche speciali organi tecnici sia per il controllo, sia per l'esecuzione dei necessarî provvedimenti (ispettori antifillosserici). Le provincie ebbero a fare regolamenti d'interesse agrario (p. es. sulla coltivazione del riso).

Ai comuni venne devoluta la funzione di emanare regolamenti di polizia rurale per integrare le disposizioni contenute nel codice penale, nella legge di pubblica sicurezza ed in altre leggi speciali, ed ai comuni stessi fu devoluta la parte esecutiva con l'istituzione e l'esercizio delle funzioni delle guardie campestri.

Coi regolamenti di polizia rurale i comuni, a norma della legge comunale e provinciale e del regolamento, poterono sancire norme:

1. per le comunioni generali dei pascoli esistenti sui beni privati;

2. per condurre e custodire gli animali al pascolo e per impedire i furti campestri;

3. per evitare i passaggi abusivi nelle private proprietà;

4. per i consorzî riguardanti l'uso delle acque o d'altro, quando interessino la maggior parte degli abitanti o delle terre di un comune di una frazione;

5. per la manutenzione dei canali e delle altre opere consortili destinate alla irrigazione od allo scolo, specialmente nei terreni bonificati o fognati;

6. per regolare la spigolatura ed altri atti consimili sui beni dei privati, quando la popolazione vi abbia diritto;

7. per la manutenzione e la polizia delle strade vicinali, in quanto non vi provvedano le leggi e i regolamenti generali;

8. per il divieto di trasportare carichi in modo contrario alla conservazione in buono stato delle strade;

9. circa i tempi ed i modi da osservarsi per la distruzione degli animali, degli insetti, delle crittogame e delle piante nocive all'agricoltura, in quanto non vi provvedano leggi e regolamenti generali.

Anche le associazioni agrarie vennero promosse come enti atti a giovare all'attività agraria; e furono e si chiamarono dapprima comizî agrarî e poi assunsero forme e nomi diversi. I comizî agrarî, istituiti in ogni capoluogo di circondario con r. decr. 23 dicembre 1866, n. 3452, seguito al regolamento 18 febbraio 1867, n. 339, ebbero a costituirsi numerosi, principalmente negli anni immediatamente successivi; ma, tranne rare eccezioni, la loro attività fu scarsa, ed ora hanno cessato di esistere anche di diritto oltre che di fatto. Altre forme di attività e di rappresentanza, e specialmente le sezioni agrarie dei consigli provinciali di economia, ne hanno preso il posto (r. decr. 26 maggio 1928, n. 1104, art. 20).

La legislazione si è pure curata di favorire molteplici forme di associazione: dapprima le antiche comunanze e partecipanze, di poi le varie forme di consorzî, infine le società nelle varie forme, e particolarmente le società cooperative, le mutue di assicurazione e le casse rurali di credito.

Considerando l'azione odierna dello stato per l'agricoltura, come si è detto, non sempre accade di poter tenere distinte e separate l'azione legislativa e quella amministrativa, spesse volte intimamente connesse. Neppure è conveniente mantenere la distinzione, altre volte adottata, fra provvedimenti negativi (destinati a togliere ostacoli) e positivi (destinati a procurare vantaggi).

Conviene piuttosto seguire la partizione economica, distinguendo l'azione a favore della produzione agraria; l'azione Correttiva della distribuzione del reddito; l'azione che favorisce la circolazione dei prodotti e il consumo.

Per la produzione, si può distinguere l'azione che riguarda i singoli fattori della produzione (natura, capitale, lavoro) o l'organizzazione e l'attività produttiva (impresa).

Per il fattore natura (terra), viene prima l'ordinamento della proprietà fondiaria o capitale fondiario, e l'azione sulla formazione, distribuzione, trasferimento della proprietà fondiaria.

Al proposito la legislazione dell'agricoltura, a partire dalla metà del sec. XVIII e fino ai nostri giorni, nell'Europa e specialmente in Italia segue un movimento ben determinato che trova concreta espressione nella successione dei provvedimenti legislativi. E cioè prima nell'alienazione e diminuzione delle terre pubbliche e nell'ingrandimento della proprietà privata; in secondo luogo nell'abolizione dei feudi, dei fidecommessi, della manomorta, e nell'agevolazione dei trapassi di proprietà, riducendo per quanto è possibile i vincoli di ogni specie. La tendenza è contraria a tutte le forme di proprietà collettiva e favorevole alla quotizzazione: favorisce quindi lo scioglimento di promiscuità e l'abolizione delle servitù, particolarmente di pascolo, legnatico, ecc.; e la stessa tendenza si rivela nelle leggi relative a dominî collettivi, usi civici, beni ademprivili, ecc.

Si ha così un primo gruppo di leggi, che riguardano l'abolizione delle servitù, dei diritti d'uso, e lo scioglimento delle comunioni e delle proprietà collettive; ed un secondo gruppo che riguarda l'affrancazione da decime, canoni, livelli, censi, ecc.

Questa è, a nostro avviso, la caratteristica dominante nella legislazione agraria del sec. XIX per quel che riguarda la terra, ossia la proprietà fondiaria.

Questo carattere, che vale in gran parte per l'Europa continentale ed occidentale, è specialmente notevole nella legislazione italiana la quale, a partire dal 1859 e dal 1861, si può distinguere in due specie o ordini di provvedimenti; alcuni che dovevano aver valore per tutto il territorio del regno ed altri invece che dovevano, o a compimento di provvedimenti già prima iniziati, o in contrasto con la politica precedente, risolvere le questioni nelle singole regioni che costituivano già gli antichi stati.

Appartiene alla prima categoria (di carattere nazionale) p. es. la legge 14 luglio 1887, n. 4729, che abolisce le decime (la quale fu poi modificata in alcuni particolari); alla seconda categoria (di carattere locale) appartengono:

la legge 26 febbraio 1865, n. 2165 per l'abolizione di diritti ed usi civici sulle terre del Tavoliere;

la legge 23 aprile 1865, n. 2253 per l'abolizione dei diritti di ademprivio e di cussorgia in Sardegna, integrata specialmente dalla legge 2 agosto 1897, n. 382;

le leggi 15 agosto 1867 e 21 giugno 1869 per l'abolizione dei diritti d'uso nell'ex-principato di Piombino;

le leggi 24 giugno 1888, n. 5489, e 2 luglio 1891, n. 381 (testo unico 3 agosto 1891, n. 510) per l'abolizione dei diritti d'uso nelle provincie ex-pontificie; la legge 28 febbraio 1892, n. 72, per l'abolizione dei diritti d'uso in Tatti (Grosseto); la legge 28 febbraio 1892, per l'alienazione e ripartizione del Montello;

le leggi 4 marzo 1869, n. 4939, 2 aprile 1882, n. 698, 7 maggio 1885, 24 maggio 1896, n. 147 per l'abolizione del pensionatico, dell'erbatico e pascolo nel Veneto e nella provincia di Torino, ecc.

Costituiscono altresì provvedimenti che riguardano la proprietà fondiaria, ma piuttosto l'incremento qualitativo che la distribuzione, e per mezzo di un'azione indiretta piuttosto che diretta, le leggi relative alle strade e vie di comunicazione, ai canali, specialmente di irrigazione, alle bonifiche, ecc.

Tra le vie di comunicazione meritano particolare menzione i tratturi di Puglia e le trazzere di Sicilia, sia perché servivano principalmente al transito delle greggi transumanti, e questo deve essere oggi diminuito per la possibilità di migliori mezzi di trasporto; sia perché una parte del terreno pubblico diede già luogo ad usurpazioni e venne da privati ridotto a coltura.

La materia diede quindi argomento dapprima a regolamenti approvati con regi decreti, n. 196 e 197, del 5 gennaio 1911, al decreto legge 23 agosto 1917, n. 540, e al regolamento 29 gennaio 1922, n. 589, modificato dal r. decreto 20 gennaio 1923, n. 212, poi al r. decr. 30 dicembre 1923, n. 3244, modificato con quello del 18 novembre 1926, n. 2158, ed al regolamento vigente approvato col r. decr. 29 dicembre 1927, n. 2801.

In un'altra fase della legislazione, si è avuta dapprima una remora nel processo di quotizzazione; fu difesa e conservata in alcune sue forme la proprietà collettiva, innestandovi istituti di persone giuridiche, di associazioni, di cooperative. In un terzo momento (dopo la grande guerra 1914-1918) la tendenza si è manifestata nuovamente a favore dell'intervento diretto dello stato nella distribuzione della proprietà, con particolare favore della piccola, in confronto della grande proprietà.

Così, nell'Europa, specialmente centrale e orientale, dopo la guerra si è andata sviluppando la riforma agraria, o, come altri dice, fondiaria, in una intensa lotta contro il latifondo: con applicazione dell'espropriazione forzata senza indennità, in Russia e in Lettonia; con indennità, negli altri stati.

Questo movimento, molto meno sensibile nell'Europa occidentale e nei vecchi stati, qualche ripercussione ebbe però dovunque, e talune manifestazioni anche in Italia: di vecchia data, ma di più pronta applicazione, nella legislazione dell'Agro romano e delle bonifiche; di nuova ispirazione, nel regolamento legislativo dell'Opera nazionale dei combattenti; di nuovissimo impulso, nelle leggi sulle trasformazioni fondiarie.

Per l'art. 9 del regolamento legislativo dell'Opera nazionale dei combattenti (decr. luogotenenziale 16 gennaio 1919) a costituire il patrimonio, oltre i terreni acquistati dall'Opera o ad essa trapassati da enti pubblici, concorrono anche i terreni appartenenti a privati proprietarî e che siano soggetti a obbligo di bonifica, ovvero che risultino idonei a importanti trasformazioni colturali; e secondol'art. 11, per tali terreni, un collegio centrale, quando abbia riconosciuto che essi sono soggetti ad obblighi di bonifica o quando, sulla base di un piano di lavori presentato dal consiglio di amministrazione dell'Opera nazionale, abbia riconosciuto che essi sono atti ad importanti trasformazioni colturali, ne pronuncia l'attribuzione all'Opera nazionale e l'immediata occupazione da parte di quest'ultima. Decreti successivi hanno largamente mutato modalità e procedura della espropriazione; ma il principio è rimasto; e poiché è ben difficile e raro che i terreni non siano suscettibili di trasformazione colturale, è evidente l'ampia portata della legge, la cui applicazione trova limite soltanto nella capacità economico-finanziario-patrimoniale dell'Opera dei combattenti.

Per la legge sulle trasformazioni fondiarie (r. decr. legge 18 maggio 1924, n. 753, convertito in legge 17 aprile 1925, n. 473, nonché r. decr. legge 29 novembre 1925, n. 2464), determinati i comprensorî, è affidata al governo l'esecuzione, da attuarsi per concessione (con preferenza ai consorzî dei proprietarî) ed è pure accordata una larga facoltà di espropriazione. Ma si deve avvertire che le modifiche apportate dal secondo al primo decreto ne limiteranno notevolmente l'applicazione.

E già le leggi per l'Agro romano, per le bonifiche, e per i rimboschimenti avevano ammessa larga facoltà di espropriazione contro i proprietarî riluttanti o renitenti alle prescritte migliorie.

Alle disposizioni di carattere accessorio, indiretto, e d'influenza qualitativa sopra l'incremento della proprietà fondiaria, va aggiunta la legislazione delle acque pubbliche (r. decr. legge 9 ottobre 1919, n. 2161; legge 18 dicembre 1927, n. 2595).

La recente legislazione segna la tendenza a trasferire in proprietà pubblica (demanio) la maggior parte dei corsi d'acqua; onde le derivazioni acquistano carattere di concessioni con il corrispettivo di un annuo canone.

In verità la ragione ispiratrice dei provvedimenti è piuttosto nel carattere industriale delle derivazioni e nello sviluppo delle industrie idroelettriche: cosicché in un primo tempo la proprietà fondiaria-agraria ne riceve limitazione anzi che vantaggio. Successivamente i varî interessi vengono contemperati, e quelli dell'agricoltura salvaguardati e protetti.

La materia, più specialmente interessante l'agricoltura, delle irrigazioni diede luogo ad una serie di provvedimenti.

Dapprima, e precisamente il 29 maggio 1873, fu disposto per la formazione di consorzî all'uopo; e successivamente vennero emanate disposizioni molteplici per favorire l'irrigazione, fra le quali, recenti quelle del r. decreto 20 maggio 1926, n. 1154, e 13 agosto 1926, n. 1927, rispettivamente per le opere nell'Italia meridionale e nelle isole, nell'Italia settentrionale e centrale.

Ora s'intende l'opportunità di coordinare le disposizioni per l'irrigazione a quelle per le bonifiche ed in generale per le acque pubbliche; e un testo unico relativo è in corso di elaborazione.

Di particolare interesse è, per l'Italia, la materia delle bonifiche. Essa ha qualche precedente nelle leggi degli antichi stati, specialmente in Toscana, dove ancora si ricordano i versi allusivi al Granduca:

che per la smania d'eternarsi asciuga

tasche e Maremme.

Il bonificamento fu dalla legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F, posto fra le attribuzioni del Ministero dei lavori pubblici; ma una legge fondamentale fu quella 25 giugno 1882, n. 969 (Baccarini), alla quale si può opporre soltanto ch'essa era principalmente adatta alla valle padana, e meno adatta alle terre meridionali.

Le successive modifiche diedero luogo infine al testo unico 22 marzo 1900, n. 195, che rappresenta il secondo momento caratteristico della materia; ma anche questo richiese aggiunte e modificazioni; onde, terzo momento, il testo unico 30 dicembre 1923, n. 3256, integrato dalla legge detta delle trasformazioni fondiarie di cui altrove è discorso.

Per le bonifiche dell'Agro romano e per quelle della Sardegna esistono provvedimenti speciali.

Accessorio della proprietà fondiaria è spesse volte il capitale bestiame (immobile per destinazione).

All'incremento di questa ricchezza provvedono la disciplina dei pascoli; la tutela dell'igiene zootecnica, e con ciò la difesa dalle epizoozie; ed infine le disposizioni per il miglioramento delle razze bovine, equine, ovine, suine. Provvedimenti legislativi ed amministrativi si succedono con questo intento; né vengono dimenticate la coniglicoltura, la pollicoltura, la bachicoltura e l'apicoltura.

Tutte queste forme di allevamento trovano appoggio in istituti pubblici o sovvenzionati, chiamati talvolta, stazioni; mentre per il bestiame grosso viene particolarmente disciplinata la monta, sia equina, sia taurina.

Né mancano provvedimenti atti a promuovere le applicazioni delle macchine e i progressi della meccanica agraria, per i quali sia lecito alleviare il lavoro del bestiame e rispettivamente diminuire il bestiame da lavoro, per accrescere quello da latte e da macello. Così pure trova luogo, fra i provvedimenti legislativi ed amministrativi a favore della produzione agraria, l'applicazione degli esplodenti come mezzo di riduzione e trasformazione delle terre.

Per quel che riguarda il capitale propriamente detto in senso stretto, e particolarmente il capitale circolante, lo stato interviene a promuovere e regolare istituti di credito fondiario ed agrario, e ad agevolare, anche per istituti non specializzati, operazioni di credito agrario e fondiario.

Lunghissima sarebbe l'enumerazione dei provvedimenti in proposito. Basti qui accennare che intensa e costante fu dai primordî del regno l'azione dello stato in argomento; che talvolta prevalse la tendenza ad accentrare la funzione in uno o pochi istituti speciali, ed altre volte a decentrarla con criterî regionali.

Particolari agevolazioni, con grande sacrificio pubblico, furono accordate durante la guerra. Ma occorre avvertire che in materia delicata come l'economico-finanziaria, molto maggiore efficacia spiega la naturale abbondanza di capitali (dalla quale consegue anche il credito facile e a buon mercato), che non la molteplicità degli istituti e degli accorgimenti e delle garanzie e delle agevolazioni poste dallo stato, al quale tuttavia non si può disconoscere il merito di aver tentato e di tentare ogni via per il vantaggio dell'agricoltura anche in questo campo.

L'azione poi che riguarda il terzo elemento della produzione, cioè il lavoro, si confonde con quella che agisce sopra la distribuzione del reddito, e sopra l'impresa.

Abbiamo quivi dapprima provvedimenti di carattere imperativo e di riforma dei contratti agrarî (enfiteusi, locazione, e specialmente piccolo affitto, colonia parziaria, mezzadria e compartecipazione). Abbiamo poi disposizioni regolatrici del lavoro agrario: dapprima la disciplina del lavoro in risaia; di poi protezione delle donne e dei fanciulli, riposo festivo, limitazione delle ore di lavoro, uffici di collocamento, contratti collettivi di lavoro. Altre disposizioni tutelano più particolarmente l'igiene e la salute dei lavoratori; altre l'assistenza medica e ostetrica, la gratuita somministrazione dei farmaci, la distribuzione del chinino (monopolio dello stato), la lotta contro la malaria nei varî provvedimenti profilattici e di cura, l'igiene delle abitazioni; e mutui, premî e sovvenzioni ed incoraggiamenti alle costruzioni rurali.

A vantaggio dell'impresa agraria operano gl'istituti che mirano ad ogni progresso tecnico: sia per l'agricoltura in genere, sia per le speciali coltivazioni (riso, frumento, tabacco, agrumi).

La legislazione e l'amministrazione non mancarono infatti di intervenire nella materia delle coltivazioni speciali. Primo oggetto di cure legislative in ordine cronologico può dirsi essere stata la coltivazione del riso. Per questa si deve tener conto di due diversi momenti:

a) Il primo momento fu intorno all'anno 1866. Una legge 12 giugno, n. 2967, dava le norme generali: e subito, a partire dall'anno successivo e negli anni seguenti, furono dalle provincie emanati i regolamenti per la coltivazione.

b) Più che un diverso ordinamento, il richiamo in vigore di disposizioni rimaste inosservate e una più efficace tutela dell'igiene e delle condizioni dei lavoratori, diedero luogo all'elaborazione del 1906 (legge 16 giugno 1907, tradotta successivamente in testo unico, integrata dal regolamento 29 marzo 1908, n. 157, e seguita dai regolamenti provinciali 1910-11, ecc.).

Recentissimo è invece l'intervento dello stato nella coltivazione del grano. Questo avvenne in un primo momento in tempo di guerra. Un secondo momento importante è rappresentato dalla cosiddetta battaglia del grano; della quale i principali provvedimenti furono l'istituzione di un comitato permanente, il ripristino del dazio doganale, le provvidenze per la propaganda, la dimostrazione e la sperimentazione per incoraggiare la produzione di sementi elette, il dissodamento, la motoaratura e l'elettrocoltura, i concorsi a premio, ecc. (1925-26).

Una delle coltivazioni che per ragioni fiscali, dato il regime di monopolio, richiese particolari provvedimenti e diede luogo a particolare difficoltà fu la coltivazione del tabacco, per la quale ripetutamente a partire dalla legge 13 luglio 1862, n. 710, e dal regolamento 9 novembre 1862, n. 980, lo stato provvide a disciplinare i permessi di coltivazione, stabilendo pei concessionarî l'obbligo di cedere il loro prodotto allo stato e di sottomettersi al controllo della pubblica amministrazione.

Per le altre colture meritano un cenno particolare i provvedimenti presi a favore della coltura degli agrumi, e quelli per la frutticoltura. La crisi che ad un certo momento si manifestò per il commercio degli agrumi, con naturale ripercussione sopra la produzione, richiese ripetute misure: dapprima agevolazioni fiscali tanto nei trasporti che nel credito; quindi l'istituzione in Acireale di una stazione di agrumicoltura, specialmente allo scopo di studiare i miglioramenti da introdursi nelle colture, ecc.; infine l'istituzione di una Camera agrumaria con sede in Messina, la quale soprattutto ebbe ad occuparsi del commercio del citrato di calcio ed agro cotto, con la possibilità di fare anticipi contro deposito del prodotto e prima della vendita. In tale materia che, come ognuno vede, riguarda più ancora il commercio, e quindi soltanto indirettamente la produzione, esistono provvedimenti governativi, a cominciare da quelli del 1897, relativi soltanto alla repressione delle frodi, attraverso quelli molto numerosi del 1907-08 e seguenti, fino a quelli del 1923-24 e dei nostri giorni; ma il problema, essenzialmente economico piuttosto che tecnico, e connesso con il consumo da un lato e con la concorrenza dall'altro, non può ancora dirsi avviato a soluzione.

Può dirsi invece che esso venga in qualche modo assorbito e compreso in quello più generale della frutticoltura, benché e per la natura del prodotto (agrumi), e per il carattere locale della produzione (Sicilia-Calabria) mantenga un suo aspetto particolare, ed esiga ancora speciali provvedimenti.

Nei riguardi della frutticoltura in generale la legislazione, pure con i più recenti provvedimenti (fra gli altri il decr. luogotenenziale 18 febbraio 1917, n. 323, per la istituzione di vivai ed altri provvedimenti per migliorare la coltivazione delle piante fruttifere; il decr. luogotenenziale 5 gennaio 1919, n. 404, per la costituzione del consorzio per la diffusione della frutticoltura nel Mezzogiorno; il decreto 24 marzo 1921 che sopprime le limitazioni al commercio di esportazione e all'uso industriale delle frutta e ortaggi: la legge 3 aprile 1921, n. 600, per incoraggiare lo sviluppo della frutticoltura; il decr. ministeriale 12 dicembre 1921, per il controllo sulla esportazione dalle provincie di Campania; il r. decr. 31 dicembre 1923, n. 3071, per esenzioni temporanee d'imposta alle nuove piantagioni, e il r. decr. 29 dicembre 1927, n. 2670), ha voluto favorire la produzione, il commercio e l'esportazione.

Inoltre, quasi per ogni ramo della produzione agraria, sono state istituite nei centri più indicati, stazioni agrarie sperimentali, che costituiscono il più valido intervento per l'aumento della produzione.

Ma, benché si possa dirlo di carattere negativo, resta sempre compito principalissimo dello stato, e possibile soltanto mediante disposizioni imperative imposte ai privati, quello di combattere le malattie delle piante; e per tal modo giovare alla produzione agraria.

Questa azione che volta a volta ha preso per oggetto le varie malattie (Diaspis pentagona, ecc.), ha trovato la sua espressione più generale nella legge 26 giugno 1913, n. 888, seguita dal regolamento 12 marzo 1916, n. 723, contro le malattie delle piante in genere, che determina i varî modi di lotta e d'intervento e principalmente l'istituzione di una commissione consultiva, di stazioni e laboratorî, di osservatorî regionali, di delegati speciali per la fitopatologia, e disciplina l'opera di vigilanza mediante ispettori, l'opera di difesa mediante consorzî; ma l'azione statale trova la sua più frequente manifestazione nella lotta conta la fillossera, di data più antica, di portata più larga, di più frequente applicazione.

Risale infatti al 3 aprile 1879 l'inizio della lotta, continuata attraverso numerosissimi provvedimenti raccolti poi nel testo unico 23 agosto 1917, pur esso sottoposto ad ulteriori aggiunte e supplementi, e posto in correlazione con una convenzione internazionale (Berna 1881). La lotta consiste nel duplice metodo curativo e distruttivo, nel divieto di importazione e di transito di barbatelle, magliuoli, tralci e di ogni parte o cosa che possa essere veicolo di infezione; ma l'effetto maggiore si ottiene mediante la sostituzione di viti su piede americano, onde ulteriori provvedimenti che promuovono vivai e tutelano il commercio dei vitigni.

Nella materia della fillossera ha particolare importanza l'organizzazione dei consorzî. Nella materia dei vini e della viticoltura la legislazione non è intervenuta direttamente a disciplinare con comandi e divieti la coltivazione medesima, essendosi sperimentalmente dimostrato come ai nostri giorni sia sufficiente l'interesse privato a guidare la produzione. Necessario si ritenne invece di provvedere al commercio: sia procurando di favorire l'esportazione, mediante trattati e convenzioni internazionali, sia mediante agevolazioni di tariffe nei trasporti interni, sia cercando di garantire il pubblico e i produttori dalle mistificazioni, alterazioni e adulterazioni, sia tutelando il nome di vini tipici e promuovendo consorzî di produttori a tale scopo, anche in questa materia coordinando l'attività privata e pubblica con accordi internazionali.

Alla circolazione della ricchezza nei riguardi dei prodotti agrarî giovano in primo luogo le agevolazioni del traffico (fiere e mercati); e dei trasporti (tariffe ferroviarie di favore); i dazî sulle importazioni per proteggere talune colture (cereali), a compensare le forze contrastanti di divieti di esportazione; l'ordinamento delle imposte e tasse, specialmente per quel che riguarda i comuni, onde l'abolizione della tassa sul vino costituisce un vero atto di politica agraria a favore di tale produzione. La politica economico-agraria ha pure campo di estrinsecarsi nella conclusione di trattati di commercio.

Ultima per il carattere complementare, prima per importanza forse, è la legislazione della istruzione agraria, nei tre gradi tradizionali della istruzione inferiore, media e superiore. Quest'ultima diede luogo a numerosi ritocchi e perfezionamenti, mentre l'istruzione media si svolgeva largamente con carattere spiccatamente professionale nelle scuole pratiche, e con carattere comune di preparazione a speciali funzioni o alla istruzione superiore, nelle sezioni di agronomia prima e di agrimensura poi degli istituti tecnici. Meno curata fu per molto tempo l'istruzione inferiore; mentre poi più recenti - anzi recentissimi - provvedimenti ordinavano corsi di istruzione per contadini (r. decr. 3 aprile 1924, n. 534).

Un particolare istituto, dapprima destinato all'istruzione poi investito di molte altre funzioni, fu quello delle cattedre ambulanti d'agricoltura istituite nelle varie provincie, ed ora novellamente riordinate.

Devono poi tenersi presenti le disposizioni a favore dell'agricoltura con carattere regionale, e particolarmente per la Basilicata, per la Calabria, per la Sicilia e per la Sardegna a partire dal 1906, negli anni 1907-908-909-911 e successivamente. Furono istituite cattedre ambulanti d'agricoltura alla dipendenza dello stato, poderi dimostrativi, premî per case coloniche; furono concessi beni demaniali ad enfiteusi; date disposizioni speciali per le irrigazioni, per il credito agrario e persino per i contratti agrarî, benché molte di queste siano rimaste lettera morta. Si può dire pure che abbiano carattere regionale le disposizioni che, a partire dal 1878 e particolarmente nel 1905, concernevano l'Agro romano e la sua colonizzazione, le quali ebbero recentemente non tanto modificazioni, quanto maggiore intensità di applicazione.

Anche per l'Agro romano i provvedimenti (salvo la sanzione della espropriazione e della rivendita) consistono principalmente nell'obbligo fatto ai proprietarî di introdurre miglioramenti, assistiti da mutui di favore, da premî e sussidî, da obblighi talora di consorziarsi agli effetti della bonifica o semplicemente per fini idraulici.

Abbiamo così indicato lo sviluppo della legislazione dell'agricoltura e della politica agraria nell'andamento generale, che si può dire costituisca una linea continuata fino ai nostri giorni.

Ma vi è qualche caratteristica particolare che va messa in evidenza, perché i suoi caratteri derivano più particolarmente dal perturbamento della guerra e perché la guerra vi ha imposto una specie di stigmate, i cui effetti si sono prolungati anche dopo la guerra e tuttora si risentono.

In tutti gli stati d'Europa ed anche in Italia, la guerra 1914-1918 ha imposto una politica agraria d'eccezione: tenere sollevato il morale dei combattenti (nel maggior numero contadini) con l'assistenza della famiglia e la stabilità delle condizioni; provvedere all'incremento della produzione per le accresciute difficoltà d'importazione; assicurare l'ordine pubblico, evitando le cause di malcontento. Perciò, mentre da un lato la politica economica ed economico-agraria seguiva il naturale suo sviluppo (legislazione delle acque pubbliche e delle derivazioni; legislazione contro le malattie delle piante, ecc.), dall'altro seguivano eccezionali provvedimenti. Particolare influenza sull'agricoltura hanno la rarefazione della mano d'opera e l'obbligo delle denuncie dei raccolti, delle requisizioni, dei prezzi pubblicamente stabiliti.

I primi provvedimenti furono di proroga al pagamento dell'affitto e di facoltà di ottenerne la risoluzione a favore dei conduttori di fondi richiamati alle armi. Iniziata col r. decr. 3 giugno 1915, la concessione di proroghe, in varî modi e forme, continuò fin dopo la guerra: fu estesa ad altri contratti agrarî, colonia e salariato fisso, l'8 agosto 1915, rinnovata ed estesa e modificata il 30 settembre, l'11 novembre, il 4 febbraio, il 30 maggio e il 2 novembre 1916, il 6 maggio 1917, il 30 giugno 1918, con la nomina di commissioni arbitrali per risolvere le controversie fra gl'interessati.

Per il raccolto dei cereali venne data ai prefetti e ai sindaci (3 giugno 1915) facoltà di prescrivere prestazioni obbligatorie; e poi vennero nominati speciali commissarî e date altre disposizioni con facoltà di derogare ai contratti preesistenti ed anche ai diritti dei proprietarî, pur di ottenere l'incremento della produzione. Fu ammessa così anche una forma anormale di concessione di coltivazione e di occupazione delle terre; furono favorite le cooperative e si aggiunsero disposizioni per agevolare il credito; disposizioni furono date (2 maggio 1918) per la mobilitazione agraria e (12 maggio) per la precettazione di mano d'opera. Il governo (6 giugno 1915 e 18 febbraio 1917) fu autorizzato ad acquistare motori e macchine agrarie per concederle agli agricoltori, e distribuire premî all'uopo; e (16 agosto 1917) ad organizzare il servizio di motoaratura (12 maggio, 14 luglio, 17 novembre, 15 dicembre 1918).

La necessità del consumo, prima per i bisogni del r. esercito e poi per la popolazione, indusse dapprima alla incetta dei bovini (11 luglio 1915), alla requisizione della paglia (9 dicembre 1915) e via via di altri prodotti agrarî. Fu introdotto il divieto di macellazione dei vitelli (22 aprile-2 maggio 1915), regolata pure il 28 dicembre 1916 e limitata, quanto ai suini, il 25 gennaio 1917. Furono anche date discipline limitatrici del taglio dei castagni, degli olivi, dei gelsi.

La legislazione agraria dopo la guerra (1919-1928) si risente:

1. delle condizioni patologiche causate alle persone e agli averi dalla guerra;

2. della oscillazione delle opinioni e della diversa vicenda dei rimedî tentati.

Caratteristica è la grande abbondanza dei provvedimenti, indice dell'accresciuto intervento dello stato nella vita economica.

Gli effetti non possono essere né profondi, data la quantità e la varietà dei provvedimenti, né benefici per l'inceppamento che ne viene all'attività ed iniziativa privata. Alcuni risentono dell'azione internazionale svolta dalla Società delle nazioni, e dal Bureau international du travail per il lavoro agrario, degli accordi internazionali per le malattie delle piante e per le epizoozie e delle tendenze generali protezionistiche; altri delle esigenze locali; altri delle condizioni nazionali.

Costituiscono complemento della legislazione bellica e avviamento alla soluzione dei problemi connessi con la guerra le disposizioni rinnovate in relazione alla proroga dei contratti agrarî, alla occupazione delle terre, all'abrogazione di divieti e di prescrizioni richieste dallo stato di guerra e dalle condizioni economiche correlative. Costituiscono ripresa della costante linea tradizionale di politica agraria le molteplici disposizioni: sulle acque pubbliche (derivazioni e irrigazioni), sulle bonifiche (testo unico 30 dicembre 1923), sull'Agro romano (23 gennaio 1921), sul credito agrario e fondiario, sulle affrancazioni, sugli usi civici, contro la fillossera, per l'incremento della produzione zootecnica ed equina (cavalli, asini, muli) e della pollicoltura e coniglicoltura; nonché quelle relative alla camera agrumaria di Messina; quelle per la stazione agraria di olivicoltura in Bari, di granicoltura in Rieti, di maiscoltura in Bergamo, di praticoltura in Lodi; l'istituto di meccanica agraria e i provvedimenti a favore dell'ovicoltura, della bachicoltura, dell'apicoltura, nonché quelli per la lotta obbligatoria contro il bostrico delle abetaie, contro il male dell'inchiostro, contro la formica argentina, contro le cocciniglie; le disposizioni per reprimere le frodi nei vini, nei concimi chimici, nei prodotti agrarî.

Sono indice delle nuove forme, finora inusitate ed ora ex-novo entrate nella politica agraria, le disposizioni che regolano il lavoro agricolo dei fanciulli, che limitano l'orario di lavoro nelle aziende agricole, quelle sulle assicurazioni contro gli infortunî in agricoltura, e contro la invalidità e vecchiaia; sulle associazioni agrarie di mutua assicurazione, anche contro i danni dell'abigeato; sui sindacati agricoli e contratti collettivi. Costituiscono anche indici della nuova attività legislativa e amministrativa a favore dell'agricoltura, le disposizioni per le concimaie, le facilitazioni per il petrolio destinato ai motori agricoli e quelle che riguardano la distruzione della talpa e del passero, i provvedimenti per l'agricoltura coloniale, e, in materia fiscale, l'imposta sopra i redditi agrarî, la tassa sulle riserve di caccia, la tassa sulle capre, che ha l'obiettivo sociale, più che fiscale, di limitare un tale allevamento, ritenuto dannoso allo sviluppo delle foreste.

Bibl.: E. Bianchi, Legislazione agraria, Milano 1887; E. Presutti, L'amministrazione pubblica della agricoltura in Italia, in Trattato di diritto amministrativo dell'Orlando, Milano 1902; E. Vita, Codice della legislazione agraria italiana, Milano 1913; G. Valenti, L'agricoltura e la classe agricola nella legislazione italiana, Roma 1894; Società degli agricoltori italiani, L'Italia agricola alla fine del secolo XIX, Roma 1901; Istituto internazionale d'agricoltura in Roma, Annuaire international de législation agricole, Roma 1911-1928; Rivista di diritto agrario (Direttore G. Bolla), Firenze 1922-1928; E. Poggi, Cenni storici delle leggi sull'agricoltura dai tempi romani fino ai nostri, Firenze 1845-48, voll. 2.

Le scienze agrarie.

Sotto il nome di scienze agrarie si comprende il gruppo di discipline che studiano gli elementi naturali ed economici connessi con il valorizzamento del terreno e dei prodotti che con questo sono in relazione.

L'agricoltore moderno non si contenta di coltivare secondo la pratica tradizionale, ma cerca le colture più adatte al clima, al terreno e meglio rimunerate; si sforza di sfuggire alle avversità meteoriche nel periodo critico della pianta, prepara la terra, seleziona le sementi, dà ai vegetali le cure necessarie per assicurarne il maggiore sviluppo, cerca di compiere economicamente la raccolta dei prodotti. Talvolta, mediante le industrie annesse alla fattoria (vinificazione, distilleria, oleificio), o ricorrendo agli animali domestici, trasforma prodotti di scarso valore in altri più pregiati. Nella produzione animale cerca di selezionare il bestiame precoce e di elevate attitudini e, con l'igiene, procura di difenderlo dalle malattie. Deve parimenti conoscere le cause delle malattie dei vegetali e la maniera di curarle. L'agricoltore deve essere anche un buon amministratore; specialmente quando si tratti di una vasta proprietà, ha bisogno dell'impianto di una contabilità esatta e della conoscenza del diritto e della legislazione rurale.

Da quanto si è esposto, risulta la difficoltà di definire l'agraria come una disciplina a sé, onde l'insufficienza delle antiche definizioni. Tra queste, a titolo di esempio possiamo citare quella di Cuvier: "l'art de faire en sorte qu'il y ait toujours dans un espace donné, la plus grande quantité possible d'éléments combinés à la fois en substances vivantes" e quella di Moll: "l'agriculture est l'art de produire les plantes et de multiplier les animaux nécessaires à l'homme" (Manuel d'agriculture, Bruxelles 1849).

Nell'antichità, l'industria agraria era ancora bambina, e, malgrado divinazioni veramente geniali, suggerite dall'osservazione quotidiana dei fatti naturali agli scrittori rustici latini e greci, si era ben lungi dalle pratiche perfezionate dei tempi moderni, che hanno forzato la terra a produrre molto di più, anche in condizioni naturali non molto propizie. Il sec. XIII, in Italia, può vantare l'opera del bolognese Pietro de' Crescenzi (Liber Ruralium Commodorum, 1305), oltre ad altre enciclopedie popolari calcate sui modelli classici. Il Rinascimento tuttavia riesumò le opere degli antichi scrittori latini; ai secoli XVI e XVII, appartengono, tra gli altri, libri come quello del padovano Africo Clemente (Dell'agricoltura accomodata all'uso dei nostri tempi et al servizio di ogni paese; Venezia 1572), La Coltivazione (Firenze 1546) di Luigi Alamanni; 12 libri Della villa (Napoli 1584) di G. B. della Porta; Le dieci giornate della vera agricoltura (Brescia 1550), del bresciano A. Gallo; le opere di Ulisse Aldovrandi.

In Francia, Olivier de Serres, studiando gli antichi testi e applicandoli all'esperienza acquisita nella coltura dei proprî fondi, pubblicò nel 1600 la prima edizione del suo Théatre d'agriculture et mesnage des champs che ebbe molte edizioni. Ricordiamo l'opera di Charles Estienne, L'agriculture et la maison rustique (1574), quella del Gaucher, Les plaisirs des champs, Parigi 1583, ecc.

In Germania segnaliamo le opere di Otto Brunfelsius (1530); di I. Camerarius (1534-1598), De re rustica opuscula (Norimberga 1577); del Coler (1639), del Grosser (1590), dell'Heresbach (1496-1576), ecc.

In Spagna ricordiamo i libri di Gregorio De los Rios, Agricultura de Jardines (Madrid 1592), di Juan de Valverde, Dialogos de la fertilitad y abundancia de España, ecc. (Madrid 1578), di Gabriele Herrera, Obra de agricultura (Alcala 1513).

In Inghilterra, parallelamente al grande sviluppo preso dall'agricoltura nei sec. XVI e XVII, anche la scienza agraria fu oggetto di numerose pubblicazioni. È del 1523 The book of husbandry (il libro di agraria), attribuito al Fitzherbert; al medesimo autore appartiene The book of surveying and improvements (il libro del misuratore e dei miglioramenti rurali). Ricordiamo ancora Thomas Tusser (Five hundred points of husbandry, Londra 1562), Sir Richard Weston, Walter Blith, Samuel Hartlib; John Houghton pubblicò, a partire dal 1681, periodicamente, le sue Collections on husbandry and trade; nel 1731 il celebre Jethro Tull, agricoltore del Berkshire, pubblicò il libro Horsehoeing husbandry; infine, basterà aver ricordato qui Arthur Young.

Ma solamente nei sec. XVIII e XIX le scienze agrarie ebbero un certo differenziamento, specialmente col progresso della biologia, della chimica, della fisica, da un complesso vago di nozioni, che molto risentivano delle tradizioni antiche e in gran parte si basavano su credenze errate, si passò all'applicazione pratica di principî razionali, spiegati dalla scienza e dimostrati nel modo più chiaro dall'esperienza. Nel 1545 Padova istituì il primo orto botanico di Europa, nel 1765 fu fondata la prima cattedra pubblica per l'insegnamento dell'agraria e la si affidò a Pietro Arduino e numerosi sorsero gli scrittori di agricoltura nel Veneto; in Toscana i Medici favorirono l'agricoltura e sotto Cosimo I si ricordano agronomi valenti. Nel sec. XIX fiorirono numerosi scrittori di cose agricole, che gettarono le basi della moderna agricoltura. Tali sono: Paolo Balsamo, Giovacchino Carradori, Raffaello Lambruschini, Filippo Re, Carlo Berti Pichat, Cosimo Ridolfi, Pietro Cuppari, Melchiorre Gioia, Vincenzo Dandolo, Giuseppe Borio, G. A. Ottavi, Emilio Cornalia, ecc. Fra i maestri da poco estinti ricordiamo Italo Giglioli, Fausto Sestini, Vittorio e Pietro Niccoli, Girolamo Caruso, O. Comes, P. Cantoni, Ottavi, Berlese, ecc.

Anche all'estero nel secolo passato si svilupparono le scienze agrarie, prima di tutto per merito di A. L. Lavoisier, che fino dal 1793 aveva tracciato un programma preciso di ricerche per conservare la fertilità del suolo. Nel 1804 N. T. De Saussure pubblicò le sue Recherches chimiques sur la végétation; con quest'opera avvertiva che la presenza delle sostanze minerali nelle piante non è accidentale. Seguirono il Thaer, con i suoi Grundsätze der rationellen Landwirtschaft (Berlino 1809-10); Mathien di Dombasle, il Payen, il Dumas con la sua celebre Statique chimique des êtres organisés. Nel 1840 J. Liebig dette il crollo definitivo alla teoria umistica con la sua classica opera (Die Chemie in ihrer Anwendung auf Agrikultur und Physiologie), che gettò le basi della teoria mineralistica e segnò i primi inizî della chimica agraria che fu fondata dai francesi Boussingault, Ville, Berthelot, Schloesing e Muntz.

Gli studî del Liebig, varie applicazioni industriali, poi le ricerche del Wagner, del Märcker, del De Gasparin, del Dehérain dimostrarono l'importanza della concimazione azotata; Muntz, Girard e Sestini dimostrarono l'importanza della calce come concime modificando le proprietà fisiche del suolo. Sono pure dell'ultimo secolo gli studî di Sir John Lawes, di Joseph Gilbert, di Evan Pugh a Rothamsted presso Londra sull'utilizzazione dell'azoto atmosferico, confermati dal tedesco Schulz-Lupitz (1831-1899), che nel 1883 dimostrò che alcune piante hanno la proprietà di assimilare l'azoto atmosferico (leguminose) e quindi arricchiscono il terreno di azoto, mentre altre (cereali) sono invece consumatrici di azoto, che si dovrà loro somministrare sotto forma di concime. Nel 1886 Hellriegel e Wilfarth annunciarono che l'assimilazione dell'azoto atmosferico era dovuta alle nodosità delle radici delle leguminose. Nel 1894 Nobbe, Hiltner, Selwidt riconobbero nei tubercoli radicali delle leguminose la presenza del Bacillus radicicola, isolato dal Beyerinck. Altre scoperte vanno allargando il campo dell'indagine scientifica nell'agricoltura. Degna di menzione la teoria della nitrificazione naturale del suolo, stabilita dallo Schloesing figlio, dal Muntz, dal Warrington, dal Soyka, dal Winogradsky. Notevole impulso a questi studî agricoli dettero Stanislao Solari, Pasquale Visocchi, Gaetano Cantoni, Fausto Sestini, Italo Giglioli, il Montemartini, U. Pratolongo, A. Menozzi, V. Alpe, R. Pirotta, G. Ciamician, C. Ulpiani, M. Soave, N. Passerini, E. De Cillis, A. Vivenza, O. Munerati e molti altri.

Ma anche lo studio delle malattie delle piante ebbe un grande sviluppo in questi ultimi anni. Già fino dal 1845 un inglese, il Tucker, scoprì l'oidio della vite, del quale pubblicò una dotta descrizione sul Gardener's Chronicle del 27 novembre 1847. Il Kyle, un orticultore inglese di Leiton, adoperò per primo, come rimedio contro questa malattia, lo zolfo in polvere minutissima, ottenendo un successo veramente duraturo. La peronospora, osservata per la prima volta dal De Bary nel 1863, fu studiata dal Planchon in Francia e dal Pirotta in Italia; i rimedî furono trovati dal Millardet e da molti altri; il vaiuolo fu descritto dal Zintelmann di Berlino e dagli italiani G. Passerini e Saccardo. Degno di menzione nel campo della patologia vegetale è pure G. Cuboni, che diresse per un trentennio la stazione di patologia vegetale di Roma.

Anche nel campo dell'entomologia agraria i progressi furono immensi. L'americano Asa Fitch scopriva nel 1854 un insetto, il Pemphigus vitifoliae al quale non si dava importanza in America, mentre in Europa la presenza del parassita veniva avvertita nel 1862 nel Portogallo, poi in Francia nel 1865, in Italia nel 1875-79; e il pidocchio distruttore veniva studiato da Planchon, Signoret, Lichtenstein, Boyer, e la sua posizione sistematica chiarita con la creazione della specie Phylloxera vastatrix. Anche l'invasione della Diaspis pentagona fu vinta con successo dal Berlese con la sua Prospaltella e ci piace ricordare i nomi di Silvestri e di Del Guercio, che illustrarono in Italia questa branca importante delle scienze agrarie.

Si distinsero nei metodi di selezione dei vegetali l'inglese Hallet, il tedesco Rimpau, il francese Le Conteur, lo spagnuolo La Gasca, lo Shireff, scozzese, l'americano Hopkins, lo svedese Nilsson, e in Italia due valorosi selettori di frumenti, Francesco Todaro di Bologna e Nazzareno Strampelli di Rieti. Anche la meccanica agraria portò validi sussidî al valorizzamento della terra. Benemerito della meccanica agraria fu il tedesco Rodolfo Sack, costruttore e perfezionatore di aratri; ma oggi se ne costruiscono di migliori (Hammer, Miliani, Brabante) adatti per diversi terreni e colture. Notevoli progressi ha fatto pure l'aratura meccanica dapprima con i trattori a vapore (Howard, Fowler, ecc.), poi con motori a scoppio ed elettrici. Un'infinità di macchine, sorte in questi ultimi tempi (sarchiatrici, rincalzatrici, mietitrici-legatrici, trinciaforaggi, pressafieni, trebbiatrici, elevatori meccanici, sfibratrici, presse, torchi, ecc.), hanno trasformato l'agricoltura in un'arte complessa che non soltanto ha bisogno di basi solide e di studî profondi, ma necessita di personale specializzato in ciascuna delle sue numerose branche.

Insomma, la crescente complessità dell'industria agraria è una conseguenza del grande progresso realizzato da tutte le scienze nel corso del sec. XIX. E, come conseguenza naturale dello stesso fatto, sempre più vivo si fece sentire il bisogno di ricorrere all'ausilio delle altre scienze: la botanica, la zoologia e anatomia comparate e, in linea derivata, l'anatomia e fisiologia degli animali domestici, la biologia vegetale e la microbiologia, la patologia vegetale, la fisica, la chimica, la geologia, la geografia fisica, la mineralogia, il gruppo delle discipline matematiche con l'algebra, la geometria descrittiva ecc., la meccanica generale e agraria, l'idraulica, la topografia, la scienza delle costruzioni. L'agricoltore infine si giova di nozioni di diritto (diritto agrario) e legislazione rurale, nonché d'igiene generale e rurale.

La tecnologia scopre e coordina le leggi della produzione delle materie organiche vegetali ed animali; vi è poi l'arte di coltivare le singole piante utili o di allevare particolari specie animali, senza occuparsi del tornaconto e del coordinamento generale dell'impresa; mentre le scienze economiche guidano l'agricoltore ad esercitare la industria agraria per trarne il maggior possibile vantaggio.

Al primo gruppo appartiene la cosiddetta agronomia, che è la teoria dell'agricoltura e si propone la ricerca dei rapporti, che corrono fra la produzione del suolo ed i principî generali della scienza.

Il termine non è recente, ma cominciò a essere generalmente in uso dalla fine del sec. XVIII, dopo che l'ebbe adoperato l'abate Rozier in Francia nel suo Cours d'agriculture (1785).

Dobbiamo poi considerare l'applicazione pratica, cioè l'agricoltura vera e propria, che a sua volta si differenzia in agricoltura generale e agricoltura speciale.

La prima considera i metodi generali di propagazione per seme e per gemma, le cure successive di coltivazione, la raccolta, la prima manipolazione e la conservazione dei prodotti; la seconda studia singolarmente le diverse colture erbacee da orto e da pieno campo e le arboree, descrivendo di ognuna i metodi di coltivazione.

Solamente per comodità di studio si è differenziata dalle discipline ora ricordate, con le quali invece è intimamente unita dal punto di vista economico, la scienza e la tecnica degli allevamenti degli animali domestici e di quelli protetti dall'uomo. È invalso così l'uso di raggruppare sotto il nome di zootecnia le nozioni teoriche e pratiche che interessano la produzione animale: distinguendo anche una zootecnia generale, una ezoognosia (meglio esozoognosia), una zootecnia speciale. La prima è la scienza e la teoria degli allevamenti e corrisponde all'agronomia. Costituisce l'insieme delle leggi e dei precetti che regolano la produzione, l'allevamento ed il miglioramento degli animali domestici. La zootecnia speciale è invece un'arte ed una tecnica, in quanto applica praticamente i principî dettati dalla prima e descrive separatamente e monograficamente le singole specie e razze. L'ezoognosia (studio della conformazione esteriore del bestiame) considera appunto l'animale nei riguardi dei caratteri esterni della bellezza utilitaria, della tipologia, delle attitudini, per determinarne con criterî tecnici il valore commerciale. La zooeconomia è la ricerca dei fattori economici che influiscono sulla produzione e sul rendimento del bestiame domestico. L'igiene zootecnica prende in considerazione tutti i principî dell'igiene generale in quanto si applicano agli allevamenti dal punto di vista economico.

Tutte queste discipline trovano il loro riscontro nell'economia rurale, che è "quella parte della scienza agraria che regola i rapporti fra i diversi fattori della produzione rurale, allo scopo di raggiungere il tornaconto dell'impresa"; la contabilità agraria, ramo della ragioneria applicata, ha per oggetto i fatti relativi all'azienda agricola. L'estimo o agrotimesia ha per scopo lo studio dei procedimenti di valutazione dei beni economici per i quali il mercato non offre il prezzo sotto forma esplicita. Ha avuto ed ha valenti cultori nel Pegoretti, in Gioia, Biancardi, Muzî, Bordiga, Serpieri, Niccoli, Tommasina, Borio, Marrenghi, ecc.

Un'altra disciplina che per la complessità degli argomenti si è separata dall'agronomia e dalla stessa chimica generale, dalla quale deriva, è la chimica agraria. Secondo Canovazzi e Marconi essa si può definire: "la chimica applicata allo studio della natura e composizione delle terre, delle piante e di tutto ciò che serve alla nutrizione di esse nell'intento di ricavarne le norme di una razionale coltura".

Ricordiamo in ultimo le varie industrie agrarie, che hanno per oggetto lo studio teorico e la tecnica della trasformazione, conservazione ed imballaggio dei prodotti che derivano dall'agricoltura.

Riassumendo, le scienze agrarie propriamente dette, astraendo dalle scienze preparatorie, si possono così raggruppare in un quadro sinottico:

Queste discipline si sono sviluppate molto di recente e sono ora oggetto d'insegnamento teorico e pratico in numerosi istituti di tutto il mondo.

In Italia gli istituti d'insegnamento, sperimentazione e propaganda sono dovuti in parte ai privati, in parte ad enti sovvenzioriati dallo stato ma autonomi, altri invece sono alle dipendenze del governo.

Recentemente (1928) sono stati posti alle dipendenze del Ministero della pubblica istruzione gli istituti superiori e medî di agraria, che un tempo dipendevano dal Ministero dell'economia nazionale. Le sei scuole superiori (Milano, Bologna, Pisa, Firenze, Portici, Perugia) rilasciano dopo un corso quadriennale il titolo di dottore in scienze agrarie. In talune vi sono corsi speciali di selvicoltura, bachicoltura, olivicoltura, patologia forestale, legislazione forestale, ecc.; l'istituto di Firenze rilascia un diploma di specializzazione nel ramo della selvicoltura (Istituto superiore agrario e forestale). Le regie Scuole agrarie medie (Alanno, Ascoli Piceno, Brescia, Catanzaro, Cesena, Imola, Lecce, Macerata, Marsala, Padova, Pesaro, Pescia, Roma, Sassari, Todi, Voghera) conferiscono il titolo di perito agrario, che abilita specialmente alla direzione e alla conduzione di piccole e medie aziende agrarie. A queste si aggiungono le regie Scuole di viticoltura ed enologia di Alba, Avellino, Catania, Conegliano, che insieme col titolo di perito agrario rilasciano un diploma di specializzazione in viticoltura. Vi sono poi la regia Scuola di agraria e industrie agrarie di Cagliari, la regia Scuola di pomologia ed orticoltura di Firenze, la regia Scuola di zootecnia e caseificio di Reggio Emilia. Esistono poi varie scuole consorziali di agricoltura, che pure rilasciano il titolo di esperto agrario, non equipollente a quello di perito, che può essere conseguito mediante esame d'integrazione.

Vi sono inoltre 35 scuole agrarie non consorziate, o istituti agrarî inferiori per figli di contadini; tra cui un istituto di meccanica agraria (Cremona), una scuola di orticoltura (S. Donà di Piave), una di frutticoltura (Varese) e 5 scuole femminili (Napoli, Roma, Firenze, Niguarda e presso l'Istituto Magistrale a Udine); infine 67 sezioni di agrimensura presso i regi istituti tecnici che dopo quattro anni di studio abilitano alla professione di perito agrimensore.

Alla propaganda agraria provvedono le cattedre ambulanti di agricoltura, che funzionano in tutte le provincie nei capoluoghi e in altri centri. Alcune di esse posseggono sezioni specializzate di frutticoltura, di zootecnia, praticoltura e apicoltura. Le stazioni agrarie provvedono alla sperimentazione, ed ognuna di esse ha un compito determinato. Segnaliamo fra queste la Stazione di frutticoltura ed agrumicoltura di Acireale; di gelsicoltura e bachicoltura di Ascoli Piceno; la Stazione sperimentale per il frassino e per la manna di Castelnuovo (Palermo), la Stazione sperimentale di bieticoltura di Rovigo, l'Istituto agricolo coloniale italiano con annessa scuola coloniale agraria di Firenze; la Stazione sperimentale agraria per il freddo, di Lodi; la Stazione sperimentale agraria per le sementi selezionate di Modena; l'Istituto sperimentale per il caseificio meridionale a Napoli; la Stazione per le conserve alimentari a Parma; quella per le essenze e derivati degli agrumi a Reggio Calabria; infine l'Istituto di genetica e le numerose Stazioni per la cerealicoltura e la granicoltura, per le malattie del bestiame, ecc.; le stazioni chimiche-agrarie di Milano, Torino, Forlì, Roma, la Stazione di batteriologia agraria di Crema, il laboratorio di botanica crittogamica di Pavia, la Stazione sperimentale di risicoltura di Vercelli, la stazione di patologia vegetale di Roma, oltre le cantine sperimentali di Arezzo, Barletta, Milazzo, Noto, Velletri, e gli uffici enologici di Genova, Pescara, Riposto. All'olivicoltura provvedono l'istituto per l'olivicoltura d'Imperia, e la scuola media specializzata di Pescia, oltre agli oleifici sperimentali di Imperia e Spoleto. Vi sono poi cinque istituti zootecnici: a Roma, Torino, Bosa (Cagliari), Palermo, Bella (Potenza.)

Ricordiamo ancora i molti osservatorî fitopatologici, le commissioni di studio e propaganda per la battaglia del grano a Roma, per le bonifiche a Padova, l'Unione delle Cattedre ambulanti (Roma), il recente Istituto fascista di tecnica e propaganda agraria in Roma; e tra le accademie, la Società agraria napoleonica di Bologna; la Reale accademia dei Georgofili di Firenze; le Accademie agrarie di Pesaro, Salerno, Torino, Verona; la Società agraria di Milano.

Tutti gli stati civili hanno, del resto, scuole medie e superiori di agricoltura.

In Argentina troviamo a Buenos Aires presso la Universidad nacional la Facultad de Agronomía y veterinaria, mentre a La Plata presso l'Universidad nacional de la Plata vi è una distinta facoltà di agronomia e una di medicina veterinaria.

In Austria vi sono due istituti superiori: uno di agraria (Hochschule für Bodenkultur) e una Scuola superiore di veterinaria.

Nel Belgio, oltre l'Istituto agronomico presso l'università di Lovanio, vi è a Gembloux l'Institut agronomique, fondato nel 1860. A Cureghem (Bruxelles) è pure rinomata la École de médecine vétérinaire de l'État, fondata nel 1832.

Il Brasile, oltre numerose scuole medie agrarie, ha a Porto Alegre (Rio Grande do Sul) un Instituto de zootechnia e un Instituto experimental de agricultura.

In Bulgaria, a Sofia troviamo presso la R. Università la facoltà di agronomia e quella di medicina veterinaria.

La Ceco-Slovacchia ha a Praga presso la Scuola superiore politecnica una facoltà di agricoltura e selvicoltura; a Brno in Moravia la Scuola superiore di agronomia (Vysoká škola zěmědělská), fondata nel 1919 e frequentata nel 1927 da 511 studenti, e la scuola veterinaria (Vysoká škola zvĕrolékařská).

Nel Chile a Santiago si ha una facoltà di agronomia presso l'Universidad católica.

In Cuba vi è all'Avana l'Escuela de ingenieros agronómos y azucareros e l'Escuela de medicina veterinaria.

La Danimarca possiede a Copenaghen l'Istituto reale veterinario ed agronomico (Den Kongelige Veterinør- og Landbohøiskole) fondato nel 1773 con 511 studenti (1927).

L'Estonia ha a Tartu presso l'università una facoltà di agronomia e di veterinaria.

In Finlandia ad Helsinki presso l'università, fondata nel 1640, esiste una facoltà di agronomia.

In Francia troviamo pure scuole superiori pareggiate all'insegnamento universitario a Parigi, Grignon (Seine-et-Oise), Montpellier e Rennes.

L'Istituto agronomico di Parigi rilascia il diploma di ingegnere-agronomo. Vi sono poi corsi di specializzazione per l'insegnamento agrario, per la direzione di grandi aziende, per le industrie rurali, per la meccanica agraria, per la selvicoltura nelle École des eaux et forêts, École du génie rural, École des haras. Ricordiamo poi l'École nationale d'horticulture, di Versailles, l'École nationale des industries agricoles a Douai. Le scuole di agricoltura, riorganizzate con la legge 2 agosto 1918, provvedono all'istruzione agraria dei figli di contadini, dopo l'istruzione elementare. Troviamo poi scuole-poderi modello, scuole di agricoltura invernali per contadini adulti, scuole agrarie post-elementari, corsi dopo-scuola e scuole femminili. Vi è una scuola forestale a Nancy, destinata a preparare il personale dell'amministrazione delle acque e foreste, e una scuola forestale a Barres.

L'insegnamento coloniale agrario è impartito in Francia dall'Istituto nazionale di agronomia coloniale di Nogent-sur-Marne, che rilascia il diploma d'ingegnere coloniale.

In Germania, a Berlino, troviamo una rinomata Scuola superiore di agricoltura (Landwirtschaftliche Hochschule) frequentata normalmente da oltre 800 studenti ed una Scuola sup. veterinaria (Tierärztliche Hochschule), fondata nel 1790 e frequentata da 393 studenti (1927). Altre scuole sono la Landwirtschaftliche Hochschule, a Bonn-Poppeldorf (Prussia), fondata nel 1847 e frequentata nel 1927 da 524 scolari; la Württembergische Landwirtschaftliche Hochschule ad Hohenheim (Württemberg); la Bayeriscle Hochschule für Land und Brauerei in Weihenstephan (Baviera) con 327 studenti.

Nel Giappone le scuole agrarie sono molto numerose, ma le più celebri sono quella di Tōkyō, aggregata alla Imperiale università fondata nel 1858. Anche Kyōto (Kyōto Imperial University) ha una facoltà agronomica. Importanti sono pure gli Istituti agrarî di Fukuoka, fondato nel 1910, e di Sapporo, presso l'università (Hokkaido Teikoku Daigaku), fondato nel 1918.

Ia Grecia non ha istituti superiori di agraria.

Il Guatemala possiede presso l'Universidad nacional "Estrada Cabrera" fondata nel 1918, una facoltà di agronomia.

Impero Britannico: Nel Regno Unito troviamo, a Londra, presso l'università il London-South Eastern Agricultural College che nel 1926 aveva 162 studenti. Anche nell'università di Cambridge si hanno corsi di agraria; a Newcastle-upon-Tyne troviamo l'Armstrong College (University of Durham), dove si hanno corsi di agricoltura al pari dell'University College di Reading.

Un vero corso completo di agricoltura lo troviamo nell'University College of Wales, a Bangor (University College of North Wales), ad Aberdeen, a Dublino (College of Science for Ireland), a Belfast (The Queen's University), a Edimburgo (Edinburgh and East of Scotland College of Agriculture).

In Australia, l'università di Adelaide ha corsi di agraria, chimica agraria, selvicoltura; nell'università di Melbourne vi sono corsi tenuti da liberi docenti o assistenti; a Perth (University of Western Australia) si hanno corsi di agraria, zootecnia, selvicoltura, orticoltura; a Sydney (University of Sydney) troviamo due facoltà: una di agricoltura e l'altra di veterinaria.

Nel Canadà ricordiamo le scuole di Edmonton (Alberta), di Guelph (Ontario), la Scuola di medicina veterinaria, e la facoltà di agraria della Mc Gill University di Montreal, l'università agraria di Saskatchewan a Saskatoon. A Winnipeg si svolge un corso completo di agricoltura nel Manitoba Agricultural College.

L'India britannica ha tre istituti d'istruzione agricola: a Lahore (The University of the Panjab), con specializzazione in agricoltura tropicale, a Lyallpur (Agricultural College), a Poona (Government Agricultural College), alle dipendenze dell'università di Bombay.

Nella Nuova Zelanda riscontriamo due scuole, assai frequentate: quella di Auckland e quella di Wellington (Victoria University College).

Il Sud-Africa ha a Stellenbosch (Colonia del Capo) il suo massimo istituto; e vi sono corsi aggiunti di agraria all'università di Pretoria (Transvaal University College). A Trinidad vi è pure un istituto agricolo: The Imperial College of Tropical Agriculture.

Nella Lettonia, a Riga presso l'università lettone vi è pure una facoltà di agricoltura.

In Norvegia celebre è l'Istituto agronomico nazionale norvegese (Norges Landbrukshöiskole) di Aas presso Oslo.

L'Olanda ha una facoltà veterinaria presso l'università di Utrecht ed un istituto agronomico (Landbouwhoogeschool) a Wageningen con 301 studenti (1927), e corsi di agricoltura e silvicoltura tropicale.

La Persia pure possiede a Teheran una Scuola superiore agraria e d'industrie rurali.

La Polonia ha a Varsavia una facoltà veterinaria presso quell'università (Uniwersytet Warszawski) ed una Scuola superiore agronomica e forestale (Szkoùa gùówna gospodarstwa wiejskiego) con 782 studenti. A Cracovia la celebre università Iagellonica ha una facoltà di agraria. A Leopoli troviamo un'Accademia di medicina veterinaria, fondata nel 1881, e la Scuola politecnica con una sezione di agraria. A Poznań l'università ha una facoltà di agricoltura e selvicoltura.

Il Portogallo possiede l'Instituto Superior de Agronomia di Lisbona.

Nel regno Serbo-Croato-Sloveno, a Belgrado, presso l'università, troviamo una facoltà agronomica; a Zagabria, presso l'università, vi sono una facoltà di agronomia ed economia forestale con 2 sezioni distinte: la sezione agraria e la forestale, e una facoltà di veterinaria.

La Romania possiede a Bucarest nell'università una facoltà di scienze applicate, che si può riguardare come una vera scuola superiore di agraria; vi è pure una facoltà di medicina con 5 anni di studio. A Cluj troviamo una Scuola superiore di agraria; anche l'università di JaŞi ha una sezione agronomica.

In Russia molti sono gli istituti agrarî ancora in trasformazione; oltre a quello di Leningrado, ricordiamo l'istituto superiore femminile di agricoltura, ventitré scuole speciali di agricoltura.

La Spagna ha a Madrid, oltre alla Escuela de veterinaria, fondata nel 1791 e l'Escuela especial de ingenieros de montes con corsi specializzati di selvicoltura, il celebre Instituto agricolo de Alfonso XII, fondato nel 1855 e frequentato nel 1927 da 310 allievi. Ricordiamo anche l'Escuela superior de agricultura di Barcellona; l'Escuela de veterinaria di Cordova e di León; l'Escuela especial de veterinaria di Saragozza.

Gli Stati Uniti di America hanno moltissime scuole agrarie: a New York, presso la Columbia University, a Storrs (Connecticut) il Connecticut Agricultural College, fondato nel 1881; la Cornell University a Ithaca (New York), con una vera facoltà di agricoltura. Degne di menzione sono le scuole agrarie di Syracuse (New York) che, oltre al College of Agriculture della Syracuse University, possiede separato un College of Forestry. Molto importante per gli studî sperimentali che, annualmente si compiono, è la University of California a Berkeley. Ricordiamo ancora il College of Agriculture of Georgia, ad Athens (Georgia) fondato nel 1785.

Tralasciamo gli altri numerosissimi Colleges of agriculture per ricordare la celebre scuola di medicina veterinaria di Filadelfia (presso la University of Pennsylvania).

L'insegnamento agrario esiste anche nell'università di Hawaii.

La Svezia ha a Stoccolma un Istituto superiore agrario (Skogshögskolan), fondato nel 1828.

La Svizzera ha a Berna una facoltà di agraria presso l'università; a Zurigo troviamo una celebre facoltà di veterinaria aggregata a quella università cantonale.

La Turchia ha una scuola veterinaria a Stambul e scuole agrarie medie di scarsa importanza.

L'Ungheria possiede a Budapest la Magyar k. Allatorvosi Föiskola (Scuola superiore veterinaria ungherese) fondata nel 1786; nel 1927 possedeva 282 studenti. A Debrecen troviamo la Magyar k. Gazdasági Akadémia (Accademia reale di agricoltura) fondata nel 1862, che nel 1927 aveva 402 studenti. Ricordiamo l'Accademia di agricoltura di Keszthely fondata nel 1797, e l'Accademia ungherese di agricoltura di Magyaróvár.

Bibl.: La diffusione della scienza e della pratica agricola nel mondo crebbe straordinariamente anche per la stampa agraria, che in quest'ultimo cinquantennio si è accresciuta per numero di opere e per moltiplicazione di periodici. Sono migliaia le sole riviste, che si pubblicano in tutti i paesi.

Tra le italiane citiamo: L'Italia agricola di Piacenza, L'Agricoltore d'Italia di Bologna, il Bollettino della R. Staz. di patologia vegetale di Roma, gli Atti della R. Accademia dei Georgofili, gli Annali di agricoltura, le Notizie periodiche di statistica agraria, il Bollettino ufficiale del Ministero dell'Economia Nazionale, pubblicati a cura del Ministero dell'economia nazionale, a Roma, L'Agricoltura coloniale di Firenze, La riforma sociale di Torino, La Domenica dell'Agricoltore, il Coltivatore di Casalmonferrato, il Giornale d'Italia agricolo e numerose altre.

Tra le straniere: in Germania: Beiträge zur Pflanzenzucht a Berlino; Die kranke Pflanze, Dresda; Weinbau und Kellerwirtschaft, Friburgo; Allgemeine Brauer und Hopfen Zeitung, Norimberga; Berichte um Landwirtschaft, Berlino; Biedermann's Zentralblatt, Lipsia; Deutsch Landw. Geflügel Zeitung, Berlino, Jahrbuch der Bodenreform, Jena; Landw. Jahrbuch für Bayern, Monaco.

Argentina: Revista de agricoltura, industria y comercio, ed. El Campo di Buenos Aires.

Australia: Departement of Agriculture-Bulletin, Adelaide (South Australia).

Bulgaria: Zemledielie; Blgarsko Ovostcharstvo a Sofia.

Belgio: Journal des agriculteurs de Belgique, Bruxelles.

Canadà: The agricultural Journal, Victoria.

India Britannica e Colonie inglesi: The agricultural Journal of India, Calcutta.

Stati Uniti d'America: The American Economic Review, New Haven (Connecticut); The agricultural Review, Kansas City; American Agriculturist, New York; Experimental Station Record (Washington); The Journal of Agric. Researches (Washington); Journal of Eredity (Baltimora).

Inghilterra: The farmer and agricultural Gazette, The Farmer's Journal, Belfast, The Journal of Agric. Science, The Journal of the Central Associated Chambers of Agriculture, The Journal of Ecology, The Journal of the Ministry of Agriculture, pubblicati a Londra.

Grecia: Δελτίον γεωργικὸν τῆς Γεωργικῆς ‛Εταιρίας, Atene.

Guatemala: Agricoltura.

Ungheria: Magyar Gazdak Szemle, Budapest.

Giappone: Bunkwa nôkô (Boll. di agric. moderna), Tokyo.

Olanda: Plantenziektenkundige Dienst, Wageningen.

Polonia: Choroby i szkodniki roslin (Malattie e nemici delle piante), Varsavia.

Svizzera: Journal d'agriculture suisse, Ginevra.

Russia: Žurnal opytnoi Agronomii, Leningrado; Ekonomičeskaia Žizn, Mosca.

Le opere più importanti di carattere generale che contengono le indicazioni bibliografiche per gli argomenti di carattere generale che contengono le indicazioni bibliografiche per gli argomenti particolari sono le seguenti: Nuova enciclopedia agraria italiana, Torino 1928, Encyclopaedia of Agriculture, Edimburgo 1907-1908, Cyclopaedia of American Agriculture, New York e Londra 1907-1908, Diccionario enciclopédico de agricultura, Madrid 1885, Thaer, System der Landwirtschaft, Berlino 1893.

L'Istituto internazionale d'agricoltura.

L'Istituto internazionale d'agricoltura deve la sua fondazione a re Vittorio Emanuele III, che diede forma e vita all'idea tenacemente propugnata, ma un po' vagamente concepita, da un illustre cittadino americano nato in Polonia, David Lubin. Il re d'Italia dette incarico al suo governo di preparare una Conferenza internazionale, ed a questo intento fu costituito un Comitato italiano di studî, nel quale si distinse fra gli altri, per il contributo originale di ricerche e di consigli, Maffeo Pantaleoni.

Una solenne adunanza di rappresentanti di stati, convocata a Roma alla fine del maggio 1905, sottoscrisse il 7 giugno dello stesso anno la carta costitutiva dell'Istituto, la cui sede fu inaugurata nel maggio 1908 nell'edificio fatto appositamente costruire a Villa Umberto dalla munificenza regale e dato in uso all'istituto.

Il Ministero degli affari esteri italiano, depositario della convenzione, ha assunto per conseguenza da allora le funzioni di cancelleria diplomatica nei rispetti della convenzione medesima.

L'istituto ha il carattere di un consorzio ufficiale di stati, in cui ciascuno di essi è rappresentato da un delegato di sua scelta. Le entrate dell'ente provengono in massima parte dalla somma annua di 300.000 lire largita a titolo grazioso da S. M. il re d'Italia e dai contributi degli stati aderenti, i quali stati si distribuiscono a loro scelta in cinque gruppi distinti secondo l'importo dei contributi (da L. 12.500 a L. 200.000) ed a cui corrisponde un diverso numero di voti (da 1 a 5).

Gli scopi dell'istituto risultano chiaramente dalla convenzione costitutiva, che gli attribuisce non solo ampie funzioni nel campo statistico e documentario, ma anche il compito di farsi centro direttivo e coordinatore dell'attività internazionale intesa al progresso dell'agricoltura e all'elevamento delle classi agricole.

L'istituto infatti, secondo l'art. 10 della convenzione, ha le attribuzioni seguenti:

a) raccogliere, studiare e pubblicare nel più breve tempo possibile le informazioni di indole statistica, tecnica ed economica, concernenti le colture, la produzione animale e vegetale, il commercio dei prodotti agrarî e i loro prezzi nei varî mercati;

b) comunicare agli interessati, con la maggiore rapidità, le predette informazioni;

c) far conoscere i salarî dei lavoratori agricoli;

d) rendere note le nuove malattie che colpiscono i vegetali in qualsiasi parte del globo, indicando i luoghi colpiti, la propagazione della malattia e, ove sia possibile, i rimedî efficaci.

e) studiare le questioni riguardanti la cooperazione, l'assicurazione e il credito agrario in ogni loro forma; raccogliere e pubblicare le notizie che, nei diversi paesi, possono utilmente servire alla formazione di cooperative rurali e di istituti d'assicurazione e di credito agrario.

f) sottoporre all'approvazione dei governi i provvedimenti che si ritengano atti a proteggere gli interessi degli agricoltori e a promuovere il miglioramento delle loro condizioni. La convenzione costitutiva del 7 giugno 1905 fu sottoscritta da quaranta stati. Oggi il numero degli stati aderenti (fra metropoli e colonie o dipendenze) è di 74: in circa venti anni la sfera d'azione dell'istituto si è quindi quasi raddoppiata ed ora abbraccia la rappresentanza di paesi che tutti insieme occupano il 79,9% dell'intera superficie terrestre e comprendono il 92% della popolazione. Nessun'altra istituzione internazionale conta un così ingente numero di stati aderenti. Eccone l'elenco distinto nei cinque gruppi stabiliti dalla convenzione:

1° gruppo: Argentina, Brasile, Cina, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna e Irlanda settentrionale, Italia, Russia, Spagna, Stati Uniti.

2° gruppo: Canadà, Chile, Egitto, Impero Indiano, Hawaii, Isole Filippine, Isole Virginia, Portorico, Romania.

3° gruppo: Algeria, Australia, Cecoslovacchia, Indocina, Marocco, Messico, Olanda, Regno Serbo-Croato-Sloveno, Turchia.

4° gruppo: Africa Occidentale Francese, Bulgaria, Cirenaica, Danimarca, Eritrea, Finlandia, Grecia, Indie neerlandesi, Norvegia, Nuova Zelanda, Polonia, Portogallo, Reggenza di Tunisi, Somalia italiana, Stato libero d'Irlanda, Svezia, Svizzera, Tripolitania, Unione dell'Africa del Sud, Venezuela.

5° gruppo: Austria, Belgio, Bolivia, Colombia, Congo belga, Costarica, Cuba, Ecuador, Estonia, Etiopia, Guatemala, Haiti, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Madagascar, Nicaragua, Panama, Paraguay, Perù, Persia, S. Marino, Siam, Ungheria, Uruguay.

Organi dell'istituto sono l'assemblea generale e il comitato permanente.

L'assemblea generale, composta delle delegazioni nominate dai varî governi, si riunisce ogni due anni nella sede dell'istituto. Essa stabilisce, nelle linee generali, il programma del lavoro da compiere, esamina le proposte e i voti da sottomettere ai governi, approva i bilanci e i conti consuntivi e soprintende all'attività del comitato permanente. L'assemblea generale è, in una parola, l'organo legislativo dell'istituto.

Il potere esecutivo è affidato al comitato permanente, al quale spetta il compito, sotto la direzione e la revisione dell'assemblea generale, di eseguire le deliberazioni prese da questa e di preparare inoltre le nuove proposte che la medesima dovrà esaminare. Il comitato permanente è composto di un delegato per ciascuno stato aderente: esso elegge fra i suoi membri, per un periodo di tre anni, un presidente e un vice-presidente, che sono rieleggibili.

L'ordinamento interno dell'istituto consta del segretariato generale, dell'ufficio della statistica generale, dell'ufficio degli studî economici e sociali, dell'ufficio di informazioni agrarie e della biblioteca.

Al segretariato generale sono annessi gli uffici della legislazione agraria, della silvicoltura e del censimento mondiale agrario.

La sezione della legislazione agraria raccoglie in uno speciale archivio le leggi, i decreti e le disposizioni amministrative riguardanti largamente l'agricoltura in tutti i paesi; pubblica l'Annuario internazionale di legislazione agricola, nel quale i testi delle leggi e dei decreti più importanti sono riprodotti in extenso, e le altre leggi e decreti indicati in modo assai preciso col titolo, la data di promulgazione, il numero, la fonte ufficiale da cui sono tratti. L'annuario è preceduto da una rassegna sintetica, che lumeggia i tratti essenziali delle leggi e dei decreti riprodotti e le principali tendenze del movimento legislativo agrario durante l'anno cui il volume si riferisce. La serie degli annuarî di legislazione, in volumi di circa 1100 pagine, comincia dal 1912.

L'ufficio della selvicoltura è stato costituito in seguito al voto formulato dal Congresso internazionale di silvicoltura tenutosi presso l'istituto nell'aprile 1926, e si occupa di tutte le questioni tecniche, ed economiche concernenti la silvicoltura, la scienza e la politica forestale dal lato internazionale.

L'ufficio del censimento agrario mondiale è stato costituito in seguito ad un voto espresso dalla VII assemblea generale dell'istituto, nel 1924, e con una dotazione fornita a questo scopo dall'International Education Board degli Stati Uniti d'America. Il censimento sarà compiuto nel 1930 in tutti gli Stati aderenti, secondo un piano uniforme accuratamente preordinato, per il cui svolgimento pratico lo stesso direttore dell'ufficio ha visitato in tutti i paesi del mondo le autorità che dovranno prestare la loro collaborazione alla grande opera statistica, la quale avrà carattere periodico e costituirà la base per ogni serio lavoro d'indagine e di studio sulle condizioni dell'agricoltura mondiale.

L'ufficio della statistica generale raccoglie e diffonde con la maggiore rapidità le informazioni autentiche comunicate ad esso ufficialmente e riguardanti la produzione, i prezzi e il commercio dei principali prodotti agrarî e forestali. L'elaborazione statistica dell'ingente materiale raccolto dall'ufficio presuppone non solo l'esistenza di una vasta rete di collegamenti coi varî servizî nazionali di statistica, ma anche un'opera di orientamento e di stimolo, intesa ad ottenere la maggiore possibile uniformità di metodi nel rilevamento dei dati. I risultati conseguiti dall'istituto sotto questo duplice aspetto sono assai notevoli. L'ufficio pubblica ogni mese, organicamente raccolti e coordinati nel Bollettino di statistica agraria commerciale redatto in quattro lingue, tutti i dati riguardanti l'andamento delle colture, della produzione, del commercio e dei prezzi dei principali prodotti; le tabelle statistiche vi sono illustrate, ove occorra, da grafici e sinteticamente commentate in brevi articoli. Per cura dell'ufficio, l'istituto pubblica un ricco volume, l'Annuario internazionale di statistica agraria, che, per la mole del materiale raccolto e accuratamente elaborato, costituisce un lavoro unico nel suo genere e largamente apprezzato. L'Annuario consta di una introduzione, in cui sono succintamente ricapitolate e illustrate le varie parti della materia, e delle tavole statistiche relative alla superficie territoriale e popolazione, alla produzione agraria, al bestiame, al commercio internazionale, ai prezzi di varie derrate, ai noli per i cereali e per il cotone, ai concimi e prodotti chimici utili all'agricoltura, ai cambî. La serie degli annuarî statistici, in volumi di circa 850 pagine l'uno comincia dal 1912. L'ufficio della statistica generale pubblica anche iconografie su particolari argomenti, le quali contengono dati e informazioni assai utili per lo studio di determinate questioni.

L'ufficio degli studî economici e sociali ha il compito di studiare le questioni concernenti la cooperazione, l'assicurazione e il credito agricolo; di raccogliere e pubblicare le informazioni che possano facilitare nei varî paesi l'incremento di istituzioni rivolte agli scopi suddetti; di elaborare il materiale e studiare le questioni riferentisi all'opera dell'istituto nell'ambito economico e sociale, per quanto riguarda la tutela degli interessi comuni degli agricoltori e il miglioramento delle loro condizioni. Questo ufficio è l'organo tecnico, attraverso il quale l'istituto collabora con la Società delle nazioni, con l'Ufficio internazionale del lavoro, e, in genere, con tutti gli enti che trattano questioni economiche e sociali attinenti in modo diretto o indiretto all'agricoltura mondiale. L'ufficio provvede alla compilazione di quella parte della Revue internationale d'Agriculture - pubblicazione mensile dell'istituto - che tratta argomenti di sua competenza e pubblica esso pure, secondo le occorrenze, varie monografie.

L'ufficio delle informazioni agrarie è quello che dà all'istituto un carattere di centro internazionale di documentazione per la parte agronomica e tecnica dell'agricoltura. Tale documentazione è ricavata, oltre che da indagini dirette per determinate materie, dallo spoglio dei giornali, delle riviste e dei rapporti che giungono all'istituto da ogni parte del mondo. Una parte di questo lavoro di selezione e di elaborazione dà materia ai riassunti pubblicati mensilmente nella Revue internationale d'agriculture; l'altra parte è conservata e rubricata in una ricca collezione di schede, che costituiscono la fonte per il servizio vero e proprio di informazioni. Anche questo ufficio provvede alla pubblicazione di speciali, importanti monografie. L'ufficio delle informazioni agrarie comprende anche una sezione per la protezione delle piante, incaricata delle rapide segnalazioni e delle ricerche riguardanti le malattie e i nemici delle piante, nonché dell'ordinamento di tutto il lavoro preparatorio delle conferenze e riunioni speciali, che trattano problemi fitopatologici. Il Monitore della protezione delle piante è la pubblicazione mensile con la quale questa speciale sezione dell'istituto svolge il suo utile servizio di informazioni e segnalazioni relative alla materia. Un'altra sezione dell'ufficio è la sezione di agricoltura tropicale, costituita in seguito a un voto emesso dalla Conferenza internazionale d'agronomia coloniale esotica e tropicale, tenuta a Parigi nel 1926.

La biblioteca dell'istituto possiede presentemente 180.000 volumi. È dunque una delle biblioteche più importanti del suo genere, e serve non soltanto come mezzo di lavoro per i funzionarî dell'istituto, ma anche come centro di ricerche per gli studiosi e gli scienziati che vanno alla sede dell'istituto o possono ricevere all'estero, per mezzo degli scambî fra biblioteche, le informazioni e i dati bibliografici a corredo del lavoro documentario compiuto dagli uffici. La biblioteca riceve anche circa 3500 giornali, riviste e pubblicazioni periodiche, che sono distribuite fra i varî uffici competenti a seconda delle materie di cui trattano, e rientrano in biblioteca dopo il lavoro di spoglio.

Fra le numerose inchieste internazionali che l'istituto ha già compiute o che sono tuttora in corso di esecuzione - oltre al censimento mondiale di cui si è parlato - segnaliamo quelle sul commercio dei prodotti agricoli, sull'aumento della produzione agricola, sulla produzione del cotone, sull'ordinamento ufficiale e libero dell'agricoltura e sulle spese destinate all'agricoltura stessa nei varî paesi del mondo, sull'esodo rurale, sull'infezione carbonchiosa, sull'ordinamento dei servizî fitopatologici, sulla riforma agraria, sui danni del vento e degli incendî nei boschi.

L'istituto, valendosi del potere di iniziativa che la sua carta costitutiva gli conferisce, si fa anche promotore di conferenze internazionali che, per mezzo di apposite convenzioni fra i varî stati aderenti, dànno pratica attuazione ai voti espressi da enti, associazioni e congressi tecnici. Si ricordano a questo proposito la prima Conferenza internazionale di fitopatologia, tenuta il 24 febbraio 1914, che preparò un'apposita convenzione; la Conferenza internazionale per la lotta contro le cavallette, tenuta nell'ottobre 1920, con l'intervento di 27 stati, e conclusa con la firma di una convenzione; la Conferenza per la lotta contro la mosca dell'olivo, tenuta a Madrid nel giugno 1923.

Sono in corso di preparazione: una Conferenza internazionale per la protezione degli animali utili all'agricoltura; una nuova Conferenza internazionale di fitopatologia e una Conferenza internazionale per il commercio internazionale dei formaggi.

Oltre alle suindicate riunioni, molte altre conferenze e congressi sono stati indetti dall'istituto durante questo primo ventennio di attività. Nel più recente periodo meritano particolare menzione il Congresso internazionale di silvicoltura (1927), cui hanno partecipato le delegazioni di 58 stati; l'VIII Congresso di olivicoltura (1927), e la prima Conferenza internazionale del grano (1927), che ha tratto la sua origine da un'iniziativa del Capo del governo d'Italia, e per la quale si è dato vita a tutto un programma concreto di iniziative riguardanti la sperimentazione, gli studî e il loro coordinamento per la soluzione del vitale problema della cerealicoltura.

Accanto agli organi direttivi ed esecutivi che rappresentano i poteri costituzionali dell'istituto, si è dato vita, in quest'ultimo biennio, a tre organi consultivi: il Consiglio internazionale scientifico agrario (C.I.S.A.), la Commissione internazionale permanente delle associazioni agricole (C.I.P.A.) e la Commissione internazionale di coordinamento per l'agricoltura (C.I.C.A.).

Il Consiglio internazionale scientifico agrario (C.I.S.A.) pone in grado l'istituto di mantenersi in assiduo e diretto collegamento con le forze della scienza agraria di tutti i paesi. Circa milleduecento sono gli scienziati che i governi aderenti hanno designati all'istituto e che entrano a far parte della lista generale degli esperti nella quale il comitato permanente sceglie i membri delle varie commissioni del consiglio, a seconda della loro particolare competenza. Le commissioni a sezioni finora costituite trattano dell'agricoltura dei paesi tropicali e sub-tropicali, dell'arboricoltura, delle varietà dell'olivo, della biologia e biochimica vegetali, della cooperazione agricola, del credito e assicurazioni agricole, della economia rurale e legislazione agricola, della contabilità agricola, del miglioramento della vita rurale, dell'insegnamento agrario, dei fertilizzanti, della genetica e sementi, del genio rurale e meccanica agricola, dell'idrologia agricola e limnologia, dell'igiene rurale, delle industrie agricole dei prodotti vegetali, delle industrie agricole dei prodotti animali, della sericoltura, delle industrie agricole del latte, delle malattie e nemici delle piante, della mosca dell'olivo, dei parassiti del cotone, delle cavallette, della meteorologia ed ecologia agricole, dell'organizzazione scientifica del lavoro agricolo, della scienza del suolo, della statistica agricola, della silvicoltura, della zootecnia.

La Commissione internazionale permanente delle associazioni agrarie (C.I.P.A.) è stata istituita, grazie anche ad uno speciale concorso finanziario del governo italiano, per adempiere un voto più volte manifestato in seno alle grandi riunioni internazionali e alle assemblee generali dell'istituto, cioè che si stabilisse un nesso e un ricambio tra l'organismo ufficiale degli stati e la grande massa degli agricoltori. Ricordiamo che nello stesso messaggio col quale re Vittorio Emanuele III promuoveva la costituzione dell'I. I. A., questo era qualificato anche come "un organo di solidarietà fra tutti gli agricoltori" affinché "l'autorità dei governi e le libere energie dei coltivatori" vi agissero d'accordo. D'altra parte la convenzione del 7 giugno 1905 ha affidato all'istituto il compito di presentare all'approvazione dei governi quei provvedimenti che "mirino alla protezione degli interessi comuni degli agricoltori e al miglioramento delle loro condizioni". Tale clausola perciò presupponeva la necessità di un contatto assiduo con le masse degli agricoltori, per comprenderne i bisogni e le aspirazioni, e per facilitarne il soddisfacimento nella forma più adeguata ed efficace. La nuova iniziativa, che rispondeva pienamente ai fini statutarî dell'istituto e offriva agli agricoltori un mezzo potente di realizzazione dei loro voti, ha conseguito il più felice successo. Presentemente sono iscritte alla C.I.P.A. oltre duecento associazioni, appartenenti a cinquecento stati, designate dai rispettivi governi per essere le più rappresentative e le più importanti dell'agricoltura del rispettivo paese, e costituenti perciò il più poderoso organismo professionale a carattere internazionale nel campo agrario.

Il terzo organo consultivo è la Commissione internazionale di coordinamento per l'agricoltura, che ha tenuto la sua prima sessione nel maggio 1928 nella sede dell'istituto. La commissione è composta dai rappresentanti degli enti internazionali pubblici o privati, che si occupano di problemi scientifici, economici e sociali, i quali investono interessi dell'agricoltura. Scopo principale della commissione è di determinare una collaborazione razionale e continuativa fra tutti gli organismi aderenti, per facilitare la soluzione organica e rapida dei problemi di interesse comune, eliminando ogni perdita di tempo e ogni dispersione di energia. Di tale organo fanno parte attualmente, oltre all'Istituto internazionale di agricoltura, che ne ha la presidenza, il segretariato della Società delle nazioni con i delegati delle sezioni tecniche dell'igiene, comunicazioni e transito, economica e finanziaria; l'Ufficio internazionale del lavoro; la Commissione internazionale permanente delle associazioni agricole; la Camera di commercio internazionale; l'Istituto internazionale di cooperazione intellettuale; la Commissione internazionale di agricoltura; l'Ufficio internazionale d'igiene pubblica; la Conferenza internazionale parlamentare del commercio; l'Istituto internazionale del commercio; l'Istituto coloniale internazionale; l'Ufficio internazionale del vino; l'Istituto internazionale di statistica; l'Istituto internazionale di organizzazione scientifica del lavoro; l'Associazione internazionale per l'esame delle sementi, e una ventina di altre importanti organizzazioni. Fra queste meritano di essere ricordate anche tre organizzazioni operaie e cioè la Federazione internazionale dei lavoratori della terra, la Federazione internazionale dei sindacati cristiani dei lavoratori della terra e la Federazione nazionale dei sindacati fascisti dell'agricoltura.

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