VALIER, Agostino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 98 (2020)

VALIER, Agostino

Stefano Andretta

– Nacque quasi certamente a Venezia, e non a Legnago come vorrebbe il suo primo biografo Giovanni Ventura, il 7 aprile 1531 da Bertuccio e da Lucia Navagero.

Avviato dal padre agli studi letterari, ebbe modo di frequentare Bernardo Feliciano, Giovanni Battista Cipelli (Egnazio) e Marziale Rota. Tuttavia fu il trasferimento nel 1547 a Padova a costituire una svolta nella sua vita quando venne affidato allo zio materno Bernardo Navagero, all’epoca podestà della città, il quale, di lì a poco, fu inviato a Torino come ambasciatore straordinario per porgere il benvenuto al re Enrico II di Valois. Ciò consentì al giovane Valier di far parte del seguito e di partecipare per la prima volta de visu a una missione diplomatica. Tornato in città si immerse entusiasticamente negli studi umanistici, formandosi nello Studio padovano in un ambiente fervido di confronti accesi sulla filosofia classica, soprattutto aristotelica, sotto la guida di qualificati maestri come Bernardino Tomitano e Marcantonio de’ Passeri, detto il Genua, per proseguire poi gli studi di teologia e diritto civile e canonico (1556-57) ed essere nominato, in luogo di Jacopo Foscarin, «lettore in filosofia» alla Scuola di Rialto dal 1558 al 1565.

In questa veste manifestò un certo erudito eclettismo che si tradusse in un accentuato utilizzo di più contesti di riferimento, non limitandosi alla tradizionale esegesi aristotelica ma attingendo anche al platonismo e, in genere, agli influssi variegati della cultura umanistica. Come risultava nella sua opera, edita dopo il suo insegnamento, De recta philosophandi ratione (Veronae 1577), ove avanzò un’armonica visione tra filosofia ed eloquenza tale da superare il metodo di un’irriducibile e, a suo modo di vedere, sterile disputatio.

In questi anni cruciali strinse forti legami e contatti con importanti protagonisti della vita civile e religiosa della Repubblica veneta (Leonardo Donà, Alvise e Pietro Francesco Contarini, Giovanni Morosini, Giovanni Delfino, Carlo Sigonio e Paolo Manuzio). Ancora in missione al seguito di Navagero, verso il quale maturò una profonda riconoscenza poi concretizzatasi in un’affettuosa e ammirata biografia, egli ebbe l’opportunità di frequentare l’ambiente curiale romano prima nel 1555 in occasione dell’elezione di Paolo IV Carafa, e poi nel 1561 quando all’ormai potente zio Bernardo fu concessa la porpora cardinalizia. Nel frattempo in patria era stato ammesso per due volte al collegio dei consultori veneziani.

A Roma, oltre ad accrescere pubblicamente il suo credito di giovane promettente e fine intellettuale, consolidò le sue competenze teologico-giuridiche e iniziò a sperimentare la socializzazione colta entrando in contatto con Guglielmo Sirleto, Silvio Antoniano, Ottavio Pantagato, Giulio Poggiani e molti altri intellettuali soprattutto nell’ambiente della Compagnia di Gesù. Nel 1563 era però ancora con lo zio Bernardo, divenuto vescovo di Verona l’11 settembre dell’anno precedente, questa volta destinato al Concilio di Trento. Qui Valier, ormai maturo trentaduenne, ebbe la straordinaria opportunità di assistere alla fase finale dei lavori conciliari e di conoscere il futuro vicario di Carlo Borromeo, nonché vescovo di Padova, Niccolò Ormanetto. Il 18 maggio 1565, proprio per istanza in Concistoro dello stesso cardinal Borromeo, con il dichiarato e convinto sostegno del Senato veneziano e in deroga alle leggi canoniche, venne consacrato vescovo di Verona con la provvigione di 3000 scudi. Alla fine del mese era già in città per assistere lo zio morente, il 17 giugno la città lo accolse e lo riconobbe formalmente.

Valier, nel segno della continuità diocesana, confermò nei loro incarichi i migliori collaboratori dell’indimenticato vescovo Gian Matteo Giberti come l’umanista Adamo Fumani, il citato Ormanetto, Pier Francesco Zini e l’ex vicario gibertiano Filippo Stridonio. Insediato, iniziò un’attività sinodale incalzante e costante, con ben trentaquattro convocazioni sino al 1604, allo scopo di applicare le Costituzioni di Giberti, via via integrandole con le raccomandazioni tridentine. La sua attività si esplicò su diversi fronti: innanzitutto nell’ambito della formazione del clero con l’istituzione il 26 gennaio 1567 di un seminario veronese che entrò subito in conflitto con il preesistente collegio degli accoliti fondato nel 1440. I chierici, che non avevano nessuna consuetudine con la vita in comune, videro infatti minacciata la loro libertà di movimento e si opposero strenuamente; a tal punto che si arrivò ad attentare alla vita del vescovo collocando un piccolo ordigno esplosivo sotto il trono vescovile della cattedrale. Valier rispose confermando la propria intenzione di governare l’indisciplina, uniformando i privilegi del collegio e del seminario e componendo nuove Costituzioni e il De acolythorum disciplina. Nella stessa direzione disciplinare fu la cura dell’osservanza della clausura nei monasteri femminili e del loro governo attraverso una ‘prudente’ guida spirituale maschile a cui dedicò, anche in questo caso, una serie di scritti.

La sua attività di visitatore, minuziosamente documentata sin dal 1565, non si limitò tuttavia alla diocesi veronese. Infatti per la sua affidabilità di riformatore e di relatore venne incaricato da Gregorio XIII di compiere una prima visita apostolica in contesti difficili come la Dalmazia e l’Istria. Lì si trattenne dal gennaio del 1579 al febbraio del 1580 e durante il suo soggiorno promosse le Compagnie della SS. Carità in territori particolarmente esposti alle scorribande dei turchi e dei loro alleati. Grazie alla sua azione si moltiplicarono le istituzioni caritatevoli e assistenziali a Spalato, Traù, Sebenico, Zara, Arbe, Ossero, Veglia, Cherso, Parenzo, Pola, Cittanova, Capodistria, Trieste. Poi, nel giugno del 1580, fu la volta di Chioggia e di Venezia (agosto 1581); nell’ottobre del 1583, di fresca nomina cardinalizia, si recò a Padova e quindi a Vicenza (settembre-ottobre 1584). In questa fase, prima di intensificare la sua presenza a Roma, egli fu un interprete conseguente degli obiettivi più caratterizzanti dell’epoca postridentina: l’effettiva residenza come garanzia dell’azione pastorale, la necessità di contrastare la carente preparazione e il rilassamento disciplinare del clero regolare e secolare, il controllo delle confraternite laicali e degli atteggiamenti superstiziosi e pseudoreligiosi, la cura e il decoro dell’ambiente liturgico, il governo delle coscienze.

Oltre alle intense attività diocesane la personalità di Valier si espresse per circa quarant’anni anche nella Roma papale. Fu proprio lì che poté dar seguito al suo legame con gli ambienti borromaici e dar corpo a quanto assorbito dall’insegnamento di s. Carlo: ciò fu ravvisabile ampiamente nelle frequentazioni, negli incarichi e nella torrentizia attività di scrittore parenetico. Nel 1562 con il nome di Obbediente fu ascritto all’Accademia delle Notti Vaticane, vera fucina di intelletti e di scambi culturali che avrebbe ricordato in un entusiastico opuscolo (Noctes Vaticanae [...] Convivium, Mediolani 1748, pp. 1-23), ma anche nella biografia del fondatore s. Carlo Borromeo, insistente promotore e sostenitore del suo ingresso, che la animava rubando ore «somno et quieti» (Vita Caroli Borromei, Veronae, apud Hieronymum discipulum, 1586, p. 6; Vita di Carlo Borromeo..., 1988, p. 67).

Le pagine della biografia del santo da lui scritta, al di là dell’ovvio intento apologetico, ben sintetizzano la sincera condivisione di un modello ideale in cui spiccano la centralità attribuita alla formazione morale del clero e all’importanza qualitativa della predicazione: a tale proposito Valier compose De rethorica ecclesiastica ad clericos libri tres (Veronae 1574), decisivo e stimato riferimento contemporaneo per l’omiletica ispirata dall’esempio borromaico.

L’8 febbraio 1587 per volontà di Sisto V fu chiamato a far parte della congregazione dell’Indice. Al suo interno egli rappresentò l’opinione di coloro che volevano rendere decisiva la figura episcopale nel governo delle coscienze, diventando un protagonista nell’accesa rivalità tra la congregazione del S. Uffizio e quella dell’Indice. Inoltre, visse in pieno i contrasti tra gli orientamenti generalmente più flessibili dei membri della congregazione e la severità dei decreti del papa nell’opera di redazione delle regole ispiratrici del lavoro censorio: è in quel filone di problemi che va inserita la scrittura e la pubblicazione nel 1589 del celebre opuscolo De cautione adhibenda in edendis libris, dedicato a Silvio Antoniano, suo trentennale amico e sodale a cui aveva peraltro in passato dato una «rivista» alla sua opera sull’educazione dei fanciulli.

Valier con il suo scritto, in linea con la convinzione ormai affermatasi di sorvegliare la pubblicazione dei libri a stampa, costituì uno dei tentativi più significativi nel proporre, con consigli destinati agli autori e agli editori, un orientamento preventivo di controllo del tumultuoso sviluppo dell’editoria e a un tempo un fermo invito agli scrittori all’autocensura.

In occasione poi della mancata promulgazione dell’Indice sisto-clementino del 1594, egli agì discretamente di conserva con l’ambasciatore Paolo Paruta nella vertenza del papa con la Repubblica veneziana, decisa a difendere gli interessi dei propri stampatori.

Nell’ormai intensa attività romana di Valier un momento particolare fu il giubileo del 1600. Per l’occasione egli descrisse e commentò quello speciale anno santo di fine secolo in un trattato (De sacro anno Iubilei, Veronae 1601) che, insieme al De indulgentiis et Iubileo (Lugduni 1600) di Roberto Bellarmino e alla ponderosa opera di Rutilio Benzoni De Anno Sancti Iubilaei (Venetiis 1599), costituì un importante e agile scritto per la massiccia rivalutazione e difesa della pregnanza delle pratiche giubilari e del pellegrinaggio romano.

Nella sua opera Valier univa una vivida descrizione dei successi dell’anno giubilare a una efficace contestualizzazione storica che sottolineava l’evidenza di una ripresa morale, intellettuale e politica del Papato testimoniata, a suo avviso, soprattutto dalla vittoria di Lepanto, dal ruolo crescente dei papi come mediatori e pacificatori tra le potenze cattoliche e dall’azione incisiva di Clemente VIII Aldobrandini, papa regnante e indiscusso protagonista della riconciliazione con Enrico IV, di una ripresa della lotta contro i turchi, della devoluzione estense e dell’occupazione di Ferrara nonché di puntute battaglie giurisdizionali.

Egli, con il cardinal Gabriele Paleotti, ebbe poi un ruolo nella nomina ad arcivescovo di Milano di Federico Borromeo, presentandolo insieme nel Concistoro del 25 gennaio 1595 per essere poi effettivamente promosso cardinale l’11 giugno dello stesso anno: Valier divenne di fatto per lui una sorta di padre spirituale, assolvendo così alla cura del giovane affidatogli dallo stesso Carlo Borromeo.

Senza dubbio Valier rappresentò nel mondo veneziano uno dei profili più accreditati e determinanti del clero veneto nell’interpretare in maniera moderata una vocazione riformatrice plasmata all’ombra degli ambienti borromaici e nel contempo l’agente di una costante riflessione sulle modalità di applicazione delle direttive conciliari nel territorio della Repubblica. Questa propensione alla mediazione e al compromesso nella vita attiva unitamente alla sua vocazione contemplativa e meditativa, come stili comportamentali e culturali, vennero suggellate dal suo inserimento come personaggio dialogante nell’opera parutiana Della perfezione della vita politica, in cui si immaginava un qualificato consesso di dotti veneziani presenti a Trento nell’ultima sessione del Concilio. E nello stesso tempo, quasi a simboleggiare il senso di un’impronta intellettuale, fu autore egli stesso del Dialogo della gioia cristiana, operetta parenetica che descrive il clima mistico e militante di un gruppo di alti prelati impegnati nel contrastare l’eresia e nel rimodulare le critiche alla filosofia classica.

Sempre attivo, durante il pontificato di Clemente VIII ebbe un ruolo nel facilitare la delicata operazione della riammissione di Enrico IV di Borbone sostenendo gli orientamenti oratoriani a cui era molto legato.

L’essere divenuto un cardinale molto considerato fu attestato anche dal fatto che dal 1590 venne inserito tra i papabili nei conclavi di Urbano VII, di Gregorio XIV, di Leone XI e persino di Paolo V, occasione in cui circolò la voce in città di una sua elezione come soluzione all’accesissimo confronto tra Cesare Baronio, a lui molto legato ma inviso agli spagnoli, e Domenico Tosco.

Personalità dunque tra le più rilevanti del mondo cattolico veneto impegnato nella fase postridentina, proprio la fine della sua esistenza venne scossa dalla vicenda dell’Interdetto. Egli tentò, disperatamente e invano, di ritardare la determinazione antiveneziana di Paolo V in occasione del drammatico Concistoro del 17 aprile 1606 nel quale fu fulminato l’Interdetto contro la Repubblica. Il decorso degli avvenimenti fu emblematico per comprendere il corto circuito psicologico di cui fu vittima, combattuto tra il senso di appartenenza allo Stato veneziano, la profonda e curiale devozione al pontefice e il suo pluriennale impegno, in ruoli di primo piano, di convinto ed eclettico riformatore postconciliare. Persino Paolo Sarpi gli riconobbe nel frangente una «affezzione sua sincera verso la patria e la devozione al suo principe» (Istoria dell’Interdetto, a cura di G. Da Pozzo, 1968, p. 245).

Tale scissione, psicologica ma soprattutto culturale, secondo molti contemporanei, lo prostrò a tal punto da portarlo alla morte che avvenne effettivamente a Roma il 23 maggio 1606. Il suo corpo, dapprima custodito nella chiesa ‘nazionale’ di S. Marco, fu traslato nel duomo di Verona e la sua memoria onorata con un elegante monumento funebre.

Opere. Imponente la sua produzione a stampa e tale da presentare ancora problemi di attribuzione. Tuttavia, per una ricognizione dell’insieme dei suoi scritti ancora molto utile è quanto indicato in G. Ventura, Vita Augustinii Valerii Veronae Episcopi, in Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, XXV, Venezia 1741, pp. 49-115 (indicazioni bibliografiche alle pp. 110-114); A.M. Querini, Thiara et purpura veneta, Brixiae 1761, pp. 229-243 (indice delle opere e opuscoli alle pp. 236-241); in edizioni recenti di alcune sue opere: Il Dialogo della gioia cristiana, a cura di A. Cistellini, Brescia 1975; Vita di Carlo Borromeo card. di s. Prassede arcivescovo di Milano, introduzione di C. Segala, Verona 1988; Visite pastorali a chiese della diocesi di Verona anni 1565-1589, I-III, Verona 1999-2001.

Fonti e Bibl.: G. Bentivoglio, Memorie e lettere, a cura di C. Panigada, Bari 1934, pp. 46, 48 s., 122; P. Sarpi, Istoria dell’Interdetto, in Id., Scritti scelti, a cura di G. Da Pozzo, Torino 1968, ad ind.; Carlo Borromeo ed il card. A. V. (carteggio), a cura di L. Tacchella, Verona 1972.

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