LANDI, Agostino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 63 (2004)

LANDI, Agostino

Cornelia Bevilacqua

Nacque intorno al 1500 dal conte Marcantonio, signore di Bardi, e da Costanza Fregoso, nobildonna genovese. Della sua educazione si occupò il cardinale Pietro Bembo, suo padrino al fonte battesimale e amico della famiglia, che lo ospitò a Padova. Il prestigio della famiglia è chiaramente dimostrato dal soggiorno nel palazzo di Marcantonio di Carlo V, di passaggio a Piacenza, nel settembre del 1520. Morto il padre tra il 1524 e il 1526, il L. fu invitato all'incoronazione di Carlo V a imperatore, avvenuta a Bologna il 24 febbr. 1530.

Il 23 dic. 1532 il notaio Domenico Scopesi rogò a Compiano il contratto di nozze tra il L. e la cugina Giulia Landi, contessa di Compiano, che gli portò in dote tutte le ville, il castello e le giurisdizioni del suo feudo. Il L. realizzò così il progetto di riunificazione dei feudi di Bardi e Compiano e, ottenuta la dispensa di Paolo III, sposò la cugina Giulia. In pochi anni attuò un'opera di consolidamento del proprio potere sulle alte valli di Taro e Ceno. Nel 1534 acquistò dal vescovo di Piacenza ogni residuo di diritto sul feudo della Pieve di Bedonia e, dopo un lungo periodo di contese, ottenne dalla famiglia Ravaschieri la piena giurisdizione su Santa Maria del Taro (1552). La sua ambizione e la sua forte volontà di costruire una solida rete di controllo sul territorio a lui sottoposto, è testimoniata da decisioni come la revisione generale dell'estimo delle terre (1537) e la legge sull'elezione delle cariche pubbliche (1540). Inoltre, attraverso l'esborso di una somma, il L. riuscì ad appianare una lite con Piacenza, che tentava di inficiare la legittimità dell'autonoma giurisdizione cittadina di Bardi e Compiano.

Il 9 nov. 1536, Carlo V confermò le investiture concesse agli antenati del L. e ratificò la dote di Giulia. Dal matrimonio nacquero sette figli: Pompeo, Marcantonio e Orazio, morti precocemente, Manfredo, Claudio, Porzia e Ortensia. In seguito a quest'ultimo parto, il 10 ag. 1546, Giulia morì.

Testimonianze del periodo di Giulia e del L., sono i fregi monocromi con Giochi di putti e i Putti entro girali d'acanto, datati 1544 e attribuiti al pittore bolognese Girolamo Baroni, tuttora visibili in alcune stanze della fortezza di Bardi. Sul finire del 1546 Pier Luigi Farnese, appena investito del nuovo Ducato di Parma e Piacenza, inviò il L. come ambasciatore alla Repubblica di Venezia ad annunciare il suo avvento al trono ducale. Nel 1547 fu incaricato di funzioni diplomatiche presso Andrea Doria, signore di Genova. Quando i feudatari piacentini, sempre più scontenti della politica del duca, si unirono per ostacolare l'accentramento del potere a discapito delle signorie locali, si giunse alla congiura del 10 sett. 1547 nella quale il L., insieme con gli Anguissola, i Pallavicino e i Gonfalonieri, esercitò un ruolo di spicco.

Il L. era mosso dal timore di vedersi spogliato dal Farnese dell'autonomia giuridizionale nei suoi feudi. Dopo l'uccisione di Pier Luigi, il L. partecipò in modo attivo e cruento, quando non efferato, alla guerra di Parma. Celebre è l'episodio della rotta di dodici compagnie francesi nell'alta Val di Taro, quando i prigionieri catturati furono pubblicamente tagliati a pezzi e gettati nel fiume dalle mura di Compiano. Dopo avere ottenuto da Ferrante Gonzaga, governatore di Milano, il governo di Borgo Val di Taro, del quale fece immediatamente radere al suolo le mura dai suoi sudditi di Bardi e Compiano, il L. raccolse i frutti della sua fedeltà all'imperatore quando, il 25 maggio 1551, Carlo V gli concesse in feudo nobile, franco e libero, il Principato di Val di Taro con ogni diritto e giurisdizione e, nello stesso giorno, con analogo atto gli rinnovò l'investitura dei suoi feudi, erigendo Bardi in marchesato e Compiano in contea e baronia, con mero e misto imperio. Il giorno seguente l'imperatore lo nominò senatore e, l'8 apr. 1552, gli concesse il diritto di zecca. Nacque così il cosiddetto "Stato Landi" e il L., grazie alla qualifica "di Princeps Vallis Tari et Ceni", fu il primo in Italia a fregiarsi del titolo di principe del Sacro Romano Impero.

Questa politica di appoggio incondizionato all'Impero, le vendette contro le popolazioni locali simpatizzanti per i Fieschi e l'assassinio di Pier Luigi Farnese, segnarono l'inizio di un'insanabile ostilità da parte della Comunità di Borgo Val di Taro, sottomessa con estrema durezza, e dei duchi di Parma e Piacenza. Tra il 1545 e il 1553 il parroco di Berceto, Giorgio Franchi, nel suo diario descriveva il L. con timoroso sgomento come un nobile spietato e sanguinario, con al seguito militi di Bardi e Compiano e una "turma di banditi prezzolati" privi di scrupoli, disposti a compiere in suo nome i più efferati incarichi ai danni della popolazione e dei maggiorenti del paese, che nel 1551, al termine dell'assedio del Borgo, furono presi prigionieri, spogliati nudi "per non guastar li panni" e massacrati (G. Franchi, Poveri homini. Cronaca parmense del secolo XVI (1543-1557), a cura di G. Bertozzi, Bologna 1976). Il diario testimonia inoltre la carneficina di trecento soldati del duca Ottavio Farnese, figlio di Pier Luigi, che tentavano di raggiungere il loro signore dal Piemonte, attraversando imprudentemente le alte valli di Taro e Ceno.

Al termine della guerra di Parma, il L. mandò al confino ottanta uomini del Borgo accusati di collaborazionismo e cacciò dal suo territorio tutte le donne che avevano avuto legami con i francesi o con le truppe farnesiane. Al di là della conferma di ogni ragione e diritto già codificati negli antichi statuti, l'azione diretta e decisa che il L. adottò nel governo di Borgo Val di Taro inflisse un duro colpo all'orgoglio della Comunità, che da tempo non conosceva la presenza vicina e costante di un signore.

Questo atteggiamento del L. si spiega con la indubbia difficoltà di tenere sotto controllo un'area resa instabile dalla presenza di tumultuosi e incoerenti clan familiari e al centro di molte attenzioni da parte degli Stati confinanti e del potere ecclesiastico, che mai avrebbe smesso di avocare a sé i residui di antichi diritti.

Il L. morì avvelenato, forse per mano farnesiana, alla fine di febbraio 1555 a Milano, dove si era recato per prestare giuramento di fedeltà come feudatario dell'Impero.

Si dice che, prima di morire, abbia disposto l'invio al duca Ottavio Farnese di 18.000 scudi rubati al padre del Farnese Pier Luigi il giorno dell'assassinio. I figli del L., Manfredo e Claudio, furono continuatori, in tono minore, della sua politica, e legarono sempre più le loro sorti alla Spagna. In contrasto con il ritratto di principe spietato e sanguinario delineato dai contemporanei e in seguito strumentalizzato dai duchi di Parma e Piacenza, un documento scritto dallo stesso L. nell'agosto 1551 svela il suo lato interiore e privato, nel momento in cui si sofferma con dolce tristezza e delicata malinconia sul ricordo della moglie Giulia.

Fonti e Bibl.: C. Natale, Libro della descritione in rame de i stati et feudi imperiali di don Federico Landi…, Cremona 1617; Fondo Landi. Archivio Doria Landi Pamphilj: Carteggio, a cura di R. Vignodelli Rubrichi, Parma 1974; Fondo della famiglia Landi. Archivio Doria Landi Pamphilj: Regesti delle pergamene (865-1625), a cura di R. Vignodelli Rubrichi, Parma 1984; Narratione verissima del risentimento fatto per la Repubblica di Val di Tarro contra il conte Claudio Landi già suo principe (1578), a cura di D. Calcagno, Borgo Val di Taro 1999; P. Squeri, Memorie storiche delle alte valli del Taro e del Ceno, Piacenza 1959, pp. 71-88; A. Credali, Giuseppe Micheli e le carte "Landi" della Biblioteca Palatina da lui raccolte, in Arch. stor. per le provincie parmensi, s. 4, XXX (1978), pp. 257-270; A. Samorè, Lo Stato Landi in documenti dell'Archivio segreto Vaticano, ibid., XXXI (1979), pp. 235-261; G. Tocci, Le terre traverse. Poteri e territori nei Ducati di Parma e Piacenza tra Sei e Settecento, Bologna 1985, pp. 49-54; G. Cirillo - G. Godi, Guida artistica del Parmense, II, Parma 1986, p. 92; G. Conti, Il principe A. L. ed il fantasma della moglie Giulia. Note storico biografiche, Parma 1992; L. Bellesia, Le monete di Federico Landi principe di Val di Taro, Viadana 1997, pp. 7-11; P. Rizzi Bianchi, "Eccellentissimo Principe". Documenti storici dello Stato Landi del periodo classico (1578-1630) nell'Archivio Cantù di Compiano, Compiano 1999, pp. 11-13; R. De Rosa, La congiura di Claudio Landi contro i Farnese e i suoi riflessi sulla questione di Borgo Val di Taro, in Boll. stor. piacentino, XCVII (2002), pp. 131-149.

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