Agamennone

Enciclopedia Dantesca (1970)

Agamennone

Giorgio Padoan

. Figlio di Atreo, re di Micene, e di Erope. Quando Atreo fu ucciso da Egisto, figlio di Tieste, che si impadronì del regno, A. e il fratello Menelao furono costretti a riparare a Sparta, ospiti del re Tindaro, il quale diede loro in mogli le figlie, Elena a Menelao, e ad A. Clitennestra. Questi ne ebbe quattro figli: Ifigenia, Crisotemi, Elettra e Oreste. Scacciato Egisto, A. ritornò sul trono di Micene, mentre Menelao succedette a Tindaro; e quando i Greci organizzarono la spedizione contro Troia per vendicare il rapimento di Elena ad opera di Paride, A., in considerazione della potenza del regno e del suo valore personale, ne fu il capo supremo (il gran duca de'Greci, come D. ricorda in Pd V 69). La flotta greca tuttavia, per una gran bonaccia che pareva interminabile, non riusciva a salpare, sì che l'esito della stessa spedizione sembrava ormai irrimediabilmente compromesso; ma l'indovino Calcante svelò che l'impedimento era dovuto all'ira di Diana, per aver A. ucciso una cerva a lei sacra. L'eroe, per placare la divinità, promise di sacrificarle ciò che di più bello fosse nato nel suo regno (secondo altri, la prima vergine che avesse incontrata); e quando fu indicata come vittima la figlia stessa di A., Ifigenia, il condottiero, pur con la morte nel cuore, non volle venir meno al voto. Ifigenia fu così immolata; secondo una particolare versione del mito (nota a D. tramite Ovid. Met. XII 32-34), all'ultimo momento Diana l'avrebbe sostituita con una cerva, trasportandola in Tauride e facendone una sua sacerdotessa (Oreste l'avrebbe poi ricondotta in patria). Durante i dieci anni di guerra contro Troia A. si comportò valorosamente (ancorché, per la narrazione omerica, il suo nome sia rimasto legato, più che a imprese eroiche, al contrasto che lo separò da Achille per l'appropriazione di una schiava che spettava al Pelide). Al ritorno lo attese in patria una ben misera fine: lo uccise la moglie Clitennestra, che nell'assenza di A. si era unita con Egisto. Il figlio Oreste vendicò poi quel delitto. La truce storia di Atreo e Tieste e dei loro discendenti è narrata o quanto meno ricordata in molte opere letterarie greche, specie dai tragediografi; nelle latine godette minor fortuna (non vi sono accenni ampi in Virgilio, Ovidio); vi dedicò tuttavia due tragedie (Agamemnon, Thyestes) Seneca.

D. non ricorda mai il tremendo destino che pesò su Atreo e sulla sua famiglia, e neppure la morte di A. per mano della moglie (benché menzionata in Aen. XI 266-268) e il successivo matricidio di Oreste (v., per contro, Almeone). Di A. si limita a ricordare l'episodio del sacrificio di Ifigenia (Pd V 68-72; l'edizione Petrocchi accoglie la forma Efigènia) a lui ben noto per gli accenni di Boezio (Cons. phil. IV, m. 7, vv. 4-7) e soprattutto di Ovidio (Met. XII 24-34 e XIII 181-195, dove Ulisse si vanta di aver ingannato Clitennestra sulla sorte di Ifigenia, per condurla al sacrificio cui il padre l'aveva destinata). Quel fatto è addotto da Beatrice per ammonire gli uomini a non far voti sconsideratamente e tali che il loro scioglimento, comportando azioni empie, sia ancor peggiore che il venirvi meno: e così stolto / ritrovar puoi il gran duca de' Greci, / onde pianse Efigènia il suo bel volto, / e fé pianger di sé i folli e i savi / ch'udir parlar di così fatto colto (Pd V 68-72); giudizio che ricalca quello ciceroniano: " Cum devovisset Dianae quod in suo regno pulcherrimum natum esset illo anno, immolavit Iphigeniam, qua nihil erat eo quidem anno natum pulchrius. Promissum potius non faciendum, quam tam taetrum facinus admittendum fuit " (Off. III XXV 95).

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