AEROPLANO

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1948)

AEROPLANO (I, p. 629; App. I, p. 42)

Cesare CREMONA
Lucio LAZZARINO
Domenico LUDOVICO
Giuseppe SANTORO

Le tendenze fondamentali dell'aeronautica sono ancora oggi, come per il passato, quelle dell'aumento della velocità e della quota. Questi due fattori sono interdipendenti poiché la diminuita densità atmosferica in quota facilita l'aumento della velocità di traslazione, sempre che il vantaggio della minore densità non gravi al passivo nel bilancio della potenza motrice disponibile.

Le due linee di sviluppo, che il progresso dell'aeroplano ha seguito in questi ultimi anni, sono l'aumento della potenza motrice, da rendere possibilmente indipendente dalla quota, e la diminuzione della resistenza all'avanzamento.

Aumento della potenza motrice. - I classici motori alternativi occupano ancora un posto preminente mll'impiego aeronautico, e sono stati ulteriormente potenziati e perfezionati. Per essi si è accresciuto il numero dei cilindri, senza aumentare proporzionalmente la superficie d'ingombro (p. es., fig. 1, 28 cilindri a quattro stelle di sette nei motori raffreddati ad aria, e 24 cilindri disposti a quadruplice schiera ad H, nei motori raffreddati a liquido); si è aumentata la potenza per unità di cilindrata (fino al cospicuo valore di 85 cavalli per litro), accrescendo la pressione di alimentazione ed impiegando miscele antidetonanti; si è ridotta la potenza massica (peso per cavallo), giungendo a valori molto bassi (p. es., 370 grammi per cavallo nei motori raffreddati ad aria e 420 grammi per cavallo in quelli raffreddati a liquido); si è ridotto il consumo specifico (fino a 180 grammi per cavallo-ora); si sono perfezionati gli apparati ausiliarî tra cui, il più importante, il compressore centrifugo, a due ed anche a tre stadî, a volte azionato da turbine alimentate dagli stessi gas di scarico. Ciò non ostante il motore alternativo già comincia a cedere il passo ad altri sistemi propulsori (fig. 2) più leggeri, più potenti, aerodinamicamente occultabili e carenabili, più rispondenti alle esigenze delle ormai raggiunte velocità sonore e di quelle ipersonore: i propulsori a reazione (v. reazione, propulsione a, in questa App.).

Alcuni di questi propulsori a reazione portano con sé carburante e comburente (ossigeno per la combustione fornito chimicamente) e non hanno necessità di captare aria esterna (endoreattori); altri, e sono i più e quelli dimostratisi di maggior rendimento, captano l'aria esterna per trarne l'ossigeno comburente (statoreattori), e fra essi alcuni sono riusciti ad aumentare il loro rendimento includendo nel ciclo una turbina azionata dagli stessi gas di combustione (turboreattori). Si sono realizzati apparati che possono fornire spinte di 2900 kg., con un consumo specifico di 1,2 kg. per ora per kg. di spinta ed una potenza massica di 0,69 kg. per kg. di spinta (Jumo 012), o spinte di 2260 kg. per consumo di 1,07 ed una potenza massica di 0,304 con un ingombro di m. 1,26 di diametro ed una lunghezza di m. 2,50 (R. R. Nene 1).

Fra il classico gruppo motore-propulsore ed il moderno reattore sono apparsi, come stadio di transizione, i gruppi turbina-propulsore, cioè gruppi propulsori nei quali l'elica è azionata da una turbina anziché da un motore alternativo, ed hanno preso il nome di turbopropulsori; le potenze raggiunte di 2500 CV presentano consumi del valore di 0,208 kg. per cavallo-ora, a quota zero.

Sono stati anche realizzati accoppiamenti di varî tipi di propulsori negli stessi aeroplani quali motori alternativi e reattori, turboreattori e turbo-propulsori.

Aumento della penetranza. - Perché l'aumento di potenza faticosamente ottenuto dalla moderna aerotecnica motoristica sia convenientemente sfruttato, bisogna che esso si accompagni ad un corrispondente aumento della penetranza. Occorre, cioè, ridurre la resistenza all'avanzamento; nei moderni aeroplani la resistenza degli accessorî e quella dell'ala sono quasi uguali, per cui mentre gli aerotecnici si sono preoccupati di rendere sempre più schematicamente avviata l'architettura del velivolo, gli aerodinamici si sono preoccupati di migliorare l'ala, soprattutto nel senso di ridurne sensibilmente la resistenza.

Tale riduzione è ottenibile operando sul tipo di profilo alare diminuendone, compatibilmente con le necessità di robustezza eostruttiva, lo spessore. Ma questa riduzione, pur essendo stata sensibile con il contemporaneo progresso della tecnologia aeronautica, non può essere spinta oltre un limite compatibile con la necessità di occultare nell'ala, oltre la struttura resistente, gli indispensabili accessorî (serbatoi, armi, munizioni, carrello ed eventualmente i gruppi propulsori). D'altra parte si è constatato che anche in profili alari sottili, per le attuali velocità, quote ed incidenze di volo, la resistenza di attrito rimane elevata, per quanto si cerchi di rendere levigata la superficie esterna dell'ala e di ridurre accuratamente tutte le sporgenze e le discontinuità dovute ad appendici, chiodature, coprigiunti, ecc. La causa di ciò è stata attribuita al fatto che, accrescendo la velocità, si riduce lo spessore dello strato laminare di aria lungo il profilo, strato che è sempre presente anche sotto lo strato turbolento quindi sporgono le sommità delle asperità, che risultano immerse nello strato turbolento, con conseguente aumento della resistenza. Ma ciò non basta: il regime laminare è poco stabile e la presenza del soprastante strato turbolento dovuto alla sommità delle asperità tende a trasformarlo da laminare in turbolento. Il punto di transizione si trova spostato verso il bordo di attacco. Si è quindi studiata la maniera di portare rimedio a questo inconveniente ed in via subordinata di respingere verso il bordo d'uscita il punto di transizione.

Relativamente al primo problema si osserva che lo strato laminare tende a diventare turbolento, anche in assenza di cause esterne (asperità), specie là dove la velocità, raggiunto il valore massimo, comincia a diminuire, cioè nelle zone nelle quali il gradiente di pressione è positivo, mentre tenderebbe a diventare stabile e, quindi, meno sensibile alla turbolenza esterna, dove il gradiente di pressione fosse negativo. Poiché la massima velocità, e quindi la minore pressione, corrisponde all'incirca al massimo spessore del profilo, basterebbe spostare quanto più indietro è possibile l'ordinata di spessore massimo, tenendo presente però che tale spostamento non deve incidere eccessivamente sulle caratteristiche di portanza e di momento del profilo.

Alla risoluzione del secondo problema hanno portato il primo contributo i giapponesi Tani e Mituisi i quali si preoccuparono di determinare la forma teorica dei profili, in modo da ottenere lungo di essi una distribuzione di pressione praticamente costante per eliminare l'effetto dannoso del gradiente positivo di pressione. Su questo argomento, se si eccettuano alcuni risultati pubblicati anteriormente alla guerra, la letteratura tecnica straniera conserva il più impenetrabile segreto. Nella fig. 3 a, b, c, d, e, sono riportati alcuni risultati aerodinamici su cinque profili americani (NACA), con posizione normale (30% della corda alare) ed arretrata (40 e 50%) dello spessore massimo (9% della corda alare) e con bordo di attacco più o meno arrotondato; nella fig. 3 f, g, h, i, l, m, sei profili italiani: quattro simmetrici con spessore massimo (6, 7, 8 e 9%) in posizione arretrata (40%) e due asimmetrici con spessore massimo (9 e 12%) in posizione arretrata (40%); nella fig. 3 n, o, p, tre profili dell'ala dell'aeroplano P. 51 Mustang con spessori massimi (9, 12 e 15%) in posizione arretrata (38%) e nella fig. 3 q, il profilo L. B. 24 di Tani e Mituisi con spessore massimo (9%) in posizione arretrata (50%). Per ciascun profilo sono riportati nelle figure i valori del coefficiente di portanza massima Cpmax, del coefficiente di resistenza minimo Crmin e del coefficiente di momento all'incidenza di portanza nulla Cmo, ottenuti nelle Gallerie aerodinamiche di Guidonia.

I risultati suddetti hanno confermato una diminuzione di resistenza molto notevole che, per i migliori profili, può valutarsi in circa 56%, con lo svantaggio di una diminuzione di portanza massima del 13% circa.

I risultati sono molto interessanti e se i dati suddetti fossero valevoli al vero, per un aeroplano per il quale la resistenza dell'ala nell'assetto di velocità massima fosse il 50% della resistenza totale, la sostituzione del profilo comune con uno laminare - tenuto conto della variazione di esso lungo l'apertura - permetterebbe di realizzare una presumibile riduzione della resistenza complessiva dell'ala del 30% e quindi del 15% dell'intero aeroplano, con un aumento della velocità - a pari potenza istallata - del 6%. Un aeroplano, cioè, a profilo alare normale e avente una velocità massima, per es., di 700 km/h. raggiungerebbe, con la sola sostituzione del profilo laminare, una velocità massima di 742 km/h.

Bisogna osservare, però, che per funzionare secondo le previsioni, i profili laminari debbono essere costruiti con cura scrupolosa, sicché sono di difficile realizzazione e richiedono sistemi di costruzione di grande precisione ed una indeformabilità non facilmente ottenibile durante il volo, date le sollecitazioni aerodinamiche.

D'altra parte la riduzione del coefficiente di portanza, se non preoccupa per il decollo e l'atterraggio, dati i dispositivi all'uopo escogitati quali i razzi ausiliarî (propulsione additiva, limitata alla durata del decollo, per fornire una maggiore spinta destinata ad incrementare la velocità di rullata sulle piste e raggiungere più rapidamente quella di decollo), gli ipersostentatori (nelle varie forme di alette semplici e multiple), pregiudica le manovre ed in particolare i voli curvi come virate, spirali, ecc. (v. aerotecnica, in questa App.), i raggi dei quali necessariamente si allargano al diminuire della portanza massima, a meno che non si riesca durante le manovre a far intervenire le superfici ipersostentatrici, a comando o automaticamente. Quest'ultimo problema era già in esperimento in Italia, presso la Direzione degli studi ed esperienze di Guidonia, prima della distruzione di quell'importante centro di ricerche aeronautiche.

Un'altra soluzione nel campo della riduzione della resistenza alare, è quella escogitata dall'inglese A. A. Griffiths, consistente nell'aspirazione dello strato limite (fig. 4) in prossimità del punto ove si determina la discontinuità del diagramma delle pressioni; si sono anzi studiati profili speciali, molto spessi (33,3%) destinati agli aeroplani tutt'ala che debbono ricevere nel loro interno perfino l'abitacolo per il pilota, profili che presentano una voluta discontinuità in un determinato punto, nel quale si opera una aspirazione, ottenendo, anche in tal caso, una riduzione di resistenza di circa il 50%. Però le esperienze fin'ora rese note hanno confermato soltanto in parte i principî teorici sopra esposti e questi tipi di profili non sono ancora entrati in una fase applicativa corrente.

È, infine, da osservare che con il crescere della potenza anche in quota e con le possibilità di volo anche ad alta quota, le velocità raggiungibili dagli aeroplani si avvicinano rapidamente alla velocità del suono (pari a 330 m/sec. = 1188 km/h. a quota zero ed a temperatura di 15° e decrescente col crescere della quota). In tali regimi non è più possibile prescindere dalla compressibilità dell'aria e bisogna tener conto dei fenomeni di onde d'urto, che cominciano a manifestarsi già prima di raggiungere il valore predetto. Infatti un'onda d'urto appare già lì dove, lungo il profilo alare per esempio, la velocità locale raggiunge quella del suono, anche se la velocità dell'aeroplano sia inferiore ad essa (v. aerodinamica, in questa App.).

Con la presenza dei fenomeni di compressibilità, la resistenza aumenta sensibilmente, la portanza diminuisce, il regime dei momenti varia in modo anche strano (inversione dello sforzo aerodinamico provocato dal movimento d'una superficie di comando). La forma dei profili è destinata a cambiare: il bordo di attacco tende a diventare acuto e tagliente; lo spessore dovrà risultare piccolo per quanto possibile, l'ala è portata ad assumere la forma di una lama a doppio tagliente. E poiché ciò non è praticamente realizzabile si è ricorsi a tipi di ali (ali a freccia) che hanno presentato la caratteristica di allontanare il sorgere dei fenomeni di compressibilità verso la velocità del suono.

Questi stessi fenomeni si sono già presentati nelle eliche specialmente alle estremità delle pale (dato che le velocità di rotazione e di traslazione si compongono) e benché per esse siano state realizzate pale curve (in analogia alla forma a freccia delle ali, fig. 5) e profili di estremità molto sottili ed a bordi taglienti, le eliche sono destinate ad essere le prime ad abbandonare l'agone aeronautico: l'avvento dei reattori ne provocherà la rapida, definitiva scomparsa dall'architettura aeronautica del prossimo futuro.

Architettura aeronautica. - L'architettura dell'aeroplano è andata in questi ultimi anni sempre più semplificandosi e riducendosi alle parti strettamente funzionali e indispensabili; si sono occultate, almeno durante il volo veloce, tutte le superfici non necessarie ad esso (p. es. i carrelli); si è ridotta sensibilmente la resistenza di raffreddamento dei motori, annullandola praticamente in quelli a reazione; si è cercato di eliminare, con i più accurati e razionali raccordi, le interferenze aerodinamiche fra ali, fusoliere, impennaggi; si è giunti perfino a ridurre al minimo la superficie alare, anche a costo di aumentare il carico alare (kg/mq) a valori che sembravano proibitivi, riuscendo a vincere le difficoltà della velocità minima del decollo e dell'atterraggio ricorrendo a superfici addizionali (ipersostentatori), ai razzi ausiliarî, alla reversibilità delle eliche (v. elica, in questa App.), all'impiego di freni sulle ruote e, infine, aumentando il tonnellaggio; si è cercato di far scomparire anche i motori nello spessore delle ali o nell'interno delle fusoliere, rinviando il moto alle eliche attraverso trasmissioni parallele od angolate. Per la propulsione si è altresì ricorso ad accoppiamenti di gruppi motori a reazione di più alto consumo, ma di maggiore potenza, per i regimi di alta velocità con gruppi motori classici e con turboeliche per le velocità più basse di crociera, dato il loro minor consumo e la minor potenza richiesta. I carrelli, anche multipli, la ruota od il pattino di coda si occultano in fusoliera (fig. 6); questa, ridotta al minimo, di perfetta forma penetrante, contiene tutto ciò che turberebbe la linea aerodinamica del complesso; gli impennaggi si semplificano: la deriva verticale si accoppia con l'equilibratore in una forma a V, in modo che i piani di esso soddisfino alle duplici esigenze di stabilità e di comando (coda a farfalla), sia orizzontali che verticali. E se l'architetto aeronautico rinunzia all'elica, il reattore trova sistemazione nella fusoliera, a meno che essa, ridotta a minimi termini, non lo consenta, nel qual caso si giunge ad una forma di grandi aeroplani che ha preso il nome di tutt'ala: tipi di velivoli cioè, nei quali la fusoliera è abolita, poiché la forma a freccia accentuata delle ali consente di sistemare su di esse gli organi di stabilità e di comando. Il pilota, il personale di bordo, i gruppi propulsori o reattori, gli accessorî, tutto si rifugia nelle ali (figg. 8, 21).

La resistenza al moto, specialmente nei grandissimi apparecchi, risulterà grandemente diminuita.

La tecnica aeronautica è in continua evoluzione ed il suo progresso si presenta sempre più sensibile. Non è possibile per ora prevedere, come per le altre applicazioni tecniche della scienza, il raggiungimento vicino di un limite di perfezionamento stabile; al contrario, è prevedibile un periodo di superamento, ancora denso di innovazioni.

Bibl.: E. N. Jacobs, Metods Employed in America for the Experimental Investigation of Aerodynamic Phenomena at High Speed, Convegno Volta, 1935; C. Lamanna, Contributo sperimentale alla possibile realizzazione di un velivolo tutt'ala, in L'aerotecnica, luglio-dicembre 1943; L. G. Fairhust, The future scope of Propellers, in Journal of R. A. S., dicembre 1945; A German Research Institute, in Aircraft Production, sett. 1945; R. C. Petit, Double-slotted Flaps on A. 26 Give High Efficiency Performance, in Aviation, maggio 1945; Boundary Layer Characteristics and Control in Jet Propelled Planes, in Aero Digest, aprile 1945; E. F. Relf, Modern Aerodynamic Development, in Journal of R. A. S., giugno 1946; A. Eula, Recenti progressi nell'aerodinamica delle ali e delle eliche, in L'Aerotecnica, settembre 1946.

Strutture aeronautiche.

L'esperienza e il progredire della tecnica aeronautica hanno reso possibile individuare le soluzioni architettoniche delle strutture degli aeromobili che risultino le più convenienti per ciascuno dei diversi impieghi.

Tuttavia, ogni volta che si verifica l'adozione di nuovi dispositivi, come, ad esempio, di nuovi tipi di motore, oppure si presentano nuovi impieghi o variate condizioni d'impiego, si prospetta il riesame del problema della determinazione della più conveniente soluzione architettonica.

La soluzione architettonica oggi (1948) più diffusa e quasi universalmente adottata per un gran numero di impieghi degli aeroplani e degli idrovolanti, consiste in un'ala monoplana a sbalzo, attraversante una fusoliera, la quale è destinata a collegare l'ala al complesso degli organi di stabilizzazione e di governo longitudinali e direzionali (stabilizzatore, equilibratore, derive e timoni di direzione), disposti posteriormente rispetto all'ala (fig. 7). Con tale soluzione si hanno tre strutture principali: una struttura alare a sbalzo, una struttura di fusoliera ed una struttura del complesso stabilizzatore-equilibratore, la quale ultima è sostanzialmente una seconda struttura alare a sbalzo; a queste ne sono collegate, in varî modi, altre importanti, come le strutture di sostegno degli impianti per la propulsione (castelli motori), le strutture degli organi per la partenza e per l'arrivo, le strutture delle derive di stabilizzazione direzionale, dei timoni di direzione, degli alettoni per il governo trasversale, degli ipersostentatori, nonché carenature, radiatori, serbatoi, installazioni ed impianti varî. Per gli idrovolanti (v. in questa App.), costruiti secondo questa soluzione architettonica, talvolta la parte inferiore della fusoliera, anteriormente e nella zona centrale, viene conformata e costruita in modo da permettere la partenza dell'idrovolante dall'acqua, il suo ammaramento alla fine del volo, la navigazione in acqua e lo stazionamento alla fonda.

Recentemente sono stati costruiti, con buon successo, alcuni aeroplani senza coda, in cui l'ala monoplana, con pianta a freccia, porta tutte le altre parti del velivolo (figg. 8, 21).

Non hanno invece avuto successo, per varie ragioni, gli aeroplani canard, nei quali il complesso stabilizzatore-equilibratore è disposto avanti all'ala, invece che posteriormente.

In un certo numero di aeroplani e di idrovolanti il collegamento tra l'ala e il complesso delle superficie di stabilizzazione e di governo longitudinale e direzionale è ottenuto, invece che mediante la fusoliera, mediante due travi disposte simmetricamente rispetto al piano medio verticale dell'aeromobile; in tal caso l'ala porta quasi sempre, nella sua parte centrale, una navicella in cui sono sistemate alcune installazioni e, in generale, i posti di pilotaggio e una parte del carico; navicella che, nel caso degli idrovolanti, si trasforma spesso in scafo.

Limiti di peso ammissibili per le strutture. - Il carico complessivamente ammissibile per unità di superficie della pianta dell'ala di un aeroplano o di un idrovolante, è limitato, per ciascun tipo, da un valore superiore che dipende da diverse caratteristiche, e principalmente dalla forma dell'ala e degli ipersostentatori e dal valore accettabile per la velocità minima in volo orizzontale; tale limite è compreso tra 20 kg./mq., valore adottato per alcuni tipi di aeroplani veleggiatori, e 400 kg./mq., valore adottato per aeroplani speciali per altissime velocità, che partono con l'ausilio di mezzi esterni, come altri aeroplani, catapulte di lancio, ecc., ed arrivano con un peso ridotto a poco più della metà del peso di partenza. Per gli aeroplani da scuola di primo grado si hanno generalmente carichi superficiali compresi tra 50 e 70 kg./mq.; per gli aeroplani da turismo tra 60 e 130 kg mq.; per gli aeroplani per trasporto passeggeri tra 120 e 200 kg. mq.; per gli aeroplani da combattimento tra 150 e 250 kg./mq.

Poiché nei carichi unitarî predetti devono essere evidentemente comprese le aliquote relative al carico utile, all'impianto di propulsione, alle varie installazioni, resta disponibile, per ciascuna struttura, solo una piccola parte del carico superficiale totale; pertanto la struttura alare deve avere un peso, per unità di superficie della sua pianta, compreso tra 7 e 30 kg./mq., la struttura del complesso equilibratore-stabilizzatore deve avere un peso per unità di superficie della sua pianta compreso tra 6 e 18 kg./mq., e così via.

Materiali impiegati per la costruzione delle strutture aeronautiche. - Essendo le sollecitazioni cui sono sottoposte le strutture aeronautiche spesso molto gravose, affinché il loro peso sia contenuto nei ristretti limiti sopra accennati, è indispensabile che i materiali impiegati per costruirle abbiano speciali caratteristiche e, in primo luogo, è necessario che i rapporti tra i carichi unitarî di rottura (a trazione, a compressione, a scorrimento) ed il peso specifico del materiale siano sufficientemente elevati.

Quando il peso di struttura complessivamente ammissibile per unità di superficie esterna sia inferiore ad un determinato limite (circa 6 kg./mq.), è ponderalmente conveniente impiegare per gli elementi superficiali della struttura tessuti abbastanza leggeri e resistenti, impregnati di vernici adatte e fissati su leggere centinature, poste ad intervalli generalmente compresi tra 10 e 30 cm. Tale tipo di elemento strutturale di rivestimento ha compiti di resistenza locale, in quanto può soltanto riportare sulle centinature di sostegno le pressioni o depressioni che su di esso si esercitano; tali pressioni però devono essere contenute entro determinati limiti (circa 500 kg./mq. per la condizione di volo più gravosa), non essendo possibile con tale tipo di struttura superficiale sopportare pressioni maggiori.

Quando il peso di struttura, ammissibile per unità di superficie esterna, superi il limite sopra accennato, è in generale ponderalmente conveniente sostituire agli elementi di struttura superficiale in tessuto, elementi in legno o in metallo che conviene far partecipare anche alla resistenza strutturale dell'intera struttura resistente. La sostituzione in questione è poi necessaria per i rivestimenti degli scafi e dei galleggianti e quando le pressioni, o le depressioni, massime superino i limiti superiori accettabili per i rivestimenti in tessuto.

Dato il peso ammissibile per unità di superficie esterna di struttura, gli spessori degli elementi strutturali di rivestimento devono essere tanto più sottili quanto maggiore è il peso specifico del materiale con il quale sono costruiti. La sottigliezza di tali elementi strutturali favorisce sia l'efficacia degli attacchi corrosivi da parte degli agenti esterni, sia il verificarsi di fenomeni di instabilità dell'equilibrio elastico (v. stabilità, in questa App.) quando la struttura sia sotto carico. Le tensioni unitarie, di compressione o di taglio, cui corrisponde l'inizio dei suddetti fenomeni negli elementi laminari, sono, come è noto, proporzionali al modulo di Young del materiale, al quadrato dello spessore dell'elemento laminare e sono inversamente proporzionali al quadrato di una dimensione lineare caratteristica della superficie esterna dell'elemento strutturale. Pertanto, l'adozione di materiali ad alto peso specifico, anche se con elevate caratteristiche meccaniche, comportando spessori molto sottili, è ostacolata da fenomeni di instabilità dell'equilibrio elastico.

Per strutture ad elementi compatti, sopportanti eventualmente, - mediante apposite centinature di sostegno - rivestimenti che non partecipano alla resistenza della struttura principale che li sorregge, i materiali ponderalmente più convenienti sono gli acciai ad alta resistenza (carico unitario di rottura compreso tra 80 e 140 kg./mmq., modulo di Young 21.000 kg./mmq., peso specifico 7,85) ed alcune leghe di alluminio fucinabili (vedasi più avanti); sono state anche proposte leghe di berillio, che presentano elevatissime caratteristiche meccaniche; ma tali leghe non sono state ancora applicate per varie ragioni, tra cuí una delle più importanti è il costo eccessivo.

Per le strutture a rivestimento lavorante, per le quali sia necessario un peso complessivo per unità di superficie piuttosto basso, può convenire ponderalmente l'uso di legnami compensati di varie essenze (pioppo, betulla, faggio, ecc.), costituiti da sottili lamine di legno incollate tra loro con colle alla caseina o con colle derivate da resine sintetiche. Nelle armature di sostegno degli elementi laminari in legno compensato si trovano generalmente listellature di legno particolarmente adatto a questo impiego (silver spruce). I pesi specifici di tali materiali variano tra 1 (legno di betulla impregnato di resine sintetiche) e 0,45 (silver spruce); il carico unitario di rottura a trazione varia tra 14 kg./mmq. (faggio) e 7 kg./mmq. (spruce); il carico unitario di rottura a compressione varia tra 13,5 kg./mmq. (faggio impregnato di resine sintetiche) a 4 kg./mmq. (spruce).

Per le strutture a rivestimento lavorante notevolmente sollecitate, il materiale più diffuso è costituito da leghe di alluminio con piccole percentuali (meno del 5% complessivamente) di rame, manganese, magnesio, zinco, ferro, nickel, cromo, vanadio, silicio, zirconio, titanio; tali leghe hanno carichi unitarî di rottura, a trazione ed a compressione, compresi tra 28 e 68 kg./mmq., moduli di Young compresi tra 6800 e 7300 kg./mmq., e pesi specifici compresi tra 2,8 e 2,9; esse sono in generale non molto resistenti alla corrosione; esistono diversi metodi per proteggere i materiali in questione dalla corrosione, il più efficace dei quali consiste nel placcare le superficie con un sottile strato di alluminio puro; non essendo tale sistema protettivo applicabile sui pezzi lavorati in modo da avere spessori variabili, si sogliono proteggere i pezzi suddetti mediante ossidazione anodica, completata dall'applicazione di vernici protettive. Per ostacolare la corrosione delle leghe di alluminio usate in aeronautica, è necessario evitare accuratamente il contatto tra esse e leghe a forte tenore di rame, ed è indispensabile cadmiare le superficie di acciaio destinate a venire a contatto con elemeuti costituiti da leghe di alluminio.

Le leghe di alluminio richiedono, per ottenere unioni saldate, speciali accorgimenti (v. saldatura, in questa App.), abbastanza delicati per le leghe aventi caratteristiche meccaniche elevate per la cui saldatura sono necessarie macchine complesse; la saldatura è però ammissibile soltanto in determinate condizioni di carico degli elementi strutturali da unire, e non può ammettersi laddove la struttura debba rompersi per un carico sensibilmente maggiore di quello per il quale fenomeni di instabilità dell'equilibrio elastico hanno avuto inizio in alcuni degli elementi di sottile spessore da unire.

Sono stati recentemente elaborati e applicati ad alcune strutture aeronautiche procedimenti di incollatura a caldo delle leghe di alluminio, usando per sostanze collanti alcune resine sintetiche.

La maggior parte delle leghe di alluminio ad alta resistenza richiede delicati trattamenti termici.

Le leghe di magnesio sono poco adoperate nelle strutture aeronautiche, nonostante il loro basso peso specifico (1,8) e le loro buone caratteristiche meccaniche (carico unitario di rottura a trazione 32 kg./mmq., modulo di Young 4700 kg./mmq.), a cagione della insufficiente resistenza alla corrosione; il loro impiego è pertanto limitato a quegli elementi strutturali ai quali è possibile applicare una sicura protezione, rivestendo completamente l'elemento con uno strato di resina sintetica privo di discontinuità.

L'uso di materiali aventi differenti moduli di Young in elementi strutturali contigui, che devono rimanere tra loro collegati da vincoli continui, o quasi continui, durante le sollecitazioni cui possono venire sottoposti, porta generalmente alla conseguenza che le sollecitazioni unitarie nelle zone contigue di elementi strutturali costruiti con materiali diversi stanno tra loro in un rapporto che approssimativamente è uguale a quello dei relativi moduli di Young dei materiali. Ne risulta ouindi, in generale, che uno dei due materiali componenti la struttura viene male utilizzato, essendo sollecitato meno di quanto è possibile sollecitarlo, poiché, di solito, non avviene che i carichi di lavoro ammissibili per i due materiali stiano tra loro come i moduli di Young.

Tuttavia, allo scopo di disporre di elementi laminari di notevole spessore, tale da opporsi efficacemente al verificarsi di fenomeni di instabilità dell'equilibrio elastico, senza oltrepassare i limiti di peso imposti alle strutture aeronautiche, sono stati recentemente sperimentati con esito promettente elementi strutturali laminari costituiti da sottili lamine esterne di materiali ad alte caratteristiche meccaniche e a peso specifico anche abbastanza elevato, incollate su una lamina interna, di spessore molto maggiore e di materiale a basso peso specifico (fig. 9). Per le lamine esterne è stato adoperato il mogano impregnato di resine sintetiche armate con fili di acciaio ad altissima resistenza, oppure leghe di alluminio, mentre per lo strato interno sono stati adoperati legni di balsa, di pioppo, oppure una speciale struttura ad alveare, costituita di resina sintetica armata con tessuto; gli spessori delle lamine esterne sono compresi tra 0,5 e 2 mm., mentre lo strato interno ha spessori compresi tra un minimo di 5 e un massimo di 50 mm. L'ostacolo principale che si oppone a una estensione di tali metodi costruttivi consiste nella difficoltà di assicurare una perfetta adesione tra le lamine esterne e l'eterogeneo strato interno

Schemi strutturali ed elementi costitutivi delle strutture aeronautiche. - Le strutture con rivestimenti in tessuto verniciato o con rivestimenti che devono essere facilmente rimossi (ad esempio, per consentire l'accesso ad impianti collocati sotto il rivestimento), come pure le strutture dei carrelli e delle travate di sostegno di galleggianti, di impianti propulsori e di installazioni dense e pesanti sono in generale costituite da elementi strutturali principali compatti, riuniti tra loro mediante saldature o pernî o bolloni; spesso tali strutture possono ricondursi allo schema di travature reticolari piane o spaziali (figg. 10, 11, 12).

Gli elementi strutturali principali delle strutture di tale tipo hanno forme consigliate dal genere di sollecitazione cui possono essere sottopostí (flessione, trazione, carico di punta, torsione, ecc.), dalla necessità di mantenerne il peso, il costo ed il tempo di costruzione entro determinati limiti, e, nel caso di elementi strutturali esposti al vento di corsa, di ridurre per quanto possibile la loro resistenza aerodinamica. Molto diffusi sono gli elementi strutturali tubolari, a spessore costante o variabile, e a sezione circolare o profilata aerodinamicamente (figg. 12, 13). Tali elementi sono uniti tra loro mediante saldature autogene, oppure mediante calzature di acciaio, fissate con imperniature. Sono anche impiegati, per sostegni di motori e carrelli, elementi strutturali di forme complicate, ottenuti mediante stampaggio a caldo di lingotti di acciaio o di adatte leghe di alluminio, ed anche elementi strutturali a scatola, formati da lamiere tra loro inchiodate o saldate autogenamente (fig. 14).

Ai suddetti elementi strutturali principali sono assicurati i rivestimenti esterni mediante collaretti o piastrine di unione, generalmente ottenute da sottili lamiere di leghe di alluminio, opportunamente contornate, forate, piegate e talvolta anche imbutite. I rivestimenti esterni sono in tessuto (sostenuto da leggere centinature in legno o, meglio, in lega di alluminio) oppure in legno o in lega di alluminio. Quando i rivestimenti debbano facilmente venire rimossi, sono suddivisi in pannelli sufficientemente irrigiditi da centinette, listellature e bordature di contorno, e sono assicurati agli elementi strutturali di sostegno mediante piccole e leggere serrature speciali.

Le strutture a rivestimento lavorante (come parte essenziale della struttura) sono costituite da un'armatura sulla quale vengono fissati gli elementi strutturali laminari di rivestimento. Nella maggior parte dei casi l'armatura è formata da una serie di sottili ossature piane, di solito disposte parallelamente tra loro, e sagomate in modo da assicurare alla superficie esterna della struttura la forma voluta; su di esse si appoggia una listellatura, costituita da elementi lunghi e flessibili; talvolta la listellatura è sostituita da elementi laminari ondulati, che funzionano come serie di listelli disposti a contatto.

Le ossature sagomate, che assicurano alla struttura la forma richiesta (centine, ordinate, costole, armature trasversali, ecc.), sono ricavate, nel caso di strutture in legno, da lamine di compensato opportunamente alleggerite mediante foratura e rinforzate da listelli applicati lungo i bordi della lamina e altrove, in modo da evitare il manifestarsi di fenomeni di instabilità dell'equilibrio elastico nei pannelli in cui ciascuna ossatura viene suddivisa dai detti listelli; nel caso di strutture in lega d'alluminio, le ossature risultano, in generale, costituite da una lamiera di sottile spessore (da 0,6 a 1,5 mm.) opportunamente contornata, con i bordi risbordati, e irrigidita da fori bordati e da imbutiture di forma adatta, praticate nelle zone dove si temono imbozzamenti; talvolta le imbutiture sono sostituite da profilati e piastre bordate di rinforzo, applicati alla lamiera di fondo mediante chiodatura o saldatura per punti. Quando sia necessario disporre di una ossatura particolarmente robusta, si sogliono accoppiare due ossature parallele laminari mediante profilati inclusi tra esse e solidamente uniti ad ambedue (fig. 15). In qualche caso le ossature sono ottenute da più pezzi, uniti insieme da piastrine e da profilati; altre volte profilati, curvati opportunamente, costituiscono il bordo dell'ossatura.

La listellatura (armatura longitudinale) nelle costruzioni in legno è costituita da listelli di legno flessibile (spruce) a sezione rettangolare, o trapezia, costante o variabile; nelle costruzioni in lega leggera, da estrusi o da profilati, ricavati da nastro mediante passaggio attraverso una trafila a rulli sagomati; in alcuni casi la sezione dei listelli viene variata asportando una parte del materiale o sovrapponendo al listello un secondo listello di profilo adatto a combaciare con il profilo del listello di base (fig. 16).

La listellatura è sempre collegata agli elementi laminari di parete, questa lo è spesso anche alle ossature di forma, che, a loro volta, sono collegate in molti casi alla listellatura; tale collegamento è ottenuto, nelle strutture in legno, con squadrette di legno a sezione triangolare; nelle strutture metalliche mediante piegature praticate nell'ossatura di forma, oppure a mezzo di piastrine di lamiera piegata o collarini di lamiera imbutita, o anche con semplici chiodature (fig. 17).

Nelle strutture in legno le unioni tra le varie parti sono effettuate con colle alla caseina o con colle derivate da resine sintetiche, e completate, talvolta, con chiodini di rame; nelle strutture metalliche le unioni sono, nella maggior parte dei çasi, assicurate mediante chiodature con chiodi di forme diverse; quando le forme, le dimensioni dei pezzi da unire, e le sollecitazioni che in essi si prevedono consentono l'uso di saldature per punti, le unioni sono effettuate con questo sistema; sono stati anche praticati incollaggi a caldo, con colle derivate da resine sintetiche, tra elementi strutturali in leghe di alluminio.

Le strutture principali sono tra loro collegate con diversi sistemi, che si possono sostanzialmente ricondurre a due tipi fondamentali di collegamento, e cioè: unioni in un limitato numero di zone ristrette, in cui si abbia una concentrazione di sforzi (attacchi; fig. 18); oppure unioni quasi continue di strutture estese (fig. 19).

Ciascuna struttura principale può essere suddivisa in tronchi o in pannelli; tale suddivisione si effettua per varî motivi, tra i quali i più frequenti sono: la necessità di ridurre i tempi di montaggio dell'aeroplano, delle sue strutture e delle installazioni in esse contenute; la possibilità di stivare le strutture in magazzini ristretti, in vagonì ferroviarî, nelle stive di carico di navi o di aeroplani da trasporto; la possibilità di usare per la costruzione dei singoli tronchi o pannelli macchine che impongono particolari condizioni di ingombro alle strutture che devono essere lavorate con esse, ecc.

Per impedire od ostacolare il verificarsi di fenomeni d'instabilità dell'equilibrio elastico negli elementi strutturali sottili è necessario irrigidirli, applicando ad essi elementi irrigidenti, disposti tanto più fittamente quanto più sottile è lo spessore degli elementi da irrigidire; di norma, il collegamento tra gli elementi irrigiditi e quelli irrigidenti si attua, nelle costruzioni metalliche, con chiodature, per le quali si richiedono, in un moderno aeroplano, molte centinaia di migliaia di chiodi.

Per rendere meno costosa e più rapida la ribaditura dei detti chiodi sono stati escogitati tipi di chiodi speciali e macchine chiodatrici automatiche veloci; per ridurre il numero assai rilevante degli elementi irrigidenti si è tentato di riunirne molti in alcuni pochi elementi strutturali, ottenendo così elementi strutturali di forme anche abbastanza complicate, ma fabbricabili per stampaggio alla pressa; la sostituzione di numerosi listelli con lamiere ondulate risponde, in un certo senso, a questo concetto costruttivo (fig. 20).

Tecnologie speciali delle strutture aeronautiche ed impianti relativi. - La costruzione di strutture aeronautiche in legni compensati, con incollamenti alla caseina, richiede appositi scali di montaggio ed il normale macchinario di una industria per la lavorazione del legno; l'uso delle resine sintetiche ad alta resistenza richiede inoltre la possibilità di disporre di camere in cui sia possibile raggiungere temperature fino a 150°C e, per alcune di dette resine, anche pressioni fino a 10 kg./cmq. Analoghi impianti sono necessarî per l'incollatura delle leghe di alluminio con resine sintetiche. La lavorazione delle strutture aeronautiche in leghe di alluminio abbisogna di un'imponente attrezzatura per l'imbutitura e lo stampaggio delle lamiere; impianti per i trattamenti termici, piuttosto delicati, cui la maggior parte dei pezzi deve essere sottoposta durante la lavorazione; impianti per la cadmiatura dei pezzi di acciaio che devono venire a contatto con gli elementi strutturali in lega di alluminio; impianti per l'ossidazione anodica, ed il comune macchinario di una industria meccanica di media precisione. Sono opportune, specialmente quando l'intensità della produzione debba essere notevole, macchine speciali, come trafile, presse per stampaggio con contrastampo in gomma (sono necessarie presse idrauliche di grande potenza), presse per stiramento, macchine chiodatrici automatiche, macchine saldatrici per punti per leghe di alluminio, cesoie, fresatrici a copiare, ecc.

La costruzione degli elementi strutturali in acciaio lavorato richiede la normale attrezzatura e il macchinario di una officina destinata a lavorazioni meccaniche di media precisione e mole, e gli impianti necessarî per la fucinatura e i trattamenti termici degli acciai ad alta resistenza usati per le strutture aeronautiche.

Prove di collaudo dei matenali e delle strutture aeronatitiche. - Essendo i materiali destinati alla costruzione di strutture aeronautiche in generale fortemente sollecitati, con margini di sicurezza molto bassi (tra 1,5 e 2,5), è indispensabile una continua ed accurata sorveglianza tecnica delle lavorazioni e dei materiali impiegati, per garantire che le caratteristiche dei materiali stessi siano non peggiori di quelle prescritte e non peggiorino durante la lavorazione. Devono pertanto venire effettuate continuamente prove di determinazione delle caratteristiche dei materiali, con macchine del tipo di quelle impiegate nei laboratorî per le prove sui materiali metallici (v. resistenza dei materiali, XXIX, p. 89 e in questa App.).

Le forme e le condizioni di carico delle strutture aeronautiche sono di solito molto complesse e risulta quasi impossibile determinare col calcolo se le strutture in esame siano stabili o meno, con la precisione che i bassi coefficienti di sicurezza e la necessità di costruire strutture molto leggere richiedono. Pertanto è opportuno ricorrere a verifiche di stabilità sperimentali, effettuate sottoponendo un esemplare della struttura a carichi riproducenti con sufficiente fedeltà le condizioni di carico e di vincolo cui la struttura deve essere sottoposta; incrementando i carichi proporzionalmente fino alla rottura della struttura, si possono rilevare gli eventuali punti deboli e le zone dove si abbia un sovradimensionamento inaccettabile degli elementi strutturali.

A questi progressi fondamentali, che traendo origine dall'aumento delle potenze motrici e dall'adozione della propulsione a reazione, si sono concretati nel superamento della soglia della velocità del suono ed hanno comportato modifiche profonde nei profili aerodinamici e nell'architettura dell'aeroplano, si affiancano un complesso di perfezionamenti e di adeguamenti delle varie parti degli aerei, dei quali si ricordano i più salienti.

Si sono generalizzati i dispositivi di ipersostentazione, destinati ad incrementare la portanza e quindi ad abbassare la velocità minima; i più efficaci si sono dimostrati gl'ipersostentatori tipo "Fowler" consistenti in una aletta (a volte doppia) di profondità pari a circa il 40% della corda alare, posta sotto il lembo posteriore dell'ala. L'aletta, al comando del pilota, si porta indietro e ruota verso il basso (determinando un aumento della superficie e della curvatura alare, che, oltre a incrementare la portanza, favorisce l'azione frenante richiesta nella fase di atterraggio).

L'eliminazione dell'elica conseguente all'introduzione dei reattori ha consentito l'adozione di carrelli molto bassi con notevole risparmio di peso, e con vantaggio per la retrattilità. Il carrello triciclo, oltre alle normali due ruote, comporta una terza ruota in prua: esso è adottato sempre più largamente, perché facilita e rende più sicure le manovre di decollo e di atterraggio. Il carrello triciclo risponde anche bene ai fini del centramento dell'aeroplano, che si tende a portare in avanti, risultando ciò favorevole alla stabilità longitudinale. In alcuni modernissimi velivoli veloci ad ala molto sottile sono adottati carrelli bicicli costituiti da due ruote o coppie di ruote disposte una dietro l'altra lungo la fusoliera. Piccole ruote ausiliarie, poste sotto le ali, assicurano la stabilità nel rullaggio.

Sono in corso attualmente esperimenti per l'adozione di carrelli di atterraggio a ruote orientabili, allo scopo di agevolare l'atterraggio e il decollo con vento di fianco (con beneficio di uso degli aeroporti dotati di una sola pista).

Per le cabine, gli aeroplani destinati a volare in alta quota dispongono di chiusure stagne e di impianti di aria condizionata. Il problema della protezione contro la formazione di ghiaccio è stato generalmente risolto con l'adozione di condotte di aria calda nell'interno del bordo d'attacco dell'ala e delle altre parti che interessa mantenere libere da incrostazioni di ghiaccio. Nei moderni impianti l'aria calda è fornita da piccole centrali termiche autonome.

Un nuovo problema che si presenterà per gli aeroplani ipersonici sarà quello del raffreddamento della cabina, la quale si riscalderà - come tutte le superfici del velivolo - per l'attrito determinantesi alle elevatissime velocità. (I missili "V 2" che cadevano sulla Gran Bretagna si arroventavano fino al rosso, nel percorso di una diecina di minuti, compiuto a velocità dell'ordine dei 5000 km/ora).

Relativamente alle installazioni di sicurezza (paracadute), poiché negli aeroplani molto veloci (al disopra dei 600 km/ora) riesce praticamente impossibile al pilota uscire dall'abitacolo per lanciarsi, una cartuccia esplosiva consente, a comando, il distacco dal velivolo di tutto il seggiolino col pilota, dopo di che può essere azionato il paracadute.

Nei moderni aeroplani di piccola mole e di grande potenza (perciò di elevato consumo) sono frequentemente adottati i serbatoi ausiliarî esterni, costituiti da recipienti a forma di buona penetrazione agganciati generalmente sotto le ali e sganciabili a comando dopo essere stati vuotati.

Tipi di aerei.

Aeroplani militari. - Tra gli aeroplani bellici di grande autonomia, impiegati per il bombardamento cosiddetto strategico, alle massime distanze, si annoverano naturalmente i velivoli di maggior mole.

Il Boeing B-29 Superfortezza, già impiegato dagli Americani contro il Giappone negli anni 1944-45 (il B-29 è stato il portatore delle bombe atomiche), è tuttora in dotazione all'aeronautica statunitense: ha un peso totale di 73 t., sviluppa una velocità massima di 500 km/ora, e possiede un'autonomia di 800 km. con 4000 kg. di bombe (4 motori P. e W. da 2500 CV). Successore del B-29 può considerarsi il gigantesco Consolidated-Vultee B-36, del peso di 139 t. che può coprire una distanza di 16.000 km. (da New York a Singapore) con un carico di 4500 kg. di bombe: il carico di bombe può essere portato ad un massimo di 32.000 kg. riducendo in conseguenza l'autonomia. La sua velocità massima è di 540 km/ora (6 motori P. e W. da 6000 CV). Un aeroplano da bombardamento strategico particolarmente notevole per la velocità, rispetto agli altri velivoli della stessa categoria, è il Boeing B-20, del peso di 55 t., capace di una velocità massima di 660 km/ora (4 motori P. e W. da 3500 CV). L'armamento dei suddetti velivoli comprende da 10 a 12 mitragliatrici dei calibri 12,7 e 20 mm. In questa categoria durante la seconda Guerra mondiale si sono resi famosi anche due quadrimotori americani, il Boeing B-17 G Fortezza Volante e il Consolidated-Vultee B-24 J Liberator. Essi, con una potenza complessiva di circa 4800 CV, sviluppavano una velocità massima di circa 480 km/ora, ed erano capaci di un'autonomia di 3600-3300 km. con un carico di bombe di kg. 2700-2300. Erano armati con 13-10 mitragliatrici calibro 12,7 mm.

Per il bombardamento a lungo raggio l'Inghilterra, durante la seconda Guerra mondiale, disponeva pure di quadrimotori, il cui impiego era generalmente limitato alle ore notturne, data la minore velocità e lo scarso armamento difensivo rispetto ai tipi americani. I più noti sono l'Avro, "Lancaster", lo Handley Page "Halifax", lo Short "Stirling". Un bombardiere italiano di caratteristiche simili ai suddetti è stato il quadrimotore Piaggio P. 108. Un altro bombardiere notturno inglese molto impiegato durante l'ultima guerra è stato il bimotore Vickers "Wellington" usato anche per la lotta contro i sommergibili.

I più recenti tipi di bombardieri americani sono dotati di motori a reazione, possono sviluppare velocità elevatissime, sugli 800 km/ora e oltre, sono praticamente sprovvisti di armamento difensivo ed hanno un equipaggio di 203 persone soltanto. Citiamo i tipi North American XB-45 e Consolidated-Vultee XB-46 (entrambi con 4 turboreattori G. E. da 1800 kg. di spinta); il tipo Martin XB-48 (6 turboreattori); il tipo Boeing XB-47 "Stratojet" (6 turboreattori) dalle caratteristiche ali a freccia molto pronunciata.

Precursore dei suddetti bombardieri velocissimi può essere considerato l'aeroplano bimotore britannico De Havilland "Mosquito" impiegato durante la recente guerra in operazioni di bombardamento in quota e anche d'assalto. Il Mosquito, che ha la particolarità di essere costruito completamente in legno, pesa 11 t., è dotato di 2 motori Rolls Royce da 1500 CV, sviluppa una velocità massima di 680 km/ora, e può portare 1800 kg. di bombe a 2800 km. di distanza.

Costruzione notevole e singolare è anche il Northrop YB-49 (tutt'ala), con 8 turboreattori da 1800 kg. di spinta, perciò l'aeroplano più potente del mondo, del peso di 90 t. Simile è l'aeroplano Northrop XB-35, con la stessa cellula, ma con 4 motori P. e W. da 3000 CV.

Tra gli aeroplani bellici di media autonomia è compresa la maggior parte dei velivoli bellici, destinati a impieghi varî, quali: bombardamento a breve raggio, attacco al suolo, caccia pesante o caccia di scorta, siluramento, ricognizione, ecc. Sono generalmente monomotori o bimotori. Dispongono di un equipaggio di una o due persone. Sono armati con armi in caccia e in difesa. Tra i più moderni sono: l'americano Douglas A. 26 "Invader", del peso totale di 16 t., con 2 motori P. e W. da 1500 CV, capace di una velocità massima di 570 km/ora, di un'autonomia di 2.200 km. con 1800 kg. di bombe. È armato con 10 mitragliatrici cal. 12,7: può anche essere armato con un cannoncino da 37 o con un cannone da 75, in prua. L'inglese Short "Sturgeon", bimotore (2 Rolls Royce da 2000 CV), è un bombardiere-ricognitore specialmente studiato per l'impiego su portaerei; peso 18 t., velocità massima 690 km/ora, autonomia massima km. 2500.

Simili ai tipi descritti, ma con caratteristiche più modeste perché dotati di potenze inferiori, sono gli aeroplani da bombardamento, d'assalto e da ricognizione impiegati dagli Italiani e dai Tedeschi durante la seconda Guerra mondiale. Tra i più importanti si citano: degl'italiani i trimotori SIAI S. 79 e Cant. Z. 1007 bis; i bimotori Fiat B. R. 20 e Caproni Ca. 314; dei tedeschi, l'Heinkel 111, lo Junnkers 88, il Dornier Do 217.

Un aeroplano caratteristico della categoria è l'americano Ryan FR-I "Fireball", specialmente studiato per essere imbarcato, del peso di circa 4 tonn. e mezza, avente la particolarità di disporre di un motore ad elica (Wright da 1470 CV) e di un turboreattore (G. E. da 900 kg. di spinta). Sviluppa una velocità massima di 680 km/ora, con autonomia di 2500 km.

Anche negli aeroplani di questa categoria sono stati introdotti i più potenti propulsori a reazione. Per esempio il Mc Donnell XF-2 "Banshee", del peso di circa 6 t. e mezza, è dotato di 2 turboreattori Westinghouse da circa 1800 kg. di spinta e velocità massima di 900 km/ora.

Tra i moderni caccia pesanti si citano i seguenti. Il caccia inglese Gloster "Meteor" (2 turboreattori Rolls Royce da 1800 kg. di spinta), entrato in linea alla fine della guerra, è capace di una velocità massima superiore a 900 km/ora (nel 1945 ha battuto il primato mondiale di velocità con 975 km/ora). Il caccia americano Lockheed P. 80 "Shooting Star" costruito in serie anch'esso fin dal 1945, dotato di turboreattore G. E. da 1800 kg. di spinta, ha superato per primo ufficialmente il traguardo dei 1000 km/ora (giugno 1947). Un altro caccia americano di elevate caratteristiche è il Republic P. 84 "Thunderjet", del peso totale di 4 t., dotato di turboreattore G. E. da 1800 kg. di spinta, capace di una velocità massima superiore a 980 km/ora con autonomia di 1600 km. Durante la guerra i caccia pesanti più impiegati dagli Americani sono stati il bimotore Lockheed P. 38 "Lightning", il monomotore Republic P. 47 "Thunderbolt", il monomotore North American P. 51 "Mustang". Quest'ultimo è uno dei monomotori ad elica più veloci del mondo, potendo raggiungere la velocità di 740 km/ora. Altri caccia pesanti, impiegati anche per assalto nella recente guerra, sono il bimotore inglese Bristol "Beaufighter", e il bimotore tedesco Messerschmitt Me. 110.

Il più famoso aeroplano d'assalto tedesco, particolarmente idoneo per il tiro in picchiata, è lo Junkers 87 "Stuka" monomotore. Tra i velivoli d'assalto molto impiegati in guerra si citano ancora l'aeroplano monomotore sovietico "Stormovik" e il bimotore pure sovietico Toupolev Tu 2. Inoltre, gli aeroplani d'assalto giapponesi impiegati dai piloti volontarî suicidi (metodo Kamikaze "Vento Divino") nella guerra del Pacifico: il tipo Yokosuka "Suisci" (Cometa), denominato dagli Americani "Judy", e il tipo Yokosuka "Giuka" (Via Lattea), denominato dagli Americani "Farnces". Aeroplani monomotori italiani impiegati per assalto sono stati il Breda 65 e il Fiat C. R. 42 (ex-caccia declassato).

Tra gli aeroplani bellici di piccola autonomia sono compresi essenzialmente i caccia cosiddetti intercettori, destinati generalmente a combattere nel proprio cielo contro i velivoli nemici prima che raggiungano i loro obiettivi. Caratteristica principale di tali caccia deve essere perciò la grande rapidità di salita unita ad una grande velocità orizzontale, doti queste che esigono una elevata potenza concentrata in pesi e dimensioni le più ridotte possibili. Nel campo dei caccia intercettori si punta ora decisamente sugli aeroplani supersonici, di cui il primo esemplare sperimentale può essere considerato il Bell XS-I. Le potenze necessarie sono fornite da propulsori a reazione, talvolta combinati con turboreattori. Gli aeroplani intercettori essendo i più spinti, all'avanguardia delle realizzazioni aeronautiche, risultano anche i più caduchi nel senso che sono presto declassati, si può dire da un anno all'altro, superati dal continuo progredire della tecnica. Allo stato attuale (1948), tra i più riusciti aeroplani della categoria è il De Havilland "Vampire", detentore del primato mondiale di altezza. Particolarmente pregevoli sono le doti di manegevolezza di questo aeroplano e il grande scarto tra la velocità massima (superiore a 900 km/ora) e la veloctà minima (dell'ordine dei 160 km/ora), sicché ne è agevole l'impiego anche in campi di limitate dimensioni. È armato con 4 mitragliere da 20 mm.

Per quanto riguarda l'armamento degli intercettori, la tendenza generale naturalmente è per l'aumento del volume di fuoco, attraverso l'aumento del numero delle armi installate nonché del calibro e del ritmo di sparo (si persegue anche l'aumento della velocità iniziale del proiettile, proporzionale al calìbro). Finora il massimo armamento è stato realizzato nell'aeroplano tedesco Messerschmitt Me. 262, con 4 cannoncini cal. 30 mm. Poiché, aumentando ancora il calibro, diminuisce troppo il ritmo di sparo, si prevede per i calibri superiori l'impiego di lancia-razzi automatici anziché di cannoni.

Durante la seconda Guerra mondiale, escludendo i caccia a reazione tedeschi apparsi nell'ultima fase del conflitto, troppo tardi e in numero troppo esiguo per conseguire un risultato apprezzabile, gli aeroplani intercettori sono stati sempre monomotori ad elica. Tra i più famosi fu il Vickers Snpermarine "Spitfire", che ha svolto un compito decisivo nella vittoriosa battaglia di Inghilterra (1940-41). Questo ottimo aeroplano, in diverse edizioni, è stato presente in tutti i cieli di combattimento sino alla fine della guerra. Dei caccia tedeschi il più rappresentativo è da considerare il Messerschmitt Me. 109, anch'esso successivamente migliorato e impiegato fino agli ultimi tempi. Un altro caccia tedesco notevole è il Focke-WulJ 190. I caccia italiani più impiegati sono stati i Macchi (MC. 200, MC. 202, MC. 205). In minor misura i reparti ebbero in dotazione i tipi Fiat (G. 50, G. 55) e Reggiane (Re. 2000, Re. 2001). Dei caccia sovietici il più conosciuto è lo Yak 3. Dei caccia giapponesi i più noti sono il Mitsubishi "Zero", di particolare manegevolezza e leggerezza in quanto sprovvisto di qualsiasi protezione, e il Nakajima, simile al Me. 109 tedesco.

Aeroplani da trasporto. - Tra i più importanti aeroplani transcontinentali citiamo: il Lockheed "Constellation", quadrimotore (4 Wright da 2000 CV) del peso totale di 45 tonn., di velocità massima superiore ai 500 km/ora, autonomia 8000 km., capace di 60 passeggeri sistemati con ogni conforto, il Douglas "Skymaster" (4 motori P. e W. da 1350 CV), del peso totale di 33 t., di velocità massima superiore ai 400 km/ora, capace di 40 passeggeri. Della stessa categoria dei suddetti è l'aeroplano inglese Avio "Tudor" (4 motori Rolls Royce da 1500 CV), del peso totale di 36 tonn., di velocità massima superiore ai 400 km/ora, capace di 30 passeggeri. Pure destinato ai servizî transatlantici è l'aeroplano italiano di recentissima costruzione Breda-Zappata 308 (4 motori Bristol da 2000 CV del peso totale di 466 t., di velocità massima superiore ai 500 km/h, autonomia 6000 km., capace di 55 passeggeri. Tra gli aeroplani da trasporto di grosso tonnellaggio di cui si prevede prossima l'entrata in linea, si citano: l'americano Boeing "Stratocruiser" quadrimotore del peso totale di 61 t., capace di 100 passeggeri; l'inglese Bristol "Brabazon" (8 turbo-eliche da 3500 CV), del peso di 130 t., capace di 150 passeggeri. Altro notevole aeroplano da trasporto di recente costruzione è il Lockheed "Constitution" di 92 tonnellate.

Gli aeroplani civili destinati ai percorsi brevi sono generalmente bimotori. Il più impiegato nel mondo è il Douglas "Dakota" (2 motori P. e W. da 1050 CV), del peso totale di 13 t., di velocità massima 370 km/ora, capace di 21 passeggeri. Un velivolo italiano di questa categoria, di recente costruzione, è il Fiat G. 212 (3 motori P. e W. da 1060 CV), del peso totale di 17 t., di velocità massima 375 km/ora, capace di 30 passeggeri. Un velivolo italiano da trasporto che ha reso ottimi servizî durante la guerra e nell'immediato dopoguerra è il SIAI S. 82 (3 motori Alfa Romeo da 800 CV), del peso totale di 17 t., impiegato per trasporto di truppe, civili e materiali di ogni genere dall'Italia in Libia ed in Africa Orientale.

Tra gli aeroplani da turismo italiani di piccola potenza comparsi negli ultimi tempi sono il quadriposto SAI Ambrosini "Grifo" e il biposto Macchi 308, vincitore del giro aereo d'Italia 1948.

TM;L'impiego bellico dell'aeroplano.

A 20 anni dalla fine della prima Guerra mondiale non erano sostanzialmente modificate le concezioni di impiego dell'aeroplano nelle sue diverse specialità, le quali rimanevano le tre fondamentali: bombardamento, caccia, esplorazione.

Tuttavia, sulla base della pratica, sia pur modestissima, esperienza delle operazioni belliche in Cina, Etiopia e Spagna, e più ancora per impulso di studî teorici sull'impiego degli aerei, cominciavano a manifestarsi orientamenti più o meno precisi e discussi verso nuove specialità, soprattutto da offesa, capaci di agire con maggiore efficacia contro obiettivi fissi e mobili, terrestri e navali: aeroplani d'assalto, da bombardamento a tuffo, aerosiluranti.

Lo scoppio della guerra nel 1939 trova però che le nuove specialità vanno in sostanza, ove più o meno, delineandosi come novità di convenienza ancora incerta di fronte alla sicura, radicata convinzione della potenza e della supremazia difficilmente contrastabili del bombardamento orizzontale in quota.

Iniziatesi le ostilità, si ebbe ben presto modo di sperimentare a fondo e su vasta scala le possibilità, il rendimento e le limitazioni del materiale nelle sue varie utilizzazioni.

Il bombardamento orizzontale in quota, che sembrava costituisse la ragion d'essere dell'aviazione militare, palesò per primo le sue gravì limitazioni: scarsa probabilità di colpire bersagli di piccole dimensioni, probabilità che non poteva essere accresciuta che con l'aumento dell'entità delle formazioni; ma con l'incremento di queste diminuivano le possibilità di manovra, inconveniente assai grave specie per l'attacco di bersagli mobili; infine, malgrado l'appoggio reciproco delle armi di bordo delle formazionii queste riuscivano assai malamente a difendersi dagli attacchi della caccia.

Le perdite severe subite nelle operazioni diurne, anche se effettuate con imponente accompagnamento di caccia, costrinsero ad impiegare il bombardamento quasi esclusivamente di notte; le perdite furono minori, ma minori furono anche le possibilità di esatta individuazione degli obiettivi e la precisione del tiro.

La progressiva svalutazione di un impiego che prima della guerra era dalla maggioranza ritenuto l'unico razionale, portò alla più rapida evoluzione e valorizzazione di quei nuovi mezzi e di quelle nuove forme di attacco, di cui si era intravista la convenienza e che aumentavano le probabilità di colpire, pur rinunziando ad una maggior sicurezza, che del resto si era rivelata relativa anche a quote e a velocità maggiori. Si andarono così sempre più sviluppando e affermando i velivoli per il bombardamento in picchiata ed a tuffo, con assai elevata probabilità di colpire; i velivoli d'assalto, per l'attacco a volo rasente con bombe di piccolo calibro e con le armi di bordo; i velivoli siluranti.

Specialmente gli aerosiluranti svalutarono molto, per l'attacco contro navi, il bombardamento orizzontale, che era apparso subito del tutto inadeguato a tal genere di offesa, sia per la difficoltà di colpire bersagli assai mobili, sia perché la corazzatura delle grandi navi si era dimostrata poco vulnerabile anche da parte di bombe di grosso calibro.

Però il bombardamento orizzontale, che non aveva fornito la reale misura della sua potenza anche per insufficienza di potenziale bellico, non rinunziò alla sua compromessa supremazia. Esso aumentò e utilizzò la potenza motrice, non più per incrementare la sua velocità (la storia del bombardamento non era stata fino allora che un'assurda corsa verso la velocità, nella vana speranza di sfuggire alla caccia), ma per trasportare maggior peso sotto forma di corazzature per proteggersi, di un maggior numero di armi di calibri superiori per difendersi, di un maggior numero di bombe di più gran peso per aumentare le probabilità di colpire e l'effetto dei colpi. D'altro canto, lo sviluppo di applicazioni "radar" consentì al bombardiere pesante di effettuare puntamenti di grande precisione anche di notte e con tempo cattivo; proiettili speciali (bombe perforanti, bombe radioguidate, bombe razzo, ed infine bombe atomiche) fecero aumentare la precisione e gli effetti dei singoli tiri; mentre la creazione di aeroplani da caccia a grande autonomia gli assicurava, entro limiti abbastanza ampî, protezione contro la difesa avversaria. Appunto con l'impiego a massa del bombardamento pesante gli Anglo-americani, conquistata la supremazia aerea, determinarono il crollo della Germania e del Giappone.

Quanto al velivolo da caccia, era nel periodo prebellico diffuso il convincimento che il suo unico, se pure importantissimo, compito fosse quello della difesa del territorio: a tal fine ne venivano incrementate le caratteristiche di velocità ascensionale e orizzontale, mentre scarso rilievo veniva dato alla autonomia; tale concezione, seguita soprattutto dall'aeronautica britannica, che si preoccupava di difendere il vulnerabile territorio da attacchi dei bombardieri tedeschi, fu quella che salvò l'Inghilterra nel 1940.

Ma bastò la comparsa dei primi cacciatori a sbarrare la via ai bombardieri che attaccavano il territorio o che, partendo da navi portaerei, proteggevano le navi da guerra ed i convogli, per dimostrare che ben più vasto campo di azione e ben più numerosi compiti poteva e doveva avere la caccia, la cui presenza soltanto consentiva di agire con un minimo di libertà e di sicurezza alle proprie forze aeree, terrestri e navali, e di contrastare e limitare al nemico il libero impiego delle forze corrispondenti.

Per aumentare le sue possibilità di impiego, l'aeroplano da caccia dovette, oltre la velocità, esaltare anche altre caratteristiche. Anzitutto l'armamento, per poter contrastare efficacemente il bombardiere che andava aumentando le sue corazzature protettive ed il suo armamento difensivo: dalle 2÷8 mitragliatrici da 12,7 si passa perciò alle 2÷4 armi da 20, agli 8 proiettili razzo del caccia britannico Hawker-Typhon, alle 18 mitragliatrici dell'americano Mitchell B 23, al cannone da 53 del Mosquito XVIII inglese. Poi dovette accrescere l'autonomia, per poter seguire e proteggere i velivoli da offesa nelle loro incursioni nell'interno del territorio nemico o nei loro attacchi in mare aperto. Infine, il caccia dovette raggiungere la possibilità di volare e attaccare di notte. A poco a poco la specialità si trasformò; o meglio, accanto ad essa sorse una nuova specialità, detta più propriamente "da combattimento".

Non solo, ma l'aeroplano da caccia e quello da combattimento, velivoli tipicamente difensivi, si rivelarono, per le loro caratteristiche di combattività, di manovrabilità e di raggio d'azione, suscettibili anche di multiformi impieghi offensivi e si prestarono ottimamente a essere impiegati in missioni di attacco al suolo, con mitragliamento e bombardamento leggero (caccia-bombardieri), e di ricognizione, sia nel campo strategico che in quello tattico, sia sulla terra che sul mare.

Per l'esplorazione terrestre, l'esperienza dimostrò subito che i velivoli da ricognizione potevano agire, e con gravissimo rischio, soltanto sulle prime linee o poco nell'interno degli schieramenti avversarî e sempre con protezione diretta o indiretta della caccia. E poiché questa doveva in linea generale essere adeguata, non al numero dei velivoli da proteggere, ma al prevedibile contrasto della caccia nemica, era necessario l'impiego di scorta numerosa e, di conseguenza, si giungeva a una utilizzazione antieconomica e a grande logorio di materiale e di personale. Lo stesso può dirsi per l'esplorazione marittima in mari ristretti o in presenza di navi portaerei. Si finì, quindi, con l'affidare molto spesso l'esplorazione ai bombardieri, per quella a più lungo raggio, o ai cacciatori, per quella a raggio minore.

All'aeroplano si richiesero inoltre sempre maggiori e più varie prestazioni, che accrescessero il rendimento di tutti i complessi armati, aumentando la capacità di penetrazione degli eserciti, le possibilità combattive delle flotte e conferendo ad entrambi la necessaria sicurezza. Ed il velivolo si adatta ad ogni incarico, contro ogni minaccia: contro la fanteria, contro il sommergibile, contro il carro armato, contro la bomba-razzo; affina le sue caratteristiche in modo da potere, per la difesa, per l'offesa e per l'esplorazione, fare a meno delle sue naturali basi a terra e partire dal ponte di una portaerei o dalla catapulta di un incrociatore. Si sovrappone e si sostituisce ad altri mezzi terrestri e marittimi nei trasporti, sia per scopi operativi (paracadutisti, aerosbarchi, rifornimenti e rinforzi di truppe in linea), sia per scopi logistici (rifornimenti rapidi di materiali, spostamento di reparti, servizio sanitario, soccorso in mare, collegamento fra comandi retrostanti e reparti avanzati).

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