Adolescenza

Universo del Corpo (1999)

Adolescenza

Joseph Adelson e Red.

L'adolescenza, dal latino adolescere, "crescere", è l'età della vita, compresa tra la fanciullezza e l'essere adulto, nella quale si compiono i processi di crescita, di formazione della personalità e di trasformazione fisica. Questi ultimi sono particolarmente evidenti durante la pubertà, che è la prima fase dell'adolescenza, quando si manifestano modificazioni somatiche e neuroendocrine che portano alla maturazione delle funzioni sessuali (v. pubertà). Queste modificazioni inducono cambiamenti psicologici e comportamentali. Un altro mutamento avviene nei processi cognitivi, con il passaggio dalle operazioni concrete (classificazione, seriazione) alle operazioni formali, cioè al pensiero ipotetico deduttivo. Questo cambiamento è essenziale perché l'adolescente possa integrare le modificazioni somatiche e affettive e possa scoprire ed elaborare il proprio sistema di valori sociali.

L'adolescenza e le trasformazioni psicologiche

1. Aspetti generali

Approssimativamente, l'adolescenza è quel periodo tra i dodici e i diciotto anni che costituisce un momento di transizione nel ciclo vitale, forse il più significativo, se si eccettuano gli anni della prima infanzia. I cambiamenti più evidenti durante l'adolescenza sono di natura fisica, con lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari, come la crescita dei peli o l'abbassamento nel tono della voce, ma soprattutto con il rapido aumento della statura e del peso, in seguito al quale alcuni ragazzi acquistano fino a quindici centimetri di altezza in un anno. È il cosiddetto spurt, o scatto puberale, che comporta anche cambiamenti fisici più intimi come, per es., l'inizio delle mestruazioni, la prima polluzione. Tutti questi eventi sono innescati e diretti da importanti modifiche ormonali, cioè da alterazioni della biochimica dell'organismo infantile, che si manifestano con la produzione di grandi quantità di testosterone e di estrogeni e con la conseguente crescita di tessuto muscolare, soprattutto nei maschi, e di tessuto adiposo, principalmente nelle femmine. Meno visibili, ma ugualmente importanti, sono i cambiamenti cognitivi dell'adolescenza, determinati dallo sviluppo dell'intelligenza e del pensiero: nel corso di questo periodo, il giovane diventa capace di compiere operazioni mentali di gran lunga più complesse e sottili rispetto al periodo precedente. Per la maggior parte del tempo, la sua personalità mostra delle alterazioni, alcune delle quali sono transitorie, mentre altre rappresentano le prime avvisaglie dei nuovi indirizzi che assumeranno il tono dell'umore, il temperamento e il carattere. Inoltre, con l'adolescenza di solito ha inizio un processo di approfondimento della sensibilità morale: il giovane abbandona le modalità stereotipate e ripetitive, frutto di ciò che gli è stato insegnato, a favore di quella complessità e sottigliezza già menzionate, che caratterizzano il processo cognitivo dell'adolescente in genere. Questo periodo porta con sé anche l'insorgere di nuove patologie: è infatti un'epoca contrassegnata da svariati disturbi, a iniziare da quelli legati all'alimentazione, fino a comportamenti antisociali, a tossicomania, depressione o suicidio, tutti fenomeni rari durante l'infanzia.

Questi e altri sviluppi danno origine a nuove realtà sociali, nuove attitudini dell'ambiente - il vicinato, la scuola e, soprattutto, la famiglia - nei confronti del giovane, e viceversa. Come nei precedenti periodi di rapida transizione - per es. nella primissima infanzia, quando il bambino comincia a muovere i primi passi - ha inizio un difficile negoziato tra figlio e genitori in tema di libertà, autorità e diritti riguardanti l'attribuzione di permessi, l'autorizzazione a intraprendere attività ecc. Analoghi negoziati si riscontrano altrove, per es., in ambito scolastico, dove le aspettative aumentano man mano che al ragazzo, con il crescere dell'età, viene concessa maggiore autonomia; su di lui gravano carichi di lavoro più pesanti, proporzionalmente allo sviluppo delle sue capacità intellettuali, e inizia la preparazione per l'istruzione postscolastica o per il mondo del lavoro.

Anche la natura dell'amicizia subisce dei mutamenti. Alcuni giovani sviluppano rapporti di profonda intimità con uno o due amici, mentre altri sono attratti all'interno di gruppi, combriccole o bande che, in assenza di una famiglia forte, possono influenzare fortemente il comportamento e la morale del giovane. Infine, l'adolescente comincia a porsi in modo diverso nei confronti della comunità 'allargata' e delle sue ideologie: la società e la politica, prima di esclusiva competenza degli adulti, ora sono per lui mondi meno distanti, verso i quali si cominciano a configurare ed esprimere opinioni e attitudini personali. Il termine 'adolescenza' copre un periodo di tempo piuttosto lungo, all'interno del quale si evidenziano fasi con sostanziali differenze di diversa natura, come quelle che si notano, per es., tra un ragazzo pubere intorno ai dodici anni e un diciottenne maturo, fisicamente e psicologicamente. Con l'approfondirsi delle conoscenze scientifiche su questo stadio della vita, si è suddivisa l'adolescenza in un periodo iniziale tra i dodici e i quattordici anni, uno intermedio tra i quattordici e i sedici anni e uno tardo tra i sedici e i diciotto anni; tali periodi sono trattati in maniera differente anche dal punto di vista dell'interesse scientifico. Alcuni studiosi sono, comunque, giunti alla conclusione che i limiti di età tradizionalmente assunti per definire il periodo, tra i dodici e i diciotto anni, debbano essere riconsiderati, a seguito dei mutamenti sociali dell'epoca moderna che hanno dilatato l'adolescenza, particolarmente nel periodo terminale: con il prolungamento dell'istruzione postscolastica, parte dei giovani rimane economicamente dipendente ancora più a lungo, posponendo il momento in cui può cominciare a sperimentare l'autonomia della vita adulta.

Un elemento da tenere presente riguarda l'importanza delle differenze sessuali nel periodo adolescenziale, aspetto, questo, che la psicologia accademica ha tardato a riconoscere. Sino a circa un ventennio fa, il termine 'adolescente', così come lo si incontrava nei testi specialistici e nei lavori di ricerca, si riferiva, spesso inconsapevolmente, ai maschi e ai maschi soltanto. Poi, nel corso del tempo, è diventato sempre più evidente che le osservazioni o le ricerche effettuate sui soli maschi avevano scarso valore se trasferite alle femmine. In realtà, agli studiosi è infine apparso chiaro ciò che alla gente comune era noto da tempo, ossia che tra i due sessi esistono diversità in tutti gli stadi della vita, ma in particolar modo durante l'adolescenza. Le differenze sono riscontrabili nei ritmi della maturazione biologica, nelle modalità di vivere l'amicizia, nei tipi di patologie e in molti altri aspetti ancora. Sia i ragazzi sia le ragazze sono tesi a consolidare la propria identità di genere, a essere cioè proprio 'maschi' o proprio 'femmine', tanto che spesso si riscontra una rigida intolleranza nei confronti di chi non sia spiccatamente 'maschile' o 'femminile'. Anche per questo aspetto, il termine adolescenza è generico e abbraccia varianti estremamente significative. Oltre alle variabili dovute al genere e all'età, ne esistono numerosissime altre, in particolar modo quelle relative alla struttura sociale: la classe, l'etnia, la nazionalità, la religione. È abbastanza evidente che la vita condotta, per es., da un ragazzo cinese di quindici anni che lavora in una piccola fattoria è totalmente diversa da quella di un ragazzo della stessa età in cerca di lavoro in un centro urbano del Marocco, o da quella di un rampollo di una famiglia dell'alta borghesia parigina. Meno evidente è invece il fatto che due ragazzi della stessa età, che vivono porta a porta in un quartiere suburbano e frequentano la stessa scuola, possano vivere in maniera molto differente se, per es., uno dei due ha nei confronti della religione un atteggiamento laico di indifferenza o aggressività, mentre l'altro è osservante. Con ogni probabilità, essi avranno opinioni differenti, e conseguentemente agiranno in modo diverso in materia di sesso, aborto, droga, matrimonio, vita familiare, divorzio, e così via. Per parlare complessivamente di adolescenza è necessario accantonare una gran parte di ciò che rende l'adolescente identificabile all'esterno ‒ stile di vita, atteggiamenti, fogge, gergo e molti altri elementi ancora ‒ per chiedersi se esista, oltre agli aspetti biologici, qualcosa di intrinseco che identifichi il periodo. In mancanza di una risposta univoca al quesito, ci si limiterà a descrivere, senza pretese di universalità, l'adolescente di cui abbiamo conoscenza, cioè il giovane inserito nel nostro tempo e nella cultura occidentale.

2.

La famiglia

È importante ricordare che la famiglia dell'adolescente di solito è la continuazione della famiglia del periodo precedente: l'atmosfera che vi regna e il modo di porsi dei genitori restano immutati nella loro essenza. Un giovane disadattato ha quasi sempre alle spalle una famiglia che per anni lo ha trascurato o che è stata tormentata dai conflitti. Quando si va a cercare nel passato di un adolescente con comportamenti antisociali o, per altro verso, delinquenziali, di solito si scopre che tali modalità comportamentali, già rilevate dagli insegnanti della scuola elementare, sono da porre in relazione alla struttura e allo stile della famiglia di appartenenza. Benché esistano numerose varianti nella struttura familiare, la diversità più significativa è tra famiglia con due o con un solo genitore. Nella famiglia con un solo genitore, che quasi sempre è la madre, il figlio corre maggiori rischi di disadattamento, in parte per la maggiore povertà che si riscontra in questi nuclei, e in parte perché le circostanze che hanno determinato la condizione di genitore unico il più delle volte sono legate a eventi stressanti, quali nascita illegittima, divorzio, morte. Inoltre, la situazione è intrinsecamente più difficile per la madre e per il figlio, soprattutto se maschio: in questo caso, infatti, il ragazzo tenderà ad accentuare la propria mascolinità al fine di scongiurare il pericolo di un sia pur minimo segno di effeminatezza.

Numerosi studi condotti nel corso di svariati anni hanno confermato la validità dello schema elaborato da D. Baumrind, secondo cui esistono quattro fondamentali stili familiari, che riflettono l'atteggiamento adottato dai genitori nei confronti dei figli: autorevole, autoritario, indulgente, indifferente. I genitori 'autorevoli' dimostrano molto affetto verso i figli, li gratificano con premi e riconoscimenti quando si comportano bene e ottengono buoni risultati, stabiliscono limiti ben definiti su ciò che è inaccettabile. I genitori 'autoritari' temono a tal punto l'ostinazione del bambino che il loro principale sforzo educativo è volto a tenere a freno le disubbidienze e i comportamenti devianti del figlio; le manifestazioni di affetto sono assenti o molto limitate. I genitori 'indulgenti' sono affettuosi nei confronti del figlio, ma incapaci di imporre limiti o disciplina al suo comportamento. I genitori 'indifferenti' mostrano scarso interesse o affetto per il figlio; la disciplina è assente o marcatamente incoerente. Le differenze tra ragazzi cresciuti in questi distinti regimi familiari si manifestano nelle modalità di adattamento adolescenziale. Quelli che hanno genitori autorevoli sono responsabili, capaci, sicuri di sé, riescono in ciò che fanno, hanno considerazione per gli altri. I ragazzi cresciuti in famiglie autoritarie sono insicuri e tendono a essere dipendenti e passivi. I figli di genitori indulgenti hanno la tendenza a diventare a loro volta indulgenti con sé stessi e sono privi di iniziativa e di costanza. Gli adolescenti più disturbati sono quelli che provengono da famiglie indifferenti: sono aggressivi, hanno scarso autocontrollo o poca considerazione per gli altri. Il problema diventa macroscopico nelle famiglie con un solo genitore, dove è più facile che il figlio sia trascurato.

È ampiamente diffusa la credenza che l'adolescenza sia il periodo in cui il giovane, dopo aver tagliato i legami con la famiglia e prima di stabilire un rapporto affettivo a due, subisca l'influsso del gruppo dei coetanei. Il gruppo si sostituirebbe alla famiglia come centro della vita emotivo-affettiva del ragazzo, il quale stringerebbe legami di amicizia con i suoi coetanei e adotterebbe i valori loro o della loro generazione. Tutto questo è vero solo in parte. Gli adolescenti, anziché con i membri della propria famiglia, trascorrono realmente la maggior parte del loro tempo con i loro coetanei, la cui influenza è, però, meno determinante di quanto comunemente si immagini, soprattutto tra i giovani ben adattati. Quelli che sono totalmente coinvolti dai rapporti con gli amici, mostrando indifferenza nei confronti della famiglia, come se volessero sfuggirla, sono spesso gli stessi che se ne sono da lungo tempo estraniati; spesso frequentano la scuola con scarso profitto e in taluni casi sono dediti alla droga, al bere e ad attività delinquenziali. C'è una tendenza a considerare il triangolo relazionale tra genitori, amici e figlio in maniera eccessivamente semplificata, con i genitori e gli amici che si contendono la lealtà del giovane, mentre nella maggior parte dei casi i valori familiari hanno già fatto presa, sono stati interiorizzati, e sono effettuali anche in assenza dei genitori. Peraltro, il figlio è tutt'altro che un 'contenitore vuoto', pronto a essere 'riempito' passivamente; al contrario, esso è agente attivo che compie le proprie scelte selezionando il gruppo di amici in buona misura autonomamente. Con ciò, invece di negare l'importanza cruciale degli amici nello sviluppo dell'adolescente, si vuole sottolineare che la funzione del gruppo è quella di aiutarlo a coltivare consuetudini di intimità e di cameratismo piuttosto che di sostenere il giovane nei suoi atteggiamenti di opposizione. I rapporti di amicizia intima si intensificano notevolmente nella prima adolescenza, specialmente tra le ragazze. Uno dei motivi di ciò è che in questa età è stato raggiunto uno sviluppo cognitivo tale da consentire una maggiore empatia: i giovani sono in grado di entrare nel ruolo dell'altro e hanno quelle capacità di tatto, intuizione e sensibilità necessarie a mantenere salda un'amicizia. Più dell'80% degli adolescenti riferisce di avere un amico del cuore, e nella maggior parte dei casi il rapporto è stabile e dura per oltre un anno. Il telefono è un elemento vitale nelle amicizie dei nostri tempi: le ragazze trascorrono al telefono più di un'ora al giorno, mentre i ragazzi circa mezz'ora; quasi l'80% delle ragazze e la metà dei ragazzi telefonano quotidianamente ai propri amici. Le ragazze sono più evolute per quanto riguarda la qualità del rapporto e discutono di problemi personali molto più frequentemente di quanto facciano i ragazzi: il 64% contro il 39%. Piccoli gruppi intimi, per la maggior parte esclusivi, iniziano a formarsi nei primi anni dell'adolescenza, e la loro importanza aumenta nel periodo della scuola superiore, per poi diminuire negli ultimi anni, quando i giovani generalmente cominciano a essere coinvolti in rapporti amorosi. Nella prima adolescenza e nel periodo intermedio, questi gruppi sono costituiti da giovani dello stesso sesso e tendono a escludere, talvolta anche crudelmente, chi appartiene a classi, religioni o etnie differenti, ma anche chi è vissuto come diverso in base a criteri sociali di popolarità, di abilità negli sport, o persino di interessi scolastici.

3.

Le modificazioni biologiche

Le modificazioni organiche che hanno luogo durante l'adolescenza sono di fondamentale importanza. Pubertà vuol dire mestruazioni, fertilità, impulsi ed eccitazione sessuali, rapido aumento di statura e peso, che costituiscono i principali cambiamenti associati all'adolescenza e al passaggio all'età adulta. Anche un fenomeno tanto semplice quale l'aumento della statura può produrre complicazioni di natura psicologica, complicazioni connesse ai desideri e alle paure del bambino: uno può gloriarsi della propria altezza, mentre un altro può sentirsi imbarazzato. Nei maschi, l'improvviso accrescimento muscolare favorisce lo sviluppo dell'autostima, mentre nelle ragazze l'aumento della massa adiposa, specie oggigiorno, può dare origine a un acuto senso di imbarazzo, persino a un'avversione per il proprio corpo, e produrre danni al senso di autostima. Le mestruazioni hanno implicazioni emotive ancora più problematiche. Per alcune ragazze, persino gli inconvenienti connessi a questa ricorrenza passano in second'ordine a fronte della certificazione di femminilità che il menarca porta con sé; per altre, questo evento si traduce in vergogna, terrore, disgusto. In complesso, le reazioni di una ragazza alle mestruazioni sono influenzate dall'atteggiamento della madre e, al di là di questo, dalle aspettative dell'ambiente immediatamente circostante. Le implicazioni psicologiche che si accompagnano ai cambiamenti biologici sono in genere di gran lunga più importanti delle stesse modificazioni puberali indotte dalla produzione degli ormoni della crescita, essenzialmente il testosterone nei maschi e gli estrogeni nelle femmine, benché sia l'uno sia gli altri siano riscontrabili in ambedue i sessi. Il testosterone induce lo sviluppo del tessuto muscolare e dei peli, e si pensa anche che faccia aumentare l'aggressività. Gli estrogeni inducono lo sviluppo delle mammelle e del tessuto adiposo attorno al bacino e sull'addome.

Dal punto di vista dell'adattamento psicologico, ciò che sembra rivestire la massima importanza ai fini degli adolescenti è se il proprio sviluppo puberale è precoce o tardivo rispetto a quello dei loro coetanei. Un ragazzo che matura fisicamente prima degli altri acquista un vantaggio, in quanto un precoce aumento della statura e della muscolatura alimenta la fiducia in sé stesso e il senso di autostima: con un'altezza e una forza superiori a quelle dei compagni, una maggiore abilità nelle attività sportive, il giovane ha maggiori probabilità di conquistare stima ed essere considerato un leader del suo gruppo. Viceversa, un ragazzo che ha uno sviluppo ritardato resta indietro rispetto agli altri nelle prestazioni sportive, spesso è considerato debole o per altri versi inadeguato, e può diventare impacciato e perdere stima tra i compagni.

Nelle ragazze il fenomeno assume forme alquanto diverse, benché ci sia una certa variabilità dipendente dalle culture locali. Una maturazione fisica precoce si accompagna a uno sviluppo di 'forme femminili', vale a dire fianchi più larghi, petto e adipe distribuito in varie parti del corpo. Data l'enfasi sulla magrezza che si riscontra in tutta la cultura occidentale, questi cambiamenti spesso inducono la ragazza a sentirsi grassa e brutta, motivo che costituisce una tra le cause dello scarso senso di autostima che si rileva con tanta frequenza nelle adolescenti. Ci si può domandare se questi effetti permangono nel tempo: se, cioè, i ragazzi che si sviluppano prima mantengano la stessa fiducia in sé stessi e le ragazze fisicamente precoci continuino a considerarsi brutte. Sino a tempi recenti, la risposta era affermativa, poiché sembrava che ci fossero validi riscontri empirici sull'esistenza, in ambedue i sessi, di effetti a lungo termine dovuti a una maturazione fisica precoce o tardiva. Ricerche più recenti suggeriscono conclusioni diverse. Nella maggior parte dei casi, tanto i vantaggi che gli svantaggi possono scomparire nel corso del tempo e, comunque, si creano delle compensazioni: per es., i ragazzi che si sviluppano più tardi hanno tendenzialmente una mente più agile rispetto ai loro coetanei. Man mano che si accumulano i dati forniti dalla ricerca, emerge la reale complessità della vita e ci si rende conto che una pubertà precoce o tardiva, penosa o incoraggiante che sia al momento, ha un influsso di secondaria importanza sulla felicità o sullo stile di vita degli anni successivi.

4.

Pensiero e conoscenza

Nel corso dell'adolescenza si sviluppa un'evoluzione di quasi tutti i processi cognitivi. La realtà è percepita e compresa in modo differente nei suoi diversi ambiti: il rapporto con il proprio Io, gli altri, le leggi di natura, le norme che governano la società, la morale e la giustizia. Se, per ipotesi, si domanda a un bambino di undici anni quale sia la funzione delle leggi, ci si può sentire rispondere che esse servono a impedire alla gente di rubare; se gli si chiede di parlare del governo, è possibile che parli del primo ministro o del sindaco, che egli vede come persone che fanno dei discorsi e fissano delle regole. Se però si fanno le medesime domande a un giovane di sedici anni, si ottengono risposte che sono palesemente di tipo adulto: per es., egli dirà che lo scopo delle leggi è quello di portare ordine nella società e, in merito al governo, egli parlerà delle istituzioni e delle loro funzioni. Le differenze che emergono tra un'età e l'altra derivano, più che dalla quantità di nozioni acquisite, dalla qualità del pensiero che conferisce significato alle nozioni stesse. Un bambino di undici anni può imparare a memoria i nomi dei re e le date dei loro regni, e tuttavia ignorare cosa sia la monarchia. Gli esempi riportati illuminano sul più importante cambiamento che subisce il pensiero durante l'adolescenza: la maturazione dal pensiero concreto a quello astratto. Nella preadolescenza e ancora nei primi anni dell'adolescenza, il giovane ha difficoltà a comprendere termini e concetti astratti quali 'società', 'comunità', 'giustizia', 'libertà', 'ordinamento politico' ecc. Anche il termine 'istruzione' è inteso in senso concreto - insegnanti e classi - con una scarsa comprensione del processo formativo. Analogamente, 'giustizia' significa polizia, giudici e prigione.

L'incapacità di cogliere l'astratto e di elaborare astrazioni limita un'autentica comprensione dell'andamento delle vicende umane; il giovane fa fatica a comprendere le reciproche obbligazioni che legano l'individuo e il sistema sociale e i principi giuridici e morali su cui si fondano. Nel pensiero preadolescenziale, un'altra limitazione riguarda il concetto di tempo: la difficoltà, di cui parla il grande psicologo dell'età evolutiva J. Piaget, di cogliere sino in fondo i nessi che collegano passato, presente e futuro. A volte le cronologie della storia sono poco chiare e, inoltre, il giovane fatica a comprendere gli aspetti di continuità e le concatenazioni tra vari eventi storici sino al presente. Analogamente, il giovane che guarda al futuro trova difficoltà a ipotizzare eventi oltre la quotidianità, né è capace di immaginare più alternative. Nell'adolescenza il giovane acquisisce la capacità di guardare al di là di ciò che è noto, immediato, tangibile. In altre parole, le modalità di pensiero condizionali e ipotetiche emergono durante il periodo intermedio dell'adolescenza, e solo allora il ragazzo acquista la capacità di operare consapevolmente nell'ambito delle possibilità. Il pensiero scientifico è capacità di esaminare mentalmente un certo numero di ipotesi al fine di sceglierne una che, qualora esistente, fornisca la soluzione più efficace. Le nostre conoscenze teoriche sul funzionamento della mente rispetto ai problemi di natura intellettuale hanno raggiunto un buon livello di approfondimento, ma l'uso delle facoltà cognitive superiori si esercita nella vita reale, specialmente nel modo in cui i giovani imparano a interagire tra loro e a comprendere bisogni, richieste, forze e debolezze reciproche. Se si domanda a una bambina di undici anni per quali motivi le piaccia la sua migliore amica, ci si può sentire rispondere "perché è simpatica" oppure "perché a entrambe piace pattinare". A sedici anni, molto verosimilmente, la risposta consisterà invece in una sagace analisi comparativa dei gusti e dei punti deboli personali e dell'amica; oppure in una discussione sulle loro vite, comuni e distinte, o nel fantasticare sul futuro; o ancora, in una sorta di esame dei livelli di personalità, di come una caratteristica evidente ne nasconda un'altra più profonda ecc. È possibile notare che, nello sforzo di comprendere l'amica, la ragazza ne intuisca i processi mentali; esempio questo di acquisizione intellettiva proprio dell'età, di capacità di relativizzare, frutto di distacco dal proprio pensiero e da quello altrui.

5.

Le dinamiche della personalità nell'adolescente

La più autorevole teoria della personalità dell'adolescente è stata formulata dalla psicoanalisi. Oggi la teoria si è notevolmente modificata rispetto a quella originale, in relazione a svariati aspetti, essendosi spogliata della primitiva enfasi sugli stadi psicosessuali per attribuire maggiore attenzione a quelle che sono note come le 'relazioni oggettuali', ossia le forme di attaccamento agli altri, e alla teoria del Sé. I principi di base, tuttavia, sono rimasti immodificati: si tratta di una teoria motivazionale che pone in evidenza gli impulsi dell'inconscio, un sistema di difese dell'Io e un forte sistema morale che agisce interiormente e dalla cui interazione prendono forma il comportamento e il carattere. È una teoria secondo cui il passato continua a esistere nel corso di tutta la vita successiva attraverso una serie di meccanismi quali il ripetersi di eventi traumatici o penosi, oppure l'identificazione con le figure significative dell'infanzia, o, ancora, la tendenza a rifugiarvisi per fare fronte alle difficoltà e alle sofferenze del presente. Da questo punto di vista, molti degli eventi dell'adolescenza implicano un meccanismo di ritorno, di ripetizione o di continuazione del passato. Gli accadimenti biologici della pubertà mandano in frantumi l'equilibrio psicologico del periodo di latenza compreso tra i sei e gli undici-dodici anni, per cui il bambino è ancora una volta forzato ad affrontare vecchi cimenti, a riprendere lotte già combattute e a combatterle di nuovo. L'insorgere degli impulsi sessuali è di fatto la riemersione, che evoca memorie inconsce, di desideri incestuosi e di ritorsioni in rapporto al complesso edipico. La conflittualità che investe la conquista dell'autonomia può essere una ripetizione del desiderio di autonomia del bambino che muove i primi passi e della concomitante paura di perdere l'affetto dei genitori con un atteggiamento di aperta ribellione.

In generale, la ricomparsa degli impulsi sessuali induce un rafforzamento delle difese, e alcuni giovani sviluppano una tale ostilità nei confronti di quegli impulsi da trasformarsi in asceti, un fenomeno che si verifica talvolta nelle ragazze anoressiche. In un ragazzo, la paura della passività può innescare un meccanismo di negazione e di proiezione, con la conseguente tendenza a simpatizzare per sistemi di governo di tipo paranoide. Problemi di disistima molto radicati possono indurre l'adolescente a cercare consolazione nella droga o nell'alcolismo. In genere, la maggior parte dei giovani supera con successo i pericoli regressivi insiti nell'adolescenza, ma quelli che falliscono sono stati bambini a rischio sin dai primi anni di vita. Ci si può domandare se gli eventi dell'adolescenza, sia interiori sia esteriori, si determinino in conformità alla personalità del giovane oppure se, al contrario, siano essi a indirizzare la personalità verso nuovi e diversi sentieri. È impossibile dare risposte certe a questa domanda. Tuttavia, quanto più si apprende attraverso studi longitudinali, tanto più la personalità sembra mostrare una sorprendente continuità nel corso di lunghi periodi di tempo. Alcuni dei tratti che contribuiscono a configurare la personalità - per es. l'intelligenza - permangono straordinariamente costanti nel tempo, e analoghi risultati danno le valutazioni sul temperamento. Le ricerche di genetica del comportamento sottolineano l'importanza delle predisposizioni innate, intese sia come aspetti di forza sia come vulnerabilità: per es., i tratti ossessivi, la tendenza alla depressione ecc. L'ultimo decennio di ricerche in psicologia ha visto un declino della teoria ambientalista, con una parallela, crescente affermazione della teoria della continuità della personalità, sia essa il risultato di esperienze precoci, oppure di predisposizioni su base biologica, o di entrambe. Ciò nondimeno, la questione rimane aperta. Ci si può avvicinare a una risposta se si prende in considerazione il processo evolutivo della strutturazione del Sé nel corso dell'adolescenza. In questo settore la figura più autorevole è quella di E.H. Erikson, il quale ha introdotto negli anni Cinquanta il concetto di 'identità', mettendo in evidenza come il compito fondamentale dell'adolescenza sia quello di condurre ad acquisire un coerente senso del Sé. L'identità, che si costruisce attraverso un processo di integrazione di tendenze e caratteristiche psicologiche in risposta a richieste sociali e culturali di varia natura, è una sintesi dei talenti del giovane, dei suoi interessi, capacità, predisposizioni istintuali, difese, identificazioni ecc.: una sintesi interconnessa con gli ideali, le aspettative e le proibizioni dell'ambiente familiare e culturale. La ricerca dell'identità implica un continuo adattamento delle proprie esigenze e aspettative a ciò che l'ambiente permette, vieta e incoraggia più o meno esplicitamente. Da questo punto di vista, trovare la propria identità è come un rito di passaggio dilatato nel tempo, un periodo, definito di transizione, in cui si devono saggiare tutte le possibili alternative. Alcuni giovani trovano troppo rapidamente un assestamento precludendosi ulteriori possibilità; in altri casi succede l'opposto: il giovane è incapace di decidere chi e che cosa diventerà, poiché i possibili ruoli che ha a disposizione sono lontani da un qualche suo sentire interiore, e così il normale periodo di sperimentazione si prolunga indefinitamente e il giovane rimane incerto, immaturo, dispersivo. A volte la moratoria si prolunga oltre la tarda adolescenza protraendosi sino ai primi anni della vita adulta.

La comparsa della sessualità nelle sue forme mature è uno degli eventi adolescenziali complessivamente più evidenti. Proprio per questo si potrebbe essere indotti a trascurare ciò che è più importante, ossia la straordinaria variabilità con cui si manifesta il comportamento sessuale, e che è legata, per limitarsi alle variabili di maggior rilievo, al grado di maturità, alla religione, alla classe sociale e al genere. In ogni sistema sociale si cercano dei modi per incanalare gli impulsi sessuali, per condizionare l'adolescente a preferire certe forme di erotismo ed evitarne altre. Tutti i sistemi hanno in comune obiettivi che sono quelli di proteggere le ragazze da gravidanze premature o fuori dal matrimonio e di permettere comunque la manifestazione della sessualità, specialmente da parte dei maschi, durante quel periodo, sempre più prolungato, che precede l'autonomia economica. Sono così tollerati, se non addirittura incoraggiati, modi alternativi, come la masturbazione, il gioco erotico al di fuori della copula, alcune attività omosessuali, il ricorso alla prostituzione e, dalla seconda metà del Novecento, l'ampio uso di sistemi anticoncezionali, coadiuvati, quando necessario, dall'aborto. Da quando le pratiche contraccettive e abortive sono state legalizzate, i giovani celibi hanno potuto sperimentare ed esercitare la sessualità con una libertà di gran lunga superiore rispetto al passato, pur pagando per questo dei costi (v. sessualità).

Un disturbo sempre più frequente, in adolescenza, è quello relativo all'alimentazione. Un quarto di secolo fa molti dei disturbi nell'alimentazione, che caratterizzano le società industrializzate contemporanee, erano praticamente sconosciuti. L'anoressia (v.) era una condizione in cui ci si imbatteva raramente nella pratica professionale o in testi specialistici sulle anomalie comportamentali; era stata riscontrata in epoche passate - per es. nel Medioevo, in giovani donne che si privavano del cibo come pratica devozionale, e ancora, per un breve periodo, in epoca vittoriana - ma non sembrava aver mai interessato contemporaneamente un consistente numero di persone. Nessuno è in grado di stabilire quando sia cominciata l'attuale diffusione della malattia, forse intorno agli inizi degli anni Settanta; essa ha comunque richiamato l'attenzione generale solo più tardi, quando l'estrema magrezza delle donne cominciò a essere molto diffusa, e divenne evidente che, in alcune giovani, il fenomeno stava assumendo aspetti pericolosi. Successivamente, i clinici rilevarono un altro disturbo relativo alla dieta, la bulimia (v.), con associato uso di purganti al fine di perdere il peso in eccesso. Ben presto la letteratura specialistica cominciò a registrare il diffondersi di questa ferma determinazione a raggiungere limiti estremi di magrezza in molti paesi industrializzati. L'anoressia e la bulimia hanno in comune alcuni aspetti - essenzialmente l'intenso desiderio di perdere peso - ma differiscono profondamente per la maggior parte delle caratteristiche. L'anoressia è un disturbo in cui ci si priva volontariamente del cibo, sino ai limiti della sopravvivenza, al fine di diventare magri. A esserne affette sono quasi esclusivamente le ragazze che cominciano a ritenersi grasse e stabiliscono di perdere una certa quantità di peso, ma, una volta raggiunto l'obiettivo prefisso, decidono di dimagrire ancora, dando così inizio a un processo che può andare avanti fino a condurle alle soglie della morte: affinché sopravvivano sono talvolta necessari il ricovero e l'alimentazione forzata. La bulimia, invece, è un disturbo che si presenta con aspetti più diversificati. Talvolta comporta periodi di avide e incontrollate ingestioni di cibo, seguiti poi da vomito, mentre in altri casi gli eccessi alimentari diventano secondari rispetto a un bisogno compulsivo, in realtà assimilabile a una tossicodipendenza, di prendere dei purganti, fino a tre-cinque volte al giorno. Il peso dei bulimici è uguale o superiore a quello medio. Le tipologie dell'anoressico 'puro' e del bulimico 'puro' (esistono, infatti, diverse varianti 'miste') sono piuttosto differenti nei tratti di personalità.

Le anoressiche tendono a essere ascetiche e a evitare alcol, droghe e sesso; sono solitarie, molto legate ai genitori e con una vita sociale ridotta: sono le cosiddette 'figlie perfette'. I bulimici, invece, sono socialmente aperti: escono con gli amici, fanno uso di alcol e di droghe, praticano il sesso. Mentre le anoressiche tendono a negare i propri problemi e a opporre resistenza al trattamento, i bulimici sono consapevoli dei propri disturbi e ricercano la terapia; inoltre, le prime sono costrette entro le maglie di una famiglia che esercita un forte controllo, mentre gli altri lo sono in misura inferiore. Vi sono validi motivi per considerare la bulimia come una variante della sindrome depressiva, dato che dalla storia familiare dei giovani affetti si rileva che nei parenti vi è un'incidenza di depressione e di alcolismo superiore alla media. Le personalità delle ragazze bulimiche e di quelle anoressiche differiscono tra loro per molti altri aspetti. Il dato che le accomuna, cioè il fanatico desiderio di essere magre o, quanto meno, di perdere peso, è stato messo in relazione con il diffondersi della convinzione che la magrezza, insieme all'esercizio fisico, significhi buona salute. Resta però da spiegare perché l'anoressia si manifesti quasi sempre nelle donne e così di rado negli uomini, sia nell'epoca attuale sia nei secoli passati, quando dominavano altri sistemi di valori.

Un tempo si pensava che la depressione si manifestasse solo di rado nel corso dell'adolescenza. Certo, si poteva dire che i giovani talvolta erano soggetti a malumore o a crisi di stizza, oppure che erano chiusi in sé stessi o torvi, magari lugubri. Ma questi fenomeni erano interpretati come stati d'animo transitori, espressioni delle 'normali' turbe adolescenziali. Con il tempo, questi assunti hanno ceduto il passo al riconoscimento che tali sintomi di tipo depressivo sono in realtà manifestazione di un'autentica depressione, della stessa natura di quella riscontrabile nell'età adulta (v. depressione). Da allora si è avuto un proliferare di ricerche empiriche e di indagini cliniche sistematiche che hanno modificato la nostra visione, tanto dell'adolescenza, quanto della depressione. Salvo che nelle forme di particolare gravità, le depressioni possono essere difficili da diagnosticare, poiché i sintomi hanno una vasta gamma di manifestazioni e sono di intensità variabile. Vi sono depressioni lievi, caratterizzate da pessimismo, scarsa autostima e un generico senso di scoraggiamento. All'altro estremo si possono incontrare caratteristiche quali un profondo disgusto verso sé stessi, oppure la convinzione di essere malvagi e di meritare di essere puniti; o, ancora, un totale senso di disperazione, così profondo da rendere la persona incapace di far fronte alla routine quotidiana. Vi sono anche sintomi di natura neurovegetativa, come i disturbi del sonno, la mancanza di appetito o, al contrario, l'ingordigia, un senso estremo di affaticamento, la perdita di interesse per le attività piacevoli. Le donne sono più vulnerabili degli uomini rispetto alla depressione. Dall'analisi di numerosi lavori scientifici, in diverse nazioni e tra varie generazioni, si rileva che nei depressi il rapporto è di circa due donne a un uomo, un rapporto che riguarda anche gli adolescenti.

Durante l'adolescenza vi è un forte aumento degli stati di umore depressivo: all'incirca tra i tredici e i quindici anni vi è un incremento molto pronunciato, che raggiunge il suo picco intorno ai diciassette, diciotto anni, per poi scendere ai livelli dell'età adulta. Il picco assume valori più alti nelle ragazze che nei ragazzi. I giovani che soffrono di depressione durante l'adolescenza hanno probabilità molto maggiori degli altri di essere soggetti a episodi depressivi in epoche successive della vita, a meno che non si sottopongano a qualche trattamento. L'attenta raccolta di dati nel corso del tempo ha prodotto un risultato importante quanto inatteso: dalla fine della Seconda guerra mondiale l'incidenza della depressione tra i giovani è progressivamente aumentata. Il maggior numero di informazioni sull'argomento ha comunque aumentato la difficoltà di capirlo, rendendo evidenti sia la complessità della sindrome in sé, sia l'ancora maggiore complessità delle spiegazioni necessarie a comprenderla appieno. È chiaro che esiste una predisposizione genetica: la depressione, infatti, tende a essere ricorrente all'interno delle famiglie, e nei gemelli monozigotici vi è un tasso di concordanza notevolmente più alto che nei gemelli dizigotici. Inoltre, il fatto che le varie forme di depressione rispondano così bene ai trattamenti farmacologici è un altro forte indice di implicazioni biologiche, pur senza rappresentare la prova decisiva. Eppure, si è generalmente d'accordo nel riconoscere un ruolo importante agli stress psicologici relativamente all'insorgenza della depressione: un'atmosfera familiare caratterizzata da freddezza e criticismo o da irritabilità, oppure una madre depressa, cupa, o anche altre circostanze di questo tipo, produrranno un giovane suscettibile alla depressione. Data questa tendenza, gli stress dell'adolescenza sono tali da rendere probabile l'insorgere di stati depressivi. Vi è un momento in cui il narcisismo del giovane è costantemente messo alla prova: egli può essere trascurato come partner di una relazione affettiva, può essere bocciato a un esame di ammissione, può essere escluso da quello che per lui è il gruppo più ambito e così via. L'adolescenza è un periodo in cui le due principali fonti di depressione, la perdita di amore e la perdita di autostima, sono possibilità costantemente in atto.

Il suicidio, un tempo poco comune tra i giovani, è ora al secondo posto, preceduto solo dagli incidenti, tra le principali cause di morte degli adolescenti. Difficile dire cosa induca un giovane a una visione della vita così priva di speranza da fargli considerare il suicidio come unica soluzione: forse aspettative eccessive, oppure standard che appaiono irrealistici. Sono maggiori i casi di suicidio tra i ragazzi, mentre le ragazze compiono apparentemente con uguale frequenza tentativi di suicidio, che però in genere falliscono. La differenza si deve, in primo luogo, al fatto che i ragazzi usano strumenti più letali: la stragrande maggioranza fa uso di armi da fuoco, mentre tra le ragazze è più frequente il ricorso all'avvelenamento. In secondo luogo, le ragazze in genere desiderano essere salvate e il loro tentativo è una richiesta di aiuto mentre nei ragazzi, come anche negli uomini adulti, vi è una volontà di uccisione, nel tentativo di distruggere qualcos'altro entro di sé, oltre sé stessi: i ragazzi evitano di chiedere aiuto, anche dopo aver attuato un tentativo fallito di suicidio. In terzo luogo, le ragazze hanno migliori sistemi sociali di supporto rispetto ai ragazzi, in quanto tendono ad avere più amicizie intime e a scambiare con esse confidenze sulle proprie emozioni, mentre i ragazzi considerano i propri amici come compagni nei divertimenti. Le ragazze parlano di suicidio in risposta a problemi di natura emotiva, mentre i ragazzi lo fanno in risposta a problemi di natura lavorativa. Gli adolescenti che hanno tendenza a compiere un tentativo di suicidio presentano in genere storie familiari simili. Essi spesso provengono da nuclei dissolti, o comunque, anche quando il nucleo è integro, l'atmosfera è densa di conflittualità oppure il giovane si sente rifiutato da uno o da entrambi i genitori. Talvolta, all'interno di una comunità sembra diffondersi tra i giovani un'ondata di suicidi che si susseguono a catena. Con ogni probabilità, ciò che avviene in questi casi è che il primo suicidio infrange il tabù della comunità relativo a questo atto, facendo sì che altri adolescenti lo prendano in considerazione come possibile soluzione dei propri problemi.

Psicopatologia dell'adolescenza (Red.)

Attraverso le modificazioni biologiche e psicologiche dell'adolescenza, il giovane acquisisce un'identità sessuale stabile e la capacità di indipendenza nei confronti dell'ambiente esterno. Questo percorso è tutt'altro che agevole; l'adolescente deve infatti affrontare una delicata e complessa riorganizzazione strutturale del proprio mondo interno per distaccarsi dalle figure parentali interiorizzate e per acquisire una propria autonomia e una propria capacità critica. In questo processo, oltre a essere impegnato in una rielaborazione psicologica di conflitti e di equilibri costituitisi in età infantile, in una sorta di seconda fase di 'separazione-individuazione' (Blos 1962), l'adolescente affronta problemi e difficoltà specifici della nuova fase evolutiva. Il processo adolescenziale non è lineare, ma procede in un alternarsi di movimenti regressivi e progressivi: un ritorno, come già detto, al passato (in una specie di fusione con gli oggetti originari) e una spinta verso il futuro (differenziazione), verso nuove integrazioni, sostenute anche dai nuovi e più complessi procedimenti cognitivi (v. sopra). Una certa depressione è dunque 'fisiologica' nella fase adolescenziale, soprattutto quando la stabilità e i confini del Sé adolescenziale sono minacciati dal movimento regressivo. Un'altra tendenza tipica del periodo è quella ad agire: si agisce, invece di pensare e ricordare, per scaricare la tensione divenuta incontenibile. Questo può accadere nei momenti di regressione per la paura della passività (e cioè del ritorno alla dipendenza infantile e delle tendenze omosessuali) e di fronte a un corpo non più riconoscibile, che mette in crisi la precedente identità e s'impone nella nuova rappresentazione di corpo sessuato capace di riproduzione. È a questo punto che si manifestano alcune patologie, come, per es., l'anoressia, intesa come rifiuto della genitalità e come profonda regressione della sessualità a stadi evolutivi più primitivi, come quelli orali: l'atto del mangiare, venendo erotizzato, è rifiutato come un istinto colpevole e inaccettabile (Freud 1905).

Per alcuni autori (Laufer-Laufer 1984), i tentativi di suicidio, la depressione grave, l'omosessualità, la caduta improvvisa del rendimento scolastico, la tossicomania si inquadrano nell'ambito di patologie caratteristiche della fase adolescenziale. Per i Laufer, infatti, esiste una psicopatologia dell'adolescenza, che non si riscontra nell'età infantile e in quella adulta, ed essi ne fissano il punto di insorgenza al momento della pubertà (anche se si manifesta alcuni anni più tardi), quando avviene un crollo evolutivo, un breakdown, che impedisce la successiva maturazione psicologica, l'instaurarsi, cioè, di un'identità sessuale definitiva: "[…] gli impedimenti specifici nel processo evolutivo, che possiamo definire patologia adolescenziale, si traducono in una visione distorta del proprio corpo e in un rapporto altrettanto distorto con esso, espresso come odio o vergogna" (Laufer-Laufer 1984, trad. it., p. 41). Più pesante, in questi casi, è l'esperire il distacco dal proprio corpo, vissuto sia come senso di derealizzazione (v. depersonalizzazione), sia come nucleo di successive dissociazioni ideoaffettive; queste possono evolversi a crisi (le 'crisi eboidi' di Claude) o svilupparsi (eboidofrenia) verso la conclamata sindrome ebefrenica (Guiraud 1956) o ebefreno-catatonica. Se la tendenza ad agire, cioè a esteriorizzare il conflitto, caratteristica normale della fase, comporta, in presenza di un Io abbastanza forte, solo una parziale sospensione dell'autosservazione e della valutazione della realtà (Ladame 1981), per cui l'angoscia che la sottende è, in definitiva, transitoria, nelle manifestazioni patologiche, invece, come nei tentativi di suicidio, si ha una vera e propria rottura psicotica con la realtà, in presenza di un Io distrutto e frammentato. Ciò avviene, in momenti particolarmente critici, in personalità in cui il rapporto con la realtà è già debole, confuso, impregnato da una ricca vita fantasmatica sviluppatasi autonomamente senza nessun compromesso e scambio con il mondo esterno (Blos 1962).

Il concetto di breakdown, come nota A. Novelletto (1986, p.101), "è trasversale rispetto alla valutazione psicopatologica, nel senso che esso si può verificare nei vari gradi di gravità, sia in quelle strutture che definiremmo come tendenzialmente nevrotiche, sia in quelle che definiremmo come borderline o psicotiche". Novelletto osserva poi che il concetto di breakdown non esprime una patologia attuale, ma le reazioni di difesa a un problema di sviluppo presentatosi precedentemente; il quadro psicopatologico che si affronta, di conseguenza, è molto complesso e induce a uscire dalle categorizzazioni proprie della psichiatria nosografica per operare una valutazione caso per caso, secondo una prospettiva psicoterapeutica. Ogni caso, ovviamente, va affrontato situandolo nell'ambito del suo ambiente d'origine e della sua specifica 'storia di vita', considerata non tanto alla stregua di un'anamnesi, quanto in chiave di un succedersi di risonanze interiori ai propri eventi.

Bibliografia

J. Adelson, Handbook of adolescent psychology, New York, Wiley, 1980.

P. Blos, On adolescence. A psychoanalytic interpretation, Glencoe (IL), The Free Press, 1962 (trad. it. Milano, Franco Angeli, 19877).

M. Csikzentmihalyi, R. Larson, Being adolescent, New York, Basic Books, 1984.

E. Erikson, Childhood and society, New York, W.W. Norton, 1950 (trad. it. Roma, Armando, 1966).

S. Freud, Drei Abhandlungen zur Sexualtheorie, Leipzig-Wien, Deuticke, 1905 (trad. it. in Opere, 4° vol., Torino, Boringhieri, 1970).

P. Guiraud, Psychiatrie générale, Paris, Le François, 19562.

F. Ladame, Les tentatives de suicide des adolescents, Fribourg, Masson, 1981 (trad. it. Roma, Borla, 1986).

M. Laufer, E. Laufer, Adolescence and developmental breakdown. A psychoanalytic view, New Haven, Yale University Press, 1984 (trad. it. Torino, Boringhieri, 1986).

A. Novelletto, Psichiatria psicoanalitica dell'adolescenza, Roma, Borla, 1986.

J. piaget, B. Inhelder, De la logique de l'enfant à la logique de l'adolescent, 1° vol., Paris, PUF, 1955 (trad. it. Firenze, Giunti-Barbera, 1971).

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