PICRICO, ACIDO

Enciclopedia Italiana (1935)

PICRICO, ACIDO

Franco GROTTANELLI
Leonardo MANFREDI

. Così viene chiamato comunemente il trinitrofenolo [C6H2(OH) (NO2)3]. Questa sostanza pare fosse conosciuta fino dal sec. XV quando un alchimista avrebbe ottenuto una sostanza deflagrante per azione dell'acqua regia sopra sostanze organiche. L'importanza del composto ben definito e usato come esplosivo derivò però dagli studî di E. Turpin, il quale nel 1885 ottenne la melinite, miscela formata di acido picrico e di cotone collodio. Successivamente si passò all'uso diretto dell'acido picrico fuso, e sotto questa forma ebbe fama e larghissimo impiego soprattutto nella guerra mondiale, periodo durante il quale tutte le nazioni belligeranti aventi disponibilità di derivati del catrame lo impiegarono su larga scala, fino a raggiungere, ognuna, centinaia di tonnellate al giorno di produzione. Esso viene indicato con nomi differenti a seconda degli stati che lo adoperano; in Inghilterra fu impiegato sotto il nome di lyddite (miscela di acido picrico con nitrobenzolo e vaselina), dai Giapponesi viene chiamato shimose e in Italia pertite.

L'acido picrico fu isolato nel 1770 e si preparò in un primo tempo per azione dell'acido nitrico sull'indaco oppure mediante il trattamento della seta con acido nitrico. Poscia, come attualmente, venne preparato esclusivamente partendo dal fenolo. L'acido picrico forma pagliette giallognole, molto amare e leggermente velenose. Il punto di fusione del prodotto puro è di 122,5°; quello commerciale fonde invece a 121-122°. Il peso specifico è di 1,76, ma praticamente, allo stato fuso, è di 1,62. Può bruciare all'aria libera in quantità non troppo grandi, senza esplodere, purché questo non avvenga in recipienti chiusi. Se avviene un forte riscaldamento, se la combustione è fatta sotto pressione o l'acido picrico viene innescato, esso funziona da esplosivo molto potente e con effetti frantumanti superiori a quelli della dinamite.

L'equazione di decomposizione dell'acido picrico quando esplode, dà gas velenosi perché contenenti fino al 60% di ossido di carbonio. È questa una delle ragioni che impedisce d'impiegarlo come esplosivo da mina per tutti i lavori in galleria, a meno di mescolarlo in proporzioni opportune con sostanze ossidanti, in modo da avere una miscela non solo a combustione completa, ma, meglio, in decisa eccedenza di ossigeno. L'acido picrico funziona come acido abbastanza forte. Esso forma quindi sali con la maggior parte dei metalli, alcuni dei quali sono sensibilissimi, come, ad esempio, il picrato di piombo.

Nel caricarlo quindi entro i proietti occorre avere speciali avvertenze, per impedire che esso venga in contatto con la superficie nuda di acciaio, ferro o ghisa del proietto o involucro con cui potrebbe formare sali sensibili all'urto, provocando detonazioni premature al momento del lancio del proietto. Si usa quindi stagnare le pareti dei proietti entro cui si cola l'acido picrico, oppure si verniciano con apposite vernici protettive, oppure si rinchiude la carica di acido picrico in astucci di cartone in modo da impedire assolutamente il contatto di esso con la parete metallica e la formazione di sali. Fra i metalli più attaccabili vi sono il piombo e il ferro, mentre non si formano sali con lo stagno. L'attacco avviene soprattutto in presenza di tracce di umidità. Del pari l'acido picrico contenuto in polveri da caccia o da mina tende a scomporre gli eteri nitrici presenti e quindi altera la stabilità del composto in cui fosse contenuto.

L'acido picrico presenta eccellenti caratteristiche come potenza e come effetto dirompente, stante la sua velocità di detonazione prossima a 7000 m./sec. Anche se puro, ma in forma di cristalli sciolti, è facilmente sensibile all'azione di un urto e quindi in tutte le manipolazioni dell'acido picrico si devono impiegare speciali cautele. Viceversa, se fuso o fortemente compresso, la sua sensibilità diminuisce ed esso non può più detonare che sotto l'innescamento di un detonatore secondario a sua volta innescato con fulminato di mercurio, azoturo di piombo, ecc.

Con l'acido picrico, oltre a cariche interne di proietti o bombe, si sono fabbricate largamente micce detonanti usando per involucro tubi metallici di stagno puro. In quest'ultimo uso però esso è stato progressivamente sostituito dal tritolo e oggi dalla pentrite.

Nella fabbricazione dell'acido picrico si parte dal fenolo (v. fenico, acido), il quale però non viene sottoposto alla nitrazione diretta per azione delle ordinarie miscele solfonitriche, come per altri esplosivi; si nitrano invece solfofenoli ottenuti per azione dell'acido solforico sul fenolo. La ragione di ciò è che la nitrazione diretta darebbe origine a una quantità di derivati isomeri, che altererebbero il rendimento finale in trinitroderivati non solo, ma renderebbero impossibile ottenere un prodotto a tipo costante quale il trinitrofenolo (1−2−4−6) simmetrico. Invece per azione dell'acido solforico si ottiene con facilità il

dai quali si passa, per azione, come dopo si dirà, di acido nitrico, facilmente al prodotto nitrato nei vertici 2-4-6

La solfonazione del fenolo si fa in apparecchi di ghisa con agitazione meccanica, riscaldati generalmente con mantello a vapore. La miscela di solfofenolo ottenuta contiene il 20% di monoparasolfofenolo e 80% di disolfofenolo (2-4). Il prodotto viene inviato, con montaliquidi opportunamente riscaldato, agli apparecchi nitratori. Questi sono costituiti da vasche in ghisa rivestite internamente da mattonelle inattaccabili agli acidi giuntate con mastice a base di silicato di soda e polvere di amianto. Il coperchio, che può essere fatto di una lastra di pietra di Volvic, è munito delle diverse aperture necessarie per il caricamento delle materie in reazione, per l'agitatore meccanico, per l'evacuazione dei fumi acidi e per i termometri. L'operazione s'incomincia caricando il tino nitratore con nitrato di soda e acido nitrico in proporzioni che sono in rapporto alla carica in solfofenolo e acido solforico che viene inviato, dopo l'operazione di solfonazione, nei nitratori. Messa in movimento la massa con l'agitatore, si versa lentamente il miscuglio proveniente dalla solfonazione e si sorveglia la reazione innalzando la temperatura lentamente fino a un massimo di 115°. Finito il periodo di nitrazione, si lascia in riposo la tina di nitrazione, e durante questo tempo si completa la nitrazione del fenolo. Dopo di questo, per introduzione di acqua si diluisce la miscela acida fino a 50° Bé, si sifona il liquido sovrastante e si estrae, da un'apertura praticata nel basso della tina nitrante, l'acido picrico decantato.

Il procedimento sopra descritto, largamente impiegato in Europa durante la guerra mondiale, può anche essere modificato sostituendo al nitrato di soda e all'acido nitrico tutto acido nitrico a 32° Bé nell'operazione di nitrazione.

Negli Stati Uniti invece si adottò un procedimento di nitrazione in due fasi. Nella prima si raggiungeva la mononitrazione del fenolo introducendo nel nitratore prima il solfofenolo, colandovi poscia una miscela di acido solforico e acido nitrico e mantenendo la temperatura a 70°. Il mononitrofenolo veniva poi passato in un altro nitratore e il tutto veniva portato a una temperatura di 110° fino a ottenimento del trinitrofenolo. Questo procedimento dava il massimo rendimento in rapporto al solfofenolo, ma presentava difetti dal punto di vista dell'attacco dei materiali impiegati nella costruzione dei nitratori, inconveniente che la tecnica moderna, con l'uso degli acciai inattaccabili permetterà nel futuro di evitare.

Accanto al trinitrofenolo occorre citare, per l'importanza che assunsero, in tempi bellici, i trinitrocresoli, di cui il trinitrometacresolo venne usato con l'acido picrico per dare una miscela con punto più basso di fusione del picrico puro, e quindi molto più facile a impiegarsi per il caricamento di obici. Sotto questa forma si ottenne la cresilite, miscela a 40% di acido picrico e 60% di trinitrometacresolo. Il trinitrocresolo presenta le qualità generiche dell'acido picrico anche per quanto riguarda la facilità di formare sali.

Tossicologia. - Gli avvelenamenti da acido picrico sono rari. Durante la guerra mondiale se ne osservarono con maggiore frequenza per l'impiego fattone a scopo simulatorio. Ingerito dà una sensazione amara fortissima, seguita a breve distanza da nausea e vomiti. L'urina è colorata in rosso dall'acido picraminico. Frequente l'eruzione orticariacea. Agendo come veleno emolitico, finché l'avvelenamento è modico, si ha la sintomatologia di un ittero emolitico vero che si aggiunge alla colorazione pseudoitterica data dall'acido picrico alle mucose, alla pelle, ai tessuti; quando la dose sia molto elevata, provoca la morte con i noti sintomi dell'asfissia interna, dispnea, midriasi, convulsioni, bradicardia, seguita da tachicardia e collasso circolatorio.

La cura, quando sia eseguito uno svuotamento e un lavaggio gastrico, si limita ai provvedimenti sintomatici.

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