NUCLEICI, ACIDI

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1979)

NUCLEICI, ACIDI

Massimo Libonati

. Gli a. n. si distinguono in due tipi, l'a. deossiribonucleico (DNA) e l'a. ribonucleico (RNA). Entrambi sono molecole di grandi dimensioni preposte a una funzione fra le più importanti in natura: la conservazione e la trasmissione dei caratteri ereditari. Come indica il loro nome, sono polianioni che generalmente nella cellula si trovano associati a composti di natura basica (proteine, oligoammine, cationi; v. nucleoproteidi, App. III, 11, p. 285). Mentre il DNA è sempre il depositario dell'informazione genetica, l'RNA assolve abitualmente alla funzione di vettore di essa. Da alcuni anni, tuttavia, è stato messo in evidenza che numerosi virus, degli animali, delle piante, dei batteri (batteriofagi), hanno RNA quale genoma. In tal caso l'RNA funge a un tempo da depositario e da trasmettitore dell'informazione genetica.

Struttura e sintesi degli acidi nucleici.

Acido deossiribonucleico (DNA). - Nelle cellule eucariotiche il DNA ha sede nucleare. Esso, tuttavia, è anche presente nei cloroplasti, nei mitocondri, ecc. Nelle cellule procariotiche il DNA è in forma di aggregati in connessione con la membrana cellulare. Nei virus a DNA, infine, esso occupa la posizione centrale della struttura sferica o poliedrica di natura essenzialmente proteica o lipoproteica. I nuclei delle cellule animali contengono 4-8 picogrammi di DNA. I batteri ne contengono 1000 volte di meno, i virus a DNA da 10.000 a un milione di volte di meno. Il peso molecolare (P.M.) dei vari DNA può variare da 1,6 × 106 daltons nel caso del fago ΦX174 a 2,6 × 109 nel caso di Escherichia coli, a 1,2 × 1011 nel caso della Drosophila melanogaster, a 3 × 1012 nel caso del DNA umano. La gran parte dei DNA noti è a doppia elica, ma alcuni sono a catena singola, circolari, cioè con le estremità legate covalentemente. Tali i DNA di numerosi virus batterici e animali, di batteri e anche di mitocondri.

Struttura del DNA. - Il DNA è un polimero a lunga catena lineare costituito dal succedersi di 2-deossiribosidi di basi puriniche e pirimidiniche alternati ad acido fosforico diesterificato dall'ossidrile 5′ di un deossiriboside e dall'ossidrile 3′ del deossiriboside successivo. In altri termini il DNA può considerarsi polimero del 2-deossiribosio fosfato, in forma furanosidica, unito con legame glucosidico a basi puriniche o pirimidiniche. Il legame glucosidico impegna l'atomo 9 delle purine e quello 1 (3, secondo la vecchia numerazione) delle pirimidine. Le basi costantemente presenti nei DNA di diversa origine sono quattro, due puriniche, adenina (A) e guanina (G), e due pirimidiniche, citosina (C) e timina (T). Qualche volta si può trovare anche 5-metilcitosina (nel DNA di piante superiori), 6-metilamminopurina (nel DNA di batteri e batteriofagi), e anche uracile e 5-idrossimetiluracile (nel DNA di alcuni batteriofagi). Tali basi rare sono probabilmente metilate in loco, vale a dire a livello di polimero già formato e non di unità monomerica, prima, cioè, che questa venga polimerizzata. Le basi rappresentano il solo costituente variabile qualitativamente nei DNA di varia origine e la loro sequenza lungo la catena polideossiribonucleotidica corrisponde al cifrario genetico della cellula. Mentre la determinazione di queste sequenze costituisce un problema ancora molto arduo a risolversi sperimentalmente, la composizione in basi di DNA isolati da innumerevoli tipi di organismi è stata invece accuratamente studiata, a partire dalle ricerche pionieristiche di E. Chargaff e collaboratori (1950-53). Alcune delle generalizzazioni emerse da tali studi sono le seguenti. 1) La composizione in basi del DNA è caratteristica costante di un organismo. 2) Cellule o tessuti diversi di un medesimo organismo hanno DNA con identica composizione in basi, questa presentando, invece, grandi variazioni da organismo a organismo. Tali variazioni, particolarmente evidenti nei batteri, sono espresse dal cosiddetto "rapporto di dissimmetria" (A + T)/(G + C), il quale è, per es., pari a 1,52 nell'uomo, 1,00 in Escherichia coli K-12, 0,42 nel bacillo tubercolare aviario. 3) Organismi strettamente correlati hanno DNA con composizione in basi simile. 4) I DNA presentano certe regolarità, definite dalle cosiddette "regole di Chargaff": adenina - timina, guanina = citosina, e quindi (A + G) = (C + T). Di conseguenza, ogni DNA che sfugga a tali caratteristiche dev'essere fuori dalla norma. Tale il caso, per es., del DNA del fago ΦX174, che è a catena singola. L'equivalenza delle basi puriniche e pirimidiniche, la conoscenza di modelli già formulati, ma erronei, e il concetto di struttura elicoidale nel caso di macromolecole biologiche (l'elica α formulata da L. Pauling nel 1951 per le proteine), da una parte; nonché, dall'altra, le accurate ricerche svolte da W. H. F. Wilkins e R. Franklin coi raggi X, hanno portato J. D. Watson e F. H. C. Crick a formulare nel 1953 un modello tridimensionale del DNA ormai universalmente accettato e che ha esercitato un enorme impatto sul pensiero biologico. Il DNA consta di due catene polinucleotidiche complementari, di polarità opposta e avvitantisi in senso destrorso intorno a un asse ideale a formare una doppia elica. Le catene sono tenute insieme dalle interazioni idrofobe, che s'instaurano fra le basi azotate, e da legami idrogeno, che si stabiliscono in maniera specifica fra le basi di una catena e quelle della catena complementare. La specificità del legame idrogeno e quindi la struttura stessa del DNA poggiano sul "principio di complementarità", secondo il quale solo fra determinate basi il legame idrogeno può stabilirsi. E ciò non perché esso non possa instaurarsi fra le varie basi indiscriminatamente, ma perché nel caso del DNA (e delle strutture secondarie degli a. n. in genere) precise necessità stereochimiche devono essere rispettate. Infatti, solo l'accoppiamento di A con T (o con U nel caso dell'RNA a doppia elica) e di G con C, tramite 2 e, rispettivamente, 3 legami idrogeno, consente che lo spessore della doppia elica rimanga costante. Le basi azotate si trovano all'interno della doppia elica, su un piano normale all'asse longitudinale; i gruppi fosforici e le molecole di pentoso sono all'esterno. La struttura proposta da Crick e Watson rappresenta un modello ideale per comprendere il processo della duplicazione del DNA nelle cellule, che avviene con un meccanismo di replica, come suol dirsi, semiconservativa.

Biosintesi del DNA. - Per il meccanismo molecolare della replica del DNA a doppia elica (cellulare o virale), v. riproduzione. Il meccanismo di replica del DNA a catena singola, per es. quello del virus batterico ΦX174, ha luogo tramite la sintesi iniziale di una catena polideossiribonucleotidica complementare di quella originaria. Le due catene formano una transitoria "forma replicativa" a doppia elica, tramite la quale avviene la successiva sintesi di DNA virale. Con la "forma replicativa" è rispettata la regola che la duplicazione di un a. n. può aver luogo solo sulla base del "principio di complementarità".

L'aspetto enzimologico della biosintesi del DNA può schematizzarsi come segue. Un enzima in grado di operare la sintesi di molecole polimeriche DNA-simili è la DNA polimerasi isolata da A. Kornberg e collaboratori nel 1957. Trattasi di una proteina con P. M. di 109.000, che necessita dei quattro deossiribonucleosidi trifosfati (dATP, dCTP, dGTP, dTTP) quale substrato, di Mg2+ e di DNA quale stampo. La reazione consiste nell'aggancio con legame fosfodiestereo di un deossiribonucleoside 5′ fosfato all'ossidrile libero in posizione 3′ della catena in accrescimento (fig.1) e produce un polimero con caratteristiche simili a quelle dello stampo e quantità stechiometriche di pirofosfato. Caratteristiche della reazione sono: a) l'utilizzazione dei soli deossiribonucleosidi trifosfati e non dei corrispondenti difosfati; b) la reversibilità, l'incubazione di DNA con eccesso di pirofosfato producendo parziale depolimerizzazione; c) l'indispensabilità di Mg2+, la sua sostituzione con Mn2+ determinando la possibile incorporazione di ribonucleosidi trifosfati. L'enzima presenta caratteristiche particolari: esso catalizza la polimerizzazione sempre e soltanto nella direzione 5′ → 3′; esso ha anche un'azione esonucleolitica in direzione 3′ → 5′ e una simile, più complessa, in direzione 5′ → 3. La possibilità di sintesi nell'unica direzione 5′ → 3′ e la reversibilità della reazione hanno reso soggetta a molti dubbi la candidatura della DNA polimerasi di Kornberg a unico enzima responsabile della biosintesi di DNA nella cellula, tanto più che un mutante di Escherichia coli isolato da P. De Lucia e J. Cairns nel 1969 è in grado di riprodursi perfettamente pur essendo dotato di attività DNA polimerasica pari allo 0,5 − 1% di quella presente in ceppi normali. Un altro enzima, scoperto nel 1967, e un nuovo modello di sintesi del DNA, che va sotto il nome di "sintesi discontinua" e che poggia su magistrali lavori di Okazaki e collaboratori, hanno tuttavia gettato molta luce sul processo della biosintesi del DNA. L'enzima è una "ligasi", che catalizza la ricostituzione di un legame fosfodiestereo interrotto a livello di una delle catene di un DNA a doppia elica quando l'altra sia integra, secondo lo schema seguente:

Il modello di sintesi discontinua può esemplificarsi con lo schema:

All'atto della separazione delle due catene del DNA (v. riproduzione, in questa App.), la DNA polimerasi catalizzerebbe la sintesi di segmenti di catena (i frammenti di Okasaki) complementare dell'una e dell'altra delle due eliche originarie, ma sempre nella direzione 5′ → 3′. Con ciò potrebbe superarsi l'obiezione che, per prodursi DNA, la sintesi di una delle due eliche dovrebbe necessariamente aver luogo nella direzione 3′ → 5′. La ligasi, infine, potrebbe saldare fra loro i segmenti separati. La situazione è, tuttavia, ancora incerta, né la chiarisce l'avvenuta scoperta di altri tipi di DNA polimerasi (II e III) in Escherichia coli. Di recente, precisi esperimenti suggeriscono la possibilità che evento necessario alla biosintesi del DNA sia addirittura la sintesi di RNA, nel senso che quest'ultimo potrebbe avere funzioni d'innesco all'inizio della catena complementare che dev'essere sintetizzata. Si formerebbero, così, tratti iniziali di doppia elica ibrida (DNA: RNA), la cui componente poliribonucleotidica potrebbe poi essere rimossa da un enzima specifico (per es., la ribonucleasi H o ibridasi).

Acido ribonucleico (RNA). - L'a. ribonucleico è anch'esso un polimero con struttura primaria simile a quella del DNA, contenente, tuttavia, il D-riboso invece del D-2-deossiriboso e invece della timina la base pirimidinica uracile. Anche nell'RNA, dunque, l'a. fosforico è diesterificato dagli ossidrili 3′ e 5′ di residui successivi di pentoso in forma furanosidica, e il legame glucosidico si stabilisce anche qui con l'azoto 9 delle basi puriniche e con quello in posizione 1 (3, secondo la vecchia numerazione) di quelle pirimidiniche. Accanto a queste basi comuni, altre ne sono state trovate (presenti generalmente in piccola quantità, ma relativamente abbondanti nell'RNA di trasferimento): sono esse le basi "rare", ipoxantina, per es., e varie metilate, quali timina, 5-metilcitosina, 6-metilamminopurina,1-metilguanina ecc., la cui metilazione, come per le corrispondenti del DNA, avviene molto verosimilmente a livello di polimero già formato. In più, sempre nel tRNA, si trova anche un nucleoside dell'uracile, la pseudouridina (ψ), nel quale il riboso si lega all'atomo di carbonio in posizione 5, invece che, come di regola, all'atomo di azoto in posizione 1 (3). Caratteristica generale dell'RNA è di mancare delle regolarità messe in luce per il DNA: di solito, tuttavia, la somma (G + U) è pressoché uguale a quella (A + C).

L'a. ribonucleico può distinguersi in due tipi principali: A) l'RNA cellulare e B) quello virale. A) L'RNA cellulare, estraibile, cioè, da cellule eucariotiche e procariotiche, comprende a) l'RNA ribosomico, b) l'RNA messaggero, c) gli RNA di trasferimento.

a) RNA ribosomico (rRNA). Rappresenta circa l'80% dell'RNA cellulare e si trova associato alle proteine dei ribosomi (particelle costituite da due porzioni di dimensioni diverse) che si trovano prevalentemente liberi nel citoplasma (batteri) o fissate al reticolo endoplasmatico (cellule eucariotiche), e che sono la sede del processo di biosintesi delle proteine. L'rRNA è essenzialmente distinguibile in tre specie molecolari; una frazione di P.M. pari a circa 1 × 100 e un'altra di modeste dimensioni, il cosiddetto RNA 5S formato da 120 nucleotidi, sono associate alla subunità ribosomica maggiore; una terza frazione, con P. M. di circa 5 × 105 è estraibile dalla subunità ribosomica minore. Gli RNA ribosomici sono prevalentemente a catena singola, per quanto diversi tratti dotati di struttura secondaria siano stati messi in evidenza, con possibili significati funzionali.

b) RNA messaggero (mRNA). Questa specie rappresenta, in cellule di Escherichia coli, circa il 4,3% dell'RNA cellulare totale, ed è destinata - come il nome indica - a trasferire l'informazione genetica contenuta nel DNA a livello ribosomico, dove essa verrà utilizzata per la sintesi delle proteine. Di P. M. variabile, ma generalmente molto elevato, l'mRNA ha la caratteristica di avere la sequenza delle basi complementare di quella di una delle due eliche del DNA e una vita media relativamente breve. Alla sua estremità 3′ terminale è legato un segmento di a. poliadenilico (cioè un poliribonucleotide la cui unica base è A), il cui significato è incerto.

c) RNA di trasferimento (tRNA o sRNA). Questa terza specie di RNA della cellula, detto anche "transfer" o solubile, di basso P. M. (circa 25.000), ha la funzione di trasportare al livello dei ribosomi gli amminoacidi attivati perché siano via via polimerizzati nella catena polipeptidica. Esso, in Escherichia coli, rappresenta circa il 15% dell'RNA totale e si presenta in forma di una cinquantina di molecole diverse, a gruppi o singolarmente specifiche per un amminoacido. Le molecole di tRNA hanno alcune caratteristiche costanti: contengono numerose basi "rare", alcune delle quali situate sempre nei medesimi punti della molecola, e presentano un'abbondante struttura secondaria, che caratterizza e consente la forma a trifoglio, tipica dei tRNA (fig. 2). Anche l'estremità 3′ terminale del "gambo" del trifoglio è costante in tutte le specie molecolari di tRNA, con tre basi che si susseguono regolarmente: citosina-citosina-adenina. Il riboso del nucleoside di quest'ultima ha, in posizione 3′, l'ossidrile libero e ad esso si lega con legame di estere l'amminoacido trasportato dal tRNA. In sede antipodica, infine, è l'anticodon (anticodone), la "tripletta" di basi che, a livello dei ribosomi, riconosce il codon (codone) complementare dell'RNA messaggero, il quale a sua volta è l'immagine complementare della tripletta originaria del DNA.

B) L'RNA virale rappresenta il materiale genetico di numerosi virus animali, delle piante, dei batteri. Fra i primi basti ricordare i virus della poliomielite e dell'influenza; fra i secondi lo studiatissimo virus del mosaico del tabacco; fra gli ultimi i piccoli batteriofagi MS2, R17, M12, Qβ, ecc. In tali virus l'RNA funge a un tempo da genoma e da RNA messaggero. Generalmente a elica singola, ma con frequenti tratti dotati di struttura secondaria, alcuni di tali RNA virali sono originariamente a doppia elica (per es., il genoma dei Reovirus), con struttura molto simile a quella del DNA, determinata dall'appaiamento delle basi A e G con le basi U e C.

Biosintesi dell'RNA. - Occorre distinguere fra la biosintesi (1) dell'RNA cellulare e quella (2) dell'RNA virale, la prima necessitando sempre del DNA quale stampo, la seconda essendone indipendente e rappresentando più propriamente il processo di replica del genoma dei virus a RNA.

(1) La sintesi di RNA nella cellula è, come suol dirsi, "asimmetrica", la "trascrizione" (altro termine usato per indicare la biosintesi di RNA su DNA quale stampo) avvenendo a carico di una sola delle due eliche del DNA, e procede nella direzione 5′→ 3′ come nel caso della sintesi del DNA. L'enzima preposto al processo biosintetico è la RNA polimerasi DNA-dipendente scoperta da S. B. Weiss e collaboratori nel 1959. La reazione catalizzata è, mutatis mutandis, identica a quella catalizzata dalla DNA polimerasi. Necessita, infatti, dei quattro ribonucleosidi trifosfati (ATP, CTP, GTP, UTP), di Mg2+, di DNA quale stampo e produce, accanto al prodotto polimerico, pirofosfato in quantità stechiometriche. La reazione è reversibile e la sostituzione del Mg2+ con Mn2+ altera la specificità di substrato.

Molto nota è la RNA polimerasi di Escherichia coli. Di P. M. pari a circa 500.000, consta di quattro subunità, α, β, β′, σ, quest'ultima molto importante perché condiziona la specificità e la selettività del processo di trascrizione. Le RNA polimerasi degli eucarioti sono meno note nei dettagli. Hanno la particolarità di essere multiformi: si parla di una polimerasi I a sede nucleolare, responsabile della sintesi di un precursore dell'rRNA; di polimerasi II e III, a sede citoplasmatica, l'una responsabile della trascrizione di gran parte dei geni cromosomici, l'altra della sintesi dei tRNA. Un cenno particolare merita anche il primo enzima trovato, in grado di produrre "in vitro" poliribonucleotidi del tipo dell'RNA. Esso aprì la strada allo studio della biosintesi degli a. n. e dell'RNA in particolare e fu lo strumento che permise l'identificazione del codice genetico. L'enzima, chiamato polinucleotide fosforilasi, fu scoperto da S. Ochoa e M. Grunberg-Manago nel 1955. Esso necessita di ribonucleosidi difosfati, di Mg2+ e di un "innesco" (primer) e catalizza la produzione di poliribonucleotidi di struttura identica a quelli naturali e di quantità stechiometriche di fosfato inorganico. La reazione è reversibile; anzi, nelle condizioni di concentrazione di ribonucleotidi e di fosfato occorrenti in vivo, è molto probabile che la reazione proceda nel senso della depolimerizzazione. Questo fatto, insieme con la non ubiquitarietà dell'enzima e con la mancanza di corrispondenza fra "innesco" e prodotto, suggerisce che in vivo l'enzima possa servire per degradare l'mRNA.

(2) La sintesi dell'RNA che rappresenta il genoma di molti virus è un processo con caratteristiche ed esigenze del tutto diverse da quelle descritte precedentemente. Basti considerare il fatto che in vivo l'RNA virale è immesso in un ambiente (la cellula) nel quale molte altre specie di a. ribonucleico sono presenti; nonostante queste, esso deve poter replicare sé stesso con assoluta specificità, onde garantire la riproduzione di progenie virale identica all'originale. Per tale processo è dunque indispensabile un enzima che abbia caratteri di specificità assoluta per l'RNA virale. La biosintesi dell'RNA di un virus può - in maniera succinta e molto semplificata - riassumersi come segue.

L'informazione contenuta nella catena di RNA virale, che può indicarsi con (+) e che funge da RNA messaggero, determina la sintesi di una proteina enzimatica (utilizzando il macchinario ribosomico dell'ospite), la RNA polimerasi RNA-dipendente o "replicasi", la quale riconosce soltanto l'RNA virale quale stampo. La prima azione dell'enzima è quella di catalizzare la sintesi di una catena poliribonucleotidica, che può indicarsi con (−), complementare dell'RNA virale. In tal modo si costituisce una struttura a doppia elica, a livello della quale avrà luogo la sintesi di nuove catene di RNA identiche a quelle virali (+), utilizzando la catena (−) quale stampo. È questo un meccanismo che ricorda quello della replica di DNA a catena singola e che rispetta la regola generale che la duplicazione di un a. n. necessita sempre, per aver luogo, di una struttura a due catene complementari. Nel caso dell'RNA virale, dibattuta è soltanto la questione se la "forma replicativa" sia realmente stabilizzata in doppia elica da legami idrogeno, o meno, come esperimenti recenti sembrano dimostrare (C. Weissmann, 1968 e 1974).

Trascrizione inversa. - Con tale termine s'intende un processo la cui scoperta, avvenuta alcuni anni or sono, ha sovvertito il cosiddetto "dogma" della biologia molecolare. Era infatti nozione dogmatica che l'informazione genetica dal DNA fosse prima trascritta nell'mRNA e finalmente si traducesse nella sintesi di una proteina. H. M. Temin e D. Baltimore (1970) hanno invece dimostrato che in alcuni casi la direzione del flusso dell'informazione genetica può essere nella prima tappa invertita. Ciò accade nel caso di alcuni virus oncogeni a RNA, quali per es. il virus del sarcoma di Rous. L'informazione contenuta nel genoma di tale virus, che invade cellule eucariotiche (a DNA), può essere trascritta in una molecola di DNA. Ciò è possibile per l'esistenza nel virus di un enzima, la DNA polimerasi RNA-dipendente o "transcrittasi inversa", che catalizza la sintesi di DNA su uno stampo di RNA. La sequenza di eventi potrebbe essere la seguente: RNA virale → molecola ibrida RNA: DNA → DNA: DNA → replica e integrazione. La scoperta della trascrizione inversa e l'enorme cumulo di lavoro derivatone hanno aperto nuovi orizzonti alla comprensione dei processi biologici in generale e della "trasformazione" delle cellule e dell'origine del cancro in particolare.

Degradazione enzimatica del DNA. - I principali enzimi specifici che depolimerizzano il DNA sono due deossiribonucleasi, la DNasi I o pancreatica e la DNasi splenica o da timo. L'una è un'endonucleasi che richiede ioni bivalenti (magnesio e/o manganese; calcio) ed è attiva a pH neutro, con produzione di oligonucleotidi col fosfato in posizione 5′. L'altra, attiva a pH acido e in assenza di ioni, produce oligonucleotidi col fosfato in posizione 3′. Sono noti anche enzimi specifici per DNA a catena singola (estraibili da Aspergillus oryzae, da Escherichia coli, ecc.). Altre DNasi sono la esonucleasi II, la esonucleasi III, specifica per DNA a doppia elica, una esonucleasi IV, che preferisce oligodeossiribonucleotidi, ecc.

Degradazione enzimatica dell'RNA. - Enzimi specifici sono: la notissima ribonucleasi pancreatica, attiva su RNA a catena singola e su nucleotidi 2′, 3′ fosfato ciclici, i quali rappresentano, d'altronde, i prodotti intermedi della degradazione dell'RNA; la RNasi T1, specifica per i legami fosfodiesterei dell'RNA che impegnano l'ossidrile in 3′ della guanosina, la RNasi T2, specifica per gli stessi legami adiacenti all'adenina; le RNasi I, II, III da Escherichia coli, l'ultima delle quali specifica per RNA a doppia elica; la RNasi H o ibridasi, specifica per ibridi DNA: RNA. Agiscono sia sui poliribo- che sui polidossiribonuleotidi le fosfodiesterasi isolate da veleno di serpente e da milza bovina; l'una libera, con meccanismo esonucleolitico, nucleosidi 5′ fosfati, l'altra nucleosidi 3′ fosfati.

Degradazione chimica dell'RNA si ottiene con alcali (KOH 0,1-0,3 N), che produce un miscuglio di nucleosidi 2′ e 3′ fosfati. Prodotti di parziale, selettiva degradazione del DNA, che resiste invece all'azione dell'alcali, sono i cosiddetti a. apurinici e apirimidinici. Nel caso dell'RNA, l'a. deuridilico.

Acidi nucleici e sintesi proteica.

La biosintesi delle proteine, fine ultimo del processo di trasferimento dell'informazione genetica in tutti gli organismi viventi, ha luogo sui ribosomi, quindi nel citoplasma cellulare, e consiste nella polimerizzazione di un numero sempre grande, spesso grandissimo, di amminoacidi (aa) sulla base di istruzioni impartite generalmente dal DNA tramite l'mRNA, mediante un codice speciale, detto appunto "codice genetico".

Il codice genetico. - Con tale termine s'intende il meccanismo molecolare che consente il fedele trasferimento dell'informazione genetica e la comprensione di essa in sede ribosomica per la sintesi delle proteine. Il codice si articola in 64 "triplette" di nucleotidi, cioè in sequenze successive di tre basi sul DNA, cui corrispondono sequenze di tre basi (complementari) sull'mRNA (con U al posto di T). Teoricamente ognuna di tali triplette (codons o codoni) dovrebbe specificare un singolo amminoacido. In realtà, come può notarsi nella fig. 3, il codice è, come suol dirsi, "degenerato", nel senso che quasi tutti gli amminoacidi sono codificati da più di un singolo codon. Inoltre, in circostanze particolari il codice può presentare "ambiguità", nel senso che uno stesso codon può specificare per più di un amminoacido. Altra caratteristica del codice genetico è di essere privo di soluzioni di continuità (è "senza virgole"), cioè non vi sono nucleotidi inutilizzati e ognuno di essi fa parte di un codon. Così pure, il codice non presenta sovrapposizioni, cioè nessun elemento (nucleotide) di un codon può essere a un tempo parte del codon viciniore. Il codice è, infine, "universale", nel senso che il sistema di segnali suddetto e il meccanismo della trasmissione di esso vale per qualsivoglia organismo vivente, com'è dimostrato dal fatto che la sintesi proteica ha luogo anche in sistemi eterologhi, ottenuti cioè mescolando ribosomi di un organismo con tRNA di un altro e con aa-tRNA sintetasi di un altro ancora.

I ribosomi. - La loro struttura di base non cambia sostanzialmente se si passi dai batteri agli organismi superiori. Sono costituiti da proteine e RNA e sono dissociabili in due subunità, una piccola, l'altra più grande (30S e 50S in Escherichia coli). Alla subunità minore si lega l'RNA messaggero che proviene dal nucleo e nel quale l'informazione genetica è stata trascritta. Nel ribosoma possono identificarsi due siti distinti, l'uno detto "accettore" o amminoacilico, l'altro "donatore" o peptidilico. Il primo riceve ogni nuova molecola di amminoacil-tRNA (aa-tRNA), il secondo accoglie la molecola di tRNA cui è legata la catena peptidica in accrescimento.

Fasi del processo biosintetico.

1) Attivazione degli amminoacidi. La catalizzano aa-tRNA sintetasi specifiche e consiste nel rendere reattivi gli aa tramite l'intervento di ATP e tRNA: aa + ATP + tRNA ⇄ aa-tRNA + AMP + pirofosfato.

2) Fissazione dell'mRNA alla subunità ribosomica minore. In realtà, l'unità funzionale pare sia rappresentata dal "polisoma", complesso dell'mRNA con più ribosomi. Il processo è favorito dall'intervento di alcuni "fattori" proteici.

3) Segnale d'inizio del processo biosintetico: consiste nella comparsa a livello ribosomico di una tripletta particolare dell'mRNA. Tale segnale d'inizio corrisponde al codon AUG.

4) Migrazione del primo aa-tRNA in sede ribosomica. Tale aa-tRNA, richiamato dal codon AUG dell'mRNA, ha funzione d'iniziatore della catena proteica e ha caratteristiche, che sono state ben definite almeno per quanto riguarda i sistemi batterici. In questi, iniziatore "universale", com'è stato detto, è il formil-metionil-tRNA, vale a dire il complesso fra un tRNA e l'amminoacido metionina, il cui gruppo amminico viene poi bloccato da un radicale formilico.

5) S'immagini ora, per comprendere il processo nel suo insieme, che la sintesi di una proteina sia già in corso (fig. 4). Il sito "accettore" sarà dunque occupato da un aa-tRNA, il sito "donatore" o peptidilico da un tRNA al quale è legata la catena polipeptidica in accrescimento. Il gruppo carbossilico (COOH) terminale di questa, impegnato nel legame estereo che tiene legata la catena al tRNA, reagirà ora col gruppo amminico (NH2) libero dell'amminoacido trasportato dal tRNA che si trova nel sito "accettore", grazie all'azione catalitica di un enzima specifico, la peptidil transferasi o transpeptidasi. La formazione di questo legame peptidico e dei successivi avverrà dunque con spostamento della catena polipeptidica in accrescimento dal tRNA situato in corrispondenza del sito peptidilico al tRNA neoarrivato in sede accettrice. Contemporaneamente si avrà l'abbandono del sito peptidilico da parte del tRNA ora libero e la migrazione in esso del tRNA al quale or ora si è legata la catena proteica in accrescimento. Nello stesso tempo l'mRNA scorrerà di una posizione (cioè di una "tripletta") sul ribosoma, con la conseguente esposizione di un altro codon, che richiamerà un altro aa-tRNA nel sito accettore. Tale successione di eventi, che si ripeterà il numero di volte necessario e corrispondente al numero di amminoacidi richiesti per la sintesi di una determinata proteina, prende il nome di "translocazione" o fase di trasferimento. L'evoluzione delle varie tappe del processo è condizionata dalla partecipazione di GTP, di diverse proteine solubili (i "fattori" di trasferimento, di allungamento, ecc., detti G, TF2 o transferasi II; T, TF1 o transferasi I), di ioni mono- (K+, NH4+) e bivalenti (Mg2+) e di un gruppo sulfidrilico.

6) Terminata che sia la "traduzione" (dal linguaggio nucleotidico in quello amminoacilico) del messaggio contenuto nell'mRNA, e a chiusura del processo, l'RNA messaggero deve esporre in sede ribosomica un segnale che significhi, appunto, "fine". Esso è dato da una delle cosiddette triplette "non-senso" o "senza senso", prive, cioè, di significato e alle quali non corrisponderà perciò alcun anticodon di tRNA. Tali triplette sono UAG, UAA e UGA, delle quali la prima è verosimilmente quella più normale o comune in Escherichia coli. Come conseguenza della comparsa di una tripletta "senza senso", il sito accettore rimarrà libero e la catena proteica terminata si staccherà dal suo legame coll'ultimo tRNA grazie all'idrolisi del legame estereo fra il COOH terminale e l'OH in posizione 3′ dell'adenosina del tRNA. Questo processo richiede anch'esso diverse proteine solubili specifiche, fra le quali i "fattori" R1 e R2.

La proteina completata per essere definitivamente pronta dovrà subire, per così dire, qualche ultimo ritocco: l'estremo N terminale sarà soggetto ad azioni idrolitiche successive, che staccheranno prima il formile, poi la metionina ed eventualmente altri aa (alanina, serina, per es., che sembra seguano abitualmente la metionina formilata nella gran parte delle proteine batteriche e indotte da batteriofagi, finora esaminate) e la proteina assumerà, infine, la sua specifica configurazione spaziale, la quale dovrà corrispondere allo stato di minimo dispendio energetico, cioè quello più conveniente dal punto di vista termodinamico.

Bibl.: J. D. Watson, F. H. C. Crick, Molecular structure of nucleic acids: A structure for deoxyribose nucleic acid, in Nature, vol. 171 (1953), p. 737; J. D. Watson, F. H. C. Crick, Genetical implications of the structure of deoxyribonucleic acid, ibid., p. 964; M. Grunberg-Manago, S. Ochoa, Enzymatic synthesis and breakdown of polynucleotides; polynucleotide phosphorylase, in Journal of American Chemical Society, vol. 77 (1955); p. 3165; S. B. Weiss, L. Gladstone, A mammalian system for the incorporatioin of cytidine triphosphate into ribonucleic acid, ibid., vol. 81 (1959), p. 4118; The nucleic acids, a cura di E. Chargaff. J. N. Davidson, vol. I-II, New York 1955, III, ivi 1960; A. Kornberg, Enzymatic synthesis of DNA, ivi 1961; M. Nirenberg, Protein synthesis and the RNA code, in Harvey Lectures, vol. 59 (1964), p. 155; M. Goulian, A. Kornberg, R. L. Sinsheimer, Enzymatic synthesis of DNA, XXIV, Synthesis of infectious Phage ΦX174 DNA, in Proceedings of National Academy of Science U.S., vol. 58 (1967), p. 2321; B. M. Olivera, I. R. Lehman, Linkage of polynucleotides through phosphodiester bonds by an enzyme from Escherichia coli, ibid., vol. 57 (1967), p. 1426; B.M. Olivera, I. R. Lehman, Disphosphopyridine nucleotide: a cofactor for the polynucleotidejoining enzyme from Escherichia coli, ibid., p. 1700; S. B. Zimmerman, J. N. Little e altri, Enzymatic joining of DNA strands: a novel reaction of diphosphopyridine nucleotide, ibid., p. 1841; C. R. Woese, The genetic code: the molecular basis for genetic expression, New York 1967; C. Weismann, G. Feix, H. Slor, In vitro synthesis of phage RNA: The nature of the intermediates, in Cold Spring Harbor Symp. Quant. Biol., vol. 33 (1968), p. 83; S. Ochoa, Translation of the genetic message, in Naturwissenschaften, vol. 55 (1968), p. 505; F.H.C. Crick, The origin of the genetic code, in Journal of molecular biology, vol. 38 (1968), p. 367; P. De Lucia, J. Cairns, Isolation of an E. coli strain with a mutation affecting DNA polymerase, in Nature, vol. 224 (1969), p. 1164; A. Kornbera, Active center of DNA of polymerase, in Science, vol. 163 (1969), p. 1410; H. M. Temin, S. Mizutani, RNA-dependent DNA polymerase in virions of Rous sarcoma virus, in Nature, vol. 226 (1970), p. 1211; D. Baltimore, Viral RNA-dependent DNA polymerase, ibid., p. 1209; C. Weissmann, The making of a phage, in FEBS Letters, 40 suppl., s. 10 (1974).

CATEGORIE
TAG

Principio di complementarità

Acido deossiribonucleico

Drosophila melanogaster

Reticolo endoplasmatico

Informazione genetica