DEL GIUDICE, Achille

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 36 (1988)

DEL GIUDICE, Achille

Giuseppe Monsagrati

Nacque a San Gregorio d'Alife, in provincia di Terra di Lavoro (oggi San Gregorio Matese, provincia di Caserta), il 9 sett. 1819, da Giuseppe e da Giacinta Violante. Dedicò presumibilmente gli anni della giovinezza e della maturità all'amministrazione dei beni familiari, che comprendevano alcune grosse proprietà terriere e consentivano una fiorente attività zootecnica mediante lo sfruttamento dei ricchi pascoli del Matese, la regione montuosa tra la Campania e il Molise in cui era situata San Gregorio.

Anche se si può ritenere probabile l'esistenza di contatti del D. con l'opposizione antiborbonica, il suo primo coinvolgimento documentato in una iniziativa politica risale all'agosto del 1860. Fu allora, infatti, che si formò a Napoli quel Comitato dell'ordine che, contrapponendosi al mazziniano Comitato d'azione, doveva preparare, sulla base della formula moderata "Italia e Vittorio Emanuele", il trapasso indolore - e scevro di conseguenze sul piano sociale - dal regime borbonico all'unificazione del Mezzogiorno coi resto d'Italia. Per la verità sembra che il D., con una sua azione mirante a trovare un terreno d'intesa coi democratici, suscitasse inizialmente qualche diffidenza negli altri membri del Comitato. Se anche in qualche momento egli poté essere tentato dall'idea del doppio gioco, bisogna però dire che presto si allineò sulle posizioni moderate e che, dopo aver dato un contributo in denaro a T. Pateras, un democratico che reclutava volontari per conto di Garibaldi, prese ad occuparsi esclusivamente dell'organizzazione e dell'armamento della "legione del Matese", in ciò favorito, oltre che dalle proprie ampie disponibilità economiche, dalle relazioni che aveva stabilito coi patrioti del Molise.

In origine composta da circa duecentocinquanta elementi, poi saliti a quattrocentotrentacinque, la legione cominciò ad operare a ridosso di Benevento sotto il pieno controllo dei moderati. Rimasto a Piedimonte a comandare la locale guardia nazionale, il D. rivendicava a sé il merito di tale indirizzo scrivendo ad un esponente del Comitato dell'ordine: "Ripulsai in Napoli le vivissime istanze che mi fece il patriota Indelli perché avessi prestato l'opera mia a far capitanare i volontari di Piedimonte da Pateras e compagni..." (lettera del 4 sett. 1860 a G. De Blasiis, in G. Petella, p. 239).

Il 7 sett. 1860 il D. fu chiamato a far parte del governo provvisorio costituito a Piedimonte. La regione, tradizionalmente fedele ai Borboni, era allora teatro dei più vivaci tentativi di reazione, né bastò qualche frettolosa misura - ad es. la soppressione del dazio su pasta e carni fresche - ad assicurare alle autorità di Piedimonte il consenso delle masse contadine. Fu invece sufficiente qualche sconfitta dei garibaldini ad esporre il Matese al ritorno dei Borbonici, che il 24 settembre riprendevano Piedimonte, da dove il D. e gli altri membri del governo erano appena fuggiti verso il Molise.

La reazione durò poco: nel dicembre del 1860 il D. era di nuovo a Piedimonte, tutto preso dalla necessità di combattere a fondo quel brigantaggio che si era subito manifestato come la forma più pericolosa di rigetto del nuovo ordine e che, con virulenza accresciuta dal fallimento delle speranze di una redistribuzione delle terre, colpiva soprattutto i grandi proprietari mettendone a repentaglio i beni e la vita. Ciò spiega perché il D. facesse di questa lotta un fatto quasi personale; e ciò spiega anche perché sul suo accanimento calasse qualche ombra di opportunismo: nel 1868 il sottoprefetto di Piedimonte lo accusò infatti di favoreggiamento e connivenza con alcune bande. Il D. replicò con un opuscolo di Documenti testificanti l'opera del sig. Achille Del Giudice contro il brigantaggio (Napoli 1868) in cui erano raccolti attestati e testimonianze di provenienza più o meno ufficiale, tutti tendenti a provare la limpidità e la fermezza della sua azione che tra il giugno e il novembre del 1865 lo aveva addirittura indotto a sostituirsi ad uno Stato assente con la creazione, a sue spese, di una piccola forza di difesa, composta di ventisei volontari, il cui comando, per conservare una parvenza di legalità, era stato attribuito ad un delegato di Pubblica Sicurezza. Le accuse ad ogni modo non ebbero seguito.

Il D., che dal 1861 era consigliere provinciale del mandamento di Piedimonte (e lo sarà ininterrottamente fino al 1885), poté votarsi alla vita politica: "ereditato" nel 1870 dal fratello Gaetano il collegio di Piedimonte, vi fu eletto nelle legislature XI, XII e XIII, senza tuttavia mai segnalarsi alla Camera, ove sedette a sinistra. Il 16 nov. 1876, pochi mesi dopo l'avvento della Sinistra al potere, fu fatto senatore. Era da tempo collegato alla Sinistra da una fitta rete di rapporti d'amicizia con uomini come G. Nicotera, G. Tamajo, G. Asproni, da lui spesso invitati a trascorrere periodi di riposo nella sua residenza di San Gregorio. Appunto l'Asproni aveva nel 1871 registrato nelle pagine del suo Diario, con l'elogio dell'ospitalità del D., che aveva definito "di animo generoso e di mente colta" (Diario, VI, p. 131), anche l'ammirazione per le sue capacità di grosso allevatore di bestiame.

L'innata sicurezza di sé e una mentalità sempre più votata all'affarismo portarono il D. alla rovina. Nel 1878, prospettando come sicuro un lucroso investimento nel commercio delle carni a Napoli, riuscì a farsi affidare il patrimonio di Silvia Pisacane, figlia del democratico caduto a Sapri, dal Nicotera, che dal 1860 esercitava la tutela sulla ragazza. Nel 1883, alla scadenza fissata per la restituzione della somma ricevuta (66.000 lire), il D. però non fu in grado di far fronte all'impegno se non in piccola parte, anzi risultò che le sue proprietà erano gravate di ipoteche per circa mezzo milione di lire. Si mise allora in moto una lunga vertenza giudiziaria, avviata da una querela per truffa ed appropriazione indebita, che portò il D. a una prima condanna (13 ag. 1887) e gli impose il risarcimento delle somme indebitamente trattenute. Ebbe poi inizio anche un'azione penale, e si scoprì che nel 1841 il D., denunziato per falso, aveva evitato la condanna solo per la caduta in prescrizione del reato commesso, e che in seguito era risultato imputato "in altri sette procedimenti correzionali" (Cannada Bartoli, p. 68). A conferire alla vicenda un carattere di scandalo c'era la carica di senatore del D., il quale, quando la commissione istruttoria rimise il suo caso al Senato perché, riunito in Alta Corte di giustizia, lo esaminasse e decidesse se rinviare l'inquisito ai tribunali ordinari, scrisse una lettera di dimissioni in cui giustificava in modo molto specioso la decisione presa.

Nella vivace discussione che ebbe luogo il 22 apr. 1888 ci fu chi argomentò che non si dovesse sottrarre il D. al suo giudice naturale, il Senato. Prevalse però l'opinione di quanti ritenevano che le dimissioni dovessero essere accettate e il D. rinviato a giudizio come un qualunque cittadino.

Uscito dalla vita politica così ingloriosamente, il D. si spense a San Gregorio il 17 ott. 1907

Fonti e Bibl.: Incompleti i cenni biogr. in T. Sarti, Il Parlam. subalpino e naz., Roma 1896, sub voce, e in A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, Milano 1940, I, sub voce; i dati fondam. si ricavano da D. De Francesco, La provincia di Terra di Lavoro, oggi Caserta, nelle sue circoscr. territor. e nei suoi amministratori a tutto il 1960, Caserta 1961, p. 152. Sul ruolo svolto dal D. nel 1960, cfr. G. Petella, La legione del Matese durante e dopo l'epopea garibaldina, Città di Castello 1910, pp. 12, 18, 22, 31, 40 s., 50, 64, 77 s., 87, 91 s., 119, 122 s., 162, 203, 205, 207 s., 223 s., 226, 230, 239, 241, 252 s., 257, 263, 287 s., 296 s., 304 s., 309 ss., e R. Marrocco, Memorie st. di Piedimonte d'Alife, Piedimonte 1926, pp. 147 s., 170. Di una scheda di polizia che nel 1864 qualifica il D. come "governativo" dà notizia P. D'Angiolini, Ministero dell'Interno, Biografie (1861-1869), Roma 1964, p. 84. Le impressioni dell'Asproni in G. Asproni, Diario, V, 1867-1870, e VI, 1870-1873, Milano 1981-1983, ad Indicem. La vertenza con S. Pisacane è illustrata nella memoria dell'avvocato di costei, G. Cannada Bartoli, Al Senato del Regno in Alta Corte di giustizia. Per S. Pisacane contro il senatore A. D., Napoli 1888; per la successiva discussione in Senato e il delicato caso provocato dalle dimissioni, cfr. I senatori del Regno. Nomina, convalidazione, giuramento, dimissioni, decadenza, Roma 1934, I, pp. 233, 351 s., 358 ss.; II, pp. 565-75.

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