DE GIOVANNI, Achille

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 36 (1988)

DE GIOVANNI, Achille

Giuseppe Monsagrati

Nacque a Sabbioneta (Mantova) il 28 sett. 1838 da Mario, medico condotto e possidente, prematuramente scomparso, e Rosina Traversi. Adolescente, sentì il richiamo della vita religiosa e meditò di votarsi al sacerdozio; la madre però gli fece fare gli studi classici e poi seguire i corsi di farmacia nell'università di Pavia. E proprio nel periodo degli studi universitari si compì la formazione culturale del D., che approdò al materialismo di matrice positivistica.

A determinare questo indirizzo concorsero per un verso la conoscenza del razionalismo di A. Franchi, per l'altro la lettura di alcuni testi provenienti d'Oltralpe. Il D. stesso ricorda il peso decisivo che su di lui avevano avuto i Rapports du physique et du moral de l'homme del Cabanis e la Philosophie zoologique del Lamarck, apparsi in Francia nel primo decennio dell'Ottocento.

L'attenzione per i problemi dell'uomo e il desiderio di lenirne le sofferenze avevano spinto il D. a lasciare gli studi di farmacia per la medicina, in cui si era laureato nel 1862 e che avrebbe sempre considerato come "lo studio dell'animale-uomo", intendendo quest'ultimo come "l'ultimo anello della scala zoologica" (Viola, Folia medica, p. 148).

L'ambiente universitario pavese aveva portato a maturazione nel D. un processo di formazione politica le cui origini si potevano far risalire all'epoca degli studi ginnasiali (Agosta del Forte, p. 4). Nella guerra del 1859 fu volontario nei Cacciatori delle Alpi, arruolato nella 4° compagnia del 2° reggimento comandato dal gen. G. Medici. Per ragioni di salute però dovette passare come infermiere nel servizio sanitario: così risultava presso l'ospedale di Bormio, poco prima dell'armistizio di Villafranca. Al ritorno a Pavia gli diagnosticarono un processo tubercolare. Intanto il contatto con uomini come G. Marcora e O. Gnocchi Viani nel Circolo democratico degli studenti di Pavia - fondato nel 1862 - lo spingeva, dal generico mazzinianesimo di qualche anno prima, e sulle orme di A. Bertani, verso le posizioni del Garibaldi. Nella guerra del 1866, medico nel III battaglione del 10° reggimento, si trovò proprio alle dipendenze del Bertani, cui fu più di una volta segnalato per un riconoscimento alla sua abnegazione.

Gli impegni di studio, poi il carattere ufficiale degli incarichi ricoperti, non gli impedirono di seguire i problemi del paese, il principale dei quali gli pareva il mancato completamento dell'Unità nazionale. L'irredentismo trovò perciò nel D. un efficace pur se talora enfatico sostenitore.

Si veda, nella sua commemorazione del 48 padovano, l'accenno a un'Italia infelice che "non può stendere la mano a quelli che per alta Ragione di Stato a Lei sospirando guardano in atto di chiedere e di rendere conforto" (Commemorandosi l'8 febbr. 1848…, Padova 1898, p. 12). Lo sorreggeva la fede nei giovani il cui entusiasmo giudicava positivo pur quando lo vedeva esprimersi in episodi di scomposta ribellione (questo il succo di una conferenza pubblicata col titolo Ma che cosa vogliono i nostri studenti… ? !, Udine 1903, in cui sottolineava l'urgenza di una riforma scolastica che fondasse su solidi presupposti scientifici la "piena libertà" delle nuove generazioni).

Nel 1902 l'allora capo del governo Zanardelli - massone e libero pensatore come il D. - lo fece senatore (per la 18ª categoria).

La militanza massonica del D. però non fu mai, a quanto pare, troppo convinta. Quando nel 1913 il settimanale L'Idea nazionale svolse un'inchiesta tra i maggiori esponenti della cultura e della politica italiana sui meriti e l'utilità della setta, egli negò l'una e gli altri, e rese pubblico il suo totale distacco "da ogni impegno e responsabilità" (Inchiesta sulla massoneria, con pref. di E. Bodrero, Milano 1925, p. 86).

In Senato prese la parola una sola volta, il 20 dic. 1909, mentre si discuteva un disegno di legge sull'insegnamento della ginnastica. L'argomento gli stava a cuore da quando, dopo la morte dell'unico figlio (1898), si era votato alla lotta contro la tubercolosi e ne predicava una profilassi ("È urgente che tutti sieno convinti del fine sociale della medicina..."), in cui largo posto era fatto all'igiene e, appunto, alla ginnastica (A. De Giovanni, La Lega nazionale contro la tubercolosi, Roma 1901, pp. 74-77).

Con l'entrata in guerra dell'Italia il D., convinto interventista, assunse l'incarico di consulente medico dell'esercito. Morì a Padova il 9 dic. 1916, qualche giorno dopo aver tenuto la prolusione al corso accelerato di medicina per studenti militari. Tra le ultime volontà, espresse in un necrologio da lui stesso inviato alla presidenza del Senato, quella di essere cremato e di non ricevere nessuna commemorazione ufficiale.

Bibl.: Una buona biografia è quella di E. Agosta del Forte, A. D. medico e patriota, in Atti e memorie d. Museo del Risorg. di Mantova, VII (1968), pp. 1-16: da integrare comunque con Enc. It., XII, sub voce; C.Tivaroni, A. D. nelle sue onoranze giubilari, in Nuova Antologia, 16 giugno 1902, pp. 735-741; con gli scritti di G. Viola, A. Galdi, G. Bertelli, P. Castellino raccolti nel fascicolo che nel 1917 la rivista Folia medica dedicò al D.; con L. Lucatello, A. D. Commemorazione…, in Atti del R. Ist. veneto di scienze, lett. ed arti, LXXXIV (1921-25), 1, pp, 63-80; e con G. Toffanin ir., Piccolo schedario padovano, Padova 1967, ad Indicem. Qualche altra indicazione nel quotidiano cattolico di Padova La Libertà dell'11 dic. 1916 e nella succinta biografia della Provincia di Mantova del 10 dic. 1916. Si vedano anche i cataloghi Le Carte di A. Bertani, Milano 1962, ad Indicem; Dalle Carte di G. Giolitti, I, a cura di P. D'Angiolini, Milano 1962, p. 102. Si vedano infine I. Ledda-G. Zanella, I periodici di Padova (1866-1926)..., Padova 1973, p. 218; G. Ciampi, Il governo della scuola nello Stato postunitario, Milano 1983, ad Indicem.

Dopo la laurea, 21 luglio 1862, il D. si trasferì a Bologna presso la clinica medica, diretta da L. Concato, un internista di valore forgiatosi alla scuola medica viennese. Il soggiorno non fu lungo: per un processo tubercolare polmonare fu costretto al ritiro, anche su consiglio particolare del maestro. Una sosta nel paese natio sembrò giovargli, e guarito, entrò all'ospedale Maggiore di Milano come "praticante assumibile". Ma una pleurite sopraggiunta lo obbligò a interrompere l'attività; riposo e cure climatiche e medicamentose ebbero ragione del male, e il D. ritornò a Milano, per riammalarsi poco tempo dopo. Alla forza di volontà non corrispondevano le condizioni fisiche. La precaria situazione economica aggravava la sua posizione. Privo di mezzi, gli era scelta inevitabile la via della condotta medica. Intervenne allora un gruppo di amici, suoi ammiratori, i quali, conservando l'anonimato, gli fecero pervenire una somma di denaro onde aiutarlo nell'attesa di tempi più propizi.

Rimessosi, riprese con energia gli studi e conseguì (1862 c.) la nomina di "medico residente" nella Pia Casa "La Senavra", il manicomio di Milano. Un decoroso stipendio gli consentiva di vivere in modo discreto, e il lavoro in quell'ospedale gli permetteva il contatto con la patologia neurologica, che attraeva oltremodo la sua attenzione di studioso. In questo periodo aveva pensato di aprire un discorso a salvaguardia della professione medica di fronte agli attacchi, indirizzati dal marchese d'Adda, personaggio di rilievo nell'ambito ospedaliero, contro la classe medica. Stizzito per l'articolo pubblicato dal D. sulla Gazzetta medica e per le accuse se pur anonime, in esso contenute, il nobiluomo pretese chiarimenti. Il D. si legittimò e anzi scese in campo, prendendo a padrini il dottore M. De Cristoforis e il colonnello G. Missori: il gesto accrebbe, se bisogno ci fosse stato, il suo prestigio tra i colleghi.

Nel 1867 si schiusero nuovi e risolutivi orizzonti per la carriera scientifica e didattica del D. non ancora trentenne: F. Orsi, da circa un anno assunto alla direzione della clinica medica presso l'università di Pavia, dopo un triennio di analogo mandato all'università di Genova, lo chiamò a coprire un posto di assistente con decorrenza dal 30 giugno. Era l'inizio definitivamente costruttivo di un luminoso cammino. Il 24 genn. 1871 otteneva nella stessa università l'incarico della supplenza alla clinica medica per un anno, e il 9 novembre successivo l'incarico della patologia speciale medica. Ancora nell'ateneo pavese, il 18 genn. 1873 era incaricato dell'insegnamento della patologia generale, il 30 apr. 1875 era nominato professore straordinario e il 19 dic. 1878 ordinario alla stessa cattedra. Già in quest'ultimo anno gli era pervenuto, dietro iniziativa di F. Marzolo, un comando alla direzione della clinica medica dell'università di Padova: la nomina si trasformava un anno più tardi, il 23 nov. 1879, con voto unanime della facoltà, in ordinariato di clinica medica, che avrebbe conservato fino alla fine dei suoi giorni.

Durante il lungo periodo di magistero padovano, il D. resse per undici anni la presidenza della facoltà medico-chirurgica e per quattro, dal 1896 al 1900, il rettorato. Tenne per oltre un decennio, a partire dal 1899, la presidenza del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti.

La formazione scientifica del D. ebbe inizio quand'egli aveva già superato la crisi del periodo giovanile ed era ormai ben saldo su posizioni decisamente materialistiche. Il primo impatto reale con il mondo scientifico avvenne sicuramente nell'istituto pavese di anatomia umana, diretto da B. Panizza, già discepolo di G. Atti a Bologna, di P. Mascagni in Toscana e di A. Scarpa nella stessa Pavia, ricercatore instancabile e fecondo, oltre che didatta efficace. Tramite il Panizza il D. prese contatto con gli aspetti materialistici della realtà umana e attinse i fondamenti sicuri nell'applicazione dell'indirizzo morfologico comparativo, di cui il maestro era fedele seguace, come stanno tra l'altro a dimostrare le sue ricerche sperimentali sull'atrofia dell'eminenza quadrigemella anteriore conseguente all'enucleazione dell'occhio del lato opposto, e le indagini sui cuori linfatici degli Uccelli e sul sistema linfatico dei Rettili. Incisivi influssi sull'impostazione biologico-filosofica pervennero più tardi al D. dopo la laurea, durante un periodo di convalescenza, dalla lettura della Philosophie zoologique di J.-B. de Monet de Lamarck (Paris 1809), opera che aveva già più di mezzo secolo di vita, ma che tuttavia possedeva elementi e spunti di particolare importanza per un medico che, pur giovane, andava sicuramente già elaborando la dottrina costituzionalistica. Nel libro del naturalista francese era configurata in forma scientifica la concezione del trasformismo biologico, e si enunciavano quattro leggi che presiedono alla formazione degli organismi animali e le modalità di questo evento, riportabili al principio per cui l'uso degli organi, richiesto dai bisogni e pertanto dall'ambiente esterno, è in grado di modificare radicalmente gli organi stessi.

I maestri diretti, immediati, in medicina clinica, furono per il D., come si è visto, il Concato per breve tempo e l'Orsi. Il primo, che illustrava le strutture teoriche e l'applicazione pratica del metodo anatomo-clinico e scorgeva l'esistenza di un parallelismo tra il lavoro dello storico e quello del clinico, gli ispirò forse la concezione della necessità della base teorica su cui fondare l'edificio scientifico della clinica medica. L'Orsi era invece il sostenitore di quell'empirismo clinico, dal quale il D. decisamente dissentiva.

Sulla fine degli anni '60 si recò in Germania, utilizzando un sussidio concessogli da C. Correnti, ministro dell'Istruzione con Ricasoli, per un perfezionamento scientifico. La Germania era allora il crogiolo del meccanicismo materialistico e uno scienziato, degno di tal nome, non poteva mancare all'appuntamento su suolo tedesco per un'esperienza in quell'ambiente così attivo e intensamente impegnato nella ricerca sul terreno teoretico e pratico. All'inizio degli anni '80, già professore in Padova, il D. fu a Parigi per alcuni mesi accanto a J. M. Charcot, quasi a cercare sussidio e avallo per le sue brillanti concezioni alla luce dell'impostazione clinica del celebre maestro parigino, buon anatomopatologo e interprete originale sul piano clinico di ogni manifestazione morbosa di competenza internistica e soprattutto neurologica, per cui perfino l'isterismo e la sua sintomatologia costituivano realtà obiettive del sistema nervoso e quindi anatomiche.

Non si può trascurare, come possibile stimolo o ispirazione per l'edificazione dell'indirizzo biologico e morfologico nell'ambito clinico, la compresenza in Padova di R. Ardigò, esponente vigoroso del positivismo evoluzionistico, chiamato nell'università veneta alla cattedra di storia della filosofia nel 1881, col quale è assai verosimile che il D. si incontrasse ed avesse scambi di idee sul piano teoretico. Nel 1898 il D., in qualità di rettore, aprì le onoranze all'Ardigò nel compimento del settantesimo anno.

Il ventennio decisivo e propulsivo nella Ausbildung scientifico-clinica del D., che si estende tra il 1860 e il 1880, possiede certe sue specifiche connotazioni. Il metodo anatomo-clinico, raggiunte ormai con l'opera di J. Skoda la sua codificazione e al tempo stesso la chiarificazione dei meccanismi fisici che intervengono nella produzione dei fenomeni acustici, rilevabili attraverso la percussione e l'auscultazione, è ormai metodica rutinaria. Si affacciano viceversa e si impongono nella pratica clinica sussidi diagnostici come gli esami chimico-clinici, microscopici ed endoscopici. Le ricerche di L. Pasteur, di C. Weigert, di R. Koch e di T. A. E. Klebs lasciano intravedere l'inizio della breve era della "batteriologia ortodossa". Se l'adozione del metodo anatomo-clinico di morgagniana memoria, filtrato attraverso R. T. H. Laennec e lo Skoda, costituiva pure in Italia prassi comune, i contributi delle scienze di base e dell'indirizzo fisiopatologico, invece, non erano ancora, almeno nel nostro paese, alla portata di ogni medico. È certo d'altronde che il D. aveva preso conoscenza di tutte le innovazioni e aveva avuto contatti con gli esponenti della nascente "medicina di laboratorio" sul piano dottrinale e pratico durante i suoi soggiorni in Germania e a Parigi. Egli era fornito di una vasta preparazione semeiologica fisica, di cui è valido documento il suo Corso di lezioni... di percussione ed ascoltazione, svolte in qualità di assistente alla clinica medica e di ripetitore di medicina pratica nel collegio Ghislieri di Pavia e raccolte in un libro, suddiviso in tre parti, che appaga ogni possibilità di sfruttamento a fini diagnostici dei moderni mezzi di indagine fisica.

Il problema fondamentale, dal quale prese le mosse per la costruzione della sua filosofia biologico-clinica nel periodo successivo all'approfondimento del suo aggiornamento scientifico, si può riassumere nei seguenti termini: la variabilità delle manifestazioni cliniche non può essere spiegata e compresa entro i confini di un metodo imperniato esclusivamente sulla patologia d'organo e sull'attività patogena degli agenti microbici. Infatti individui diversi reagiscono in modo differente alle medesime noxae patogene. Quale la ragione di ciò?

È essenziale innanzitutto premettere che il metodo sperimentale in campo clinico deve uniformarsi ai principi della biologia. Fino ad allora, nella pratica, il ricercatore aveva indugiato ora sul fatto anatomico, ora sul fatto fisiologico in modo unilaterale, quasi immaginando che l'uno aspetto potesse esistere senza l'altro, mentre è impensabile la loro non coesistenza. Rammenta il D.:" Quando il fisiologo si arresta a determinare un fenomeno o a registrarne le fasi, le modalità ecc., senza preoccuparsi delle modificazioni anatomiche, compie uno studio a metà; così, quando l'anatomico si accontenta di registrare le modificazioni di forme, di volume ecc., di una parte, senza interessarsi della corrispondente funzionalità, non percorre tutte le fasi del lavoro scientifico. Il medico poi il quale si avvicina allo studio di un fatto morboso colla mente conscia delle coincidenze puramente anatomiche che sono state riscontrate, o dominata dalla conoscenza delle teorie filosofiche sulle funzioni delle parti che esamina, andrà tentennando fra le une e le altre, finché l'empirismo non gli faccia intravedere la parte migliore delle une e delle altre, quando non lo consigli a diffidare di queste e quelle" (A. Cantani-E. Maragliano, Prolegomeni clinici, in Trattato italiano di patologia e terapia medica, I, 1, Milano s. d., pp. 5 s.). Il pensiero del maestro padovano si addentra, scava nel terreno che compete al "medico naturalista" di dissodare. Il medico deve accostarsi al malato con l'idea preliminare di riconoscere anzitutto le condizioni di quell'organismo specifico in cui si attuano i processi morbosi. Automaticamente pertanto, dovrà spogliarsi del preconcetto che l'organismo umano, perché umano, rappresenti sempre e in ogni caso la medesima, identica cosa. Da ciò, un atteggiamento rivolto al riconoscimento delle effettive, reali condizioni dell'organismo individuale che gli sta di fronte. Questa impostazione consente un perfezionamento diagnostico su basi preliminarmente solide, perché rinvigorita dalla conoscenza previa delle speciali condizioni di ogni singolo individuo malato. Ciò diviene possibile con il ricorso al "metodo matematico e precisamente a quello della meccanica razionale". In una formula speciale si raccolgono i dati numerici, che precisano in quali rapporti di sviluppo vengono a trovarsi l'altezza personale, la grande apertura, la circonferenza toracica, l'altezza sternale e del ventre, l'ampiezza biiliaca e il cuore. È la morfologia a suggerire il reale problema scientifico e a fornire il tipo ideale delle condizioni morfologiche individuali. L'esame antropometrico si riallaccia con filo diretto al pensiero ippocratico e, sotto certo e limitato punto di vista, ai canoni di un L. B. Alberti, di un Leonardo, di un L. Pacioli e soprattutto di J. S. Elsholtz, l'autore di Anthropometria (Patavii 1654). Nel metodo morfologico puro del D. le proporzioni vengono fissate dalle misure delle varie parti riferite in funzione dell'altezza. Nel tipo morfologico ideale l'altezza è uguale alla grande apertura delle braccia e al doppio della circonferenza toracica. L'altezza dello sterno corrisponde a un quinto e l'altezza dell'addome a due quinti della circonferenza toracica; il diametro biiliaco a quattro quinti dell'altezza dell'addome. Sono tre le combinazioni morfologiche descritte dal clinico padovano, e in ognuna di esse si ravvisano gli stati predisponenti a determinati gruppi di affezioni. Gli individui della prima combinazione sono candidati a malattie dell'apparato respiratorio e digerente e a manifestazioni scrofolose; quelli della seconda, a malattie dell'apparato circolatorio e infettive acute; quelli della terza, infine, agli stati pletorici e agli ictus apoplettici. Ogni individuo, pertanto, costituisce una varietà del tipo cui appartiene. È evidente che la determinazione della combinazione morfologica individuale suggerisce al medico il problema pratico della patologia e consente di ravvisare le affinità tra diversi processi morbosi. Il riscontro delle differenze individuali modifica il valore dei sintomi e di conseguenza l'episodio clinico. La morfologia soccorre per la definizione della varietà clinica e aiuta il clinico laddove viene meno la fisiologia.

In sintesi, il D. dette inizio con la sua opera alla dottrina neocostituzionalistica che opponeva al concetto di cause esclusivamente esterne delle malattie, dominante nel periodo di fiorente sviluppo della batteriologia, quello dei fattori costituzionali, cioè della predisposizione individuale a contrarre determinate forme morbose. Egli basò la sua teoria essenzialmente sulla valutazione delle caratteristiche morfologiche degli individui, convinto che nella morfologia è compresa l'intera evoluzione dell'organismo la cui forma corporea esterna, per le correlazioni esistenti tra le parti, deve quindi corrispondere a una determinata morfologia interna. Collegando in tal modo l'osservazione del singolo caso a categorie generali e trascurando la semplice illustrazione dei dati in favore di una loro quantificazione su base antropometrica, il D. tentò quindi di trasformare la clinica medica da metodo empirico in scienza esatta.

All'affascinante filosofia biologico-clinica del D. si collega, in vincolo logico assai stretto, oltre la valorizzazione dei concetti di terreno costituzionale come fattore predisponente diatesico e di "individualità nella patogenesi e nella evoluzione dei morbi", il criterio dell'ereditarietà quale elemento diagnostico: una ereditarietà da concepirsi non come evento inesistente o viceversa fatalmente trasmissibile. La genetica, sul finire del secolo scorso, era ai suoi albori e il discorso del clinico padovano era frutto essenzialmente di limpida intuizione e di speculazione su fondamenti empirici.

La produzione scientifica del D. non è tutta nella dottrina costituzionalistica. Egli ha fornito contributi, spesso anche abbondanti e monografici, allo studio della tubercolosi polmonare, della nevrosi e nevrastenia, della pneumonite, del diabete mellito, di affezioni cardiovascolari, di ematologia, di patologia del gran simpatico; descrisse i globuli rossi nucleati, condusse esperienze sulla capacità contrattile dei capillari. In tutti però trapelano, ora più vistosamente ora sullo sfondo, i suoi principi di dottrina costituzionalistica, dei temperamenti e dell'ereditarietà.

Spesso, nel corso della sua vita, il clinico padovano fu accusato, non senza punte di ironia, anche velenose, di fare della "clinica col metro" o di non afferrare l'importanza della nascente microbiologia. Il suo discorso a proposito dei microbi in un'era, pur breve, che si andava delineando dominata dalla batteriologia, era in fondo coraggioso e illuminato, pur se a quel tempo di difficile accettazione: "A me sembra", affermava infatti un secolo fa, "che se prima di tutto non ci curiamo di scoprire la ragione per cui alcuni organismi cadono in preda dei microbi, mentre altri mirabilmente resistono, non effettueremo le migliori prove curative. Bisogna studiare le predisposizioni individuali, gli ambienti in cui i microbi si portano e dove possono incontrare condizioni di vita, o di morte" (Uno sguardo alla bacteriologia, Padova 1886). Notevole fu anche l'impegno sociale del D., specialmente nel campo della prevenzione delle malattie; tra l'altro egli fondò la Lega nazionale italiana contro la tubercolosi.

Tra le sue opere meritano soprattutto di essere ricordate: Corso di lezioni teorico-pratiche di percussione ed ascoltazione recitate nella R. Università di Pavia, Milano 1869; Patologia del simpatico, ibid. 1876; Prime linee di uno studio cardiografico volto a scopi clinici, ibid. 1878 (in Annali universali di medicina, CCXLV; lettura fatta al R. Ist. lombardo nell'adunanza del 6 giugno 1878); Commentarii di clinica medica, 2 voll., Padova 1888-1893; Morfologia del corpo umano, Milano 1891; Nevrosi e neurastenia, ibid. 1900.

Fonti e Bibl.: Per una bibl. delle sue opere aggiornata al 1908-09 cfr. di L. Peserico, Le opere minori di D., in Il Tommasi (Napoli), III (1908), e Le opere maggiori..., ibid., IV (1909); F. Orsi, Sul passato e sul presente della clinica medica..., Milano 1871; A. Breda, Commemorazione di A. D., in Atti e memorie dell'Accademia pat. di scienze lettere e arti, XXXIII (1917), 1, pp. 59-68; G. Viola, A. D. Commemorazione al X anniversario della morte, Bologna 1926; F. Galdi, D. intimo, Napoli 1926; F. Pellegrini, La clinica medica padovana attraverso i secoli, Verona 1939, pp. 162 ss.; A. Gasbarrini, Le grandi figure della clinica medica ital. dell'ultimo secolo, in Riv. di st. di scienze med. e nat., XLIII (1952), pp. 16 ss.; G. Montalenti, Storia della biologia e della medicina, Torino 1962, p. 585; G. Boschi, L'influsso dell'opera di A. D. sullo sviluppo della clinica neuropsichiatrica (i tipi morfologici e la clinica del neurovegetativo), in Arch. di pat. e clin. med., XLIII (1966), pp. 3-12; G. Cosmacini, Medicina, ideologia, filosofia, nel pensiero dei clinici tra Ottocento e Novecento, in Storia d'Italia [Einaudi], Annali, 4, Torino 1981, pp. 1159-94; Id., "Filosofia spontanea" dei clinici medici ital. dal 1860 al 1900, in Salute e classi lavoratrici in Italia dall'Unità al fascismo, Milano 1982, pp. 19-38; Storia d'Italia [Einaudi], Annali, 7, Malattia e medicina, Torino 1984, ad Ind.; Enciclopedia Italiana, XII, p. 499; Enc. med. it., IV, Firenze 1975, coll. 1243 ss., sub voce Costituzione.

L. Premuda

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