ACETO

Enciclopedia Italiana (1929)

ACETO (fr. vinaigre; sp. vinagre; ted. Essig; ingl. vinegar)

Giuseppe Mezzadroli
Vittore Ravizza

Aceto deriva dal latino acetum, che a sua volta si ricollega con acer "pungente; agro", acidus, acerbus, acutus.

Aceti, in senso generale, sono i prodotti di un tipo di fermentazione (detta appunto acetica) di liquidi contenenti una debole quantità di alcool (6-8% al massimo in media). In Italia, pel regio decreto-legge 15 ottobre 1925, n. 2033. per aceto si deve intendere solo l'aceto di vino, cioè il prodotto ottenuto per fermentazione acetica di vino, o di vinello, che contenga almeno il 4% in peso di acido acetico, senza alcun'aggiunta di materie coloranti o di altre sostanze.

Sull'industria della produzione di aceto hanno influenza anche le disposizioni legislative, varie da paese a paese, che riguardano sia la genuinità, o il lato igienico del prodotto, sia il controllo di talune materie prime (alcool).

Che il vino potesse trasformarsi in aceto, era noto fino dall'antichita, e probabilmente da quando si conobbe il vino, e così si sapeva che una regolata aerazione facilitava tale trasformazione. La Bibbia già ne parla; Ippocrate, Dioscoride, Galeno ne fecero menzione. Plinio riporta che esso era adoperato, diluito con acqua, come bibita dissetante, dai soldati romani nelle lunghe marce.

Nel Medioevo la sua fabbricazione era misteriosa, e dètte luogo ad una corporazione di fabbricanti, giuridicamente riconosciuta (1394).

Gli alchimisti, che, a cominciare dal sec. VIII con Geber sapevano distillare l'aceto per ricavarne soluzioni sempre più concentrate di acido acetico, e poi appresero ad ulteriormente concentrare queste con la congelazione, non avevano idee molto chiare sulla natura del processo di formazione dell'aceto.

Lemery (sec. XVII) ammetteva che l'acidità dell'aceto fosse dipendente dal tartaro che si scioglieva nel vino e si esalava in questa seconda fermentazione. H. Boerhaave, più chiaramente degli altri, insistette sul fatto che nella prima fermentazione del vino si produceva l'alcool, e che nella seconda questo scompariva, mentre vi appariva un acido che non esisteva prima; egli nel 1730 introdusse un metodo di acetificazione che ancora è in uso. Quando Lavoisier scoprì l'ossigeno, spiegò il meccanismo dell'acetificazione; Davy ne dètte l'equazione chimica.

Il fenomeno principale dell'acetificazione è che l'alcool si trasforma in acido acetico. Questo acido è il prodotto della fermentazione dovuta a batterî cosiddetti acetificanti, che fissano l'ossigeno atmosferico per ossidare l'alcool etilico secondo l'equazione separata in due tempi:

Dopo che nel 1814 Berzelius ebbe stabilita la composizione chimica dell'acido acetico, e Saussure quella dell'alcool, il fenomeno sembrava facilmente spiegabile, tanto più che nel 1821 Davy scopriva che il nero di platino poteva trasformare il vino in aceto, e da ciò Döbereiner concludeva che l'acetificazione era dovuta all'azione di corpi porosi (quali trucioli, sarmenti e vinacce, usati da tempo nel processo cosiddetto tedesco, e quali gli strati di madre dell'aceto che si formano col processo detto d'Orléans). Kützing nel 1837 dimostrò che per la trasformazione del vino in aceto aveva grande importanza la madre dell'aceto formata da organismi viventi, di cui Turpin nel 1840 precisò alquanto meglio la natura.

Toccò a Pasteur il merito di chiarire bene il fenomeno, dimostrando che, contrariamente all'opinione di Liebig, non erano le sostanze azotate del vino che producevano per catalisi, come il nero di platino, l'ossidazione dell'alcool ad acido acetico, ma questa era dovuta al moltiplicarsi, alla superficie del vino, di un microrganismo vegetale, che vi formava un velo sottile dapprima e poi sempre più spesso, e che costituiva il componente utile della cosiddetta madre dell'aceto.

Pasteur fu il primo ad asserire e a provare la necessaria presenza, per l'acetificazione, di un organismo vivente, ch'egli chiamò Mycoderma aceti; più tardi, applicando allo studio dei fermenti acetici, per la prima volta, il metodo delle colture pure, Hansen, Duclaux, Henneberg e altri scoprirono nel Mycoderma aceti una lunga serie di specie diverse di batterî acetici. La classificazione più recente è quella dell'Henneberg, che distingue questi schizomiceti in quattro gruppi:

Questi batterî sono distinti per la forma e la natura del velo che formano alla superficie dei liquidi che vengono acetificati, per la forma delle singole cellule, per la potenza dell'acetificazione, per le diverse condizioni dei loro rispettivi optimum di accrescimento.

Il velo può essere fino, glabro e vellutato, come nel Bacterium orleanense, o spesso, mucoso, tenace, come nel B. xylinum. Esso è fatto di una sostanza molto simile alla cellulosa. Si colora qualche volta con iodio in bleu o in giallo, il che lo fa avvicinare all'amido.

Le singole cellule possono essere rotonde (cocchi), riunite a due, o isolate, bastoncini corti o in catena, o lunghi e di sezione uniforme in tutta la loro lunghezza, o rigonfiate (ipertrofiche); queste ultime si riscontrano specialmente in colture invecchiate (fig.1).

Dànno gradazione in acidità che varia dal1-2% in acido acetico, come il B. xylinum, fino al 9-10%, come il B. xylinoides.

Gli optimum di temperatura variano col mezzo e con la specie, e generalmente vanno dai 25° C. ai 37-38° C. Durante la fermentazione, la temperatura sale anche di parecchi gradi più in su, per l'ossidazione dell'alcool etilico.

Parecchi batterî non sono desiderabili nella fabbricazione dell'aceto: alcuni, perché poco potenti nell'acetificazione; altri, perché formano alla superficie dei liquidi in lavorazione pellicole spesse che s'interpongono fra l'aria e il liquido in modo da chiudere l'accesso all'ossigeno; ed altri ancora, perché producono un'ossidazione troppo forte, dando prima acido acetico e poi ossidando questo ad acqua e anidride carbonica secondo l'equazione

Tutti i batterî, qual più qual meno, acidificano pure altre sostanze, come glucosio, saccarosio, mannite, alcool propilico, ecc.

Le materie prime per la fabbricazione dell'aceto sono i vini, fra i quali è preferito quello bianco non troppo giovane e non solfitato, la birra, l'idromele, il sidro e le soluzioni alcooliche artificiali con aggiunta di sostanze minerali nutritive, come fosfato di potassio e ammonio, sali di magnesio, cloruro sodico, ecc.

Rendimento. - Nell'acetificazione l'alcool si ossida ad acido acetico a spese dell'ossigeno dell'aria, secondo l'equazione

Cioè, 100 grammi di alcool fissano 695 gr. di ossigeno, quanti si trovano in 236 litri di aria a 20° C., e dànno 130,5 gr. di acido acetico e 39 gr. di acqua. Mentre negli aceti il contenuto in acido acetico è indicato, come per altre soluzioni, come percento in peso, per i vini si dà il tenore in alcool come percento in volume; tenendo presente che 100 gr. di alcool misurano circa 126 cm., e che un liquido a 79 gr. contiene 100 cm. Teoricamente un vino al 10% d'alcool in volume (cioè con 79 gr. di alcool per litro) deve dare un aceto con 10,3 gr. di acido acetico, cioè al 10% circa in peso. Ma non tutto l'alcool contenuto nel vino si ritrova poi come acido acetico nell'aceto; s'indica come resa la percentuale che vi rimane rispetto al quantitativo teorico. Le perdite sono dovute all'alcool e all'acido acetico asportati dall'aria e trasformati in aldeide o in acido carbonico; tali perdite sono del 5-15% in via normale, ma possono salire a 20-30% e oltre.

Necessità dell'aerazione - All'acetificazione di 100 gr. di alcool occorre, come vedemmo, tutto l'ossigeno di 236 litri di aria; però in pratica, non utilizzandosene che una parte, occorrono da 1,5 a 8 volte la quantità d'aria teorica, e ciò anche per impedire che la temperatvra della massa salga troppo, accumulandosi il calore che si svolge durante la fermentazione per l'ossidazione dell'alcool. Infatti 100 gr. di questo, trasformandosi in acido acetico, svolgono circa 148,4 calorie. I punti fondamentali di questa tecnica sono dunque:

a) favorire lo sviluppo dei microrganismi che ossidano l'alcool ad acido acetico, creando loro le condizioni di ambiente più adatte;

b) facilitare il contatto del liquido coll'aria, in modo che ne possa assorbire l'ossigeno occorrente.

Com'è detto sopra, numerosi gruppi di batterî sono capaci di dare una fermentazione acetica, e tra questi hanno importanza industriale i batterî dell'aceto di birra, i batterî dell'aceto di vino tra questi il B. orleanense per l'acetificazione col sistema d'Orléans), i batterî per l'acetificazione rapida col processo tedesco.

Ora quasi solamente i batterî d'acetificazione rapida vanno diffondendosi nelle moderne aceterie industriali, perché consentono sia un lavoro più rapido, sia una produzione d'aceto a maggiore concentrazione di acido acetico (14-15%), sia l'acetificazione di miscele a forte tenore di alcool; sono assai meno esigenti in quanto ad alimentazione, e così il liquido da acetificare può contenere quantità assai minori di sostanze nutritive (prodotti azotati e sali minerali) che non occorrano per altri microrganismi. Si ritiene che tali batterî siano degli organismi acclimati a particolari condizioni di vita, giacché in generale questi germi dell'acetificazione posseggono un notevole potere di adattabilità, e cioè possono essere portati gradatamente a vivere in condizioni diverse. La tendenza moderna delle aceterie, come di altre industrie fermentative, è quella di lavorare con materie prime opportunamente sterilizzate, o rese inadatte allo sviluppo di germi nocivi e parassitarî, e di usufruire dei fermenti idonei, forniti per lo più da laboratorî specializzati, che offrono il vantaggio di un lavoro più regolare, oltre che di una maggiore resa.

Accennammo già che varî sono i liquidi i quali per fermentazione dànno aceto; da paese a paese, a seconda delle condizioni locali, delle abitudini e delle disposizioni legislative, si dà la preferenza a questo o a quello. Oltre al vino e al vinello, quest'ultimo talora corretto con alcool, si usano le birre, quasi sempre con aggiunte di alcool, il malto (molto in uso negli Stati Uniti e Gran Bretagna), le soluzioni di alcool, ottenute per fermentazione di sostanze amidacee e zuccherine (patate, grani, melassa di bietola o di canna: v. distillerie).

Come sono varie le materie prime che possono trasformarsi in aceto, così sono anche diversi i microrganismi che possono essere usati per l'acetificazione, e variano i dispositivi e gli artifizî chimici, fisici e meccanici usati nelle aceterie ad agevolare l'applicazione industriale di questo fenomeno.

Siccome l'aceto generalmente preferito è quello di vino, si cerca d'impartire anche agli altri aceti taluni suoi caratteri, ove disposizioni legislative non lo impediscano (p. es., in Italia non si possono colorire gli aceti di alcool, cioè quelli prodotti acetificando soluzioni acquose di alcool ottenuto dalla distillazione).

I metodi per la fabbricazione dell'aceto si distinguono in metodi casalinghi e metodi o processi industriali.

I metodi casalinghi sono quelli che si usano da epoca più remota; si lascia in recipienti acescenti il vino all'aria, a temperatura non inferiore ai 18-20° C. Oggi, come metodo casalingo, si usa la botte girevole. È questa una botte comune, di capacità di 25-30 litri, girevole intorno a un asse normiale alla sua lunghezza; porta nell'interno, normalmente alla lunghezza, due falsi fondi bucherellati, fra i quali sono posti trucioli di faggio e graspi d'uva. La botte si capovolge di tanto in tanto, in modo da fare sgocciolare il vino attraverso lo strato di trucioli o di graspi.

I due tipi di processi industriali più importanti sono l'orleanese e il processo tedesco o rapido. Nel secondo si usano specialmente colture pure.

Vecchio processo lento o di Orléans. - Questo sistema, che è tra i più antichi usati per una produzione a carattere non domestico, e che è ancora applicata ad Orléans (Francia), venne poi modificato da Pasteur (come diremo più avanti). Il locale è provvisto di stufa (fig. 2, X) e di scaffali, che portano per lo più 4 file di robuste botti di quercia, cerchiate di ferro, adibite alla fermentazione; ciascuna ha la capacità in generale di 230 litri e porta sulla parte superiore del fondo verticale anteriore, a poche dita dall'orlo, un foro di alcuni centimetri di diametro, che serve a introdurre il vino per mezzo di un imbuto, o a toglierne l'aceto per mezzo di un sifone, mentre per un piccolo foro posto vicino al precedente è consentito all'aria di entrare e uscire agevolmente.

Una botte nuova richiede 2-3 mesi prima di essere in fermentazione normale. Il metodo è il seguente: vi si mettono dapprima 100 litri di aceto del migliore, limpido e bollito, con 2 Iitri di vino; dopo una settimana si aggiungono ancora 3 litri di vino, e dopo 8 giorni altri 4-5 litri e così via col vino, fino ad avere nella botte 180-200 litri di liquido. Si possono allora levare 80-100 litri di aceto, e quindi si mettono 10 litri di vino; la settimana successiva si preleveranno 10 litri di aceto, e si continuerà così, se tutto va bene.

Le botti di fermentazione non solo vanno lavate con acqua, prima di essere usate, ma ogni 4-6 anni debbono essere smontate e liberate dalle ingrommature di tartaro, fecce e madre dell'aceto.

Pel processo lento si preferiscono vini intieri che abbiano circa 6 mesi e che contengano un 10% di alcool; se necessario, si fanno tagli adatti.

Il vino va chiarificato, lasciandolo stare per 2-3 giorni in un fusto speciale, che per un'aceteria di 250 botti di fermentazione avrà la capacità di 25-30 ettolitri. Tale fusto (R, al piano superiore in fig. 2) è pieno di trucioli di legno di faggio, sottili e lunghi; prima dell'uso debbono essere stati ben esauriti con acqna fredda e talora anche con aceto caldo. Il vino, dopo aver depositato tartaro e feccia sui trucioli, viene spillato dal fondo, e serve ad alimentare le botti di fermentazione, come dicemmo; l'aceto ottenuto viene pure chiarificato per mezzo di un tino (R' nel piano inferiore fig. 2) disposto analogamente con trucioli.

Per giudicare dell'andamento dell'acetificazione, si tuffa nel liquido un bastone di legno bianco curvo all'estremità: se esso ne esce coperto di schiuma biancastra, la fermentazione va normalmente, mentre va a rilento se la schiuma è rossastra, e allora si riattiva, aggiungendo dell'aceto forte, oppure elevando alquanto la temperatura del locale.

Modificazione del processo d'Orléans. - Quella proposta dal Pasteur ha interesse solo storico, non avendo avuto larga applicazione. Egli introdusse l'uso di vini sterilizzati per riscaldamento (cioè pastorizzati), di vasche di fermentazione piatte, coperte, onde il liquido presenti più ampia superficie all'aria che vi è ammessa da fori laterali e l'impiego di colture di Mycoderma vini da aggiungere al vino sterilizzato, facilitandone lo sviluppo per mezzo di sali nutritivi (fosfati).

Del processo di orléans si proposero e si attuarono in pratica varianti, alcune delle quali finiscono coll'essere invece dei processi rapidi. Il processo detto rapido o anche tedesco si potrebbe far derivare dal metodo di Boerhaave (1720-1730), che descriviamo per interesse storico, e perché ancora sarebbe applicato per uso quasi domestico in talune parti della Germania (Reno) e in forma modificata anche in Francia e in Olanda.

Attualmente si usano però due piccole botti comunicanti in basso fra loro per mezzo di tubo, e si opera a 25°-300 C.

"Si prendano due fusti di legno di quercia del solito tipo, vi si faccia in ciascuno una griglia di legno distante un piede dal fondo inferiore, vi si sovrapponga uno strato di sarmenti freschi, verdi, e poi strati di graspi senza acini, fino ad un piede dall'orlo superiore del vaso. Col vino da trasformare in aceto, si riempie interamente uno dei vasi e per metà l'altro, e quotidianamente si colma il mancante col liquido preso dall'altro; né quello pieno deve restare tale per più di 24 ore. Il secondo, il terzo o il quarto giorno s'inizia una fermentazione nel vaso scemo, con lieve riscaldamento che va crescendo sempre più, ma che viene soffocato e cessa poi nel vaso pieno.

Si continua tale lavoro fino a che anche nel vaso scemo si arresta il riscaldamento e si ha indizio che la fermentazione è perfetta. Durante l'estate, in Francia occorrono a ciò 15 giorni, di più d'inverno o con stagione temporalesca. Se la stagione o il luogo è troppo caldo, si deve riempire il vaso scemo ogni dodici ore; questo, durante l'operazione, va tenuto poi sempre coperto, perché non si disperda l'acido" (H. Boerhaave, Elementa Chemiae, II, Venezia 1737, pagina 116).

Processo rapido o tedesco. - Venne introdotto da Schützenbach nel 1827, ed ha per caratteristica un tipo speciale di tino, diviso in 3 zone da setti orizzontali. Quello inferiore (fig. 3, L) può essere anche una griglia che funziona da falso fondo; nella zona sottostante (E) si raccoglie l'aceto con molti detriti, e perciò vi è praticata una apertura di pulizia, mentre la sovrastante (K), che è di gran lunga la maggiore, forma la camera di fermentazione, ed è separata dalla superiore, o di alimentazione, da un disco munito di fori di 3-5 mm. di diametro, che serve a distribuire in fili sottili il liquido; perciò da ogni foro perde un tratto di funicella, oppure sopra il disco è fissata a sacco una tela non troppo fitta, che funziona anche da filtro e che va tenuta accuratamente pulita. Tubi e fori (O) praticati nella parete del tino poco sotto la griglia di fondo (L) dànno accesso all'aria, che può poi sfuggire in alto, pei tubi posti nel disco forellato (S) e poi per le aperture del coperchio.

La camera centrale (K) è riempita con materiale che offre grande superficie (per lo più trucioli di faggio). Si calcola che in un tino di 95 cm. di diametro interno uno strato di trucioli alto due metri offra una superficie di 560-700 mq. Su di esso strato scola, imbevendolo, vino o altro liquido alcoolico all'8-10% di alcool, addizionato con 1/6 di aceto di vino, che, ove occorra, può essere riscaldato fino a 38° C., e viene immesso sovra il disco distributore; avviata la fermentazione, la temperatura nell'apparecchio sale rapidamente e può essere controllata col termometro. Di solito essa è tenuta sui 37° C.; se supera i 40°, si abbassa, facendo arrivare maggior quantità di vino; questo, giunto in basso, si scarica pel sifone A, per essere ripassato 2-3 volte, eventualmente con aggiunte d'alcool, ancora nello stesso apparecchio, o meglio in altro uguale sottostante, a completare l'acetificazione.

Anche qui i trucioli di riempimento vanno preventivamente lavati, trattati con aceto caldo per 24 ore; se il liquido fermentescibile contiene solo 4% di alcool, in un solo passaggio l'acetificazione è completa.

Varî sono i criterî per la disposizione dei tini, per le aggiunte, ecc. La corrente d'aria, data la temperatura, asporta una parte dell'alcool, che va perduta, ove non si provveda a condensarla convenientemente. Con siffatto processo si ottiene aceto al 12-13% di acido, ma non oltre il 14% perché a tale concentrazione i fermenti sono uccisi o inattivi; la perdita dell'alcool, che può essere del 30-40% a operazione mal condotta, non dovrebbe superare il 10%.

Naturalmente, in un'aceteria ove sieno numerosi e grandi tini d'acetificazione rapida, la loro alimentazione (preparazione del vino da lavorare, sua distribuzione, ecc.) e il controllo del funzionamento, in base sia alla temperatura, sia all'analisi dei prodotti ottenuti, implicano un lavoro cospicuo. Varî sono gl'inconvenienti che si possono verificare, dovuti principalmente a fermentazioni anormali, sia per eccesso d'ossidazione, cosicché l'acido acetico è trasformato in acido carbonico, sia per difetto, per cui l'alcool diventa solo acetaldeide, che, come l'acido carbonico, non si può usare.

In generale, col controllo costante della temperatura e coll'esame dell'aceto prodotto, ciò si può rilevare fin dall'inizio, e quindi porvi rimedio, per lo più trattando l'apparecchio malato con buon aceto forte.

Varie altre sono le soluzioni proposte per ottenere la buona aerazione del liquido alcoolico. In Inghilterra si usa anche un tino a fermentazione rapida, nel quale l'aria entra, come il liquido, dalla parte superiore, ed è trascinata in basso per effetto di tiraggio artificiale, ottenuto con aspiratori a campana, tuffanti alternatamente in acqua; per giudicare dell'andamento del processo, qui serve l'esame approssimativo della composizione dell'aria (il tenore di ossigeno dev'essere insufficiente a mantenere la combustione di un filo di cotone).

In altri dispositivi invece si ha una colonna di telai orizzontali sovrapposti, racchiusi in un'alta cassa, per evitare disperdimento di vapori; sui telai, che portano griglie fittissime fatte con larghe lamine di legno messe verticalmente, scende ben disteso su ampia superficie il liquido da acetificare. Si calcola che un apparecchio di i mq. di sezione e di 2 m. d'altezza offra una superficie di 1000 metri quadrati.

Un'altra serie di dispositivi deriva dalla innovazione di Lacambre (1855), consistente in una botte attraversata per la sua lunghezza da un tubo di lamina forellata, riempita di trucioli e provvista all'interno di varie sporgenze longitudinali; facendo rotare più volte al giorno sul proprio asse la botte posta in piano (sul pavimento), il poco liquido che vi era contenuto si spargeva uniformemente sui trucioli, veniva in contatto con molta aria, e in 48 ore si trasformava in aceto. Dall'introduzione di organi meccanici per ottenere il movimento del recipiente, derivò il metodo lussemburghese, o meglio, di Michaelis, ulteriormente perfezionato da Agobet, e poi da Moncornet e Contassot, secondo il quale si hanno grandi botti (20-70 hl. ciascuna), disposte ad asse orizzontale, e che da dispositivi meccanici appropriati vengono fatte rotare sul proprio asse a bassa velocità, a dati intervalli, e sono provviste di comodi dispositivi di aerazione, nonché di carico e scarico, così da ridurre al minimo il lavoro manuale.

L'acetificazione è completa in 15 giorni, in ambiente a 28-30° C.: si ottengono rese in acido acetico del 92-95% rispetto all'alcool.

Questi grandi fusti sono riempiti pure di trucioli di faggio arricciati e, al solito, preventivamente lavati a caldo con acqua e poi aceto; ogni fusto comprende varie camere che comunicano tutte coll'esterno per mezzo di aperture praticate nel centro dei fondi.

Si acetifica prima la botte già piena di trucioli con aceto, facendole fare parecchi giri a intervalli regolari nella giornata; il giorno dopo s'introduce il liquido da acetificare (vino, birra, soluzione d'alcool preparata ad hoc); si dànno dapprima due giri al giorno, poi tre, poi quattro, poi cinque, di mano in mano che la temperatura del liquido sale a 28-30-34° C.

Altri dispositivi creano una specie di controcorrente fra l'aria e il liquido in fermentazione; ad es., in quello Villon il liquido è costretto a circolare in lunghi canali, pieni di materiale poroso (trucioli o carbone di legno), avvolti a spirale, che formano un grande tamburo rotante sul proprio asse disposto orizzontalmente. L'aria è forzata per aspirazione a percorrere la lunga intercapedine a spirale.

Un processo industriale italiano, che dà finezza di prodotto e relativa rapidità, è quello Mezzadroli. Il tino Mezzadroli è fatto a scompartimenti; il liquido scende dall'uno all'altro per mezzo di sifoni. Esso viene condotto nei tini, che possono essere anche in serie, per mezzo di condutture chiuse, in modo che si possono usare liquidi pastorizzati senza pericolo d'infezioni.

L'acetificazione del malto ha importanza prevalentemente per i paesi anglo-sassoni; in Inghilterra se ne occupa un numero limitato di ditte, e pare non dia, a giudizio del consumatore, risultato brillante. Comunemente si fa un'infusione di malto (orzo a incipiente germinazione), esaurendolo con acqua a 72° C., poi a temperatura più elevata, e quindi al bollore. Si raffreddano gli estratti e si fanno fermentare con lievito, così da trasformare gli zuccheri in alcool; il liquido è lasciato a sé per più mesi, prima di passarlo all'acetificazione, che può compiersi tanto col processo lento quanto col rapido.

L'aceto prodotto viene poi passato in un tino, provvisto di falso fondo, nel quale sono residui di legno da concia esauriti e vinacce di vinificazione (cioè raspo e bucce).

In Inghilterra l'aceto di malto si pone in commercio in concentrazioni indicate con 18-20-22-24; l'ultimo è detto proof, e contiene 6% di acido acetico.

L'aceto può essere infestato dalla cosiddetta anguillula (Anguillula aceti), o da moscerini, che depongono le loro uova sulla sua superficie.

L'aceto industriale, dopo la fabbricazione, viene chiarificato mediante il trattamento con latte scremato e bollito, con bianco d'uovo o sangue d'animali sani, gelatine, caseina o terra di Spagna.

Si usa anche colorare l'aceto. In Italia però è solo permessa la colorazione con enocianina, e per quei soli aceti che provengono dai vini da cui si è estratta la materia colorante. Si usa più spesso la decolorazione degli aceti rossi con carbone animale, e susseguente filtrazione.

Si preparano aceti aromatici per toletta e medicinali, mescolando aceto fino con profumi e droghe. Così si hanno: aceto all'acqua di Colonia, aceto di lavanda, aceto verginale per la toletta, e aceti medicinali, come l'aceto canforato, l'aceto dentifricio, ecc.

Per gli aceti commestibili esistono disposizioni di legge per la vendita, che garantiscono il consumatore dalle contraffazioni e sofisticazioni, potendo esse riuscire dannose anche per la salute.

È proibita la vendita di aceti ottenuti da vini corrotti, di aceti guasti e di quelli contenenti acidi liberi, come acido solforico, cloridrico, nitrico, ossalico, tartarico, oppure bisolfati, sostanze vegetali di sapore forte, come pepe di Spagna, zenzero, timo, aldeidi e sostanze empireumatiche, sale comune, composti metallici tossici.

È pure proibita la vendita di aceti ottenuti con la diluizione dell'acido acetico grezzo o puro.

Gli aceti di birra, sidro, alcool devono essere venduti con la rispettiva indicazione di aceto di birra, aceto di sidro, aceto di spirito.

Statistiche. - È difficile accertare in modo preciso quanta sia la produzione italiana di aceto dal vino, non essendo essa attuata che in piccola parte presso stabilimenti industriali, ma costituendo per lo più l'aceto quasi un sottoprodotto di lavorazioni enologiche, in gran parte a carattere casalingo.

La produzione italiana media annuale di aceto dal vino venne stimata nel 1918 a 70.000 hl.; ora (1928), si ritiene sia sui 250.000 hl. Poiché l'alcool è oggetto di monopolio statale in Italia e per l'industria dell'aceto esso è concesso a speciali condizioni di favore, riesce invece facile avere dati precisi sul consumo di tale materia prima, e quindi sulle quantità di aceto così prodotto, supponendolo al 4% di acido acetico. La media annuale pel triennio 1925-27 si calcola così di 155.265 hl. di aceto, ottenuti da 7.931 ettanidri di alcool (v. acetico, acido).

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