Accusativo con l'infinito

Enciclopedia dell'Italiano (2010)

accusativo con l’infinito

Verner Egerland

L’espressione accusativo con l’infinito si riferisce propriamente a una costruzione della grammatica latina classica in cui un verbo di dire (o di pensare, giudicare, sentire, ecc.) regge una proposizione infinitiva (➔ infinitive, frasi) il cui soggetto è all’accusativo:

(1) censeo Carthaginem esse delendam (lett. «penso Cartagine essere da distruggere»)

In questa frase, Carthaginem è oggetto sintattico del verbo censeo e al contempo soggetto dell’infinito che segue (esse). L’accusativo con infinito è sostituito, nella grammatica romanza, dalla frase subordinata finita: penso che Cartagine sia da distruggere.

La costruzione latina sopravvive però nelle lingue romanze, in primo luogo in frasi dipendenti da verbi di percezione (sento qualcuno cantare; ➔ infinito). Nelle fasi antiche di queste lingue, nondimeno, la costruzione ha una più vasta latitudine di uso. Nell’italiano del Duecento, l’accusativo con l’infinito, fenomeno non particolarmente diffuso, è documentato in larga parte da testi tradotti, o volgarizzati, dal latino:

(2) non pertanto pensò una cosa di cotanto fatto non essere da abbandonare (Paolo Orosio, Delle Storie VI, 7, 368).

Dall’inizio del Trecento, in particolare dal Convivio di Dante, la costruzione si diffonde nella prosa volgare, per poi diventare relativamente frequente nei secoli seguenti. Tale estensione è da ascriversi all’imitazione consapevole dei modelli latini (tra gli altri, Migliorini 1960, Segre 1963). Nell’italiano medievale e rinascimentale, l’accusativo con l’infinito è attestato in particolare in frasi dipendenti da alcune categorie di verbi. Tra queste, le principali sono:

(a) i verba dicendi, cioè i verbi che esprimono ciò che viene detto, riferito o dimostrato, come dire, affermare, (ap)provare, confessare, manifestare, persuadere (➔ verba dicendi):

(3) e però chi biasima se medesimo apruova sé conoscere lo suo difetto, apruova sé non essere buono (Dante, Conv. I, 2, 6)

(4) si concede da lunga usanza che uomo parli di sé, sì come detto è di sopra, e possa dire sé essere e fedele e leale (Dante, Conv. I, 12, 11)

(5) E sedendo Costanzio con lei, la cominciò a riguardare pieno di maraviglia, seco affermando mai sì bella cosa non aver veduta (Boccaccio, Dec. II, 7, 67)

(6) Confessò Bernabò così essere fatta la camera come diceva e oltre a ciò sé riconoscere quelle cose veramente della sua donna essere state (Boccaccio, Dec. II, 9, 31)

(7) lui a un tratto si rizzò, dicendo quelle essere cose da parlarne in loco piú secreto (Niccolò Machiavelli, Il Principe VIII, 44)

(8) Poteva la donna persuadere al signor Ardizzino questa sua favola esser vera (Matteo Bandello, Novelle, 116);

(b) i verba sentiendi, cioè i verbi di percezione (come sentire, udire, vedere) e quelli che esprimono giudizio (avvisare, concludere, giudicare, stimare), opinione, convinzione o conoscenza (conoscere, credere, pensare, porre nel senso di «ritenere»):

(9) e però appare ch’io ponga lui essere uomo (Dante, Vita nuova XXV, 2)

(10) Ultimamente conchiudo, per virtù di quello che detto è di sopra, l’animo diritto non mutarsi per loro transmutazione [delle ricchezze] (Dante, Conv. IV, 10, 8)

(11) essendo essi non guari sopra Maiolica, sentirono la nave sdruscire (Boccaccio, Dec. II, 7, 11 / 153)

(12) tutti si gittarono, e credendosi la morte fuggire in quella incapparono (Boccaccio, Dec. II, 7, 12 / 153)

(13) E avendo molte volte udita la donna di maravigliosa bellezza comendare, disideraron di vederla (Boccaccio, Dec. II, 7, 66 / 163)

(14) Questo udendo Currado avvisò lui dovere esser desso (Boccaccio, Dec. II, 6, 48 / 143)

(15) perché le sono in modo fortificate, che ciascuno pensa la espugnazione di esse dovere esser tediosa e difficile (Machiavelli, Il Principe X, 52)

(16) Intendendo cotesto matrimonio la vedova de li Donati, veggendo il suo disegno non le esser riuscito, si trovò di malissima voglia (Bandello, Novelle, 94)

(17) Ella sapendo don Pietro esser preso, avendo spazio di poter fuggire, non so perché se ne restò (Bandello, Novelle, 118)

(18) Egli, che più non aveva amato donna di conto, stimando questa esser una de le prime di Milano, miseramente per amor di lei si struggeva (Bandello, Novelle, 117)

(19) Di poi iudicò el duca non essere necessario sí eccessiva autorità (Machiavelli, Il Principe VII, 35)

(20) E, perché conosceva le rigorosità passate averli generato qualche odio (Machiavelli, Il Principe VII, 35);

(c) i verba voluntatis, in particolare desiderare e volere:

(21) desiderando la sua perfezione, desiderrebbe la sua imperfezione; imperò che desiderrebbe sé sempre desiderare e non compiere mai suo desiderio (Dante, Conv. III, 15, 9)

(22) E però l’uomo di diritto appetito e di vera conoscenza quelle [le ricchezze] mai non ama, e non amandole, mai non si unisce ad esse, ma quelle sempre di lungi da sé essere vuole (Dante, Conv. IV, 13, 15);

(d) i verba permittendi e impediendi:

(23) Come la dea Juno, per impedire Enea pervenire in Italia, il congiunse con Dido (Andrea Lancia, Eneide volg. IV, 233)

(24) sostieni che ’l corpo mio sia coperto di terra, e permetti me essere partefice del sepolcro del figliuolo (Andrea Lancia, Eneide volg. X, 630)

(25) O grandi abitator del cielo, io avea vietato Italia scontrarsi co’ Trojani in battaglia: qual discordia è contra ’l vietamento? (Andrea Lancia, Eneide volg. X, 625).

Inoltre, l’accusativo con l’infinito si trova in dipendenza da verbi quali procacciare (26, «fare in modo da, cercare di») e trovare, sia nel senso letterale (27) sia in quello esteso di «scoprire» (28):

(26) Se buon pregio vole aver Notaro, / in leal fama procacci sé vivere (Dino Compagni, Rime, vv. 106-107)

(27) trovò Masetto, il quale di poca fatica il dì per lo troppo cavalcar della notte aveva assai, tutto disteso all’ombra d’un mandorlo dormirsi (Boccaccio, Dec. III, 1, 34)

(28) e trovando per assai manifesti indizii lui veramente esser Giuffredi figliuolo d’Arrighetto Capece, gli disse ... (Boccaccio, Dec. II, 6, 48).

Si possono aggiungere i casi in cui la proposizione infinitiva è retta da un’espressione impersonale, come è impossibile (29), o passiva, come è provato (30), e si concede (31):

(29) E sì come dice lo Filosofo nel sesto dell’Etica, «impossibile è essere savio chi non è buono» (Dante, Conv. IV, 27, 5)

(30) e per lui [Aristotele] quivi è provato, questo mondo, cioè la terra, stare in sé stabile e fissa in sempiterno (Dante, Conv. III, 5, 7)

(31) Non si concede per li rettorici alcuno di se medesimo sanza necessaria cagione parlare (Dante, Conv. I, 2, 3).

È da notare, tuttavia, come queste costruzioni divergano dall’accusativo con l’infinito in senso stretto. Visto che la predicazione della reggente è passiva in (30) e (31), gli argomenti questo mondo e alcuno non possono essere interpretati come oggetti sintattici.

I verbi che nell’italiano odierno reggono l’accusativo con l’infinito sono i verbi di percezione. I verba dicendi possono reggere una frase infinitiva con soggetto, ma tale costruzione differisce dall’accusativo con l’infinito per due punti cruciali:

(a) il soggetto è realizzato in forma nominativa:

(32) Ci sono quattro funzionari della polizia che affermano essere io responsabile di tutto il male che è successo in Italia nel 1926, anche del cattivo raccolto (Gramsci 1965: 90).

Nell’esempio non sarebbe ammissibile la forma accusativa del pronome (* affermano essere me responsabile).

(b) Il soggetto della frase infinitiva può solo stardopo l’infinito: è inammissibile l’ordine * affermano io essere responsabile. Se ne deduce che quanto esemplificato in (32) non è la continuazione diretta dell’accusativo con l’infinito latino, ma è il risultato di uno sviluppo italiano indipendente. La costruzione in questione, del resto, non è una innovazione recente in italiano, ma è attestata già nel Duecento:

(33) Poi mi parve vedere a poco a poco

turbar [oscurarsi] lo sole e apparir la stella,

e pianger elli ed ella

(Dante, Vita nuova XXIII, 24, 49-51)

Nell’esempio (33), il soggetto pronominale di piangere non può essere considerato oggetto diretto del verbo reggente, dato che compare in forma nominativa (elli ed ella) anziché in forma accusativa. Pertanto (33) è strutturalmente simile all’esempio (32) e diverso dall’accusativo con l’infinito come sopra illustrato.

Fonti

Alighieri, Dante (1932), Vita nuova, a cura di M. Barbi, Firenze, Bemporad.

Alighieri, Dante (1995), Convivio, a cura di F. Brambilla Ageno, Firenze, Le Lettere, 3 voll.

Bandello, Matteo (1990), Novelle, introduzione di L. Russo, note di E. Mazzali, Milano, Rizzoli.

Boccaccio, Giovanni (1985), Decameron, a cura di V. Branca, Milano, Mondadori.

Compagni, Dino (1879), Rime, in Dino Compagni e la sua Cronica, a cura di I. Del Lungo, Firenze, Le Monnier, 3 voll., vol. 1°.

Gramsci, Antonio (1965), Lettere dal carcere, a cura di S. Caprioglio & E. Fubini, Torino, Einaudi.

Lancia, Andrea (1851), Eneide volgarizzata. Compilazione della Eneide di Virgilio fatta volgare per Ser Andrea Lancia notaro fiorentino, a cura di P. Fanfani, «l’Etruria. Studi di filologia, di letteratura, di pubblica istruzione e di belle arti» 1, pp. 162-188, 221-252, 296-318, 497-508, 625-632, 745-760.

Machiavelli, Niccolò (1961), Il Principe, a cura di L. Firpo, introduzione e note di F. Chabod, Einaudi.

Paolo Orosio (1849), Delle Storie contra i Pagani libri VII, volgarizzamento di Bono Giamboni, con note di Francesco Tassi, Firenze, T. Baracchi.

Studi

Migliorini, Bruno (1960), Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni.

Segre, Cesare (1963), Lingua, stile e società, Milano, Feltrinelli.

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