Accumulatore

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Apparecchio che serve ad accumulare energia e a renderla disponibile per l’utilizzazione.

A. elettrico o pila (chimica) secondaria

Apparecchio capace di immagazzinare, sotto forma di energia chimica, l’energia di una corrente elettrica continua che viene fatta passare in esso (processo di carica) e di restituirla poi, più o meno completamente, a un circuito esterno connesso ai suoi morsetti (processo di scarica).

Funzionamento. Si tratta sostanzialmente di una cella elettrolitica, i cui elettrodi (detti piastre dell’a.) con l’elettrolito sono tali da dare luogo, al passaggio della corrente di carica, a reazioni secondarie tra i prodotti dell’elettrolisi e gli elettrodi, la cui natura viene modificata; l’energica polarizzazione elettrolitica causata da tali modificazioni si manifesta in una forza elettromotrice, in virtù della quale la cella diviene atta a erogare correnti all’esterno, diviene cioè una pila (➔). Durante la scarica, la corrente, che scorre nella cella in verso opposto a quello in cui scorre durante la carica, provoca reazioni opposte a quelle verificatesi durante la carica, per cui si ripristina la primitiva natura degli elettrodi: terminato il processo di scarica, l’a. è pronto per subire una nuova carica.

Caratteristiche. Principali caratteristiche di un a. sono: la tensione di scarica, tensione ai morsetti dell’a. durante la scarica; la tensione di carica, quella da applicare ai morsetti durante la carica (dipende, come la precedente, dall’intensità della corrente); la capacità, quantità di elettricità che l’a. può erogare durante la scarica (di solito espressa in amperora, Ah); la capacità specifica, rapporto tra la capacità e la massa dell’a. (di solito espresso in Ah/kg); il rendimento in quantità (o amperometrico), rapporto tra la quantità di elettricità erogata nella scarica e quella assorbita nella carica; il rendimento in energia, rapporto tra l’energia della corrente di scarica e quella della corrente di carica; la robustezza elettrica, cioè la capacità di essere scaricato e caricato moltissime volte con buon rendimento senza richiedere una manutenzione particolare; la robustezza meccanica.

fig. 1

Tipi principali. L’a. (acido) al piombo è il più antico (1860) ma ancora il più diffuso (fig. 1). L’elettrolito è una soluzione diluita di acido solforico in acqua distillata (densità tra 1,15 e 1,28; aumenta durante la carica); le piastre positive ad a. carico sono costituite da biossido di piombo (o meglio da una soluzione solida di PbO2 in Pb, che si potrebbe rappresentare con la formula PbOx, con x compreso tra 1,66 e 2,1 circa), quelle negative da piombo spugnoso. La reazione reversibile che avviene durante il processo di carica-scarica può essere sintetizzata nella formula:

PbO2 + Pb + 2H2SO 4 ⇆ 2PbSO 4 + + 2H2O

Durante la scarica si forma solfato di piombo (PbSO4) sulle lastre e l’elettrolito diminuisce di densità. Negli a. moderni gli elettrodi sono costituiti da grate variamente conformate, nei cui vani viene compressa la materia attiva, formata da una miscela di ossidi e sali di piombo ( piastre Faure o a ossidi riportati). I recipienti possono essere di vetro, di resine sintetiche, di ebanite o di legno foderato di piombo; i distanziatori, di legno, di materia plastica, di vetro o di ebanite. In un elemento al piombo la tensione di carica varia da 2 a 2,7 V circa; quella di scarica da 2 a 1,8 V circa; quando il valore della tensione si abbassa sotto tale limite, l’a. si deve considerare scaricato. La capacità specifica che, come la capacità, dipende dal regime di scarica, va da 5 a 1 Ah/kg a seconda del tipo. Il rendimento in quantità è dell’ordine del 95%, quello in energia è del 75-85%. Gli a. a piombo perdono lentamente la carica (in ragione dell’1% circa al giorno). Se restano inattivi, quindi, gli a. al piombo debbono essere periodicamente ricaricati e, inoltre, si deve rabboccare l’elettrolito con acqua distillata per sopperire alle perdite per evaporazione, mantenendo il livello del liquido poco al di sopra delle piastre e dei separatori (l’acido solforico non si consuma mai, a meno di perdite del contenitore). I più moderni a. al piombo hanno registrato progressi nelle prestazioni, grazie soprattutto alla manutenzione ridotta e all’eliminazione dell’integrazione di acqua: un particolare sistema consente di effettuare la ricombinazione dell’ossigeno e dell’idrogeno che si sviluppano durante la fase di carica (accumulatori a ricombinazione di gas, detti impropriamente sigillati, in quanto sono chiusi con una valvola di sicurezza). In un tipo molto diffuso l’elettrolita è gelificato, con evidenti vantaggi di sicurezza.

fig. 2

Negli a. al nichel il materiale attivo della piastra positiva è costituito da idrossido di nichel, mentre la piastra negativa può essere costituita o da ferro finemente suddiviso ( a. al ferro-nichel, ideato da T. Edison) o da un miscuglio in polvere di ferro e cadmio ( a. al cadmio-nichel; fig. 2). L’elettrolito è costituito da una soluzione acquosa di idrossido di potassio al 21%, tale cioè da presentare la massima conducibilità elettrica. L’a. al ferro-nichel lasciato a sé perde circa il 10% della sua carica nelle prime 24 ore ed è questa una delle ragioni per le quali ha un valore più che altro storico. Il tipo al cadmio-nichel invece è di uso assai ridotto a causa del costo elevato (da 3 a 10 volte maggiore di quello al piombo).

Gli a. al nichel-idruro metallico, sviluppati anche per sostituire quelli al nichel-cadmio in conseguenza dei problemi ecologici provocati dal cadmio, sono tra quelli più interessanti sul piano industriale: hanno come elettrodo positivo il nichel, come elettrolita una soluzione acquosa di idrato di potassio e come elettrodo negativo particolari leghe metalliche (a base di titanio, zirconio, vanadio, cromo, nichel) che fissano idrogeno sotto forma di idruri nel reticolo cristallino

Gli a. zinco-argento, metallo-aria, zinco-bromo impiegano come elettrodo negativo lo zinco, metallo discretamente abbondante in natura, facilmente lavorabile e con un valore negativo abbastanza elevato del potenziale normale di ossidoriduzione (−0,76 V a 25 °C); ha inoltre un coefficiente di utilizzazione molto vicino all’unità, che gli permette di reagire quasi integralmente durante il processo elettrochimico.

Gli a. in solventi non acquosi, particolarmente validi sia per il ridotto impatto ambientale allo smaltimento sia perché capaci di fornire valori di energia per unità di volume superiori a quelli dei sistemi tradizionali, utilizzano soluzioni costituite da sali di litio in solventi organici: per l’elettrolita e per gli elettrodi si utilizzano materiali polimerici sotto forma di membrane sottili e flessibili (combinazioni di polimeri a basso costo e sali di litio). È così possibile realizzare a. a strato sottile ponendo in sequenza una lamina di litio (elettrodo negativo), una membrana elettrolitica polimerica e ancora una membrana polimerica formata dalla miscela tra il materiale attivo degli elettrodi e lo stesso polimero che costituisce parte dell’elettrolita, mentre l’elettrodo positivo è costituito da composti metallici, tra cui il V6O13.

A. di energia a superconduzione

Sistema complesso che sfrutta le proprietà dei materiali superconduttori per accumulare elevate densità di energia elettrica (fino a diversi milioni di joule per dm3), liberata utilizzando particolari commutatori che consentono di ottenere potenze istantanee elevatissime. Gli a. di energia a superconduzione vengono studiati e usati in connessione alle ricerche di fisica del plasma.

A. idraulico

Apparecchio capace di accumulare una certa quantità di liquido in pressione, destinato ad azionare macchine (comunemente torchi, presse, apparecchi di sollevamento e, in genere, apparecchi idraulici) oppure dispositivi di comando (scambi e segnali ferroviari ecc.). Il liquido in pressione può essere acqua, olio o miscela non congelabile (quest’ultima di norma impiegata per gli impianti ferroviari). L’a. assolve la funzione di mantenere costante la pressione all’interno dei condotti di distribuzione e di sopperire anche alle mutevoli richieste di fluido motore.

A. termico

Apparecchio termico capace di accumulare una certa quantità di energia termica, per innalzamento della temperatura di una massa di sostanza di elevata capacità termica, comunemente acqua, ma anche sabbia o altro materiale, opportunamente isolata per minimizzare le dispersioni termiche verso l’esterno. In impianti di produzione di vapore tale sostanza è sempre acqua, il cui riscaldamento può essere effettuato mediante serpentini percorsi dal vapore; l’acqua calda immagazzinata nell’a. può essere utilizzata in servizi ausiliari (per es., riscaldamento di locali), ma più generalmente per l’alimentazione delle caldaie, nei periodi di massima richiesta.

A. di vapore

fig. 3

Apparecchio termico in uso nelle industrie i cui impianti consumino quantità di vapore assai variabili nelle diverse ore della giornata. Per evitare l’installazione di grossi generatori di vapore, che funzionerebbero a carico ridotto per molte ore del giorno, si installano gruppi aventi una produzione di vapore, a regime, eguale alla media richiesta. L’a. (a nella fig. 3) è un recipiente di grande capacità, isolato per limitare le dispersioni termiche e contenente circa l’85% d’acqua. Nel tipo a caduta di pressione (adatto per basse pressioni, fino a circa 20 bar) il vapore giunge dalla caldaia b all’a., gorgoglia attraverso l’acqua e in gran parte si condensa riscaldando l’acqua stessa e facendo così aumentare la pressione; quando questa ha raggiunto il valore regnante in caldaia, l’a. è carico. Se s’immette ora il vapore dell’a. negli apparecchi d’utilizzazione (per es., nelle turbine c e quindi nel condensatore d) la pressione nell’a. medesimo diminuisce e l’acqua ivi contenuta viene a trovarsi surriscaldata; si produce nuovo vapore, mentre l’acqua gradatamente diminuisce di temperatura. Allorché la pressione si è abbassata al di sotto di un certo limite ricomincia la carica a spese della caldaia, e così di seguito.

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