ACCIAIO

Enciclopedia Italiana (1929)

ACCIAIO

Iginio MUSATTI
Nicola PALOPOLI
Nicola PARRAVANO
Filippo ROSSI

(dal tardo lat. aciarium, cfr. acies ferri "tempratura"; fr. acier; sp. acero; ted. Stahl; ingl. steel).

Definizione e classificazione. - I prodotti ferrosi commerciali contengono quantità più o meno grandi di varî elementi, le quali in parte derivano dai materiali di partenza adoperati per la fabbricazione, e in parte vengono intenzionalmente aggiunte per impartire a questi prodotti determinate proprietà. Al primo gruppo appartengono il carbonio, il fosforo, lo zolfo, l'arsenico, il rame, il silicio e il manganese, al secondo il nichel, il cromo, il tungsteno, il molibdeno, il vanadio, il titanio, il cobalto e l'alluminio.

La classificazione dei prodotti ferrosi commerciali è basata anzitutto sul tenore di carbonio. Tutti i prodotti con un tenore di carbonio dell'1,8 - 2%, hanno la proqrietà di poter essere foggiati e saldati a caldo; perciò tutte le varietà di ferro tecnico con meno dell'1,8 -2% di carbonio si chiamano ferro fucinabile. Le varietà con un tenore di carbonio superiore non sono più fucinabili e si chiamano ghise. Una netta separazione tra i due gruppi naturalmente non è possibile, poiché la fucinabilità da un lato diminuisce gradualmente con l'aumentare del tenore di carbonio, e dall'altro viene influenzata dalla presenza di altri elementi estranei.

La suddivisione dei prodotti fucinabili in ferri ed acciai è basata in genere o sul metodo di fabbricazione, a seconda che si ottengano allo stato fuso (acciaio) o allo stato pastoso (ferro saldato), o sulle proprietà predominanti nel prodotto commerciale. Le varietà di ferro fucinabile più dure e più fragili e suscettibili di prender tempra si chiamano acciai, mentre le varietà più dolci e tenaci che prendono assai poco la tempra si chiamano ferri. Ma poiché questi caratteri variano continuamente con l'aumentare del tenore di carbonio, una suddivisione fondata su queste proprietà è arbitraria.

Sebbene la classificazione basata sul metodo di fabbricazione (allo stato fuso o allo stato pastoso) non sia del tutto soddisfacente, essa corrisponde forse meglio alle esigenze della pratica e si va sempre più diffondendo da noi: così la denominazione di ferro omogeneo va sempre più cedendo il posto a quella di acciaio extra-dolce.

Esiste inoltre tutta una serie di getti di ghisa che possono essere convertiti, mediante opportuno trattamento di ricottura, o di ricottura e decarburazione, in prodotti che sono sino ad un certo limite malleabili (ghisa malleabile) e che partecipano delle proprietà del ferro e dell'acciaio. Ma poiché questi prodotti non sono congenitalmente malleabili, e divengono tali solo in seguito a un determinato trattamento a caldo che ne muta sostanzialmente la struttura, e siccome inoltre la malleabilità viene perduta a caldo, perché la grafite si ricombina col ferro per formare cementite, mentre per l'acciaio la malleabilità aumenta con la temperatura, questa categoria di prodotti può essere differenziata nettamente dal ferro fucinabile. Essi pertanto non costituiscono una eccezione alla classifica dei prodotti siderurgici nelle due grandi categorie di ferro fucinabile e ghisa.

Un'altra classe di prodotti importantissimi è quella degli acciai speciali.

Riportiamo nella tab. prec. la classificazione dei prodotti siderurgici che oggi sembra rispondere meglio alle esigenze della pratica.

Il ferro fucinabile fabbricato per fusione viene colato in lingotti, che sono poi lavorati per laminazione, fucinatura o pressatura. Il ferro viene anche spesso utilizzato per farne getti, e cioè si cola direttamente in forme determinate, che le ulteriori lavorazioni e manipolazioni non modificano più sostanzialmente. I lingotti sono prima trasformati in prodotti semilavorati, come blooms, pouirelles, piatti, tondi, ecc., che poi servono per preparare prodotti finiti. Questi si classificano secondo lo scopo (per costruzioni ferroviarie o civili, per lamiere, per fili, tubi, ecc.).

Proprietà e forme allotropiche del ferro. - Il ferro puro fonde a 1528°. Se si determinano le curve di riscaldamento e di raffreddamento del ferro puro, vi si notano delle anomalie: e precisamente, nella curva di raffreddamento alle temperature di 1401°, 898° e 768°, nella curva di riscaldamento, a 768°, 906° e 1401° (fig.1). Queste anomalie denotano la presenza di quattro modificazioni del ferro, che sono state designate con δ, γ, β ed α.

L'esistenza di queste quattro modificazioni è compresa tra le seguenti temperature:

Le trasformazioni che hanno luogo al raffreddamento si designano rispettivamente con Ar4 (1401°), Ar3 (898°), Ar2 (768°), quelle che han luogo al riscaldamento con Ac4 (1401°), Ac3 (906°), Ac2 (768°): esse si chiamano punti critici o punti di trasformazione del ferro.

Come si rileva dal diagramma della fig. 1, la trasformazione Ar3 è alquanto ritardata rispetto ad Ac3. questo ritardo, chiamato isteresi, dipende essenzialmente dalla velocità di raffreddamento ed è più o meno accentuato a seconda che questa è maggiore o minore.

Mentre generalmente si ammette che le trasformazioni A4 ed A3 siano dovute a modificazioni allotropiche del ferro, si ritiene oggi che, in corrispondenza di A2, non si abbia una trasformazione allotropica, ma una trasformazione magnetica, poiché in A2 il ferro perde la massima parte del suo magnetismo. Si è osservato, infatti, che nelle curve che rappresentano la variazione di alcune proprietà fisiche con la temperatura (coefficienti di dilatazione, perdita di magnetismo, calore specifico, forza elettromotrice di contatto, ecc.), manca in generale, in corrispondenza di A2, il carattere di discontinuità che si riscontra in A3 ed A4, e che dovrebhe caratterizzare le trasformazioni allotropiche delle sostanze cristalline (Le Chatelier, in Rev. de Métallurgie, 1904, p. 214). Queste anomalie sarebbero in relazione con la perdita di magnetismo, e non con un mutamento di forma allotropica.

L'applicazione dei raggi Röntgen alla metallografia ha recato recentemente una nuova conferma a questo modo di vedere. Westgreen e Lindh (in Phys. Chemie, 1921, pp. 98 e 181) e Westgreen e Phragmén (ib., 1922, pp. 102 e 562) hanno potuto con questo mezzo dimostrare che il reticolo cristallino del ferro α e del ferro β identico (cubo a corpo centrato), mentre il reticolo cristallino del ferro γ è diverso (cubo a facce centrate); nella trasformazione del ferro γ in ferro δ, il reticolo cristallino, dalla forma di cubo a facce centrate, passerebbe nuovamente alla forma di cubo a corpo centrato.

Poiché il reticolo cristallino a facce centrate contiene un maggior numero di atomi del reticolo a corpo centrato, ciò spiega perché la trasformazione α (β) → γ si compie con forte diminuzione di volume.

Alle figg. 2 e 3 è rappresentata la struttura del ferro puro ricotto (ferro a). Esso ha l'aspetto di poligoni irregolari, alcuni chiari, altri scuri, che si designano metallograficamente con il nome di ferrite. La diversa colorazione dei grani cristallini della ferrite è dovuta al fatto che gli elementi cristallini, di cui ciascun grano è costituito, sono orientati in modo diverso da grano a grano, e perciò non sono attaccabili dai reattivi metallografici in uguale misura e riflettono la luce incidente con intensità diversa gli uni dagli altri.

Il ferro γ ed il ferro γ puri non hanno tendenza a sottoraffreddarsi, e non si è riusciti ad ottenerli per tempra allo stato metastabile alla temperatura ordinaria.

Diagramma di equilibrio delle leghe ferro-carbonio. - Il sistema ferro-carburo di ferro (ferro fucinabile e ghisa bianca). - Il carbonio si presenta nei prodotti ferrosi in parecchie forme. Nel ferro fucinabile e nella ghisa bianca è praticamente importante solo il carburo di ferro Fe3C che contiene il 6,67% di carbonio, mentre, nelle altre specie di ghisa, oltre il carburo di ferro, si deve prendere in considerazione anche il carbonio elementare.

Consideriamo il caso in cui si abbia solo carburo di ferro, mentre il caso in cui sia presente anche carbonio elementare è trattato alla voce ghisa.

Il diagramma di equilibrio è rappresentato dalla fig. 4. La parte del diagramma che si riferisce ai fenomeni di solidificazione consta delle seguenti curve:

La concentrazione dei punti più importanti indicati è la seguente:

Le temperature più salienti sono:

Le leghe solidificate si suddividono in:

I primi tre gruppi costituiscono l'insieme delle varietà di ferro fucinabile. I gruppi 4 e 5 costituiscono la ghisa bianca. Il gruppo 4 si potrebbe anche comprendere nel gruppo 5 come ghisa ipoeutectica. La ghisa con il 4,3% di carbonio sarebbe la ghisa eutectica.

I fenomeni che avvengono nel raffreddamento delle leghe ferrocarbonio vengono individuati dalle curve NH, NJ, GOS, SE, MO e PSK. Le curve NH ed NJ si riuniscono a 1401° in cui ha luogo la trasformazione δ → γ, che, con l'aumentare del tenore di carbonio si innalza, e avviene, come nel caso della formazione dei cristalli misti, in un intervallo di temperatura (Ruer e Klesper, in Ferrum, 1913-14, p. 252). NH è la curva dell'inizio della trasformazione, NJ della fine della trasformazione dei cristalli misti δ in γ. Poiché soltanto nei gruppi 1 e 2 sono contenuti ì cristalli misti γ, la trasformazione avviene solo per leghe sino al 0,18% di carbonio.

L'esistenza delle curve GOS, SE, MO e PSK si deve al fatto che il ferro β ed α, contrariamente al ferro γ, non sono capaci praticamente di sciogliere carbonio.

Il loro significato è il seguente:

GO: curva di equilibrio del ferro β e dei cristalli misti γ; i punti di arresto corrispondenti si designano con A3.

MO: linea di equilibrio ferro β e ferro α; i punti di arresto corrispondenti si designano con A2.

OS: curva dell'inizio della separazione del ferro α dai cristalli misti γ; i punti di arresto corrispondenti si designano con A3,2 (o anche A3).

ES: curva dell'inizio della separazione del carburo di ferro dai cristalli misti γ o anche linea di solubilità del carburo di ferro nel ferro γ, spesso designata con Acm.

PSK: separazione contemporanea (eutectico) di ferro α e carburo di ferro dai cristalli misti; il punto corrispondente è detto A1.

Le concentrazioni dei punti singolari sono:

Le temperature critiche di questa parte del diagramma sono:

Le leghe raffreddate si possono suddividere nei seguenti gruppi:

I due primi gruppi rappresentano il ferro fucinabile. Il gruppo A si può chiamare acciaio ipoeutectoide, il B acciaio ipereutectoide. La lega con il 0,9°6 di carbonio è l'acciaio eutectoide (perlitico).

Il carburo di ferro può perciò presentarsi in quattro diverse forme, a seconda del tenore di carbonio della lega:

1. come carburo di ferro eutectoide che si separa lungo la linea P S K;

2. come carburo secondario o proeutectoide che si separa lungo la linea ES;

3. come carburo eutectico che si separa dal liquidus lungo ECF;

4. come carburo primario, o proeutectico, che si separa dal liquidus lungo CD.

Il diagramma della fig. 4 individua i seguenti campi di esistenza: I. liquidus; II. soluzione solida δ + liquidus; III. soluzione solida γ + liquidus; IV. carburo di ferro + liquidus; V. soluzione solida γ; VI. soluzioni solide δ + γ; VII. soluzione solida γ; VIII. soluzione solida γ + ferro γ + ferro β; IX. soluzione solida γ + ferro α; X. soluzione solida γ carburo di ferro; XI. ferro α + carburo di ferro.

I costituenti strutturali. - Poiché la soluzione solida γ del campo VII si decompone in ferro α e carburo di ferro, nelle leghe lentamente raffreddate non sono presenti i costituenti della soluzione solida, ma i prodotti della sua decomposizione, ferro α e carburo, gli uni accanto agli altri. La lega con il 0,9% di carbonio consta del solo eutectoide: ferro α e carburo di ferro. Col variare del carbonio da 0 a 0,9, la quantità di eutectoide varia pertanto da 0 a 100, e quella di ferro α varia in senso inverso. Le leghe con più del 0,9% di carbonio contengono, accanto all'eutectoide, carburo di ferro, e in quantità tanto maggiore, quanto più elevato è il tenore di carbonio. Ma poiché la quantità di carburo è del 100% per un contenuto di carbonio del 6,67%, l'aumento di carburo nelle leghe fucinabili (0,9 − 1,7% di carbonio) è relativamente lento con l'aumentare del tenore di carbonio. Corrispondentemente, anche la quantità di eutectoide diminuisce lentamente.

Le figg. 5 ÷ 13 riproducono i costituenti strutturali di leghe ferro-carbonio fucinabili.

La fig. 5 rappresenta una lega con 0,11% di carbonio; nella microfotografia si riconoscono, accanto ai poligoni irregolari della ferrite, isole scure dell'eutectoide (ferro e carburo di ferro), che, per il suo splendore perlaceo dopo attacco, vien chiamato perlite. Che la perlite sia formata da due costituenti lo dimostra la fig. 6, in cui sono visibili due costituenti stratificati, i quali hanno, rispetto ai reattivi di attacco, una solubilità differente; perciò l'uno di essi è in rilievo e alla luce incidente acquista una colorazione bruna (carburo di ferro).

La fig. 7 rappresenta una lega con il 0,24% di carbonio. La quantità di perlite, che, per piccoli ingrandimenti, si presenta come un costituente colorato, è maggiore per rapporto alla quantità che si osserva alla fig. 5. A 0,48% di carbonio (fig. 8) si osserva un ulteriore aumento della quantità di perlite. Ma, mentre le isole di perlite erano prima disposte tra i grani della ferrite, la ferrite si presenta qui in forma di reticolo, o di costituente cellulare. La fig. 9 è una lega con il 0,70% di carbonio. Il reticolo di ferrite non appare più; la ferrite è disseminata nella matrice perlitica scura.

Le figg. 10 e 11 rappresentano una lega eutectoide con il 0,9% di carbonio.

Una lega con l'1,5% di carbonio (figg. 12 e 13) è ipereutectoide e presenta un nuovo costituente strutturale, il carburo di ferro chiamato cementite, perché si riscontra in notevole quantità nell'acciaio cementato. Questa cementite è naturalmente, per composizione e struttura, identica alla cementite della perlite. Ma poiché nel raffreddamento di una lega ipereutectoide appare prima della perlite, si è chiamata anche cementite proeutectoide. Analogamente, si può anche differenziare la ferrite proeutectoide da quella eutectoide. Nella fig. 13 la cementite si presenta in forma di maglie come la ferrite della fig. 8. Nell'interno del reticolo si osservano anche aghi di cementite. Anche la cementite ipereutectoide non si colora con i reattivi di attacco ordinarî. Essa si differenzia dalla ferrite per la sua maggiore durezza. Una soluzione satura di picrato di sodio colora la cementite in scuro e lascia chiara la ferrite.

Le leghe con più dell'1,7% di carbonio costituiscono la ghisa bianca ipoeutectica, eutectica e ipereutectica. La fig. 14 rappresenta una ghisa bianca con il 4,3% di carbonio, formata del solo eutectico C, che, in onore del siderurgo tedesco Ledebur, ha in metallografia il nome di ledeburite.

Alla fig. 15 è data la struttura di una ghisa bianca ipereutectoide, che contiene cementite primaria in una matrice di ledeburite; la cementite primaria si separa lungo la linea CD del liquidus, ed ha perciò una forma cristallina assai ben sviluppata.

Alla fig. 16 è data la struttura di una ghisa bianca ipoeutectica, costituita di cristalli misti in una matrice di ledeburite. Poiché i cristalli misti, parimenti alla cementite primaria, cristallizzano assai facilmente dal liquidus, i cristalli appaiono anche qui relativamente ben formati. Assai frequente è un sistema di due assi normali tra loro, che si chiama a disposizione dendritica.

La quantità di questi cristalli diminuisce linearmente, tra 1,7% e 4,3% di carbonio, dal 100 al 0%.

Per tenori di carbonio poco al di sopra dell'1,7%, l'eutectico appare in cellule o isole racchiuse nei cristalli misti presenti in grande eccesso. Simili cristalli misti, siano essi primarî od eutectici, si decompongono in cementite secondaria e perlite, se il raffreddamento è sufficientemente lento. La fig. 19 mostra la cementite secondaria aghiforme nella matrice di perlite. Spesso, specie quando gli individui cristallini dei cristalli misti sono assai piccoli, la cementite secondaria non è visibile. In realtà essa si è precipitata sulla cementite della ledeburite, che ha fatto da germe.

La determinazione delle curve GOS, OM, ES, e PSK è stata eseguita, oltre che mediante l'analisi termica, con altri metodi: con lo studio delle tonalità termiche dei fenomeni di trasformazione della variazione della dilatazione lineare, della variazione della resistenza elettrica in funzione della temperatura, con lo studio della trasformazione magnetica, col metodo di tempra e dell'osservazione microscopica, ecc., e si è trovata una coincidenza in generale soddisfacente tra i diversi metodi.

Influenza della velocità di raffreddamento sulla posizione delle curve di equilibrio. - Le linee del diagramma riportato alla fig. 4 debbono considerarsi come linee di equilibrio; esse cioè individuano le temperature alle quali i fenomeni dovrebbero teoricamente verificarsi tanto al riscaldamento che al raffreddamento. In realtà invece si constata una differenza tra la temperatura di trasformazione al riscaldamento e quella al raffreddamento, differenza che, abbiamo veduto, è stata chiamata isteresi: la trasformazione al raffreddamento avviene cioè a temperatura più bassa che al riscaldamento. Sino a che la velocità di raffreddamento è compresa entro certi limiti, la variazione dei punti di arresto è relativamente piccola; ma, se questa cresce, l'isteresi aumenta, e si manifestano fenomeni che si esplicano nel processo di tempra.

Sulla posizione dei punti critici influisce non solo la velocità di raffreddamento, ma anche la temperatura alla quale il materiale è stato previamente riscaldato, e precisamente Ar1 tanto più si abbassa, quanto maggiore è la temperatura iniziale di raffreddamento.

Il fenomeno si spiega con l'ipotesi, che, se il riscaldamento avviene poco al di sopra di Ac1, rimangono ancora indisciolti grani di cementite, i quali nel raffreddamento fanno da innesco alla formazione della perlite e perciò impediscono in maggiore o minore misura il sottoraffreddamento. Ora, quanto più elevata è la temperatura di riscaldamento, tanto minor numero di germi rimangono presenti, e quindi tanto maggiore è la tendenza al sottoraffreddamento, e perciò anche l'abbassamento del punto della perlite.

È stato anche dimostrato che Ar3, la temperatura dell'inizio della separazione della ferrite, è indipendente dalla temperatura di riscaldamento, mentre la ferrite ha una forte tendenza a sottoraffreddarsi.

Vediamo ora quale influenza esercitano la velocità di raffreddamento e la temperatura di riscaldamento sui costituenti strutturali delle leghe di ferro e carbonio.

La perlite lamellare (figg. 10 e 11) si separa dalla soluzione satura o di poco soprasatura; la perlite si separa invece in forma globulare (fig. 20), se la velocità di raffreddamento è sufficientemente bassa. Secondo Whiteley, negli acciai semplici al carbonio essa si separa a circa 10-20° al di sopra della temperatura di formazione della perlite lamellare. La perlite globulare si forma anche per coalescenza della perlite lamellare per prolungato riscaldamento a temperatura intorno ad Ac1. E questa coalescenza è tanto più facile, quanto più sottili sono le lamelle. Perciò la perlite lamellare, a mano a mano che la velocità di raffreddamento diminuisce, si separerà in lamelle sempre più sviluppate e tenderà alla forma globulare.

Se invece questa velocità cresce, i costituenti si fanno sempre più minuti, per modo che, anche sotto forti ingrandimenti, non è più possibile risolvere la perlite.

I costituenti che si formano per velocità di raffreddamento elevate si chiamano:

sorbite: in cui sotto forti ingrandimenti sono ancora riconoscibili grani di ferrite e di cementite;

troostite: in cui non è più possibile riconoscere le unità dei grani, ed i reattivi di attacco, anche per una brevissima durata, dànno una colorazione intensamente nera, uniforme.

La fig. 21 mostra la struttura sorbitica, la fig. 22 la struttura troostitica degli acciai.

L'opinione più generalmente accettata è che la sorbite sia una perlite le cui lamelle sono sottilissime, e quindi non più risolvibili, mentre la troostite sarebbe costituita di ferrite contenente carburo in uno stato di finissima dispersione, cioè il carburo di ferro si troverebbe in soluzione nella ferrite in uno stato metastabile.

La formazione di questi costituenti strutturali è influenzata non solo dalla velocità di raffreddamento, ma anche dalla temperatura di riscaldamento, parimenti a quanto accade per Ar1. E così la tendenza alla formazione della perlite granulare sarà, a parità di altre condizioni, tanto maggiore, quanto meno si supererà Ac1; se invece si favoriranno le condizioni per cui Ar1 viene di molto abbassato, riscaldando oltre Ac1, si favorirà la formazione della troostite. La spiegazione è analoga a quella che abbiamo data qui sopra sulla variazione dei punti di arresto.

L'influenza della velocità di raffreddamento sulla posizione dei punto Ar1 è stata studiata da diversi sperimentatori (Schneider, Portevin e Garvin, Chevenard, ecc.). I risultati possono rappresentarsi schematicamente con il diagramma 17, da cui risulta che, aumentando la velocità di raffreddamento, Ar1 si abbassa in modo discontinuo. Il punto Ar1 si abbassa in modo continuo da circa 715° a circa 660°, mentre i costituenti, da perlite granulare, tendono a trasformarsi in perlite lamellare, sorbite e troostite. Nella seconda regione avviene lo sdoppiamento dei punti critici: la parte superiore, designata con Ar′, è la prosecuzione del punto Ar1. L'aumento della velocità di raffreddamento provoca un'ulteriore caduta di Ar1, mentre, a partire da circa 3500, compare un nuovo punto critico designato con Ar′, il quale, con l'aumentare della velocità di raffreddamento, si abbassa come Ar′. In questa regione compaiono perciò due punti di arresto, Ar′ e Ar″.

Nella 3a regione rimane solo Ar″, che, aumentando le velocità di raffreddamento, continua ad abbassarsi sino a raggiungere la temperatura ordinaria. Nella 4a regione, in principio si hanno gli stessi fenomeni che nella 3a, con la differenza che al disopra della temperatura ambiente non si ha più alcun punto di arresto: la trasformazione ha luogo cioè al di sotto della temperatura ambiente. Il diagramma riportato alla fig. 18, di Portevin e Chevenard riproduce sulle ordinate l'intensità dei punti di arresto. Da esso si rileva come Ar′, con l'apparizione di Ar″, diminuisce e che, mentre Ar″ raggiunge un massimo, Ar′ scompare; poi anche Ar″ comincia ad attenuarsi.

Appresso, nel capitolo dedicato agli Acciai speciali, si vedrà che non è necessario, come nelle leghe semplici di ferro e carbonio, aumentare la velocità di raffreddamento per provocare l'abbassamento o lo sdoppiamento dei punti critici, ma che basta aumentare la temperatura di riscaldamento. Si vedranno anche casi di acciai speciali, nei quali la composizione chimica è il solo fattore che influenza la posizione dei punti critici (manganese e nichel).

Ricordiamo, infine, che Chevenard ha trovato che anche il punto Ar″ può sdoppiarsi in Ar″ e Ar‴.

Tra la posizione dei punti di arresto Ar′, Ar″, Ar‴ e la struttura intercedono assai intime relazioni.

Partiamo dal caso estremo, che non vi siano punti di arresto. Non è possibile ottenere questo caso nelle leghe di solo ferro e carbonio, ma solo con aggiunta di elementi speciali (nichel, manganese). Se si aumentano la temperatura di riscaldamento o la velocità di raffreddamento, esso si ottiene anche in presenza di determinate quantità di cromo, tungsteno, molibdeno. Si avrà allora assenza di trasformazione, e cioè a temperatura ordinaria si sarà fissata la forma stabile al di sopra della GOSE; si sarà in presenza cioè della forma γ allo stato sottoraffreddato o metastabile. Questo costituente strutturale si chiama austenite (fig. 23).

Il punto Ar′ è caratterizzato dalla formazione della troostite, mentre Ar″, e verosimilmente anche Ar‴, corrisponde all'apparizione dell'ultimo dei costituenti strutturali di tempra, la martensite. Nel campo I perciò, per una sufficiente velocità di raffreddamento, dovrebbe formarsi esclusivamente troostite, nel campo II, accanto a troostite, anche martensite; nel campo III solo martensite dal punto in cui scompare Ar′ sino al massimo d'intensità di Ar″ + Ar‴. Da questo punto in poi dovrebbe formarsi, accanto a martensite, anche austenite, e in tanto maggior misura, quanto minore è l'intensità di Ar″ + Ar‴. Nel diagramma 17 sono rappresentate le relazioni che passano tra i punti di arresto e la struttura. Si ha perciò: campo I. perlite (sorbite-troostite); II, troostite + martensite; III, martensite + austenite; IV, austenite.

La fig. 24 rappresenta una miscela di martensite e troostite (campo II); le figg. 25 e 26 rappresentano l'aspetto normale della martensite. La struttura è in elementi eterogenei, uno chiaro ed uno scuro, orientati secondo una legge cristallografica determinata.

Già Osmond riconobbe che nella martensite compaiono le quattro paia di facce dell'ottaedro; nella martensite, infatti, si osservano spesso disposizioni a triangoli equilateri, a quadrati e figure comprese tra essi. Si parla anche di una struttura aghiforme della martensite, le cui unità hanno però lo stesso orientamento cristallografico.

I grani possono avere le dimensioni più diverse.

Per grani assai piccoli, manca, secondo Hanemann (Stahl und Eisen, 1912, p. 1397), il costituente aghiforme. Questa martensite si forma a una temperatura di tempra quanto meno è possibile al di sopra di Ac1 e per una durata di riscaldamento la più breve possibile. La martensite priva di struttura e difficile a colorarsi si chiama ardenite. Reciprocamente si osserva che, quanto più elevata è la temperatura di tempra, tanto più sviluppati sono i grani di martensite (fig. 26). Infine, accanto alla martensite compare l'austenite (fig. 27).

Sulla natura della martensite si è molto discusso; oggi si ammette generalmente che essa sia una soluzione solida di carburo di ferro nel ferro α, in mescolanza con quantità variabili di ferro γ. ll punto Ar″ corrisponderebbe alla trasformazione del ferro in ferro α, mentre il carbonio rimarrebbe in soluzione.

La tecnica dei raggi Röntgen ha recato in questi ultimi anni un notevole contributo allo studio della natura dei costituenti strutturali, essendosi potuto dimostrare che lo spettro degli acciai austenitici è identico a quello del ferro γ e che la martensite contiene ferro α.

Westgren e Phragmèn (Zeitschr. physik. Chemie, CII p.1) ritengono verosimile che il carbonio si trovi nella martensite non come carburo, ma allo stato elementare, in forma di dispersione atomica.

Accenniamo brevemente alle proprietà di questi costituenti strutturali.

La martensite è costituita di ferro α, e perciò è magnetica, mentre non lo è l'austenite, costituita di ferro γ. Però il magnetismo della martensite si differenzia sensibilmente da quello dei costituenti strutturali contenenti ferro α: perlite, sorbite, troostite. La perlite, la sorbite e la troostite possiedono una induzione magnetica più elevata, e una rimanenza e una forza coercitiva più bassa della martensite. Così la resistenza elettrica, pressoché la stessa per la perlite, la sorbite e la troostite, è notevolmente più elevata nella martensite e nell'austenite. Questa proprietà serve perciò assai bene per seguire l'andamento delle trasformazioni strutturali dell'acciaio.

La durezza è una proprietà che ha presentato le maggiori difficoltà di spiegazione. Il ferro α e il ferro γ sono relativamente molli (circa 90 unità Brinell), mentre la martensite è durissima (circa 600 unità Brinell). Anche i complessi strutturali perlite, sorbite, troostite hanno una durezza più elevata della perlite granulare, ma la durezza aumenta progressivamente dalla perlite granulare alla troostite; la martensite, invece, è assai dura, e questo aumento di durezza non è graduale, come nelle forme strutturali testé ricordate, ma discontinuo.

Molte ipotesi e teorie sono state proposte per spiegare la durezza della martensite. Tra esse va acquistando il maggior credito quella di Maurer, secondo la quale il carbonio che rimane disciolto nel ferro α determinerebbe il permanere del volume che appartiene al carbonio disciolto nel ferro γ. Per effetto di questo maggior volume rispetto a quello che occuperebbe normalmente il ferro α, si originano una deformazione a freddo e tensioni molecolari, che sono causa dell'indurimento. E infatti sembra esistere una relazione tra durezza e volume specifico (Maurer e Heger, Mitt. Kaiser-Wilhelm Inst. Eisenforschung, I, 1920, p. 84).

Proprietà meccaniche. Influenza dei diversi elementi su di Esse. - Il ferro più puro che sia stato ottenuto è quello elettrolitico. Esso contiene però notevoli quantità di idrogeno.

Fuso nel vuoto, ha le seguenti proprietà meccaniche:

Esso ha eccellenti proprietà magnetiche (elevata permeabilità magnetica, elevata rimanenza, bassa forza coercitiva, bassa isteresi), e, se non ha acquistato una maggiore diffusione nelle costruzioni elettromeccaniche, come per nuclei di trasformatori, parti di motori e dinamo, elettromagneti, ecc., ciò si deve al suo elevato prezzo di produzione.

Il peso specifico del ferro puro è 7,875.

La sua resistenza elettrica è di 0,0994 Ohm m/mmq., il coefficiente di temperatura della resistenza 0,573%.

Carbonio. - Le proprietà meccaniche degli acciai al carbonio colati e ricotti variano fortemente al variare del tenore di carbonio (figg. 28 e 29). Come si vede, mentre il carico di rottura, il limite di snervamento e la durezza crescono col crescere del tenore di carbonio, l'allungamento, la strizione e la resilienza diminuiscono. Relazioni analoghe si hanno negli acciai lavorati a caldo e ricotti.

Tra tenore di carbonio e forgiabilità v'è una netta relazione: quest'ultima diminuisce con l'aumentare del carbonio, sino a scomparire per un tenore di carbonio del 2% circa. Così pure diminuisce la duttilità, di cui la strizione e l'allungamento sono una misura. La saldabilità diminuisce pure con l'aumentare del tenore di carbonio.

Il carbonio, oltre ad esercitare una grande influenza sulle pro- prietà meccaniche dell'acciaio, lo rende anche suscettibile di temprarsi. La tempra seguita da rinvenimento (bonifica) è oggi un procedimento assai diffuso industrialmente, poiché con esso si conseguono nell'acciaio notevolissimi miglioramenti delle proprietà meccaniche.

Fosforo. - Il fosforo aumenta nell'acciaio la resistenza e diminuisce la duttilità e la tenacità (D'Amico, Ferrum, 1912-13, p. 289). Il diagramma della fig. 30 dà le variazioni delle proprietà meccaniche di un acciaio extra-dolce in funzione del tenore di fosforo. Particolarmente rapida è la caduta della resilienza, che, per un contenuto del 0,25% di fosforo, va pressoché a zero.

Mentre il fosforo impartisce all'acciaio fragilità a freddo, esso influisce di poco, almeno nei limiti in cui è contenuto nel ferro commerciale (al massimo il 0,4 ÷ 0,5%), sulla lavorabilità a caldo.

Per la proprietà di lavorarsi al tornio facilmente e di dare pezzi a superficie pulite e lucenti, gli acciai fosforosi sono talvolta ricercati, ove non ci si debba preoccupare della fragilità.

Nella quantità contenuta normalmente nel ferro commerciale, esso si trova allo stato di soluzione solida nella ferrite.

Zolfo. - Contrariamente al fosforo, lo zolfo dà fragilità a caldo specie per tenori superiori al 0,2%. Il manganese ne neutralizza in parte gli effetti dannosi, perché verosimilmente ne favorisce l'eliminazione. Questa fragilità al rosso si spiega col fatto che il ferro ed il solfuro di ferro formano un eutectico che fonde a 985°; perciò, nella lavorazione a caldo, l'eutectico fonde ed il materiale perde la sua coesione.

La foggiabilità a freddo non è molto influenzata sino al 0,2% di zolfo. Ma, poiché questo elemento ha la tendenza a liquare e quindi a separarsi non uniformemente, è assai pericoloso; perciò non se ne tollera in generale nei prodotti commerciali d'uso corrente una percentuale superiore al o,1%.

Arsenico. - Sull'influenza dell'arsenico e del suo contenuto sulle proprietà dell'acciaio le opinioni dei diversi sperimentatori sono alquanto discordi. Si ammette però generalmente che esso dia fragilità a caldo e a freddo (fig. 31). Ma, poiché fortunatamente i tenori di arsenico contenuti negli acciai commerciali sono assai bassi (non superiori al o,2%), in questa misura in generale esso non ne influenza troppo dannosamente la tenacità.

Il diagramma della fig. 31 dà la variazione del carico di rottura, del limite di snervamento, della strizione e dell'allungamento col crescere del tenore di arsenico.

L'arsenico, anche in quantità relativamente piccole, abbassa nel ferro la saldabilità; benché non vi sia accordo fra gli sperimentatori, sembra (Harbord e Tucker, Stead e Liedgens) che un contenuto di poco superiore al 0,1% apporti una notevole diminuzione della saldabilità al fuoco; saldando alla fiamma autogena od elettricamente, l'influenza dell'arsenico si farebbe sentire a tenori d'arsenico notevolmente più elevati.

L'arsenico è contenuto nel ferro commerciale in soluzione solida nella ferrite.

Rame. - Il rame aumenta la resistenza, il limite elastico e la durezza, e diminuisce la duttilità. La quantità di rame contenuta nell'acciaio commerciale non supera in generale il 0,2%, e in questa proporzione non esercita alcuna influenza sulla foggiabilità a caldo. La fragilità a caldo compare secondo Stead (Journ. Iroji Steel Inst., 1901, I, p. 89) per un tenore di rame del 4%, secondo Lipin (Stahl und Eisen, 1901, p. 540) per un tenore del 4,7% quando il tenore di carbonio è del 0, 1%, per un tenore dell'1,6% quando il contenuto di carbonio sale al 0,4%.

La foggiabilità a freddo non viene influenzata dalla presenza di piccole quantità di rame. Al disopra del 0,6%, la foggiabilità a freddo e la saldabilità diminuiscono però notevolmente (Wigham, Journ. Iron Steel Inst., 1906, I, p. 222; Colby e Lipin, Stahl und Eisen, 1900, p. 54; Lipin, loc. cit.). Tenori di rame non troppo elevati (circa 0,3%), senza influire sensibilmente sulle proprietà meccaniche, sembra aumentino in modo assai notevole la resistenza del ferro all'arrugginimento.

Il rame, nei tenori che si riscontrano nel ferro commerciale, è contenuto in soluzione solida nella ferrite.

Silicio. - Il silicio aumenta la resistenza, il limite elastico e diminuisce la duttilità; in particolare, abbassa la resilienza (fig. 32). La caduta della resilienza è rapidissima per tenori di silicio superiori all'1%.

Le opinioni sull'influenza del silicio sulla foggiabilità a caldo e a freddo del ferro sono assai discordanti. Si ammette però generalmente che tenori piuttosto elevati di questo elemento siano dannosi a questa proprietà.

Il silicio abbassa inoltre la saldabilità nel ferro dolce; si cerca perciò di limitarne il contenuto al di sotto del 0,2%, allorché si richiede nell'acciaio in grado elevato questa proprietà.

L'influenza dannosa del silicio sulla saldabilità sembra doversi attribuire, più che alla presenza del silicio per stesso, alla sua facile ossidabilità; nel ferro, durante il processo di saldatura, si formerebbero perciò inclusioni di anidride silicica emulsionate che ne abbasserebbero la saldabilità.

Poiché, come si è detto, il silicio aumenta notevolmente il limite elastico, esso è un elemento di grandissima importanza; gli acciai al silicio si adoperano perciò assai diffusamente nella fabbricazione di molle, di nastri, ecc.

Per la peculiare proprietà, che il silicio aggiunto all'acciaio possiede, di innalzare il limite elastico, è stato proposto recentemente di aggiungere all'acciaio extra-dolce destinato alle costruzioni meccaniche circa l'i % di questo elemento. Si è osservato infatti che, se il tenore di silicio non supera l'i % circa, l'insieme delle proprietà meccaniche e tecnologiche dell'acciaio extra-dolce non ne viene notevolmente influenzato, mentre aumenta considerevolmente il limite di snervamento (circa 40 kg/mmq., laddove in un acciaio extra-dolce pressoché privo di silicio il limite di snervamento è di circa 25 kg/mmq.). La fabbricazione di un siffatto acciaio non richiede né speciali mezzi né grandi accorgimenti, ed il suo più elevato prezzo di costo sarebbe compensato dal risparmio di materiale che si realizzerebbe nelle costruzioni.

Il silicio conferisce inoltre al ferro proprietà magnetiche importantissime, aumentando la permeabilità e diminuendo la forza coercitiva, la rimanenza e la isteresi (fig. 33; v. anche più oltre, in acciai speciali).

Il silicio si trova nell'acciaio allo stato di soluzione solida nella ferrite.

Manganese. - L'influenza di tenori elevati di manganese è trattata appresso, nel capitolo acciai speciali. Piccole quantità di manganese, quali si trovano normalmente negli acciai semplici (al di sotto dell'i %), influiscono poco sulle loro proprietà meccaniche: esse innalzano alquanto il carico di rottura ed il limite di snervamento, mentre non abbassano in modo apprezzabile l'allungamento e la strizione; inoltre, per tenori bassi di carbonio, innalzano alquanto la resilienza e la foggiabilità a caldo e a freddo. Il manganese diminuisce invece la saldabilità, e perciò, per materiali saldabili, si prescrive un tenore di manganese basso (non superiore al 0,7%).

Il manganese è un elemento importantissimo nella tecnica della preparazione dell'acciaio, poiché esercita un'energica azione disossidante ed elimina lo zolfo.

Gas e scorie inclusi nell'acciaio. - Durante le operazioni di affinazione, l'acciaio viene a contatto con i gas del forno, che influiscono sulla sua composizione. Questi gas sono l'ossigeno e l'azoto dell'atmosfera, l'idrogeno (che si forma in prevalenza per decomposizione dell'umidità atmosferica), l'ossido di carbonio e l'anidride carbonica. Questi due ultimi provengono sia dal combustibile gasoso (Siemens-Martin), sia dalle reazioni che si compiono nel forno.

Come tutti i liquidi, il ferro fuso è capace di sciogliere questi gas, e in tanto maggior misura, quanto più elevata è la temperatura. Con l'abbassarsi della temperatura, e cioè dal momento in cui il metallo si versa nella secchia o nella forma, i gas in eccesso cominciano a svilupparsi. Nel processo di solidificazione, questi gas, divenuti liberi, si elimineranno dal ferro, ove non ne siano impediti da cause meccaniche.

Ma anche i metalli solidi possono sciogliere i gas, dando origine a composti più o meno stabili.

Il problema del tenore dei gas nell'acciaio e del modo con cui essi vi sono contenuti è però talmente complesso, che, malgrado vi si siano dedicati molti sperimentatori, è ancor oggi tutt'altro che chiarito.

Poche e malsicure sono le determinazioni sui gas che si sviluppano prima e durante la solidificazione; si è però constatata la presenza, in quantità variabili, di anidride carbonica, ossido di carbonio, idrogeno, azoto e piccole quantità di metano (Piwowaski, in Stahl und Eisen, 1920, p. 773).

Più progredite sono le ricerche sulla natura e la quantità di gas contenute nell'acciaio allo stato solido.

Idrogeno. - Esso si trova nel ferro in una forma molto labile. La sua solubilità diminuisce rapidamente con il diminuire della temperatura. Nel ferro saturo d'idrogeno si osservano, inoltre, durante il raffreddamento, oltre ai punti di arresto caratteristici del ferro, altri punti di arresto che coincidono con uno sviluppo d' idrogeno e che scompaiono per ripetuti riscaldamenti. Perciò verosimilmente lo sviluppo di idrogeno è accompagnato da una tonalità termica (Sievert e Krumbhaar, in Berichte d. deutsch chem. Gesell., 1910, XLIII, p. 893; Roberts Austen, in Mech. Eng., 1899, p. 35; Müller, in Metallurgie, 1909, p. 145).

L'idrogeno occluso nel ferro dà fragilità. Ne è un esempio il ferro elettrolitico, che ne contiene una notevole quantità, ed è assai fragile; questa fragilità scompare se l'idrogeno viene eliminato o per riscaldamento o per fusione nel vuoto.

La così detta fragilità di decapaggio, che l'acciaio acquista per immersione negli acidi, deve ricondursi alla stessa causa, poiché l'idrogeno allo stato nascente viene avidamente assorbito dal ferro.

Azoto. - Se si tratta il ferro con ammoniaca a temperatura relativamente bassa (circa 500°), l'azoto si combina col ferro per formare azoturi di ferro e dando luogo, in presenza di carbonio, a soluzioni solide e ad equilibrî assai complicati. Il ferro è anche capace di assorbire, ad elevate temperature, piccole quantità di azoto elementare. Al disopra di 800°, l'azoturo di ferro si decompone rapidamente.

L'azoto impartisce all'acciaio una notevole durezza e fragilità Nell'acciaio commerciale è però contenuto in quantità relativamente assai piccole, da un massimo del 0,01-0,02% nell'acciaio Thomas, a pochi millesimi per cento negli altri acciai. Esso si trova nella ferrite allo stato di soluzione solida. I più poveri d'azoto sembrano essere l'acciaio Martin-Siemens e quello al crogiuolo (Wüst e Duhr, Mitt. Kaiser - Willíelm Inst. Eisenforsch., II, 1921, p. 23). Entro i limiti in cui resta disciolto nella ferrite non sembra influire dannosamente sulle proprietà del metallo (I. Musatti e M. Croce, Ann. Chim. Appl., VIII, 1924, p. 18; Atti Congresso Nazionale Chimica Industriale, 1924). In presenza di elementi speciali, la capacità di assorbimento dell'acciaio per l'azoto sembra crescere poiché si formano azoturi più difficilmente decomponibili dell'azoturo di ferro (alluminio, cromo, titanio, molibdeno, vanadio, ecc.).

Ossido di carbonio ed anidride carbonica. - Secondo le più recenti ricerche (Oberhoffer e Piwowaski, Stahl u. Eisen, 1922, p. 801), questi gas sono contenuti nell'acciaio a temperatura ordinaria in quantità pressoché trascurabili. Esse sono state determinate con metodi di estrazione a freddo per attacco dell'acciaio ridotto in trucioli sottili con sostanze capaci di scioglierlo (cloruro di mercurio e rame, bromo, iodio), in modo da liberare il gas contenutovi.

Ossigeno. - Durante il processo di affinazione non si riesce ad impedire una parziale ossidazione del ferro, quand'anche si ricorra ad un'azione protettiva di elementi più facilmente ossidabili, come manganese, silicio, carbonio e fosforo, poiché, essendo il ferro presente in enorme eccesso, l'ossidazione si porta preferibilmente su di esso. Perciò, anche in presenza di questi elementi, possono essere contenute nell'acciaio quantità più o meno grandi di ossidulo di ferro. Si aggiunga che un poco di ossidulo di ferro (circa il 0, 14%) è solubile nel bagno metallico e quindi non può assommare alla sua superficie per differenza di peso specifico.

Quest'ossidulo di ferro, se presente, si separa durante la solidificazione dell'acciaio, rimanendo ad esso incorporato.

Accanto all'ossidulo di ferro possono essere presenti ossido di manganese, di silicio, d'alluminio ed altri ossidi metallici (di titanio, di vanadio, ecc.), poiché nell'ultima fase del processo d'affinazione si introducono i corrispondenti metalli in forma di ferroleghe, per sostituire all'ossidulo di ferro degli ossidi meno dannosi alle proprietà dell'acciaio, specie alla forgiabilità a caldo, o capaci di rimontare, sia perché insolubili nel metallo liquido, sia perché specificamente più leggeri.

Ma poiché la facilità con cui questi prodotti di ossidazione si separano dal bagno dipende dalla loro attitudine ad agglomerarsi in unità di più grandi dimensioni e dalle condizioni sperimentali (viscosità del bagno, tempo, ecc.), si capisce com'essi non possano mai totalmente eliminarsi.

Queste reazioni di disossidazione, inoltre, non si compiono mai quantitativamente, ma conducono ad equilibrî assai complicati, che non sono sinora conosciuti se non molto incompiutamente.

Recenti ricerche di Oberhoffer e dei suoi collaboratori (Stahl u. Eisen, 1919, p. 165; 1921, p. 1449; 1924, p. 113) e di altri sperimentatori (L. Jordan e J.R. Eckman, Bureau of Standards Scientific Papers, n. 514), hanno reso possibile di determinare quantitativamente l'ossigeno combinato contenuto nell'acciaio con un metodo d'estrazione a caldo nel vuoto. Si è potuto per questa via dimostrare che i gas che si sviluppano a caldo non sono gas disciolti, ma gas di reazione (Oberhoffer, loc. cit.; Parravano e Scortecci, Ann. Chim. Appl., VIII, 1294, p. 3); e cioè gli ossidi di ferro, di manganese, di silicio, di alluminio, ecc. (utilizzando il forno ad induzione ad alta frequenza, col quale si possono ottenere temperature elevate a piacimento, la riduzione, in presenza di quantità sufficienti di carbonio, è completa) reagiscono con il carburo di ferro dell'acciaio secondo l'equazione:

Poiché la fase gassosa, durante l'esperienza, viene continuamente eliminata continuando a fare il vuoto, la reazione continua sino a che tutto l'ossido di ferro o tutto il carbonio siano stati eliminati. Se si ha l'avvertenza di aggiungere un eccesso di carbonio (operando ad es. in crogiuoli di grafite, come fanno Jordan ed Eckman, o aggiungendo una quantità nota di ghisa, come fa Oberhoffer), l'ossigeno contenuto nel ferro portato a fusione viene tutto praticamente eliminato in forma di ossido di carbonio: si può a questo modo dosare la quasi totalita dell'ossigeno.

Naturalmente, se con ciò si riesce a conoscere il tenore totale d'ossigeno nell'acciaio, non si conosce in qual modo esso vi è contenuto e come vi è ripartito, e quindi come questa ripartizione influisce sulle sue proprietà. Né è stato sinora possibile, a cagione delle relazioni complicate che si hanno tra la costituzione dei diversi ossidi formatisi, di graduare la reazione in modo da ridurli frazionatamente. Alla soluzione parziale di questo problema viene in aiuto la ricerca microscopica, che può dare utili indicazioni sulla natura, la quantità e la ripartizione di questi ossidi, poiché è possibile talvolta, in base alla loro forma, alle loro dimensioni, alla loro disposizione, al loro colore, al loro comportamento rispetto agli agenti riducenti, di identificarli.

Si è anche ricorso, per questo scopo, a metodi di determinazione del residuo che rimane dopo dissoluzione del ferro, analogamente a quanto si è fatto per determinare i gas contenuti nell'acciaio. Ma essi non hanno condotto ancora a risultati soddisfacenti.

Si ritiene da lungo tempo che l'ossigeno renda l'acciaio fragile a caldo. Ma non è da meravigliarsi che le opinioni sulla quantità di ossigeno capace di produrre fragilità siano di molto discordi, ove si pensi alle varietà dei prodotti di ossidazione che possono formarsi, la cui influenza è certamente assai diversa.

Oberhoffer e d'Huart hanno, ad es., constatato che l'ossigeno combinato col ferro, forse in forma d'inclusioni di ossidulo di ferro, anche in quantità considerevoli (circa 0, 14%), non influisce in modo molto dannoso sulla fucinabilità, poiché queste inclusioni sono plastiche (Stahl u. Eisen, 1919, p. 165); le inclusioni di ossido di alluminio non sono invece plastiche e sono molto dannose.

Il manganese è considerato in generale come un mezzo per prevenire la fragilità al rosso, poiché riduce l'ossido di ferro, e si separa più facilmente dal bagno. Generalmente si ammette che un'aggiunta di silicio all'acciaio contenente ossigeno danneggi la fucinabilità, poiché le inclusioni di silice che si formano non sono plastiche.

Recentî ricerche di Wimmer eseguite su di un acciaio extradolce al carbonio lascerebbero ritenere che l'ossigeno degradi tutte le proprietà meccaniche ed in particolare la resilienza. Gli acciai ossidati avrebbero inoltre maggiore tendenza a criccare alla tempra ed a surriscaldarsi. È stato osservato anche che l'ossigeno influisce in modo dannoso sulle proprietà magnetiche del ferro.

I prodotti di ossidazione non sono le sole inclusioni che si trovano nell'acciaio. In concomitanza con essi vi si riscontrano inclusioni provenienti dal refrattario e dalle scorie del forno. Inoltre, durante la colata, particelle del refrattario del canale di colata, della secchia, del tappo, dell'imbuto, dei canali delle placche, si staccano e possono rimanere incluse nell'acciaio allo stato di sospensione accanto ai prodotti di disossidazione, o anche dar luogo con essi a composti di natura complicata.

Non è facile distinguere tutte queste specie di inclusioni e la loro provenienza; talvolta però esse si possono differenziare per il loro colore e per la loro forma. Le inclusioni contenenti molto zolfo o quelle di solfuri hanno una colorazione da giallo-bruno a giallo chiaro (vedi ad es. fig. 34). Le inclusioni di ossidi sono da grigio scure a nere (figg. 35 e 36).

Le inclusioni solubili nel ferro puro si separano con l'abbassarsi della temperatura seguendo le leggi che valgono per le leghe: si parla perciò di segregazione delle inclusioni. Le inclusioni insolubili possono essere in sospensione od emulsionate. Mentre le inclusioni solubili hanno una forma regolare ed una distribuzione determinata (cristallizzazione primaria, eutectica, come ad es. nella fig. 37), le inclusioni in sospensione hanno aspetto sferoidale (fig. 38). Però queste differenziazioni non si possono sempre riscontrare con sicurezza, poiché nella lavorazione del metallo gran parte del processo originario di separazione viene distrutto.

Questi brevi cenni basteranno a dimostrare quanto complesso ed importante sia il problema della presenza e della ripartizione dell'ossigeno e delle inclusioni nell'acciaio e degli effetti che l'uno e le altre producono sulle proprietà di quest'ultimo.

Variazioni delle proprietà del ferro e dell'acciaio con la temperatura. - Il ferro fucinabile normalmente viene sollecitato a temperature variabili tra −25° e +40°; non è infrequente però il caso che esso si adoperi a temperature più elevate, e che quindi se ne debbano conoscere le proprietà nelle condizioni in cui lavora in opera.

Il diagramma riportato alla fig. 39 mostra in qual modo variano le più importanti proprietà meccaniche dell'acciaio extra - dolce con la temperatura. Al di sotto della temperatura ordinaria aumentano la resistenza e la durezza, mentre diminuiscono l'allungamento e la strizione; si osservano inoltre dei minimi di resistenza e di durezza tra 50° e 150° e dei massimi a 250°, cui corrispondono dei minimi sulle curve dell'allungamento e della strizione. Al di sopra di 250° la resistenza e la durezza cominciano a cadere rapidamente, mentre aumenta l'allungamento.

Le relazioni espresse dal diagramma riportato valgono però, da certe determinate temperature di prova in avanti, solo a scopo di confronto, in condizioni comparabili. È noto, infatti, che, con l'elevarsi della temperatura, l'acciaio diviene plastico, cosicché sui risultati del saggio di trazione l'influenza della durata della prova, trascurabile a temperature relativamente basse, diviene sempre maggiore a mano a mano che la temperatura s'innalza e che, pertanto, aumenta la plasticità. A temperature elevate, i valori che si ottengono dalla prova di trazione statica (carico di rottura, limite di snervamento, strizione, allungamento) sono quindi una funzione della velocità d'applicazione del carico; è evidente quindi come, a mano a mano che la temperatura del saggio sale, queste costanti fisiche determinate con la prova rapida vadano perdendo il loro significato reale.

L'influenza della plasticità, già sensibile verso i 300°, diviene assai intensa tra i 400° ed i 500°, nel quale intervallo avviene una rapidissima caduta della resistenza del metallo. Secondo le moderne vedute, a temperature elevate acquista perciò particolare importanza un'altra grandezza: la massima sollecitazione statica, espressa in kg. per mmq. della sezione primitiva, alla quale l'acciaio è capace di resistere illimitatamente. La facoltà che possiede l'acciaio di resistere illimitatamente ad un carico statico sarebbe dovuta alla sua proprietà di incrudirsi (v. più avanti); allorché la temperatura di prova è tanto elevata da produrre nel metallo una ricristallizzazione, esso non sarebbe più capace di resistere indefinitamente ad un carico statico, qualunque ne sia il valore, e si allungherebbe più o meno rapidamente, sino ad andare a rottura.

Questa massima sollecitazione, caratteristica per ciascun acciaio, alla quale ad una determinata temperatura esso resiste indefinitamente, è stata chiamata limite di viscosità o limite di durata, od anche limite di scorrimento. Essa si può determinare praticamente per via diretta, assoggettando una serie di barrette del materiale che si sperimenta ad un carico statico costante ed a temperatura costante per un tempo assai lungo (talvolta dei mesi), sino a precisare quale sia il carico al di sotto del quale la deformazione cessa ed il materiale resiste indefinitamente.

Poiché prove di questa natura sono disagevoli e richiedono un tempo assai lungo, è stato recentemente proposto di determinare questo limite, misurando, ad una temperatura costante e per una durata sufficiente di applicazione del carico, la sollecitazione alla quale la barretta si allunga di un valore piccolissimo, quale si può misurare con i mezzi più sensibili a disposizione (0,001% all'ora, Pomp e Dahmen, Mitt. Kaiser - Wilhelm Inst. Eisenforsch., IX, 1927, p 33).

Con questi due metodi sono stati studiati varî tipi di acciaio, e ne è risultato che il limite di viscosità diminuisce rapidamente con l'innalzarsi della temperatura ed è funzione della composizione dell'acciaio. Per temperature di prova non troppo elevate, il carbonio aumenta la resistenza dell'acciaio; ma, a mano a mano che la temperatura cresce, l'influenza di questo elemento si fa sempre meno sentire.

Poiché determinate parti di macchine vengono assoggettate anche per un tempo assai lungo a sforzi a temperature elevate (ad es. utensili di acciaio rapido, bocche da fuoco, parti di motori, come pistoni, valvole, ecc.), si è ricercato, in questi ultimi tempi, quali elementi introdotti nell'acciaio sono capaci di aumentarne il limite di durata a caldo, che negli acciai semplici degrada rapidissimamente con l'aumentare della temperatura. E si è trovato che alcuni elementi sono particolarmente adatti a questo scopo (cromo, tungsteno, silicio, molibdeno, cobalto), specie se contenuti nell'acciaio in quantità cospicue, come negli acciai a carburo doppio (v. più oltre, acciai speciali).

Sul limite di durata a caldo degli acciai influiscono in notevole misura non solo la composizione, ma anche il trattamento termico; l'influenza del trattamento termico si fa però sentire in modo decrescente con l'aumentare della temperatura, dappoiché - come è noto - con l'elevarsi di questa, l'acciaio tende a portarsi in uno stato di equilibrio strutturale, per cui l'effetto del trattamento termico va gradatamente scomparendo.

Notevole è la variazione della resilienza con la temperatura: essa si abbassa dalla temperatura ambiente sia con l'innalzarsi sia con l'abbassarsi della temperatura.

Particolarmente rapido e brusco è l'abbassamento a temperature inferiori dalla temperatura ambiente. Questo fenomeno comune a tutti gli acciai si spiega oggi col fatto che essi possono rompersi sia per separazione o distacco, sia per deformazione. Il primo modo di rottura assorbe una quantità assai piccola di energia, mentre il secondo modo di rottura ne assorbe una grande quantità, poiché la maggior parte del lavoro di urto va spesa nella deformazione; le basse temperature favoriscono appunto la rottura per separazione (o distacco). Poiché si passa rapidamente da un modo di rottura ad un altro con l'abbassarsi della temperatura, si capisce come, a partire da un valore critico di questa, la curva della resilienza pieghi, per abbassarsi poi bruscamente.

Gli acciai possono trovarsi a lavorare per urto a temperature relativamente assai basse o a temperature che variano rapidamente, entro limiti relativamente ampî (ad es., rotaie nei paesi nordici e nelle linee di montagna, acciai adoperati nelle costruzioni aviatorie, ecc.), e perciò può essere utile determinare la variazione della resilienza con la temperatura. Le nostre conoscenze al riguardo sono però ancora poco progredite; inoltre, dappoiché i valori della resilienza variano enormemente con le condizioni sperimentali, ed in una misura che non è la stessa per tutti gli acciai, è difficile precisare se e quali rapporti esistano fra i valori che questa prova fornisce e il comportamento del materiale nelle condizioni in cui viene posto e lavora in opera, se quindi questa prova già effettivamente una misura della fragilità.

Al di sopra della temperatura ambiente la resilienza degrada più lentamente, sino a raggiungere un minimo verso i 450°. Nell'intorno di queste temperature le superficie di frattura divengono azzurre: per questo fatto, e poiché il ferro mostra fra 300° e 500° una notevole fragilità, si parla di fragilità al bleu. Perciò in pratica si cerca di evitare la lavorazione meccanica del ferro a queste temperature. Di questo importante fenomeno sarà fatta parola più avanti. La curva della resilienza, da un minimo intorno a 450°, torna poi ad aumentare rapidamente sino ad un massimo verso 630°, e poi diminuisce nuovamente.

Si è veduto più sopra che ad elevate temperature i risultati che si ottengono nel saggio di trazione sono una funzione della velocità della prova. Ma l'influenza della velocità della prova diviene considerevole solamente tra i 400° ed i 500°. mentre al disotto di 400° questa influenza si attenua sino a divenire trascurabile.

Il saggio statico ordinario a temperature nelle quali la plasticità del metallo è pressoché trascurabile fornisce perciò confronti del più alto interesse.

L'influenza che esercita il tenore di carbonio sulla variazione delle proprietà meccaniche è rappresentata dai diagrammi 40 e 41. Da essi si vede come i minimi ed i massimi del carico di rottura ed i corrispondenti massimi e minimi dell'allungamento si spostano alquanto con il tenore di carbonio. L'andamento generale delle curve della resilienza (fig. 41) non viene invece alterato; si osserva però che i valori della resilienza, almeno per temperature sino a 500°, sono tanto più bassi, quanto più elevato è il tenore di carbonio.

Le aggiunte di alcuni elementi speciali rendono in genere più regolare l'andamento delle curve delle caratteristiche meccaniche; il massimo di fragilità al color bleu viene di molto attenuato; così pure la caduta del carico di rottura avviene, per determinate aggiunte di elementi speciali, più lentamente o a temperature più elevate, come è stato sopra accennato.

Nell'acciaio al nichel austenico manca il massimo di fragilità.

Nei materiali che lavorano a caldo ci si deve preoccupare, oltre che della resistenza meccanica a caldo, della resistenza all'ossidazione.

Dal diagramma che si è riportato alla fig. 41 si può rilevare che l'acciaio ad elevato tenore di cromo è il più resistente all'ossidazione. Poiché esso è tra quelli che hanno anche la maggior resistenza a caldo, il suo impiego per certi usi speciali (per valvole di motori, per bocche da fuoco, ecc.) si va generalmente diffondendo; in questi tempi si è cercato di elevare la resistenza a caldo degli acciai al cromo aggiungendo, in unione al cromo, altri elementi speciali (silicio, molibdeno); questi acciai complessi dànno, specie dopo opportuno trattamento termico, risultati anche superiori.

Lingotti - Getti - Cristallizzazione primaria; liquazione; cristallizzazione secondaria; cono di ritiro; soffiature. - L'acciaio fuso allorché il processo di affinazione e di disossidazione è terminato, viene colato in forme di terra o metalliche per essere poi, o non, assoggettato ad ulteriore lavorazione meccanica.

Se l'acciaio viene colato nelle sue forme definitive e non subisce alcuna lavorazione meccanica che ne muti la foggia, i pezzi così ottenuti si designano con il nome di getti; se invece il metallo deve venire assoggettato ad ulteriore lavorazione meccanica (forgiatura, laminazione, pressatura, stampaggio, trafilatura, ecc.), lo si cola in forme metalliche speciali, dette lingottiere, ed i blocchi così ottenuti si designano con il nome di lingotti.

Come tutti i metalli, il ferro cristallizza nel sistema regolare. A questa cristallizzazione primaria segue durante il raffreddamento, una cristallizzazione secondaria attraverso le linee GOSE, MO e PSK (fig. 4). Ma poiché i processi di cristallizzazione non avvengono esattamente secondo le leggi dell'equilibrio chimico-fisico espresse dal diagramma e la ripartizione della temperatura nella massa che cristallizza non è uniforme, ne derivano delle anomalie di struttura, sulle quali ci intratterremo brevemente.

Cristallizzazione primaria. - Come è noto, essa incomincia in punti determinati, chiamati centri di cristallizzazione. Da questi centri i cristalli si accrescono con disposizioni che obbediscono alle leggi della cristallografia, sino a che non ne sono impediti da quelli vicini con i quali vanno ad incontrarsi. La grossezza dei grani cristallini dipende, perciò, dal numero dei centri di cristallizzazione che si formano nell'unità di tempo e dalla velocità di cristallizzazione. Il numero dei centri di cristallizzazione e la velocità di cristallizzazione dipendono a lor volta dal grado di sottoraffreddamento. Le relazioni che intercorrono tra queste grandezze sono state stabilite da G. Tammann (Kristallisieren und Schmelzen, Lipsia 1903; Lehrbuch der Metallographie, Lipsia 1914).

Allorché il sottoraffreddamento è piccolo, i cristalli crescono come poliedri a grandi superficie; allorché il sottoraffreddamento è forte, essi crescono in forma di aghi cristallini.

Poiché nel ferro fucinabile si osserva che, con il sottoraffreddamento, la grossezza del grano diminuisce, ciò significa che, con il sottoraffreddamento, l'aumento del numero dei centri di cristallizzazione prevale sull'aumento della velocità di cristallizzazione.

Nell'acciaio si possono distinguere abbastanza nettamente due forme cristalline: quelle poliedriche, o meglio globulari, e quelle dendritiche.

Alle superficie di solidificazione libere, specie nel cono di ritiro dei lingotti, si trovano entrambe le forme. La fig. 43 mostra un esempio di dendriti molto ben formate trovate nel cono di un getto di acciaio. La struttura primaria dendritica e quella globulare si possono osservare alle figg. 44 e 45. In generale, la forma globulare sembra corrispondere a grani primarî più piccoli, le dendriti a grani più grandi, e quindi laddove la conduttività termica è maggiore (alla superficie dei getti) si trovano di preferenza grani globulari, mentre nel mezzo del getto si trovano di preferenza le dendriti. Allo stesso modo, nei getti sottili predomina la forma globulare, nei getti di maggiore spessore quella dendritica.

La velocità di cristallizzazione non è il solo fattore che influisca sulla forma dei cristalli primarî.

Allorché da una soluzione di due o più componenti, come nel caso dell'acciaio, si separano cristalli misti, vengono a variare la temperatura e la concentrazione del liquidus; perché un cristallo cresca in forma di poliedro, la temperatura e la concentrazione debbono variare regolarmente in tutte le superficie del poliedro; e siccome ciò non avviene in pratica, i cristalli si sviluppano in forma dendritica.

Czochralski ha dimostrato che i cristalli si formano con il loro asse maggiore parallelo al senso del flusso di calore, e quindi normalmente alle superficie che si raffreddano: questo fenomeno è stato chiamato da Czochralski "transcristallizzazione". Queste condizioni non si avverano che di rado in tutta la sezione di un getto, perché non vi regna la stessa temperatura; e perciò una transcristallizzazione completa si osserva assai raramente.

La transcristallizzazione è dannosa alle proprietà di un getto, poiché tra questi grandi cristalli primarî si raccolgono tutte le impurità, come ossidi, solfuri, gas, e perciò la coesione tra i cristalli nel metallo transcristallizzato è minore. Di conseguenza, in pratica si cerca di evitare il più che possibile la transcristallizzazione, cercando di contrastare le condizioni che possono determinarla o favorirla, modificando, sin dove sia possibile, la temperatura e la velocità di colata, lo spessore della sezione, la forma della conchiglia, ecc.

Alla fig. 46 si può vedere un bell'esempio di transcristallizzazione. Nella regione superficiale, in cui maggiore è la conduttività termica, si osserva una cristallizzazione globulare; segue una vasta regione con transcristallizzazione e poi una sezione a dendriti molto sviluppate, quasi equiassi.

Liquazione. - L'acciaio si può considerare, dopo la solidificazione, come una soluzione solida complessa, se si eccettuino gli acciai così detti a carburo doppio (v. acciai speciali) e le inclusioni di solfuri e ossidate che non si trovano in soluzione. È noto che le leghe che presentano solubilità completa sia allo stato liquido sia allo stato solido solidificano in un intervallo di temperatura limitato in alto dalla curva del liquidus, in basso da quella del solidus. Il processo di solidificazione nell'intervallo tra le due curve determina la separazione di cristalli che sono più ricchi del costituente che fonde alla temperatura più elevata, e quindi un arricchimento nel liquidus del costituente che fonde alla temperatura più bassa. Perché si ristabilisca l'equilibrio di concentrazione, ad una certa temperatura di solidificazione, tra la fase solida e la fase liquida, occorre che i cristalli separati si arricchiscano del costituente che fonde più basso a spese del liquidus: ciò deve avvenire per diffusione. Ma, per la estrema lentezza con cui la diffusione si compie durante la solidificazione, essa non può essere che assai limitata.

E perciò, il centro di ogni individuo cristallino, trovandosi in equilibrio con il liquidus dal quale si inizia la separazione, conterrà la quantità massima del costituente che fonde alla temperatura più elevata; con l'abbassarsi della temperatura, questo individuo cristallino si accrescerà arricchendosi via via, a spese del liquidus, del costituente che fonde alla temperatura più bassa. Si avrà quindi in pratica una variazione continua di concentrazione dalla periferia al centro di ciascun individuo cristallino, e precisamente da un massimo alla periferia ad un minimo al centro del costituente che fonde più basso.

Questo fenomeno si designa con il nome di liquaziore cristallina, per distinguerla da altre specie di liquazione di cui sarà detto più avanti.

Alla liquazione cristallina possono partecipare tutti gli elementi che formano col ferro cristalli misti.

L'entità della liquazione cristallina dipende da molti fattori, e soprattutto dalla durata della solidificazione e dalla velocità di diffusione degli elementi che si ritrovano in soluzione solida nel ferro. Benché si possiedano scarse conoscenze sulla velocità di diffusione di questi elementi, si sa, ad es., che il carbonio ha una velocità di diffusione assai maggiore del fosforo (Stead, Journ. Iron Stel Inst., XCVII, 1918, p. 389; Whiteley, ibid., CI, 1920, p. 357).

Alla fig. 47 si può vedere un esempio di un acciaio contenente una percentuale rilevante di fosforo ripartito non uniformemente. Le zone ferritiche più scure sono le più ricche in fosforo, costituente che fonde più basso. Al centro è anche visibile l'eutectico, ultimo a solidificare.

Negli acciai commerciali, il processo di diffusione è assai lento e perciò essi necessitano di temperature e tempi di ricottura lunghissimi perché la diffusione sia completa. La liquazione cristallina influisce notevolmente sulle proprietà dell'acciaio, come vedremo più avanti.

Cristallizzazione secondaria. - La soluzione solida che si forma per cristallizzazione primaria si decompone durante il raffreddamento passando attraverso l'intervallo critico (v. diagramma ferro-carbonio, fig. 4).

L'esperienza ha dimostrato che la grossezza del grano, la forma e la disposizione dei prodotti di decomposizione (ferrite, perlite e cementite) dipendono in notevole misura dalle condizioni in cui si è compiuta la cristallizzazione primaria. Alle figg. 48, 49, 50, 51, 52 e 53 si possono osservare tre esempî di relazioni tra struttura primaria, messa in evidenza con il reattivo ramico di Stead-Le Chatelier, e struttura secondaria, sviluppata con soluzione alcoolica di acido picrico al 4%, in tre acciai dolci al carbonio. In questi tre esempî risulta assai evidente la correlazione tra la forma le dimensioni e la distribuzione degli elementi della struttura primaria ed i loro prodotti di decomposizione, ferrite e perlite.

Abbiamo veduto in precedenza che la forma e la disposizione della struttura primaria dipendono in notevole misura dalla velocid di raffreddamento; e perciò a queste condizioni è anche legata la struttura secondaria. Per forti velocità di raffreddamento si formano infatti ferrite-perlite a grano finissimo e regolarmente distribuite, mentre, per velocid di raffreddamento gradualmente minori, si osserva una disposizione cellulare della ferrite, le cui maglie sono riempite di perlite (vedi, ad es., fig. 8); indi, per velocità ancora minori, il reticolo di ferrite si va sempre più allargando, mentre compare la cosiddetta struttura di Widmanstätten, caratterizzata da una disposizione a reticolo assai sviluppato e da formazioni di ferrite parallele nei grani, accanto a perlite (fig. 54).

La grossezza del grano nei metalli puri e nei cristalli misti omogenei influisce enormemente sulle proprietà meccaniche.

In particolare, il metallo a grano cristallino poco sviluppato possiede una resistenza maggiore ed un allungamento minore di un metallo a grano cristallino grosso. Il metallo sarà inoltre tanto più vicino all'isotropia, quanto maggiore sarà il numero dei grani contenuti nella unità del volume, mentre il contrario avverrà se i grani sono molto sviluppati; in quest'ultimo caso, i caratteri del metallo dipenderanno notevolmente dall'orientamento dei cristalli rispetto all'asse della barretta nella prova a trazione.

Sulla cristallizzazione secondaria influiscono inoltre la liquazione cristallina e le inclusioni non metalliche. Queste ultime agiscono come germi di cristallizzazione della ferrite. Alla fig. 55 si vede un reticolo di ferrite che segue fedelmente la distribuzione a reticolo delle inclusioni contenute nell'acciaio.

Anche il fosforo sembra esercitare una notevole influenza sulla separazione della ferrite, poiché la ferrite si trova di preferenza dove si riscontra una liquazione di fosforo. La fig. 56 dà un esempio di forte segregazione di ferrite in elementi assai sviluppati, riscontrata in uno spezzone di rotaia di acciaio fosforoso (P 0,5%) ricco di inclusioni non metalliche. La forte liquazione di fosforo è messa in evidenza alla fig. 57, che rappresenta un campione dello stesso acciaio attaccato con reattivo ramico di Stead-Le Chatelier. Le bande chiare sono costituite di ferrite ricca di fosforo, poiché il rame si deposita più difficilmente sulle parti che ne sono più ricche. La ferrite presenta una struttura a bande assai pronunciata prodotta dalla laminazione.

L'accumularsi delle inclusioni fragili agli strati delimitanti gl'individui cristallini determina un abbassamento della coesione tra di essi, cosicché nella prova di trazione si osserva spesso, dove esiste una forte segregazione di queste inclusioni, una frattura intergranulare; corrispondentemente, i valori del carico di rottura, dell'allungamento e della resilienza si abbassano.

Cono di ritiro. - Allorché un getto di acciaio solidifica, esso incomincia a cristallizzare alle pareti della forma e prosegue gradualmente verso l'interno. Poiché il volume dell'acciaio solidificato è minore di quello dell'acciaio fuso, il livello del liquido che rimane indietro va diminuendo a mano a mano che il processo di solidificazione si propaga all'interno, per modo che, alla fine della solidificazione, rimane nella parte superiore del lingotto una cavità aperta imbutiforme (fig. 58).

Nella maggior parte dei casi si forma anche alla superficie una crosta solida e il cono di ritiro può constare di una cavità completamente chiusa, spesso divisa da pareti orizzontali che denotano i singoli stadî della solidificazione (fig. 59).

La formazione di queste pareti intermedie, o ponti, si spiega a questo modo. Lo strato superficiale che solidifica per primo viene compresso dalla pressione atmosferica, poiché, col proseguire della solidificazione, si forma al di sotto della crosta superficiale uno spazio vuoto; perciò la superficie del lingotto diviene concava all'esterno. Col proseguire della solidificazione, il livello del liquido continua a discendere; si forma così la cavità superiore; nel solidificarsi di una seconda crosta, si forma al di sotto di essa una seconda cavità, e così via.

La pressione atmosferica può provocare la rottura delle singole croste: e perciò le pareti del cono saranno ossidate o no, a seconda che esse si siano rotte od abbiano resistito alla pressione atmosferica.

In qualche caso, il cono di ritiro si prolunga in basso con una cavità tubulare (fig. 58); questa talvolta si propaga nel terzo inferiore del lingotto, diramandosi verso i quattro angoli inferiori.

Il cono di ritiro propriamente detto si produce in seguito alla diminuzione di volume che ha luogo nella solidificazione, mentre la cavità di ritiro si forma durante il raffreddamento. Quest'ultima si osserva specialmente quando avviene transcristallizzazione.

In pratica si cerca di diminuire il cono di ritiro o di limitarlo alla parte superiore del getto con una serie di accorgimenti diretti a combattere le cause che lo producono. Così, ad es., si cerca di diminuire la differenza di temperatura tra la parete ed il centro del lingotto, di diminuire il tempo necessario alla solidificazione, di mantenere la parte superiore del getto quanto più è possibile liquida perché il metallo possa riempire la cavità mano a mano che si forma; ciò si cerca di conseguire evitando una temperatura di colata troppo elevata, colando lentamente, proporzionando lo spessore della lingottiera a quello del getto e facendo uso della materozza.

I lingotti lunghi e di sezione piccola, a facce parallele o convergenti superiormente, hanno spesso la cavità di ritiro che si prolunga sino quasi alla base (v. la stessa fig. 58). Perciò si cola spesso con la base più grande in alto, perché la parte superiore, di massa maggiore, rimanga più a lungo liquida. Un esempio di lingotto assai sano, ottenuto con gli accorgimenti detti sopra, è rappresentato alla fig. 59. Il cono di ritiro è limitato alla parte superiore della materozza e tutto il lingotto è perfettamente sano e compatto.

Per eliminare il cono, si è fatto anche ricorso a mezzi meccanici, esercitando una pressione per via idraulica sui lingotti non ancora completamente solidificati (processi Harmet, Withworth, Illingworth, Robinson e Rodger, ecc.). Ma questi processi non sembra siano economici né di facile condotta.

Mentre nei lingotti che subiscono una lavorazione meccanica a caldo il cono di ritiro si chiude più o meno compiutamente durante le fasi della lavorazione e si può asportare, nei getti di acciaio, che non vanno assoggettati ad alcuna lavorazione a caldo, esso non è eliminabile. Nella buona pratica di fonderia si fa perciò ricorso a tutti quei mezzi e quegli accorgimenti (disegno e dimensioni della forma, numero e forma delle materozze, conchiglie per il raffreddamento delle parti più spesse, ecc.), che fanno sì che la solidificazione si compia nel modo più uniforme possibile.

Non è però sempre consigliabile di accelerare troppo la solidificazione dei getti, poiché, se la cristallizzazione avviene pressoché contemporaneamente in tutta la sezione, si ha una troppo scarsa coesione tra i cristalli, ed il getto è poco compatto, e quindi poco resistente.

Soffiature. - Se il gas che si sviluppa durante la solidificazione dell'acciaio non può svolgersi liberamente, nel metallo si formano delle soffiature. A volte la pressione dei gas può divenire così notevole, che la superficie del metallo solidificato cede; l'improvvisa diminuzione di pressione che si manifesta per la rottura della crosta solidificata provoca nuovamente un forte sviluppo di gas, e il lingotto "rimonta" (fig. 60).

La quantità e la ripartizione delle soffiature dipendono non solo dalla quantità di gas che si sviluppa, ma anche dal tempo che impiega il metallo a solidificare. Infatti, quanto minore è l'intervallo di solidificazione, tanto minore è l'intervallo di tempo che i gas hanno disponibile per potersi liberare dal metallo e tanto maggiore è quindi, a parità d'altre condizioni, la quantità di gas che può rimanervi occlusa. Negli acciai dolci, nei quali l'intervallo di solidificazione è minore che negli acciai duri, si osserva infatti generalmente una maggiore ricchezza di soffiature.

Per molto tempo si è ritenuto che il manganese, il silicio, l'alluminio e i disossidanti in genere abbassassero la solubilità dei gas nell'acciaio. Ma abbiamo veduto che questo concetto è errato e che questi elementi producono invece una disossidazione del metallo, poiché gli ossidi che si formano a spese dell'ossido di ferro si eliminano dal metallo fuso, rimontando, almeno in parte, alla superficie, o reagiscono con il carbonio assai più difficilmente dell'ossido di ferro, e quindi "calmano" il metallo. Di qui la frequente pratica di aggiungere all'acciaio, prima della solidificazione, piccole quantità di silicio e di alluminio.

La fig. 60 è un esempio interessante della disposizione e della ripartizione di soffiature in un lingotto di acciaio dolce al carbonio. In esso è notevole la relazione tra la disposizione delle soffiature e la forma e la disposizione della cristallizzazione primaria.

Nei getti di acciaio la presenza di soffiature è particolarmente dannosa, poiché la resistenza totale del pezzo viene fortemente ridotta dalla mancanza di coesione. Si aggiunga a ciò che, nelle sollecitazioni di fatica, ai limiti delle cavità avvengono notevoli aumenti di tensioni locali.

Liquazione nei grossi getti. - Nei grossi getti, la solidificazione incomincia alle pareti fredde della lingottiera e prosegue con relativa lentezza verso il centro. Poiché la solidificazione avviene secondo le leggi generali che regolano la formazione dei cristalli misti, la crosta superficiale, prima a solidificarsi, è formata di ferro molto puro. Il liquidus tende a migrare nell'interno del lingotto, e, a mano a mano che cresce lo spessore della zona che si solidifica, si va continuamente arricchendo di carbonio e degli altri elementi disciolti, sino a che solidifica completamente al di sotto del cono di ritiro.

La diffusione degli elementi segregati avviene in misura assai limitata, sia perché in generale la velocità di diffusione è piccola, sia perché, con lo spessore dello strato che solidifica, aumenta la distanza che questi elementi debbono percorrere per ripartirsi omogeneamente. La fig. 61 dà un esempio della ripartizione della liquazione in un grande lingotto di acciaio Martin della composizione seguente:

Nel sistema di coordinate formate dalle M M′ sono riportati in ordinate i punti in cui sono stati prelevati i campioni per le analisi, e in ascisse la percentuale degli elementi (a destra le percentuali di zolfo e fosforo, a sinistra quelle di manganese e carbonio). I massimi corrispondono alla regione in prossimità del cono di ritiro, e cioè alla regione che è ultima a solidificare.

Poiché con le dimensioni del lingotto aumentano tanto la durata della solidificazione quanto la differenza di temperatura tra la parete e l'interno del lingotto, così aumenta anche l'entità della liquazione. È anche facile intendere come questa aumenti anche con l'aumentare del tenore di carbonio.

Le impurità note con il nome di inclusioni di scorie solubili nel ferro fuso, separandosi nella solidificazione, seguono pur esse le leggi generali della liquazione. Quanto alle inclusioni non solubili, esse avranno tanto maggiore capacità di separarsi dal metallo, rimontando alla superficie del lingotto, quanto minore sarà il loro peso specifico e quanto maggiore sarà la loro attitudine a riunirsi in aggregati di più grandi dimensioni.

Altri difetti. - Un'altra categoria di difetti è quella dei difetti superficiali.

Nella crosta dei lingotti possono riscontrarsi delle fessurazioni più o meno profonde. Esse si producono quando, durante la solidificazione, si trovano ad essere impediti in qualche punto la coesione del metallo ed il suo distacco dalla lingottiera. Il lingotto, con tutto il suo peso, può trovarsi allora sospeso, e, se il limite di resistenza del metallo è superato, possono prodursi fessurazioni. Così, ad esempio, per eccessivo riscaldamento della lingottiera, il metallo può saldarsi con essa in qualche punto e produrre fessurazioni.

Nel caso della fig. 62, la lingottiera è stata riempita troppo, cosicché tutto il lingotto, rimasto sospeso, è venuto a gravitare sulla massa di acciaio sovrastante alla lingottiera e si è staccato.

La sospensione dei lingotti, e di conseguenza la comparsa di fessure trasversali del genere descritto, possono dipendere anche da superficie rugose delle lingottiere o da forme di lingottiere non adatte.

Difetti di altra natura possono riscontrarsi se, durante la colata, l'acciaio non sale in modo continuo nella lingottiera; si possono allora formare delle sottili croste di metallo solidificato alle pareti della lingottiera fredda, che non vengono più disciolte dall'acciaio che monta, e che, distaccandosi dalla parete, possono formare delle vere superficie di separazione dall'aspetto rugoso (fig. 63).

Altri difetti dei lingotti sono le soffiature superficiali. Se le lingottiere sono rugose, esse aderiscono al getto, e può essere impedito lo svolgersi dei gas.

Anche la presenza di umidità o di ruggine sulla parete interna della lingottiera può essere causa di soffiature superficiali: l'ossido di ferro di cui è costituita la ruggine reagisce con il carbonio dell'acciaio, producendo ossido di carbonio, e quindi soffiature. Un fenomeno analogo si ha se, colando dall'alto, vengono proiettate contro la parete della lingottiera gocce di acciaio, che vi si attaccano e si ossidano (fig. 64).

Poiché i difetti che si riscontrano nei lingotti dànno origine nel prodotto lavorato a difetti più o meno gravi, di cui vedremo più avanti alcuni esempî, nella pratica di acciaieria si cerca di evitarli o di limitarli quanto più è possibile.

Ricottura dei Getti - Diffusione del carbonio - Surriscaldamento - Bruciatura. - Col nome di ricottura si definisce un processo di riscaldamento il quale produce nell'acciaio greggio di colata un'affinazione del grano ed una certa omogeneità strutturale, per modo che ne risulta migliorato il complesso delle proprietà meccaniche. I fattori più importanti che influiscono su questo processo, e quindi sulle proprietà che i getti acquistano, sono: temperatura, durata del riscaldamento e velocità di raffreddamento.

a) Temperatura di ricottura. - Le trasformazioni strutturali che si accompagnano alla ricottura sono regolate dagli equilibrî rappresentati dal diagramma della fig. 4.

Allorché si raggiunge la temperatura dell'orizzontale PSK, la perlite comincia a trasformarsi in soluzione solida, indi entra in soluzione la ferrite, e in tanto maggior misura, quanto più elevata è la temperatura di ricottura.

Negli acciai ipoeutectoidi, allorché è raggiunta la linea GOS, tutta la mescolanza di ferrite-perlite si trasforma in soluzione solida. Negli acciai ipereutectoidi, allorché è raggiunta la linea della cementite SE, tutta la cementite entra in soluzione. Se la lega si lascia nuovamente raffreddare, si separano nuovamente ferrite, perlite e cementite. La ricottura è in questo caso completa.

Poiché nel raffreddamento, a cagione dell'isteresi, la trasformazione è ritardata, le linee GOS ed SE possono essere più basse al raffreddamento che al riscaldamento.

Ma, come in ogni processo, perché la trasformazione della perlite e della ferrite avvenga completamente, occorre un certo tempo; e questo tempo è funzione della grossezza del grano dei costituenti, alla quale sono altresi legati i fenomeni di liquazione cristallina di cui si è parlato sopra.

L'esperienza ha dimostrato che, per avere una ricottura completa in un tempo compatibile con un procedimento industriale, occorre elevare la temperatura di 30°-60° al di sopra delle linee di equilibrio del diagramma ferro-carbonio.

Nel diagramma riportato alla fig. 65 sono indicate le temperature utili di ricottura (zona 1).

Le figg. 66 e 67 mostrano la struttura di un acciaio dolce al carbonio (C = 0,15%) prima e dopo ricottura a 920°, le figg. 68 e 69 la struttura di un acciaio semiduro al carbonio (C = o,35%) prima e dopo ricottura a 850°. La ricottura produce un notevole affinamento del grano ed una distribuzione assai più uniforme dei costituenti strutturali, ferrite e perlite.

La soluzione solida, allorché venga riscaldata alla sua temperatura di formazione, possiede la minima grossezza del grano, poiché poco al di sopra della linea GOS il numero dei germi di cristallizzazione è massimo. Perciò nella trasformazione al raffreddamento essa darà luogo alla formazione del massimo numero di grani. Se invece la temperatura di ricottura si innalza, i grani della soluzione solida subiscono un accrescimento, e risultano pertanto più grossi i grani di ferrite-perlite che da essi si formano nel successivo raffreddamento. Questa è la ragione per cui anche industrialmente occorre non superare di troppo la temperatura della linea GOS.

Anche la perlite che si forma per raffreddamento della soluzione solida riscaldata alla temperatura dell'orizzontale PSK ha il minimo di grossezza del grano (v. sopra); se si innalza la temperatura e si prolunga il riscaldamento, si avranno cementite lamellare (regione 2 del diagramma fig. 62) o globulare.

Se la temperatura di ricottura si continua ad aumentare, i grani di ferrite e di perlite che si formano nel raffreddamento dalla soluzione solida si vanno mano mano ingrossando, sino ad ottenere una struttura assai grossolana, analoga a quella dell'acciaio greggio di colata. In questo caso, la perlite non si trova più ai giunti dei grani di ferrite ed i cristalli finiscono per assumere un orientamento secondo le leggi cristallografiche: si riforma, cioè, o la struttura di Widmanstätten o un'altra specie di struttura a grano sviluppato analoga a quella di prima consolidazione, a seconda delle condizioni sperimentali. Si dice allora che l'acciaio è surriscaldato. Alla fig. 70 è rappresentata la struttura dello stesso acciaio delle figg. 68 e 69 surriscaldato alla temperatura di 1000°.

Se la temperatura di ricottura è spinta anche più oltre, l'acciaio è bruciato (fig. 71) e non è più possibile rigenerarlo nemmeno con il trattamento termico. Se si raggiunge, infatti, la temperatura della linea del solidus, il metallo incomincia a fondere e, per accesso dell'ossigeno dell'aria, si ossida e si deteriora quindi irrimediabilmente.

Poiché l'intervallo di fusione è tanto maggiore quanto maggiore è la liquazione cristallina, si comprende come gli acciai che hanno più pronunciato questo fenomeno siano più facili a bruciarsi: e naturalmente la fusione incomincia negli strati più liquati.

Scopo della ricottura è, come si è detto, di migliorare l'insieme delle proprietà meccaniche dell'acciaio. Se la ricottura si eseguisce nell'intervallo di temperatura più conveniente (diagramma fig. 65) si ottiene un optimum di proprietà meccaniche. Queste però vanno peggiorando se la temperatura di ricottura viene spinta troppo oltre, se, cioè, l'acciaio viene surriscaldato. L'influenza del surriscaldamento si fa particolarmente sentire sulla resilienza, che va rapidamente degradando coll'aumentare di esso. Ciò non recherà meraviglia, poiché questa prova è particolarmente sensibile all'ingrossamento del grano.

Mentre la ricottura esercita, come sopra si è detto, una profonda influenza sulla struttura della mescolanza di ferrite-perlite, affinando il grano e ripartendo questi costituenti più uniformemente, essa non fa sentire i suoi benefici effetti sulla ripartizione dello zolfo e del fosforo, poiché questi elementi non diffondono, o diffondono con estrema lentezza. Se un getto si raffredda molto lentamente, si hanno forti liquazioni di questi elementi che vengono a diminuire la quasi isotropia che il metallo è capace di acquistare dopo una conveniente ricottura. Questi elementi conducono inoltre alla formazione di un grande reticolo di îerrite anche nel materiale ricotto convenientemente; e, se vi sono contenuti in quantità relativamente elevate, vi inducono una tendenza a conservare l'abito della struttura di prima consolidazione, che si esplica in un peggioramento delle proprietà meccaniche.

b) Durata della ricottura. - Come si è veduto, una temperatura di ricottura eccessivamente elevata provoca l'accrescimento dei cristalli della soluzione solida (surriscaldamento). La stessa influenza esercita la durata della ricottura, con gli effetti sulle proprietà meccaniche che si sono esposti più sopra.

c) Velocità di raffreddamento. - Si è veduto che l'accelerazione della solidificazione conduce alla formazione di una soluzione solida a grano fine: lo stesso effetto esercita la velocità di raffreddamento attraverso l'intervallo GOSP. E, poiché le proprietà meccaniche e la quasi isotropia sono tanto migliori, quanto più fine è il grano, si ha interesse ad accelerare la velocità di raffreddamento nel passaggio attraverso l'intervallo critico. Questo principio non può però essere generalizzato, perché, per raffreddamento non uniforme di un getto, possono crearsi in esso tensioni che possono provocarne la rottura. Negli acciai speciali, inoltre, per l'aumento dell'isteresi alla trasformazione, che alcuni elementi speciali determinano, si manifestano dei fenomeni di tempra, dei quali conviene che si tenga conto.

La struttura della perlite è anch'essa influenzata dalla velocità con cui avviene il passaggio attraverso la linea PSK. Un raffreddamento lento favorisce la formazione di perlite da granulare a lamellare, un raffreddamento rapido la struttura sorbitica.

Nella buona pratica d'officina si ricorre spesso all'espediente di accelerare il raffreddamento attraverso l'intervallo critico per affinare il più possibile il grano, e poi, una volta superato questo intervallo, di raffreddare il materiale lentamente sino alla temperatura ordinaria, per evitare le tensioni.

Deformazione a caldo del ferro fucinabile. - Allorché la lavorazione, o deformazione, del ferro fucinabile si esegue al di sopra di A3, e cioè nel campo della soluzione solida omogenea, essa si chiama lavorazione a caldo (fucinatura, pressatura, laminazione). Lo scopo è non solo di dare all'acciaio la forma desiderata, ma di distruggere i costituenti di prima consolidazione, di renderlo più omogeneo e compatto e di migliorarne le proprietà meccaniche.

Ricerche di Oberhoffer e di altri sperimentatori hanno dimostrato che lavorazione a caldo e velocità con cui si passa l'intervallo critico al raffreddamento, influiscono entrambe sulla grossezza del grano dell'acciaio.

Per impartire all'acciaio la duttilità necessaria ad una lavorazione facile e profonda, specie se si tratti di grossi lingotti, lo si lavora a temperature notevolmente superiori ad A3, e precisamente a temperature comprese tra 900° e 1250°. Le temperature più elevate si adoperano per gli acciai più poveri di carbonio, i quali sono anche meno sensibili al surriscaldamento.

All'inizio della lavorazione a caldo, si possono adoperare temperature notevolmente più elevate che nella ricottura, senza che si producano forti surriscaldamenti, perché, come si è detto, la lavorazione meccanica già per sé stessa induce nel materiale un affinamento della struttura. Tuttavia in pezzi di qualità, i quali vadano soggetti in opera a sollecitazioni molto intense, è buona pratica evitare temperature di lavorazione troppo elevate, perché inducono nel metallo una certa fragilità.

Gli acciai ipereutectoidi si lavorano preferibilmente tra Ac1 e Acm; si consegue così lo scopo di distruggere il grande reticolo e gli aghi di cementite e di ottenere cementite granulare più fine e più uniformemente ripartita. Con questo procedimento, l'acciaio non solo si rende più dolce e si lavora perciò più facilmente a freddo, ma si presta anche meglio a subire gli effetti della tempra.

Siccome la lavorazione meccanica a caldo si esegue in un certo intervallo di temperatura, ci si è preoccupati di determinare l'influenza della temperatura finale di lavorazione sulle proprietà meccaniche dell'acciaio: e si è osservato che queste sono migliori, se la temperatura finale di lavorazione è intorno ad Ac3.

Se l'acciaio lavorato a caldo si lascia raffreddare all'aria - il che di regola si fa nei laminati - si forma una struttura assai fine, che gli conferisce caratteristiche meccaniche assai elevate.

Spesso si fa però subire ai pezzi lavorati a caldo un opportuno trattamento termico, sia per affinare la struttura, sia per togliere gli effetti del raffreddamento rapido (tempra, tensioni).

Le regole che debbono presiedere a questa ricottura sono pressoché le stesse di quelle di cui s'è parlato a proposito della ricottura dei getti. La lavorazione a caldo distrugge la struttura di prima consolidazione ed attenua notevolmente la eterogeneità strutturale; e quindi, a differenza di quanto avviene nei getti, la ricottura completa avviene assai più facilmente. In questo caso sono perciò in generale sufficienti una temperatura un poco più bassa ed un tempo assai più breve (v. diagramma a fig. 65).

Anche nel caso degli acciai lavorati a caldo, con l'aumentare della temperatura di ricottura cresce la grossezza del grano cristallino, e con questo accrescimento è connessa una piccola diminuzione della durezza, ma una forte caduta della resilienza. La durata del riscaldamento ha anche in questo caso la stessa influenza della temperatura. Perciò, anche nella ricottura dei pezzi lavorati, occorre scegliere una temperatura conveniente e proporzionare la durata della ricottura alla loro massa.

L'influenza della velocità di raffreddamento si esplica in modo analogo che per i getti. Con l'aumentare della velocità di raffreddamento non si ottiene soltanto un affinamento del grano della ferrite, ma si influenza anche la forma della perlite.

L'aumento della velocità di raffreddamento influisce perciò sulle proprietà meccaniche, specialmente degli acciai duri, aumentando il carico di rottura e il limite di snervamento ed abbassando l'allungamento; e questa influenza è tanto più manifesta, quanto più elevato è il tenore di carbonio.

Negli acciai ipereutectoidi la ricottura modifica ben poco le proprietà meccaniche; quest 'operazione serve piuttosto a conferire all'acciaio una struttura adatta a prendere la tempra.

Una ricottura a temperature comprese tra Ac1 e Acm produce una parziale soluzione della cementite, che torna a separarsi nel raffreddamento; raggiunto Acm, la soluzione è completa.

Howe e Levy (in Ferrum, 1913-1914, p. 381) trovarono che, per raffreddamento lento, la cementite si separa in forma di reticolo, per raffreddamento rapido in forma di aghi (figg. 12, 13 e 17).

Se si ripete il riscaldamento tra Ac1 ed Acm un sufficiente numero di volte, tutta la cementite può essere convertita in cementite globulare (fig. 18). In questa forma la cementite va in soluzione al di sopra di Acm con grande lentezza perché, avendo subito una forte coalescenza, la diffusione avviene più lentamente (pag. 8). Questo fatto è da tener presente nella tempra degli acciai contenenti cementite globulare, i quali perciò richiedono un riscaldamento assai più lungo.

Difetti. - Un gruppo di difetti, che spesso si riscontra negli acciai lavorati a caldo, trae la sua origine dai difetti che si riscontrano nella cristallizzazione primaria, e precisamente dal cono di ritiro, dalle soffiature e dalla segregazione delle impurità contenute nell'acciaio.

Allorché un lingotto contenente cono di ritiro viene assoggettato alla lavorazione a caldo, le superficie interne possono saldarsi, purché la temperatura sia sufficientemente elevata e le pareti interne non siano ossidate e siano prive di impurità nocive, specie non metalliche. Ma il più delle volte queste condizioni difficilmente si verificano, cosicché il cono di ritiro produce nell'acciaio dei difetti più o meno gravi.

Un esempio di cono che non si è saldato si vede nello spezzone di rotaia rappresentato alla fig. 72: sotto l'azione della pressione di esercizio, il cono si è aperto in corrispondenza del fungo. Un altro esempio di cono di ritiro che non si è saldato durante la fucinatura è dato alla fig. 73.

Nei casi in cui i pezzi lavorano per fatica, la presenza del cono può essere estremamente dannosa come ad es. nel caso di alberi a manovella; perciò esso va eliminato con molta cura.

Nei lingotti soffiati, durante la lavorazione a caldo, le soffiature in generale si chiudono, se non son ossidate all'interno. Anche le cavità ossidate possono però saldarsi se è presente una quantità di carbonio sufficiente a ridurre gli ossidi ed il tempo, la pressione e la temperatura di lavorazione sono sufficienti. La figura 74 rappresenta il caso di un lingotto assai ricco di soffiature. Nella laminazione, queste si sono allungate e solo parzialmente saldate, dando origine a sottili cavità tubulari che percorrono il pezzo per tutta la sua lunghezza (fig. 75).

Le soffiature superficiali sono più difficili a saldarsi, perché ossidate; in presenza di queste, spesso si ottengono laminati che hanno scaglie, cricche ed altri difetti superficiali (fig. 76).

Le zone di liquazione del lingotto permangono nel materiale lavorato e si possono riconoscere con reattivi di attacco adatti.

La fig. 77 mostra un esempio di segregazione di zolfo e fosforo molto forte.

Una forte liquazione produce spesso nella laminazione cricche trasversali, poiché, se le zone liquate vengono in contatto con i cilindri, essendo meno deformabili a caldo, facilmente superano il limite di deformabilità e si aprono. Se le zone liquate rimangono racchiuse da una zona esterna sufficientemente spessa di materiale più puro, sono meno dannose, perché vengono assoggettate ad una deformazione meno intensa.

È facile comprendere come in certi casi le liquazioni possano esercitare una influenza assai nefasta sulle proprietà meccaniche del metallo quando ci si riferisce all'esempio, dato innanzi, di liquazione di un grosso lingotto. Durante la lavorazione, il carbonio può ripartirsi con una certa uniformità a cagione della sua elevata velocità di diffusione, mentre ciò non accade per il fosforo e per lo zolfo, i quali rendono l'acciaio più duro e più fragile. Perciò in pratica si ha cura di eliminare nei grossi lingotti la parte affetta da liquazioni nocive, specialmente se essi sono destinati alla preparazione di pezzi delicati e fortemente sollecitati.

Le inclusioni non metalliche contenute nell'acciaio esercitano sulle sue caratteristiche meccaniche un'influenza diversa a seconda della loro natura, del loro numero, delle loro dimensioni e della loro ripartizione. Se la barretta di trazione è presa nel senso della maggiore riduzione di area, esse non esercitano in generale una notevole influenza sui risultati della prova; un caso tipico si ha nel ferro puddellato. Se la barretta è prelevata invece in senso trasversale, l'influenza delle inclusioni non metalliche può essere assai dannosa alle proprietà meccaniche (traverso). La presenza di un notevole numero di inclusioni produce la cosìddetta frattura legnosa.

Queste inclusioni, specialmente se non sono plastiche, abbassano inoltre notevolmente la deformabilità a caldo; nella lavorazione a caldo, i lingotti hanno tendenza a fessurarsi ai bordi e queste fessure possono condurre a rottura tutto il lìngotto.

Particolarmente sensibili sono questi acciai, allorché si lavorano al calor rosso (700-900°) Si parla perciò di fragilità al rosso.

La cosìddetta struttura a fibra dei materiali lavorati a caldo deriva dalla liquazione cristallina. Si è veduto che, nella cristallizzazione primaria, lo zolfo, il fosforo ed altri elementi non si ripartiscono uniformemente. Durante la lavorazione a caldo le dendriti si orientano nel senso della maggiore riduzione di area e si forma la cosìddetta struttura a fibra; essa perciò deriva da inomogeneità di composizione dei cristalli primarî e può essere messa in evidenza con appropriati reattivi di attacco. Alla fig. 78 si vede uno spezzone di testa di biella per motore di aviazione, di acciaio al cromonichel fucinato, che presenta una struttura a fibra molto pronunciata.

Con determinati reattivi si può anche riconoscere una struttura analoga secondaria (struttura a bande della ferrite), che è dovuta all'azione germinativa delle inclusioni di scorie, che si sono allineate per effetto della lavorazione a caldo, sulla cristallizzazione secondaria della ferrite (figg. 79 e 80). Questa struttura secondaria a bande può talvolta essere fatta scomparire con opportuno trattamento termico di omogeneità, mentre non si riesce a far scomparire se non in misura assai limitata la struttura a fibra primaria.

Le dimensioni della fibra primaria dipendono dalla riduzione di area e dalle dimensioni dei cristalli primarî: perciò la fibra è tanto più sottile, quanto maggiore è, a parità di altre condizioni, la riduzione di area; ed è tanto più grossa, quanto maggiori sono, a parità di altre condizioni, le dimensioni del lingotto.

Da ciò è facile intendere come le proprietà meccaniche longitudinali dell'acciaio debbano variare con la riduzione di area. In pratica si osserva che il carico di rottura, il limite di snervamento e l'allungamento variano poco con la riduzione d'area, mentre aumentano considerevolmente la strizione e la resilienza.

Le proprietà trasversali sono invece in generale tanto più basse, quanto maggiore è la riduzione di area; la resilienza in particolare ha un andamento pressoché inverso al precedente. Perciò, nei pezzi che vanno assoggettati a sollecitazioni continue ed elevate, si cerca, con opportuna condotta delle operazioni di forgiatura, di pressatura, di stampaggio, di disporre la fibra nel senso della sollecitazione. Un esempio tipico è rappresentato dalla fig. 81. In quest'albero a manovella, durante la fucinatura, la fibra è stata orientata in modo da seguire fedelmente la sagoma del pezzo, perché questo presenti un optimum di proprietà meccaniche nel senso dello sforzo.

Le figg. 82 e 83 rappresentano due modi di lavorazione difettosi: nel primo caso, la lavorazione è stata del tutto insufficiente, non essendo stata distrutta la struttura di prima consolidazione; nel secondo, il pezzo è stato ricavato a freddo da un massello fucinato. Il difetto di orientamento della fibra nel senso più favorevole rispetto allo sforzo che il pezzo deve sopportare o una insufficiente riduzione di area, che non distrugga la struttura di prima consolidazione, possono condurre rapidamente a rottura pezzi così importanti e così fortemente sollecitati a fatica.

Il gancio di trazione rappresentato alla fig. 84 è un altro esempio di rottura provocata da un procedimento di forgiatura errato. ll becco del gancio, invece che allungato e tirato al maglio in modo da dare alla fibra la curvatura della forma del pezzo, è stato tranciato; dopo aver forato e rigonfiato la parte destinata a far l'occhio per il tenditore, l'operaio ha praticato e rigonfiato un secondo foro al di sopra del primo ed ha fatto con la trancia un'apertura laterale per formare il becco, e poi ha tirato leggermente la punta prima del passaggio allo stampo. Questo modo difettoso di lavorazione conferisce al gancio una resistenza assai inferiore, perché esso lavora per trazione in senso normale alla fibra; specialmente la resistenza all'urto è notevolmente minore.

Nella pratica, nella preparazione di pezzi assai importanti, si suol preferire la fucinatura alla laminazione, poiché si ritiene che il lavoro di fucinatura interessi le zone più profonde del materiale, mentre l'effetto della laminazione sarebbe più superficiale; e perciò nel primo caso, le proprietà meccaniche globali sarebbero superiori.

Deformazione a freddo. Ricristallizzazione dei metalli deformati a freddo. - La lavorazione degli acciai a freddo è una operazione assai frequente nell'industria: di essa si hanno esempî nei processi di trafilatura, laminazione a freddo, stampaggio a freddo, ecc.

La lavorazione a freddo modifica profondamente le proprietà meccaniche (aumento di durezza, diminuzione dell'allungamento e della strizione) e la microstruttura.

Questi fenomeni si manifestano però non soltanto alla temperatura ambiente, ma altresì a temperature notevolmente più elevate. Si è perciò cercato di prendere come limite tra deformazione a caldo e a freddo il punto di trasformazione A3, poiché, nel campo della soluzione solida, contrariamente a quanto accade al di sotto della temperatura di trasformazione, non avviene una deformazione del grano cristallino. Ma recenti ricerche hanno dimostrato che al di sotto di A3 v'è un intervallo di deformazione in cui avvengono i fenomeni di ricristallizzazione, e perciò questa definizione, secondo le più moderne vedute, non è soddisfacente.

Come è noto, le caratteristiche strutturali di un metallo non si alterano sino a che la deformazione non abbia superato il limite elastico. Allorché il limite elastico è superato, si entra nel campo delle deformazioni plastiche. Esse sono state studiate specialmente negli acciai ipoeutectoidi, poiché la ferrite è il costituente duttile dell'acciaio.

Negli acciai in cui sia stato superato il limite elastico si notano, dopo levigazione ed attacco, linee orientate, le cosiddette linee di scorrimento (fig. 85). Osmond e Cartaud (in Revue de Métallurgie, 1906, p. 522) riconobbero che queste linee erano identiche a quelle di Neumann.

Con l'aumentare della sollecitazione, queste linee perdono il loro orientamento caratteristico ed assumono un andamento più o meno incurvato; i grani si stirano nel senso della sollecitazione sino a che il numero delle linee di scorrimento aumenta, ed i grani non si distinguono più tra loro (figg. 86-91).

Le inclusioni di scorie si orientano anch'esse nel senso della deformazione; ma poiché non possono seguire a freddo la deformazione, a cagione della loro fragilità, spesso si rompono normalmente al senso della sollecitazione.

Le deformazioni che si producono nel materiale per lavorazione a freddo possono riconoscersi, oltre che col microscopio, anche con mezzi macroscopici. È noto da lungo tempo che barrette levigate sollecitate a trazione mostrano in rilievo linee più o meno larghe, spesso rettilinee, ad andamento normale al loro asse o inclinate rispetto ad esso di un angolo da 45° a 60°, le quali appaiono allorché è superato il limite elastico e, con l'aumentare dello sforzo, si estendono gradatamente a tutta la barretta e poi scompaiono (linee di Hartmann o di Lüders, fig. 92). Si è anche osservato che, lungo queste linee, il ferro arrugginisce prima, perché è elettropositivo rispetto al metallo non deformato; perciò, negli acciai deformati a freddo, queste linee si possono molto nettamente osservare allorché incomincia l'arrugginimento (fig. 93).

Su questo principio sono fondati i reattivi di attacco per rilevare le linee di Lüders (Fry, in Stahl und Eisen, 1921, p. 1093).

La fig. 94 mostra le linee di Lüders sviluppate con uno di questi reattivi di attacco su di un ferro ad angolo raddrizzato a freddo alla macchina raddrizzatrice.

La fig. 97 rappresenta un quadro di acciaio laminato a freddo su cui sono state sviluppate le stesse linee con attacco di Fry. Le deformazioni prodotte dalle chiodature sono state messe in evidenza con lo stesso reattivo di attacco da G. Sirovich (in Metallurgia Italiana, XVII, 1925, p. 389).

Allorché si sollecita una provetta in modo che compaiano le linee di scorrimento, si produce un aumento del carico di rottura ed una diminuzione dell'allungamento e della resilienza. I diagrammi delle figg. 95 e 96 mostrano in qual modo variano le proprietà meccaniche di un acciaio extra-dolce e di un acciaio semiduro al variare del grado di deformazione a freddo nel processo di trafilatura. Nei diagrammi sono portate sulle ascisse le diminuzioni di sezione in percento rispetto alla sezione originale del filo come misura del grado di lavorazione a freddo.

Come si vede, la durezza, il carico di rottura, il limite elastico ed il limite di snervamento aumentano con la diminuzione della sezione del filo con andamento pressoché parabolico, mentre l'allungamento e la resilienza diminuiscono rapidamente. Gli è perciò che, durante il processo di trafilatura, occorre alternare i passaggi con opportune ricotture, perché, allorquando il materiale ha perduto la duttilità necessaria a sopportare la deformazione, si rompe. Con la ricottura, gli si restituiscono le proprietà meccaniche iniziali.

La solubilità in acido solforico aumenta anch'essa con il grado di deformazione, mentre diminuisce il peso specifico. La conducibilità elettrica non è molto influenzata dal grado di deformazione a freddo, mentre la permeabilità magnetica diminuisce.

La fig. 98 mostra delle lacerazioni prodotte in un filo durante il processo di trafilatura. Esse sono dovute a segregazione di carbonio al centro. La fig. 99 dimostra infatti che alla periferia del filo i costituenti sono ferrite e perlite, mentre al centro (fig. 100) è presente un'abbondante quantità di cementite cellulare, che si colora in nero per attacco con picrato di sodio. La perlite e la cementite, meno duttili della ferrite, non possono seguire le deformazioni plastiche della ferrite e si fessurano. Nei successivi passaggi, queste fessure si aprono ed assumono una disposizione a spina di pesce. La segregazione all'interno del materiale è perciò assai dannosa nella trafilatura e si cerca di evitarla il più possibile.

Ricristallizzazione dei metalli deformati a freddo. - Allorché ad un materiale deformato a freddo si apporta una sufficiente quantità di calore, esso ricristallizza anche a temperature inferiori al punto Ac3 (ricottura).

Se però la ricottura viene fatta al di sotto di Ac3 si ha un notevole accrescimento del grano della ferrite. Sono state anche osservate relazioni assai intime tra grado di deformazione, temperatura e grossezza del grano. E precisamente è stato dimostrato che la temperatura di ricristallizzazione è tanto più bassa, quanto maggiore è il grado di deformazione dell'acciaio e che, a parità di grado di deformazione, la grossezza del grano aumenta con l'aumentare della temperatura di ricottura.

Nella ricristallizzazione dell'acciaio deformato si è riscontrata una anomalia assai interessante per un grado di deformazione del 10%: e cioè si è notato che, in corrispondenza di questa deformazione, la grossezza del grano raggiunge un massimo per una temperatura di ricottura compresa tra 700° e 800°. L'intensità di questo accrescimento diminuisce con l'aumentare del tenore di carbonio. La fig. 101 rappresenta una barretta prelevata da una lamiera per caldaie piegata a freddo a 180° e ricotta a 750°. Le zone della deformazione critica sono più scure. In esse, la grossezza del grano è massima.

L'ingrossamento del grano che si constata nella ricristallizzazione della ferrite dipende, oltre che dalle condizioni sperimentali, anche dal grado di purezza del materiale.

Con il progredire della ricristallizzazione, si nota un graduale mutamento delle proprietà fisiche e meccaniche. Queste proprietà dipendono dalla grossezza del grano della ferrite. Si è veduto in precedenza che, con l'aumentare della grossezza del grano della ferrite, la resistenza diminuisce alquanto, mentre cresce l'allungamento. Ma queste variazioni sono di piccola entità in confronto con l'enorme abbassamento della resilienza, poiché all'ingrossamento del grano questa prova si dimostra particolarmente sensibile.

È stato anche osservato che, nell'intervallo critico di massimo accrescimento del grano, tutte le curve delle proprietà meccaniche mostrano una depressione. Perciò in pratica, nell'acciaio dolce, debbono essere evitate sin dove è possibile le deformazioni critiche (8-12%) ed una ricottura nell'intervallo critico (700°-850°). Se non è possibile evitare le deformazioni critiche, si deve cercare di superare nella successiva ricottura il punto A3. Questa è anche la ragione per cui si deve evitare che nella laminazione a caldo la temperatura discenda al di sotto di Ac3.

Fragilità al bleu - fenomeni d'invecchiamento - Si è detto in precedenza che le curve della resistenza e della durezza dell'acciaio, a partire dalla temperatura ambiente, passano per un massimo alla temperatura del bleu (200°-300°), mentre le curve della strizione e dell'allungamento accusano un minimo a questa temperatura. La curva della resilienza presenta invece un minimo compreso tra 400° e 500°. È stato però osservato che la posizione del massimo del carico di rottura e della durezza dipende dalla velocità di prova e che, aumentando questa, il massimo si sposta più avanti.

Deformando il ferro a temperature inferiori a 500° e saggiandolo dopo averlo fatto raffreddare, il massimo di resistenza ed il minimo di resilienza si hanno allorché la deformazione si compie tra 200° e 300°. Così pure, se l'acciaio si deforma alla temperatura ordinaria e poi si riscalda a temperature successivamente crescenti, il massimo del carico di rottura e il minimo dell'allungamento, della strizione e della resilienza si hanno ugualmente allorché il riscaldamento sia stato fatto tra 200° e 300°. Si vede adunque che non è necessario deformare il ferro al bleu per avere questi fenomeni.

Si è anche constatato che, se si deforma un materiale a temperatura ordinaria, per lungo riposo si manifestano i fenomeni caratteristici della fragilità al bleu (invecchiamento), e che il tempo necessario all'invecchiamento diminuisce con l'innalzarsi della temperatura.

Da questa serie di fenomeni e di osservazioni il Fettweis deduce che invecchiamento e fragilità al bleu si identificano (Stahl und Eisen, 1919, p. 1). Di questa asserzione si ha una conferma nel fatto che, se il ferro viene deformato e poi lasciato completamente invecchiare, non si nota più il massimo di resistenza al color bleu, ma la resistenza diminuisce continuamente col crescere della temperatura.

Le esperienze di Fettweis sono state riconfermate da Körber e Dreyer, Mitt. Kaiser - Wilhelm. Inst. Eisenf, II (1921), p. 59. Essi trovarono però che la deformazione al calor bleu produce qualitativamente, ma non quantitativamente gli stessi effetti che produce la temperatura sul ferro deformato a freddo: infatti, gli effetti che si ottengono in conseguenza di una deformazione al color bleu (aumento del carico di rottura e del limite elastico e diminuzione dell'allungamento, della strizione e della resilienza) sono pressoché doppî di quanto si abbia deformando il ferro a freddo e poi riscaldandolo tra 100° e 300°.

Secondo Fettweis (Stahl und Eisen, 1922, p. 744), tale differenza di intensità non infirma affatto queste conclusioni, poiché è una necessaria conseguenza del trattamento differente. Infatti, se l'acciaio viene deformato al calor bleu, si produce un invecchiamento non appena la deformazione si inizia, il materiale avrà perciò perduto in gran parte la facoltà di deformarsi. Se invece si deforma il ferro a freddo e poi lo si riscalda al bleu, dovrà necessariamente subire un aumento di resistenza minore che nel caso precedente.

Di questi fenomeni non si è trovata ancora una spiegazione soddisfacente. È probabile che essi si debbano all'esistenza di una modificazione allotropica del ferro al di sotto di A1; è altresì probabile che vi sia relazione tra questi fenomeni e le variazioni di alcune proprietà fisiche, che si manifestano nell'invecchiamento e nel rinvenimento degli acciai temprati; e così tra essi e la cosiddetta fragilità di rinvenimento, che è stata riscontrata in alcuni acciai e specialmente negli acciai al cromo-nichel.

Acciai Speciali.

Si dicono acciai speciali quelli che contengono uno o più elementi diversi dal carbonio - come manganese, silicio, nichel, cromo, tungsteno, molibdeno, vanadio, cobalto, ecc. -, alla presenza dei quali sono dovute, soprattutto, le loro proprietà.

In tutti gli acciai commerciali si trovano, oltre il carbonio, piccole quantità di Mn, Si, P, S, le quali esercitano influenza sulle proprietà del metallo; il nome di acciaio speciale però è riservato a quei prodotti nei quali gli elementi diversi dal carbonio sono aggiunti intenzionalmente per ottenere proprietà superiori a quelle di un acciaio ordinario al carbonio.

Acciai speciali si impiegano da lungo tempo nei materiali di artiglieria e di corazzatura. Essi hanno trovato applicazioni interessanti nella costruzione di grandi ponti e di grosse strutture metalliche; ma tutte le risorse che possono trarsi dalle loro notevoli proprietà sono state messe in evidenza specialmente dagli utensili e da quegli organi che hanno permesso lo sviluppo rapido dell'automobilismo e dell'aviazione.

Infatti, regolando la proporzione degli elementi speciali e i trattamenti termici, è possibile oggi avere una serie molto estesa di acciai e disporre per ogni organo di macchina di un metallo che meglio si dimostra appropriato a sostenere gli sforzi statici e dinamici a cui l'organo può essere sottoposto.

Gli effetti che gli elementi speciali possono indurre negli acciai sono svariati: miglioramento di tutte le proprietà meccaniche, aumento della resistenza al calore e agli agenti chimici, diminuzione del coefficiente di dilatazione, aumento della permeabilità magnetica, ecc.

Il miglioramento delle proprietà meccaniche si osserva spesso già nel metallo non trattato, ma esso si manifesta in tutta la sua entità quando si sottopone l'acciaio al trattamento termico. Gli acciai speciali vengono perciò adoperati, nel maggior numero dei casi, dopo essere stati opportunamente trattati.

I trattamenti termici sono in relazione con i fenomeni di trasformazione che si compiono durante il riscaldamento e il raffreddamento, e che negli acciai ordinari vengono modificati variando la velocità di raffreddamento.

Nel caso degli acciai speciali alla velocità di raffreddamento si aggiungono altri fattori a spostare le temperature di trasformazione e a determinare la natura e le modalità dei trattamenti termici: essi sono la qualità e la proporzione degli elementi speciali, e spesso anche la temperatura raggiunta dal metallo prima di iniziare il raffreddamento.

Sotto questo punto di vista, gli acciai speciali si possono riunire in quattro gruppi diversi (Grenet) caratterizzati dal modo come si comportano quando vengono raffreddati a tre velocità così definite:

1. Con un raffreddamento lento, Ar è sensibilmente lo stesso che Ac. L'andamento del fenomeno è allora quello indicato nella fig. 102 con isteresi quasi nulla; sull'ascissa sono riportate le temperature e sull'ordinata i coefficienti di dilatazione. A temperatura ordinaria gli acciai hanno struttura perlitica. Per temprarli occorre raffreddarli bruscamente nel l'acqua o nell'olio; essi possiedono perciò una elevata velocità critica di tempra.

2. Con un raffreddamento molto lento, Ar è sensibilmente lo stesso che Ac; ma con un raffreddamento di media lentezza Ar è notevolmente più basso di Ac. In questo secondo caso perciò il comportamento corrisponderà a quello della fig. 103, con una sola trasformazione Ar, o della fig. 104, con uno sdoppiamento della trasformazione in Ar′ e Ar″. Nel primo caso il metallo assume struttura martensitica corrispondente a una tempra completa; nel secondo la struttura sarà martensitica e troostitica contemporaneamente e corrisponderà a una tempera parziale.

Appartengono a questo gruppo gli acciai rapidi al cromo-tungsteno, al cromo-molibdeno, al cromo-tungsteno-vanadio. In pezzi di dimensioni medie questi acciai possono essere temprati all'aria. Riscaldati al di sopra di Ac e raffreddati lentamente si addolciscono.

3. Anche con un raffreddamento molto lento, Ar viene ad essere notevolmente abbassato in modo da dare martensite (fig. 103).

Questi acciai si chiamano autotempranti. Quando sono scaldati al disopra di Ac essi restano allo stato temprato, martensitico, qualunque sia la velocità con cui vengono raffreddati. Pei addolcirli bisogna scaldarli al di sotto di Ac.

Appartengono a questo gruppo gli acciai al nichel-cromo con 3,5-6% Ni, 1-2% Cr, e meno di 0,65% C.

4. Ar è sempre al di sotto della temperatura ordinaria anche con un raffreddamento molto lento.

Vi appartengono gli acciai a tenore elevato di Mn e di Ni, i quali sono normalmente austenitici.

Aggiungendo a un acciaio quantità successivamente crescenti di elemento speciale si può osservare tutta la successione dei fenomeni descritti. Così, mentre un acciaio al 2% di nichel non presenta quasi affatto isteresi, con il 10% la trasformazione è respinta a temperatura bassa, e col 25% essa è soppressa.

L'aumento della proporzione di elemento speciale agisce perciò come l'aumento di velocità di raffreddamento negli acciai ordinarî.

Si è detto avanti che anche la temperatura alla quale il metallo è portato prima di iniziare il raffreddamento può avere influenza sulla posizione dei punti critici. Questa influenza, nulla nel caso degli acciai ordinarî e di alcuni acciai speciali come quelli al nichel, si fa invece sentire negli acciai al tungsteno, al cromo, al molibdeno, al nichel-cromo e precisamente nel senso che l'aumento della temperatura iniziale di raffreddamento ha sul fenomeno Ar la stessa influenza che l'aumento del tenore di elemento speciale.

Queste constatazioni si possono riassumere nel diagramma schematico della fig. 105, nel quale sull'ordinata sono riportate le temperature critiche e sull'ascissa si possono riportare, oltre le velocità di raffreddamento, anche le proporzioni di elemento speciale ritardatore, e le temperature iniziali di raffreddamento. L'aumento di velocità di raffreddamento, l'accrescimento della proporzione di elemento speciale e l'aumento della temperatura iniziale di raffreddamento agiscono nello stesso senso, abbassando prima, sdoppiando poi e respingendo infine la trasformazione Ar a temperatura bassa. Corrispondentemente si ha la successione delle strutture perlitica, troostitica, troostitico - martensitica, martensitica, austenitica.

L'azione ritardatrice che gli elementi speciali esercitano su Ar ha naturalmente una notevole influenza benefica sui trattamenti termici. Infatti, mentre negli acciai ordinarî le velocità di raffreddamento necessarie per abbassare Ar sono molto grandi (dell'ordine di 700°-800° al secondo), negli acciai speciali il rigetto di Ar a temperatura bassa si verifica invece per velocità di raffreddamento molto minori (frazioni di grado al secondo).

Negli acciai speciali si incontrano, come si è visto, gli stessi costitucnti strutturali che si hanno negli acciai al carbonio: ferrite, perlite, troostite, martensite, austenite, cementite. A seconda del costituente che predomina, essi si chiamano perciò perlitici, troostitici, martensitici, austenitici, al carburo: I perlitici sono superiori agli acciai ordinarî al carbonio per quanto riguarda il limite elastico, la duttilità e la resistenza agli urti. Praticamente tutti gli acciai speciali per costruzione sono di questo tipo. I martensitici sono duri, fragili e non lavorabili a freddo. La loro struttura spesso non è alterata dal riscaldamento a 300° e anche a temperature superiori; vengono adoperati per fabbricare utensili da taglio. Gli austenitici non sono duri come i martensitici, ma hanno una certa duttilità. Hanno limite elastico basso e sono molto resistenti agli urti e all'usura. Gli acciai a carburo contengono carburi doppî di ferro e dell'elemento speciale, i quali possono esser fatti passare in soluzione, scaldandti il metallo a temperatura elevata. Questi acciai conservano la loro durezza fino al calor rosso visibile.

Acciai al nichel. - L'uso del nichel come elemento speciale risale a una quarantina di anni fa. Un rapido sviluppo nello studio delle proprietà e nell'uso degli acciai al nichel si è avuto però solo negli ultimi venti anni. Il nichel rende la struttura più fine ed omogenea, aumenta la resistenza senza diminuire la duttilità, fa crescere il rapporto tra limite elastico e carico di rottura. Il carbonio invece, come è noto, mentre fa crescere il carico di rottura, abbassa la duttilità. Perciò un acciaio al nichel che abbia carico di rottura e limite elastico pari a quelli di un acciaio al carbonio, è più duttile ed ha una maggiore resistenza agli urti.

La fig. 106 permette di fare il confronto fra le proprietà di un acciaio a 0,4 C con e senza nichel.

L'acciaio senza nichel è stato temprato in acqua a 790° e poi rinvenuto, l'acciaio con nichel è stato temprato in olio da 810° e rinvenuto a 680°, da 760° e rinvenuto a 525°, da 760° e rinvenuto a 385°.

Il nichel rende inoltre l'acciaio più sensibile al trattamento termico, meno ossidabile all'aria, e comunica ad esso proprietà vantaggiose per la cementazione.

Le proporzioni in cui viene aggiunto possono variare dal 0,5 al 46%. Anche leghe a tenori maggiori di nichel hanno utili proprietà magnetiche: così la permalloy, con circa 78,2 Ni, 21,3 Fe, 0,04 C, possiede una elevata permeabilità magnetica.

Il nichel non si ritrova negli acciai come costituente separato, ma si discioglie allo stato solido nella ferrite. La sua presenza abbassa il tenore di carbonio nella lega eutectoide: con 3% Ni esso diventa 0,75, e con 7% Ni, o,6.

L'effetto del nichel sulla struttura degli acciai è rappresentato dal diagramma della fig. 107. Facendo crescere la proporzione di nichel, si vede che il metallo passa successivamente dalla struttura perlitica a quella martensitica e infne a quella austenitica. Più elevato è il contenuto in C, e meno nichel occorre per passare dall'una all'altra. I campi intermedî corrispondono a zone di transizione dall'una all'altra struttura tipica.

Le figg. 108, 109 e 110 mostrano la variazione di struttura prodotta in un acciaio al 0,12% C dall'aggiunta di quantità crescenti di nichel: con 2% Ni la struttura è a perlite e ferrite, con il 15% Ni essa diventa martensitica, e con il 30% Ni è in massima parte austenitica. La fig. 111 mostra una struttura austenitica pura in un acciaio con 0,80% C e 25% Ni.

Le figg. 112 e 113 si riferiscono ad un acciaio da cementazione col 7% Ni e 0,29% C: la prima è una struttura a sorbite e perlite e si ha dopo ricottura, la seconda a martensite e troostite e si ha dopo tempra in aria da 800°.

Gli acciai perlitici hanno la massima importanza pratica. Quelli martensitici, a causa della elevata durezza, fragilità e difficile lavorabilità non hamo trovato alcun impiego.

Agli acciai austenitici appartiene l'invar con 36% Ni, che ha coefficiente di dilatazione più basso di tutti gli altri metalli e leghe che si conoscono, e, tra 0° e 300°, praticamente trascurabile. Si usa perciò nella fabbricazione di bilancieri per orologi e pendoli di precisione, di metri-campione e di apparecchi geodetici e in genere scientifici fini.

Nella fig. 114 è riprodotta la curva dei coefficienti di dilatazione lineare tra 0° e 100° per la serie Fe-Ni; da essa apparisce evidente il valoie minimo per le leghe fra 35% e 37% Ni.

La lega a 46% Ni ha lo stesso coefficiente di dilatazione del platino e del vetro. Si chiama platinite e viene adoperata invece del platino per saldature con vetro: serve, perciò, da supporto per i fili delle lampade ad incandescenza. Meglio ancora della lega al 46% Ni si è trovato che si prestano a questo scopo i fili di acciaio con 38% Ni rivestiti di rame. Il nucleo di acciaio al nichel si espande meno del vetro, e il rivestimento di rame più del vetro: le due dilatazioni possono graduarsi in modo che quella risultante del filo sia la stessa di una qualunque speciale qualità di vetro.

I tubi con 38% Ni sono stati impiegati per caldaie marine, e si è trovato che durano tre volte più dei semplici tubi di acciaio.

Il Ni abbassa i punti critici del ferro in misura notevole. Fino al 7% ogni 1% abbassa Ac all'incirca di 8°-11° e Ar di 17°-22°. La fig. 115 riproduce il diagramma dei punti critici dello stesso acciaio di cui si è riportata la struttura nelle fig. 113 e 114: si vede nettamente la notevole isteresi fra la trasformazione al riscaldamento e al raffreddamento.

In un acciaio a 3,8% Ni, Ar è 75-100° più in basso che nel corrispondente acciaio al carbonio, e in un acciaio al 25% esso è al di sotto della temperatura ordinaria.

L'acciaio al 25% è perciò non magnetico nelle condizioni ordinarie; ma se viene raffreddato a 40° diventa magnetico e tale rimane anche quando lo si riporta a temperatura ambiente. Per farlo ridiventare non magnetico occorre riscaldarlo a 580-600°. L'acciaio 25% si chiama perciò irreversibile.

Quando invece le proprietà magnetiche vengono perdute al riscaldamento e riacquistate al raffreddamento a una stessa temperatura si dice che l'acciaio è reversibile.

Nella fig. 116 è riprodotto il diagramma delle trasformazioni magnetiche degli acciai al nichel: da esso si rileva che, ad es., l'acciaio al 40%, a differenza di quello al 25%, è reversibile.

L'abbassamento dei punti critici prodotto dal nichel agevola notevolmente i trattamenti termici, in quanto le temperature di tempra vengono ad essere abbassate. Inoltre la presenza del nichel abbassa la velocità di tempra necessaria per produrre una certa durezza o resistenza: così dalla fig. 107 si rileva che un acciaio al o,4% C e 3,5% Ni può essere temprato in olio e acquistare ancora carico di rottura, limite elastico e strizione maggiori di quanto si può avere temprando in acqua un acciaio con lo stesso tenore di carbonio.

Alcuni acciai comuni al nichel. - Gli acciai a tenore basso di nichel (1,25-1,75% Ni) i. con poco carbonio (〈 0,2% C) si adoperano per cementazione. La ripartizione del carbonio nella zona cementata è più graduale e uniforme che negli acciai ordinari, la grossa cristallizzazione del euore dovuta al riscaldamento prolungato è più difficile a formarsi, e in ogni caso la rigenerazione con i trattamenti termici successivi è più efficace e più facile. Infatti, a causa dell'abbassamento dei punti critici prodotto dal nichel, si può cementare a temperatura meno elevata, e il trattamento termico dopo cementazione può ridursi a una tempra unica a partire da 800-850°. Gli acciai a tenore più elevato (2-4% Ni) si adoperano per la costruzione di ponti, di parti di macchine, locomotive, grandi dinamo, automobili, artiglierie, tubi per biciclette, assali, alberi, ecc. L'acciaio con 5% Ni e più (0,3-0,4% C) presenta grande resistenza agli urti ed è adoperato per corazze. Con 20-27% Ni (in genere 25%) si ha un prodotto che offre una grande resistenza a certi tipi di corrosione, e che è stato adoperato per steli di valvole per apparecchi a contatto con acqua salata.

Le leghe a contenuto elevato di nichel (> 40%) e debole tenore di carbonio hanno la proprietà di conservare la loro duttilità anche alla temperatura dell'aria liquida. Esse trovano perciò impiego nelle macchine frigorifere. Per facilitarne la lavorazione vengono addizionate di 1-3% Mn. Un acciaio di questo tipo contiene: 55-60% Ni,1-3% Mn, 0,2-0,4% C.

Acciai al cromo. - Nessun metallo è forse altrettanto largamente usato quanto il cromo per produrre, da solo o insieme con altri elementi, acciai speciali.

Mentre il nichel si scioglie solo nella ferrite, il cromo si combina con il carbonio per formare un costituente che è un carburo di ferro e cromo, xFe3C•yCr3C2, oppure una soluzione di Fe3C e Cr2C2. La presenza di questo costituente conferisce all'acciaio una durezza elevata.

Il cromo innalza Ar1 (1% Cr lo innalza di 30°-40°) e abbassa Ar3. Per questa ragione gli acciai al cromo possono essere temprati con un raffreddamento meno rapido di quelli al carbonio, e permettono una penetrazione più a cuore della durezza, perché gli strati interni riescono a temprarsi malgrado si raffreddino più lentamente di quelli superficiali. Il cromo affina inoltre il grano e conferisce maggiore omogeneità e resistenza all'usura. Gli acciai a tenore elevato in cromo sono autotempranti.

Il diagramma strutturale è riportato nella fig. 117. Esso comprende tre zone; in quella inferiore gli acciai raffreddati lentamente a partire da una temperatura al di sopra del punto critico superiore hanno struttura perlitica; in quella centrale la struttura è martensitica, e in quella superiore si ha una struttura caratteristica detta a carburo, risultante di granuli di carburo immersi in una matrice di martensite (fig. 120).

Negli acciai martensitici della zona centrale, il raffreddamento molto lento fa apparire la perlite.

Così un acciaio con 0,12% C e 17% Cr raffreddato da 1000° in quattro ore è martensitico (fig. 118), e raffreddato invece molto lentamente lascia apparire aree perlitiche (fig. 119).

Gli acciai perlitici sono i più usati. Allo stato ricotto essi non dimostrano differenze notevoli dagli acciai al carbonio. La presenza del cromo li rende però più sensibili al trattamento termico, e già una tempera dolce dà un indurimento notevole. Questo diminuisce il pericolo di deformazioni e di cricche.

Gli acciai trattati presentano limite elastico e carico di rottura più elevati senza perdita notevole di duttilità. Con un contenuto di Cr superiore al 2% il limite di snervamento raggiunge l'80% del carico di rottura.

Gli acciai al cromo sono molto sensibili all'aumento della temperatura raggiunta prima di iniziare il raffreddamento.

Un acciaio a 0,6% C e 6% Cr raffreddato all'aria a partire da 800° presenta un solo Ar a 700°, raffreddato da 875° presenta un Ar′ verso 650° e un Ar″ verso 400°, e raffreddato da 925° mostra un solo Ar″ verso 200°.

Si usano soprattutto per pezzi che richiedono grande durezza e resistenza all'usura. L'acciaio oggi più largamente impiegato per le sfere dei cuscinetti contiene 0,8-1,0% C e 1,2-1,6% Cr e può avere un carico di 200 kg/mmq.

Queste sfere vengono temprate in acqua a partire da 775-800° e rinvenute a 190-200°. Quando siano ben trattate hanno una resistenza prodigiosa: nel saggio col metodo delle tre sfere, nella piccola area di contatto, sostengono una pressione che supera 700 kg/mmq.

Di grande interesse sono gli acciai inossidabili che appartengono all'area martensitica del diagramma di Guillet. Il tenore di cromo oscilla fra 13 e 15%, e quello di carbonio è ordinariamente inferiore a 0,40%.

L'importanza dell'acciaio inossidabile è dovuta al fatto che, quando sia opportunamente trattato e finito, esso presenta una notevole resistenza all'azione degli agenti atmosferici, dell'acqua di mare, dell'aceto, dei succhi di frutta, del vapore, dei lubrificanti, delle soluzioni diluite di cloruro mercurico quali si usano per disinfezione, dell'acido nitrico, dell'idrogeno solforato, dell'ammoniaca, ecc. Non resiste invece all'azione degli acidi cloridrico, solforico e solforoso, del cloruro ammonico, del cloruro ferrico, del cloro, dell'acqua regia, delle soluzioni concentrate di cloruro mercurico e di alcune altre sostanze.

All'aria comincia a ossidarsi in maniera apprezzabile solo verso 800-850°. Esso è venticinque volte più resistente all'ossidazi0ne dell'acciaio ordinario al carbonio, e sotto questo punto di vista è superiore all'acciaio al 25% Ni e all'acciaio rapido. La resistenza alla corrosione diminuisce col diminuire del contenuto di Cr al di sotto del 13% e col crescere di quello di carbonio al di sopra del 0,40%.

Come si è detto, l'acciaio inossidabile presenta le sue preziose proprietà solo quando sia stato trattato in maniera adatta e pulito perfettamente in modo da eliminare qualunque traccia di ossido e qualunque macchia, giacché in corrispondenza di queste si possono iniziare azioni elettrolitiche che provocano ossidazione o corrosione.

Se il contenuto in carbonio eccede 0,25%, l'acciaio inossidabile è autotemprante; per addolcirlo lo si riscalda a lungo al di sotto del punto critico. La struttura che l'acciaio così assume risulta di granuli di carburo di ferro-cromo immersi in una matrice di lega di ferro-cromo. Quando l'acciaio ha assunto questa struttura, esso è relativamente dolce e può essere lavorato a freddo.

Per temprarlo è necessario scaldarlo molto al di sopra del punto critico, data la difficoltà con cui il carburo di cromo passa in soluzione. Vengono raccomandate a questo scopo temperature fra 950-1040°. Dato il tenore elevato in cromo, già il solo raffreddamento all'aria produce la tempra; questa però si può rendere più energica con l'immersione in olio o in acqua.

Se il raffreddamento è molto rapido la struttura può essere in gran parte austenitica, e allora l'acciaio non è duro come quando la struttura è martensitica. Rinvenendolo a 540°, si ha un aumento di durezza e di resistenza, mentre a temperature più elevate si ha una rapida diminuzione dell'una e dell'altra. Questa durezza secondaria che si origina a 540° è dovuta al fatto che la tempra conserva in parte la struttura austenitica e il rinvenimento provoca la trasformazione dell'austenite in martensite, più dura. Rinvenendo invece a temperature più elevate, si ha scomposizione della martensite in strutture píù dolci.

Le figg. 121-125 e 128 riproducono le strutture di un acciaio a tenore elevato di Cr con la seguente composizione: 0,45 C, 0,37 Si, o,7 Mn, 0,24 Ni, 14,85 Cr. La fig. 121 si riferisce al metallo ricotto per 60' a 880° e raffreddato con una velocità di 30-40° all'ora: la struttura è quella caratteristica a carburo doppio. Essa è più evidente nella fig. 122 a ingrandimento maggiore (× 1000). La fig. 123 si riferisce al metallo temprato da 950° in olio: la struttura è martensitica quasi pura, con solo piccole quantità di carburo non riassorbite. Le figg. 124, 125 e 128 si riferiscono all'acciaio rinvenuto rispettivamente a 500°, 600°, 700°.

A queste varie strutture corrispondono le proprietà riassunte nei diagrammi della fig. 126.

Gli acciai inossidabili sono stati scoperti verso il 1912-1913 da Harry Brearley, e rappresentano una delle più notevoli conquiste della tecnica dei metalli negli ultimi anni. Essi furono dapprima impiegati per coltelleria, specie da tavola, la quale deve resistere all'azione dei succhi di frutta, dei vegetali, dei succhi di carne, e per strumenti chirurgici. L'uso però in seguito si è rapidamente esteso ad altri campi, come valvole per motori di automobili e aeroplani, punzoni, stantuffi, canne rigate, palette di turbine, attrezzi in contatto con acqua marina, ecc.

Per valvole di motori a combustione interna, oltre agli acciai inossidabili si usano altri metalli. I requisiti di un acciaio per valvole sono: carico elevato, resistenza all'usura e all'ossidazione al calor rosso, e capacità di mantenere inalterato il profilo. Metalli di composizione diversa sono stati proposti a questo scopo, dalla ghisa ad acciai speciali complessi. In macchine di basso prezzo si usano ancora valvole con teste di ghisa e steli di acciaio. Esse resistono abbastanza bene all'ossidazione, ma tendono a subire distorsioni. Tra gli acciai a buon mercato sono stati adoperati quelli a 3,5% di nichel e quelli a tenore basso di cromo e di tungsteno, ma essi non resistono in modo soddisfacente né all'ossidazione né all'usura. Tra i migliori acciai per valvole sono, oltre quelli inossidabili, i seguenti:

Il tipo al cromo-tungsteno conserva la sua resistenza a temperatura elevata, ma non resiste alla ossidazione così bene come gli altri tipi che hanno un contenuto elevato di cromo. I tipi al cromo-nichel e al cromosilicio non si ossidano, ma non conservano il profilo altrettanto bene come gli acciai al cromo-tungsteno. Migliore di tutti è l'acciaio al cromo-cobalto nel quale il contenuto elevato di cromo impartisce grande resistenza alla ossidazione, mentre il cobalto dà la resistenza necessaria perché non si abbia deformazione.

Acciai inossidabili si fabbricano anche con tenori bassi di carbonio, intorno a 0, 1%. Essi sono facilmente forgiabili e si prestano per fabbricare fucinati di forma complicata, tubi senza saldatura, bastoni da golf, utensili di cucina, insegne di negozî, nastri e fili per molle da materassi, collane, catene da orologi, ecc.

Acciai al manganese. - Gli acciai contengono sempre piccole quantità di manganese: essi però sono classificati tra gli acciai speciali solo quando la proporzione di manganese è tenuta intenzionalmente al di sopra di quella ordinaria, che, a seconda del tenore di carbonio, varia da 0, 15 a 0,70%. Un acciaio basso in carbonio e con 0,80% di manganese non è da considerarsi speciale, mentre un acciaio per utensili con la stessa proporzione di Mn deve essere classificato tra gli speciali. Nel primo caso infatti il contenuto non è molto superiore a quello degli acciai a tenore basso di carbonio e le proprietà del metallo non differiscono molto da quelle dell'acciaio ordinario, mentre nel secondo le proprietà vengono ad essere notevolmente cambiate ed il metallo può, ad esempio, essere temprato in olio anziché in acqua.

Col crescere del tenore di Mn al di sopra di quello abituale, l'acciaio diventa più duro e resistente: col 3% di Mn esso però è già notevolmente fragile e con 4-5% la fragilità è tale che può essere ridotto in polvere.

Si era creduto perciò che acciai a tenori elevati in Mn non potessero avere alcuna possibilità di applicazione. R.A. Hadfield invece, nel 1888, trovò che gli acciai contenenti dal 7 al 20% di manganese possono, con opportuno trattamento, diventare molto tenaci e resistenti, e che le migliori proprietà si raggiungono con un contenuto di 0,80-1,30% di carbonio e di 11-14% di manganese. Questo tipo di acciaio è quello che generalmente si designa col nome di acciaio al manganese o acciaio di Hadfield, dal nome dello scopritore.

Le proprietà dei varî tipi di acciai al manganese si possono meglio comprendere riferendosi al diagramma di Guillet, il quale ne indica, in funzione del contenuto di carbonio e di manganese, le strutture normali, quelle cioè che si producono con un lento raffreddamento a partire dal punto critico superiore (fig. 127).

Per gli acciai con meno di 1,6% di carbonio il diagramma si divide in tre zone: quelli della zona superiore hanno struttura austenitica, quelli della media martensitica e quelli della inferiore perlitica. Un acciaio a tenore bassissimo di carbonio presenta: fino al 6% di Mn struttura perlitica, tra 6 e 13,5% Mn martensitica, e al di sopra di 13,5%, austenitica. Gli acciai con 1% C sono normalmente perlitici quando il manganese è inferiore a 2,5%, martensitici se compreso fra 2,5 e 70%, e austenitici se superiore a 7%.

Gli acciai martensitici sono fragili anche se raffreddati molto lentamente, e non hanno trovato nessuna applicazione pratica; gli acciai perlitici e austenitici che vengono adoperati sono compresi nelle aree tratteggiate nella fig. 127.

I perlitici contengono 0,25-1% C, e 0,8-2% Mn. Quelli bassi in carbonio sono molto più resistenti degli ordinarî e quasi altrettanto duttili. Per alcuni scopi essi si sono mostrati più adatti di qualunque altro tipo. Così, per es. gli acciai con 1,50-2% Mn e 0,40-0,60% C, temprati in olio e rinvenuti, servono bene per lame di rasoio. Essi possono essere adoperati per varie parti di macchine e sono stati impiegati con buon risultato nelle costruzioni automobilistiche come sostituti di altri acciai speciali, quali ad es. gli acciai a basso tenore di nichel e cromo.

Qui sotto sono riportate composizioni e usi di alcuni acciai perlitici al Mn.

Acciai con 1-1,50% Mn sono stati pure adoperati con successo per cementazione. Fino a non molto tempo fa l'acciaio al manganese non era considerato adatto a questo scopo, ma ciò era dovuto soprattutto al fatto che l'acciaio con 1,25% Mn esistente sul mercato era a tenore di carbonio troppo elevato per fornire un cuore con buone proprietà. Oggi invece si hanno acciai con 1,20-1,50% Mn e 0,08-0,15% C, i quali si prestano bene allo scopo, perché il manganese accresce la resistenza del cuore e la durezza della zona cementata. Essi vengono passati direttamente dalla cassetta di cementazione nel bagno di tempra (olio) per impedire la segregazione del carburo di manganese, segregazione che è difficile far retrocedere una volta verificatasi. Questa prima tempra è seguita da ricottura per affinare il grano, da una seconda tempra, e infine da un rinvenimento. Siccome il manganese abbassa notevolmente i punti critici, la tempra finale può essere più bassa di quella che si applica all'acciaio ordinario.

Agli acciai perlitici al manganese appartengono gli acciai indeformabili, i quali non presentano variazioni di volume apprezzabili rispetto allo stato ricotto quando vengono temprati e rinvenuti a bassa temperatura. Questi acciai sono richiesti per la fabbricazione di calibri, matrici e in genere di utensili che debbono essere lavorati e finiti allo stato ricotto e non debbono variare di dimensione dopo tempra.

Le variazioni di volume sono dovute alla differenza di densità tra martensite, perlite, austenite: la prima è meno densa della seconda e la seconda della terza, per modo che le trasformazioni martensite-perlite e perlite-austenite sono accompagnate da contrazioni, mentre il passaggio austenite-martensite è accompagnato da espansione. Ora, nel caso degli acciai indeformabili, la contrazione che ha luogo quando gli acciai passano, con la tempra, dallo stato perlitico a quello austenitico, è bilanciata dalla espansione che si verifica nel passaggio da austenite a martensite per il rinvenimento a bassa temperatura. Vi sono diversi tipi di acciai che soddisfano a queste condizioni, e il più a buon mercato è appunto un acciaio a tenore elevato di carbonio e con 1,50% di manganese.

Acciai dello stesso tipo, ma di qualità superiore, si ottengono abbassando il manganese a 1,00% e aggiungendo proporzioni opportune di uno o più dei tre elementi: cromo, tungsteno e vanadio. Per avere massima durezza e minimo spostamento di volume essi debbon essere temprati solo in olio e rinvenuti a non più di 160°.

Qui sotto sono riportate le composizioni dí alcuni di questi acciai.

I tipi al manganese-cromo, manganese-vanadio, cromo-vanadio e cromo-tungsteno hanno meno tendenza del primo tipo, con solo manganese, a dare cricche di tempra, e presentano maggiore resistenza agli urti; il tipo al tungsteno-cromo-vanadio da anche uno spigolo più duro e un taglio più affilato. Il tipo a tenore elevato di carbonio e di cromo è autotemprante, e si usa quando si desideri resistenza all'ossidazione.

Come si è visto, la composizione più comune degli acciai austenitici si aggira intorno a 0,90-1,30% C, e 12-14% Mn.

Quando questi acciai vengono colati e lasciati raffreddare lentamente, essi sono costituiti da grani di austenite circondati da un reticolo di cementite, costituita da carburo di ferro e manganese estremamente duro e fragile. Questa struttura si vede molto bene nelle due figure 129 e 130, che si riferiscono ad un acciaio con 0,04% C, 11,55% Mn, rispettivamente allo stato greggio di colata, e colato e raffreddato molto lentamente.

La continuità dell'austenite risulta interrotta e il metallo partecipa delle proprietà del carburo che contiene: è duro, ma ha allungamento e strizione piccoli, ed è poco resistente agli urti. Esso perciò non è adoperato in queste condizioni. Scaldandolo a 950-1000° si porta in soluzione la cementite e con la tempra si impedisce che essa torni a separarsi durante il raffreddamento. Si ha così un metallo a struttura austenitica pura (fig. 131), alla quale corrispondono le proprietà che rendono questo materiale prezioso per tanti scopi.

La fig. 134 riproduce invece la struttura di un fucinato dello stesso acciaio, temprato e rinvenuto a temperatura decrescente dall'esterno verso l'interno. Nella fig. 132 sono messi in evidenza i piani di scorrimento nei cristalli di acciaio al manganese sottoposti a deformazione.

Nella tabella che segue sono riportati i risultati di una serie di prove fatte con un acciaio a 13% Mn su provini ottenuti di getto o fucinati, prima e dopo tempra da 1020°:

Ricuocendo l'acciaio austenitico a 300° si può avere un ulteriore aumento di resistenza e allungamento: se si oltrepassa però la temperatura di 300° si osserva una forte diminuzione di questi valori, mentre la durezza Brinell cresce fortemente per la formazione di martensite. Così un acciaio austenitico che ricotto a 260° dava 117 kg/mmq. e 57,6% di allungamento, dopo ricottura a 370° dava solo 82 kg/mmq. e 1,5% di allungamento. La durezza Brinell nel primo caso era 320, e nel secondo 296.

Questi acciai hanno un limite di snervamento molto basso e perciò subiscono deformazioni permanenti anche con sollecitazioni relativamente piccole. Si usano quando si desidera una elevata resistenza all'usura accoppiata ad una grande tenacità.

I bassi numeri Brinell li avvicinerebbero per durezza agli acciai a tenore medio di carbonio non trattati, ma, a differenza di questi, gli acciai di Hadfield possiedono una grande resistenza a certi tipi di usura.

Sotto l'azione di uno sforzo qualunque a freddo essi acquistano una grande durezza per la formazione di numerosi piani di scorrimento, e siccome spesso sono soltanto gli strati superficiali a subire l'azione degli sforzi, essi diventano duri e resistenti all'usura mentre il metallo nel suo assieme rimane tenace.

Uno dei gravi inconvenienti dell'acciaio al manganese è che può essere lavorato solo alla mola: esso deve essere perciò colato o fuci- nato nella forma e dimensione definitive. Si usa per casseforti, per fabbricare aghi di scambio, rotaie in curva, ganasce di frantumatoi, ecc.

I provini di trazione dell'acciaio al manganese non presentano strizione, ma si allungano in maniera uniforme per tutta la lunghezza. Anche questo fenomeno è una conseguenza del forte incrudimento che il metallo subisce per la lavorazione a freddo, inquantoché, appena si inizia la strizione, l'incrudimento indurisce il metallo e la resistenza del metallo incrudito diventa superiore a quella del metallo circostante.

Come può aspettarsi dalla struttura austenitica, l'acciaio al manganese non è magnetico. Questa è una caratteristica molto interessante, perché vi sono parti di macchine e strumenti elettrici e magnetici che non debbono avere proprietà magnetiche. Per questi scopi si prepara oggi anche un acciaio con 15% Ni e 5% Mn che neppure è magnetico, ma si lavora più facilmente degli acciai al nichel non magnetici, che contengono il 30% di nichel. Le proprietà dell'acciaio al manganese si possono quindi così riassumere: il metallo colato e non trattato è fragile, ma temprato a partire da una temperatura elevata diventa molto tenace; sottoposto a uno sforzo a freddo, il quale sia capace di provocare un lieve scorrimento della superficie, diventa straordinariamente resistente all'usura. Deve essere colato o fucinato nella forma e dimensione definitive perché può essere lavorato solo alla mola.

Acciai al silicio. - L'aggiunta di silicio fino a circa il 4% aumenta la resistenza dell'acciaio, e fino al 2% accresce anche il limite elastico, mentre la duttilità rimane quasi inalterata. Al di sopra del 4% l'allungamento e la strizione diventano praticamente nulle, ed il metallo diventa fragile (fig. 133). Con più del 5% di silicio l'acciaio non è più forgiabile.

La struttura degli acciai al silicio è rappresentata dal diagramma della fig. 136. Con un raffreddamento moderatamente lento essa è indipendente dal tenore di carbonio, e resta perlitica finché il silicio non raggiunge il 5%. A questa concentrazione comincia a formarsi un po' di grafite. La proporzione di carbonio precipitato cresce rapidamente col tenore di silicio, e quando questo raggiunge il 7% tutto il carbonio dell'acciaio compare sotto forma di grafite.

La fig. 135 riproduce la struttura a ferrite e perlite di un acciaio con 0,21% C e 0,41% Si, e la fig. 137 quella di un acciaio con 0,28% C e 5, 12% Si, ricotto due ore a 900°. In quest'ultima il costituente nero è grafite.

Il diagramma della fig. 136 non è però in tutto esatto, giacché in acciai ricotti, a tenore molto basso di carbonio, è difficile osservare formazione di grafite prima che il silicio abbia raggiunto il 7%, mentre, in acciai a tenore di carbonio elevato, la ricottura in certe condizioni produce un po' di grafite già con un contenuto di silicio del 0,5%.

Benché il silicio possa combinarsi col carbonio e formare un carburo, SiC, nell'acciaio esso si ritrova tutto in soluzione solida nel ferro. Questo si deduce non solo dalle condizioni di formazione del carborundo, le quali sono diverse da quelle che si hanno in un bagno di acciaio, ma anche dal fatto che, a differenza degli altri elementi speciali che formano carburi - i quali accrescono l'attitudine dell'acciaio ad assorbire carbonio - il silicio non solo si oppone all'assorbimento del carbonio ma tende anche a precipitare sotto forma di grafite quello presente nell'acciaio.

Per questa azione ritardatrice che il silicio esercita sull'assorbimento del carbonio il suo contenuto deve essere mantenuto molto basso negli acciai per cementazione (0,35%).

Silicio si trova sempre in piccole quantità in tutti gli acciai (0,02 fino a 0,25% negli acciai fabbricati su suola acida) e proviene dalla ghisa adoperata nella fabbricazione e dalle aggiunte disossidanti e ricarburanti che vengono fatte al bagno prima della colata.

Proporzioni maggiori sono contenute nei due tipi di acciaio al silicio che vengono largamente adoperati in pratica: quello per molle e quello per lamierini di trasformatori.

Ecco la composizione di una serie di acciai per molle, con l'indicazione del trattamento cui vengono sottoposti e del carico di rottura che presentano.

Tutti gli acciai qui elencati contengono manganese, e perciò si chiamano anche silico-manganosi.

Per molle si usano pure le composizioni con cromo e con vanadio, riportate in testa alla pagina seguente.

Al secondo tipo appartengono acciai con 3,8-4,2% Si, che si adoperano per la costruzione dei nuclei di trasformatori. Per questo scopo occorrono acciai i quali abbiano elevata permeabilità magnetica e presentino basse perdite per isteresi e per correnti parassite. Tutte queste proprietà sono possedute in misura elevata dagli acciai al silicio, ed essi rappresentano perciò un materiale prezioso per le costruzioni elettromeccaniche.

I fattori che influiscono sulle proprietà magnetiche degli acciai al silicio sono gli stessi che influiscono sulle proprietà meccaniche, e cioè: composizione, lavorazione meccanica e trattamento termico. Quanto alla composizione, i tenori di carbonio, manganese, zolfo e fosforo debbono essere tutti i più bassi possibili, mentre quello di silicio deve aggirarsi intorno a 4,25% per avere i risultati migliori. Lamierini con ottime proprietà hanno la composizione seguente: C 0,07; Mn 0,09; P 0,012; S 0,02; Si 4,28.

La lavorazione a freddo, per le tensioni interne che provoca, abbassa le proprietà magnetiche mentre la ricottura a 800° dà metallo con le migliori qualità.

All'inizio del secolo i migliori lamierini per trasformatori erano fatti con ferro svedese e avevano una permeabilità massima di 4000, e una perdita per isteresi di 3000 erg per cmc. per ciclo (induzione massima 10.000 gauss, alla frequenza di 60 cicli al secondo). Queste proprietà peggioravano col tempo e in pochi mesi le perdite finivano per raddoppiarsi. Con gli acciai al silicio che oggi si fabbricano si hanno perdite di energia poco superiori a 1500 erg per cmc. e per ciclo e permeabilità di 6000, ed inoltre il materiale migliora di proprietà in servizio. Preparando le leghe di ferro-silicio nel vuoto si è arrivati a permeabilità di 40.000 e più, e a perdite per isteresi di 300 erg per cmc. per ciclo (induzione massima 10.000 gauss).

È stato calcolato che in diciassette anni (1905-1921) gli acciai al silicio hanno permesso di realizzare un risparmio di energia equivalente a 340 milioni di dollari.

Il silicio accresce la resistenza dell'acciaio all'azione degli acidi solforico e nitrico.

I valori riportati nella tabella mostrano bene questa resistenza all'azione corrosiva dell'acido nitrico al 25%.

Vengono perciò fabbricati alcuni prodotti con circa il 14% di Si che sono messi in commercio sotto varî nomi (Duriron, Tantiron):

L'esperienza ha mostrato che la resistenza massima alla corrosione si ha per contenuti di silicio di più del 200%; disgraziatamente però le leghe con tenori così elevati sono troppo fragili.

Gli acciai con 3-4% di Si sono impiegati anche per diaframmi di telefoni, giacché per produrre suoni di data intensità consumano meno energia degli acciai ordinarî.

Infine acciai al silicio vengono anche adoperati per costruzioni. Un acciaio dolce con 0,26% Si dà, a parità di peso, una resistenza maggiore di un acciaio dolce al carbonio, e perciò negli Stati Uniti è stato adoperato per la costruzione di ponti. Lo stesso tipo di acciaio è stato pure adoperato per la costruzione dei due grandi piroscafi Lusitania e Mauritania.

Vengono inoltre usati acciai con composizione oscillante entro i limiti seguenti:

Essi hanno limite elastico e tenacità superiori a quelli degli acciai al carbonio con eguale carico di rottura.

Acciai alvanadio. - A differenza del nichel e del cromo, e a somiglianza del manganese e del silicio, il vanadio è un energico disossidante dell'acciaio. Esso perciò compie due funzioni: purifica l'acciaio e comunica ad esso speciali proprietà.

La proporzione di vanadio che viene lasciata negli acciai finiti è in genere relativamente piccola: negli acciai semplici al vanadio e in quelli al cromo-vanadio essa oscilla fra 0, 15-0,30%, e solo negli acciai rapidi per utensili essa raggiunge 1,0-20%.

Come la maggior parte degli elementi speciali, anche il vanadio dà un grano più fine di quello degli acciai al carbonio. Esso entra in soluzione nel ferro a formare una ferrite più resistente e più tenace di quella ordinaria, e si combina col carbonio a formare una cementite di vanadio e ferro.

I punti Ac e Ar1, non sono quasi influenzati dalla presenza di vanadio, mentre Ac3 e Ar3, vengono innalzati: le temperature di normalizzazione e di tempra debbono essere perciò più elevate che negli acciai al carbonio.

Il vanadio ha questi due pregi: la cementite contenente vanadio non ha tendenza a separarsi in grossi cristalli come fa il carburo di ferro negli acciai al carbonio; e l'acciaio che lo contiene sopporta il riscaldamento a temperature elevate senza crescere eccessivamente di grano.

Il diagramma della fig. 139 indica qual'è la struttura degli acciai al vanadio quando vengono raffreddati lentamente a partire dal punto critico superiore. Questo diagramma ha però solo interesse scientifico, in quanto che gli acciai usati in pratica sono sempre perlitici.

I due tipi adoperati hanno le composizioni seguenti:

Il vanadio accresce il carico di rottura e il limite elastico senza abbassare l'allungamento e la strizione; esso accresce inoltre la resistenza alle sollecitazioni dinamiche e comunica al metallo buone proprietà a temperature elevate. Il limite elastico diminuisce con la temperatura - fino a 550° - meno che negli acciai al carbonio: così un acciaio con 0,15-0,20% V possiede a 500° un limite di snervamento di 18 kg/mmq., mentre senza vanadio esso arriva appena a 9-10 kg/mmq.

Gli acciai al vanadio si prestano perciò alla costruzione di apparecchi che debbono sopportare forti pressioni a temperature elevate (caldaie).

L'acciaio 1 cementato superficialmente si adopera per fabbricare perni, bulloni, madreviti. L'acciaio 2 si impiega per organi fortemente sollecitati, come alberi, aste di stantuffo, bottoni di manovella, leve, ecc.

Acciai al cromo-vanadio. - Il vanadio viene aggiunto spesso agli acciai al cromo. Ne risultano prodotti con carico di rottura e limite elastico più elevati e con una penetrazione di tempra maggiore.

Gli acciai al cromo-vanadio sono quasi simili a quelli al nichelcromo per le proprietà meccaniche; solo presentano una strizione un po' più grande per un dato limite elastico. Essi sono anche un po' più facili a lavorarsi di quelli al cromo-nichel ed hanno meno difetti superficiali. A causa del prezzo elevato del vanadio, sono però soltanto poco più a buon mercato degli acciai al cromo-nichel con proprietà meccaniche eguali.

I punti Ac1 e Ac3 vengono innalzati solo di qualche grado dal piccolo contenuto di vanadio, mentre Ar1, e Ar3 sono abbassati molto di più. La velocità critica di raffreddamento ne risulta diminuita e la penetrazione di tempra migliorata.

Nella tabella sono riportate composizione e proprietà di alcuni acciai al cromo-vanadio non trattati:

e nelle figg. 141, 144 e 145, sono riportate composizione e proprietà di acciai trattati.

Questi acciai hanno struttura perlitica, ma molto più fine di quella dei corrispondenti acciai al carbonio. Si potrebbe dire che essa è più sorbitica che perlitica.

Acciai al molibdeno. - Il molibdeno viene adoperato in percentuali elevate, fino all'8%, negli acciai rapidi, e in proporzioni basse, che non arrivano all'1%, in varî altri tipi di acciai speciali. Questo secondo uso si è venuto estendendo soltanto dall'epoca della guerra.

Il diagramma strutturale dato da Guillet per gli acciai al molibdeno è simile a quello che vedremo in seguito per gli acciai al tungsteno (fig. 146) ed è definito dai valori seguenti:

Il tenore di carbonio della perlite si abbassa col crescere del contenuto di molibdeno nella maniera indicata dalla fig. 147.

La fig. 138 mostra la struttura a carburo di un acciaio con 0,69% C e 14,6% Mo, e la fig. 140 mostra la struttura a martensite grossa di un acciaio con o,73% C e o,50% Mo temprato all'aria da 1200°.

Il molibdeno accresce il carico di rottura, e precisamente l'aggiunta di 0,32% Mo equivale a circa 0,1% C, e aumenta notevolmente la duttilità. Altra caratteristica è che il rinvenimento a temperature elevate abbassa il limite elastico e il carico di rottura in misura molto minore di quella che si osserva per gli acciai al carbonio.

Il molibdeno però è soprattutto adoperato come aggiunta in unione ad altri elementi speciali, come nichel, cromo, vanadio, manganese, silicio.

Per mostrare il benefico effetto del molibdeno si riportano nella tabella che segue le proprietà di cinque acciai, allo stato normalizzato e dopo aver subito un trattamento, con le seguenti composizioni:

Da questi dati risultano evidenti: l'aumento del rapporto tra limite elastico e carico di rottura, e l'aumento di duttilità e di resistenza agli urti.

I tipi di acciai più adoperati sono quelli al nichel-molibdeno, al cromo-molibdeno e al nichel-cromo-molibdeno.

Gli acciai al nichel-cromo-molibdeno si fabbricano sia con tenore elevato di nichel, 3%, combinato con 0,25-0,50% Cr, sia con tenore basso, 1,5% Ni, in unione con 0,25-1,0% Mo. Il carbonio non eccede mai il o,4%.

In questi prodotti il molibdeno può essere considerato buon sostituto del cromo in acciai al nichel-cromo: rispetto a questi gli acciai al cromo-molibdeno hanno una certa superiorità per maggiore resistenza agli urti.

Nella fig. 142 è riprodotto il diagramma dei punti critici, e nella tabella sono riportate le proprietà meccaniche di un acciaio da cementazione con o,07 C, 0, 19 Mn, o,34 Cr, 4,49 Ni, 1,47 Mo.

Nella fig. 143 è riprodotto il diagramma dei punti critici, e nei diagrammi della fig. 149, sono riportate le proprietà meccaniche di un acciaio con: o,39 C, o,24 Mn, 0,34 Cr, 1,21 Mo, 4,42 Ni.

I migliori acciai al molibdeno però, dal punto di vista del costo e delle possibilità di impiego, sono quelli al cromo-molibdeno. In essi il molibdeno mentre accresce, come fa il cromo, il carico di rottura ed il limite elastico, non provoca quell'aumento di fragilità che in genere accompagna l'aumento del carico di rottura: ne risultano così dei prodotti più duttili di qualunque altro acciaio Con lo stesso carico di rottura, e che dànno sempre valori più elevati di resilienza.

Se ne preparano diversi tipi a tenore basso, medio ed elevato di molibdeno, e cioè compreso fra 0,25-0,50; 0,50-0,75; 0,75-1%, con 0,10-0,50% di carbonio, 0,70-1,0% di cromo.

Il tipo a tenore basso di molibdeno è il più largamente adoperato e, a seconda del tenore di carbonio, si impiega per cementazione (0,15-0,20% C), per pezzi da trattare termicamente 0,20-o,40% C), per molle (0,40-0,60% C).

Questi acciai vengono adoperati largamente nella costruzione di automobili, trattori, macchine agricole e sembra si avviino ad essere fra gli acciai speciali più largamente adoperati. Essi possono sostituire bene acciai al nichel, al cromo, al cromo-nichel ed al cromo-vanadio.

Acciai al nichel-cromo. - Gli acciai al cromo-nichel sono certamente fra i più importanti. Essi riuniscono gli effetti benefici del cromo e del nichel, e presentano eccellenti proprietà statiche e notevole resistenza agli sforzi dinamici.

Mentre il nichel accresce la duttilità e la tenacità della ferrite e diminuisce la tendenza dell'acciaio a diventar fragile per prolungato riscaldamento o rapido raffreddamento, il cromo aumenta la durezza della cementite, affina il grano e dà una maggiore penetrazione di tempra.

Secondo Guillet, negli acciai al nichel-cromo si possono avere, a seconda dei tenori di C, Ni e Cr e dei valori relativi di essi, le strutture: perlitica, martensitica, austenitica, e, con un tenore sufficiente di cromo, martensitica con carburo e austenitica con carburo.

In pratica si impiegano quasi esclusivamente gli acciai perlitici. A seconda del contenuto in carbonio essi possono essere dolci, semiduri, duri.

Gli acciai dolci servono soprattutto per cementazione: il cromo aggiunto al nichel accresce notevolmente l'isteresi al raffreddamento (vedi in fig. 148 il diagramma dei punti critici di un acciaio con 0,43 C, 0,23 Si, 0,34 Mn, 0,03 Cr, 2,45 Ni) e perciò essi non richiedono una tempra energica. Inoltre, mentre il nichel assicura una grande resistenza agli urti, il cromo dà notevole durezza superficiale.

Nella fig. 150 è riportato il diagramma dei punti critici di un acciaio di questa categoria con 0,15 C, o,20 Si, 0,85 Cr, 3,25 Ni. Di esso sono pure riprodotte le strutture nelle figg. 151, 152, 153. La fig. 151 si riferisce al metallo ricotto a 830° per un'ora; la 152 allo stesso temprato da 780° in olio e rinvenuto per 30′ a 250°; la fig. 153 infine si riferisce all'acciaio temprato da 780° a 500°.

A queste strutture corrispondono le proprietà meccaniche riprodotte nelle curve della fig. 154.

Fra gli acciai semiduri e duri si trovano prodotti che consentono di raggiungere i valori più elevati di carico di rottura che sia possibile ottenere: si può arrivare infatti a 200 kg/mmq. con 5-10% di allungamento su barretta normale.

Per dare un'idea delle proprietà meccaniche che si possono raggiungere facilmente, si riportano nelle figg. 155, 156, 157, 158, 159, 160 i valori riferentisi a sei acciai delle composizioni più tipiche adoperate nella costruzione di autoveicoli e di aeroplani. Le composizioni degli acciai sono quelle qui indicate:

Dell'acciaio D sono riportate le proprietà nelle curve della fig. 155, e le strutture nelle figg. 161-167 e 169. La fig. 161 riproduce la struttura a ferrite e perlite del metallo ridotto per un'ora a 800° e raffreddato lentamente in forno; le figg. 162-163 riproducono la struttura martensitica derivante dalla tempra, rispettivamente in acqua e in olio, da 800°; le figg. 164-167 e 169 si riferiscono al metallo temprato da 800° e rinvenuto successivamente a 400° (fig. 164, struttura a martensite e troostite), a 500° (fig. 165, struttura troosto-sorbitica) e infine a 600° (fig. 166), 650° (fig. 167), 700° (fig. 169), alle quali temperature si ha sorbite tanto meglio formata quanto più alta è la temperatura di rinvenimento.

Questi acciai presentano il fenomeno della fragilità di rinvenimento, e cioè il rinvenimento fra 200° e 600°, seguito da lento raffreddamento, provoca un abbassamento della resilienza; un raffreddamento rapido invece, ad es. con tempra in acqua, non altera la resilienza. L'effetto è soprattutto notevole fra 450-550°, come se in questo intervallo sussista un punto critico al di sopra del quale lo stato stabile è quello tenace e al di sotto quello fragile. Raffreddando rapidamente da temperature superiori alla critica, si porta a temperatura ordinaria lo stato tenace. Nessuna differenza però si osserva nella microstruttura tra lo stato fragile e quello con buona resistenza all'urto.

Il cromo abbassa tanto fortemente le temperature di trasformazione che, anche con un tenore di nichel poco elevato, bastano quantità di cromo relativamente piccole per avere acciai autotempranti. Così, basta aggiungere 1,7% Cr a un acciaio al 4% Ni per far passare la temperatura di trasformazione al raffreddamento da 600° a 200°. La ricottura indurisce questi acciai, e perciò per lavorarli occorre rinvenirli.

Come composizione tipica di acciai autotempranti si può indicare la seguente:

I diagrammi della fig. 168 mettono in evidenza queste proprietà. Essi si riferiscono a un acciaio autotemprante indurito con una prima ricottura a 875°. Riscaldandolo a temperature crescenti fino a 650°, si ottiene un addolcimento progressivo; invece al di sopra di 650° il metallo torna ad essere duro.

Certi acciai autotempranti hanno la proprietà di conservare a caldo caratteristiche meccaniche suíficienti per assicurare sicurezza e durata conveniente a pezzi che debbono lavorare a temperature elevate. Sono stati adoperati perciò per fare bielle, ingranaggi, valvole, ecc.

Negli acciai austenitici la trasformazione è soppressa fino alla temperatura ordinaria: essi hanno grande resilienza, sono duttili e resistono all'usura. Di fronte agli acciai austenitici al nichel, hanno il vantaggio di una maggiore durezza dopo tempra. Nella tabella che segue sono riportate composizione e usi di alcuni tipi di acciai al nichel-cromo.

Acciai al tungsteno. - L'acciaio al tungsteno è stato il primo acciaio speciale ad essere preparato. Mayr ne iniziò la fabbricazione in Austria nel 1855, ma i suoi tentativi non riuscirono, perché egli adoperava tenori bassi di tungsteno, e il prodotto che otteneva non presentava perciò nessuna speciale proprietà che lo distinguesse e mettesse al di sopra dei migliori acciai che allora si preparavano.

Il merito della scoperta delle proprietà dell'acciaio al tungsteno spetta invece all'inglese R. Mushet, direttore della Titanic Steel Co. di Sheffield, il quale verso il 1868 osservò che un acciaio con una proporzione piuttosto forte di tungsteno (circa l'8%) è suscettibile di prendere la tempra per semplice raffreddamento all'aria senza bisogno della immersione in acqua. Ebbero così origine gli acciai autotempranti di Mushet i quali contenevano 1,5-2% C,1-2,5% Mn, 0,75-1,25% Si, 7-12% W, ed alle volte anche 0, 10-0,5 Cr. Essi hanno mantenuto vittoriosamente il primato fino a quando nel 1900 sono stati soppiantati dagli acciai rapidi americani.

La struttura degli acciai con tenori bassi di tungsteno rassomiglia a quella degli acciai al carbonio, con la sola differenza che il grano è molto più fine e la frattura ha aspetto setaceo. Col crescere del contenuto di tungsteno la perlite diventa sempre più fine e compaiono granuli tondeggianti di carburo, i quali vanno successivamente aumentando di numero e di grossezza.

Questi granuli si vedono bene nella fig. 171 che riproduce la struttura di un acciaio con 0,27% C e 27,75% W.

Guillet ha dato le indicazioni seguenti circa la struttura:

Questi valori corrispondono al diagramma della fig. 170.

Secondo il diagramma di Guillet, gli acciai con solo tungsteno raffreddati all'aria hanno struttura perlitica o cementitica. Perciò la proprietà di essere autotempranti veniva agli acciai di Mushet dalla presenza contemporanea del cromo e del manganese, ognuno dei quali da solo è già capace di impartire all'acciaio la proprietà di conservare la struttura martensitica. La martensite stabilizzata dal cromo e dal manganese è molto fragile; la presenza del tungsteno la rende invece così tenace che la sua durezza può essere utilizzata in utensili da taglio.

Guillet ha provato che il costituente che compare ai tenori elevati di W è un carburo, mostrando che la proporzione di esso cresce quando si cementa il metallo.

A parecchie riprese è stata sostenuta l'esistenza di costituenti diversi negli acciai al tungsteno e fra essi anche di composti del tungsteno col ferro. La questione però è ancora oggetto di discussione.

Negli acciai perlitici il tungsteno provoca aumento del carico di rottura e del limite elastico, e solo una lieve diminuzione dell'allungamento. Gli acciai al carburo hanno carichi di rottura e limiti elastici elevati e allungamenti molto bassi.

Il diagramma della fig. 172 dà la variazione di durezza per contenuti crescenti di tungsteno.

Il tungsteno esercita influenza sui punti critici in diversi modi:

a) estende l'intervallo di trasformazione in un campo di temperature più basso che nel caso degli acciai al carbonio;

b) rigetta parte della trasformazione a temperature più basse;

c) abbassa tanto più la trasformazione quanto più elevata è la temperatura raggiunta prima di iniziare il raffreddamento.

I due primi effetti possono attribuirsi all'azione ritardatrice che il tungsteno esercita sulla cristallizzazione della ferrite e del carburo, per la molto minore tendenza che essi hanno a cristallizzare rispetto al ferro. Il terzo effetto può essere spiegato ricordando che l'azione ritardatrice del tungsteno è paragonabile a quella che l'aumentata velocità di raffreddamento produce negli acciai al carbonio, e che, come in questo la profondità di tempra è tanto maggiore quanto più elevata è la temperatura di tempra, così negli acciai al tungsteno la tempra - quindi il rigetto della trasformazione a temperatura bassa - sarà tanto più forte quanto più alta è la temperatura dalla quale si inizia il raffreddamento. Inoltre più alta è la temperatura alla quale il metallo viene portato e più grossi sono i cristalli di austenite, e quindi maggiore la stabilità dell'edificio cristallino; questo perciò resterà tanto più a lungo allo stato labile, durante il raffreddamento al di sotto del campo austenitico, quanto più elevata è la temperatura alla quale è stato portato.

Gli acciai al tungsteno sono molto adoperati, specie quando si ha bisogno di notevole durezza. Si impiegano perciò nella fabbricazione di utensili e di magneti permanenti, e, per l'alta resistenza alla erosione che presentano, si usano anche nella costruzione delle canne di fucili.

Ecco le composizioni di alcuni tipi di acciaio al tungsteno più adoperati:

La fig. 174 dà il diagramma dei punti critici di un acciaio per canne di fucili con la composizione seguente: 0,65 C, 0,26 Si, 0,50 Mn, 1,70 W. La fig. 173 ne riproduce la struttura, a ferrite e perlite, greggio di laminazione, e la fig. 175 riproduce la struttura sorbitica che assume dopo tempra in olio da 815° e rinvenimento a 600°. Nella tabella sono riportate anche le proprietà meccaniche dello stesso acciaio:

Le proprietà principali degli acciai per magneti sono la rimanenza e la forza coercitiva. La rimanenza misura il magnetismo che resta nell'acciaio quando si annulla la forza magnetizzante, e la forza coercitiva indica la tenacità con cui un magnete trattiene il suo magnetismo.

La rimanenza dipende dalla forma del magnete e dalle qualità dell'acciaio. Così un acciaio in forma di solidi irregolari, di barre corte, di cubi e di sfere, non conserva il suo magnetismo come quando è in forma di lunghe barre; e se queste sono piegate in modo da formare un circuito magnetico quasi chiuso - come nelle ordinarie calamite a ferro di cavallo - il magnetismo viene conservato ancora meglio.

Quanto alla influenza delle proprietà dell'acciaio sul magnetismo, è noto che il ferro conserva le proprietà magnetiche solo quando è in lega col carbonio, e le conserva in misura tanto maggiore quanto più elevato, fino al limite di 1,1-1,2%, è il contenuto di esso. Lo stesso si osserva legando al ferro altri elementi che hanno sulla durezza effetto simile a quello del carbonio, come il cromo, il tungsteno ed il cobalto. Gli acciai per magneti al cromo contengono in genere 0,80-1,0% C, 1,5-3% Cr, Si e Mn 0,25%.

L'acciaio per magneti al tungsteno ha una rimanenza superiore a quella degli acciai al cromo, e può mantenere la magnetizzazione quasi costante per un tempo indefinito.

Fino al 1920 l'acciaio al tungsteno era il migliore per magneti, ma esso è stato in seguito oltrepassato da un metallo scoperto da K. Honda a S. Saito e conosciuto come acciaio K.S. il quale contiene 0,4-0,8% Cr, 1,5-3,0% C, 5,0-9,0% W, 30-40% Co e 0-4,5% Mo. La forza coercitiva di questo acciaio è da tre a quattro volte quella del migliore al tungsteno, ed il suo magnetismo residuo è anche maggiore. Esso però ha un prezzo elevato, e perciò non potrà sostituire largamente gli acciai al cromo e al tungsteno.

Nella tabella che segue sono riportati i valori caratteristici del magnetismo residuo Br e della forza coercitiva H2 per varî tipi di acciai per magneti.

Perché un acciaio acquisti le migliori proprietà magnetiche occorre che esso sia allo stato temprato, abbia una struttura fine e contenga la massima parte del carbonio disciolto. Il carburo deve essere ridotto al minimo, e perciò devono evitarsi temperature di tempra troppo basse e velocità di raffreddamento troppo piccole, le quali possono portare a separazione di troostite.

I magneti, una volta preparati, subiscono una maturazione la quale fa perdere ad essi un po' del magnetismo che hanno acquistato, ma rende praticamente costante e permanente quello che resta. La maturazione si può far compiere in diversi modi. Una delle pratiche che si seguono consiste nell'immergere il magnete 5-10 volte per periodi di circa un'ora, alternativamente nell'acqua bollente e nel ghiaccio.

Acciai rapidi. - Furono presentati al pubblico nel 1900 all'esposizione di Parigi dalla Bethlehem Steel Co. ed ebbero un grande successo, consentendo essi la fabbricazione di utensili con una velocità di taglio di 150-180 m. per minuto, laddove con l'acciaio ordinario al carbonio non si erano sorpassati mai i 45-75 m. per minuto. Il calore che si sviluppa per effetto della lavorazione ricuoce l'utensile di acciaio ordinario e fa perdere rapidamente ad esso la durezza e la capacità di taglio, ma lascia invece inalterato quello di acciaio rapido, il quale, fin verso i 600°, conserva la sua durezza originaria.

I nuovi prodotti erano il risultato delle ricerche sistematiche eseguite dagli ingegneri Taylor e White in occasione della riorganizzazione delle officine della Bethlehem Steel Co., e con lo scopo di accrescere la velocità di taglio degli utensili. Nel corso delle loro esperienze essi scoprirono che le proprietà degli acciai autotempranti contenenti tungsteno - contrariamente alla opinione corrente che tutti gli acciai vengono danneggiati da una temperatura di tempra troppo alta - migliorano notevolmente innalzando la temperatura di tempra. L'optimum di proprietà si ottiene temprando da una temperatura vicina al punto di fusione.

Dedicando alla loro indagine varî anni ed una spesa valutata a più di 150 milioni di dollari, essi poterono alla fine indicare la composizione dell'acciaio e il trattamento che davano i risultati migliori, e poterono così accrescere del 500% il rendimento delle officine.

La composizione scelta dapprima (1900) era la seguente:

Più tardi (1906) fu raccomandata l'altra:

Accanto agli acciai a contenuto elevato in tungsteno sono pure molto usati tipi a tenore più basso, 12-14%, i quali non hanno le possibilità dei primi, ma presentano il vantaggio di costare meno.

Le innumerevoli esperienze compiute in seguito in tutti i paesi non hanno apportato nessuna modificazione sostanziale alla composizione indicata da Taaor e White. Solo il molibdeno, il vanadio ed il cobalto si sono dimostrati adatti, per considerazioni varie, ad entrare a far parte degli acciai rapidi.

Il molibdeno può servire da surrogato del tungsteno, e precisamente 1% del primo equivale a circa 2% del secondo. Esso presenta però l'inconveniente di ossidarsi facilmente quando si riscalda l'acciaio per fucinarlo, e questa ossidazione può spingersi tanto al di sotto della superficie del pezzo che le proprietà dell'acciaio ne vengono ad essere notevolmente danneggiate. Specie durante la guerra, però, per la scarsezza del tungsteno, si è fatto spesso ricorso agli acciai rapidi con molibdeno.

Qui sotto sono riportate le composizioni di alcuni acciai rapidi con molibdeno e le quantità di trucioli da ciascuno di essi asportate:

Questi valori dimostrano che gli acciai con molibdeno si comportano altrettanto bene che quelli con tungsteno.

Nei riguardi del vanadio vi è stata nei primi tempi molta divergenza di opinioni circa la reale utilità di una sua aggiunta. Oggi però non si mette più in dubbio il benefico effetto della sua presenza, ed esso perciò è considerato indispensabile in tutti gli acciai rapidi di prima qualità nei quali si trova sempre nella proporzione dell'1-1,5%. Oltre ad aiutare la disossidazione e la degasificazione, esso comunica all'acciaio una certa tenacità.

L'effetto che esso esercita è mostrato dal confronto dei valori seguenti, che si riferiscono ad un acciaio al carbonio e ad uno con 0,3 V.

Se ne rileva pure che il vanadio può accrescere fino al 100% la capacità di taglio.

Nella tabella seguente sono riportate le composizioni di alcuni noti tipi di acciai rapidi.

Il cobalto è stato adoperato la prima volta nel 1911 e si è dimostrato un'aggiunta opportuna agli acciai rapidi in quanto ne accresce la capacità di lavoro e la durata. Questo risultato è stato un po' una sorpresa giacché il cobalto appartiene allo stesso gruppo del nichel, e questo non ha nessun effetto benefico sulle proprietà degli acciai rapidi.

Gli acciai con cobalto possono essere impiegati per lavorare gli acciai al manganese, i quali sono considerati prodotti non lavorabili.

Gli acciai rapidi solidificati in lingotti hanno la struttura della fig. 176: mostrano cioè due costituenti, uno che è attaccato dall'acido nitrico (4%) e appare scuro, e uno che rimane inalterato e appare chiaro.

Il costituente chiaro, visto a un ingrandimento maggiore, presenta la struttura di un eutectico (fig. 177); esso infatti è il primo a fondere quando si riscalda l'acciaio, mentre la massa circostante è la prima a solidificare quando si cola il metallo e lo si lascia raffreddare.

Se si riscalda l'acciaio al di sopra dell'intervallo critico, il costituente chiaro rimane inalterato (fig. 178); se invece lo si fucina, gli aggregati bianchi vengono rotti e trasformati in globuli (fig. 179), i quali, quando si continui a deformare a caldo il metallo e si abbia cura di mutare ripetutamente il senso della deformazione, finiscono per suddividersi in minuti granuli uniformemente distribuiti nella massa dell'acciaio (fig. 180). È questa la struttura più adatta per ottenere le proprietà migliori degli acciai rapidi.

Sulla natura chimica dei granuli vi è grande varietà di opinione; secondo le ricerche di Bain e Jeffries con i raggi X, essi risulterebbero di un carburo doppio di ferro e di tungsteno capace di trattenere una certa quantità di cromo e di vanadio senza cambiare tipo di struttura molto lentamente, si ha un prodotto relativamente dolce con una durezza Brinell di circa 230. In questo trattamento i granuli chiari rimangono inalterati (fig. 181).

Se lo si scalda invece a temperatura più elevata, come si fa per temprarlo, si osserva la trasformazione della massa in cui è immerso l'eutectico in austenite, e la dissoluzione dei granuli nella soluzione solida. Questa dissoluzione avviene però lentamente e richiede un tempo relativamente lungo ed una temperatura elevata. Nella pratica ordinaria, quando il tungsteno eccede il 12%, i granuli non vengono mai completamente disciolti (figg. 182 e 183). Il minor numero di granuli che si vede nell'ultima figura dimostra l'eff6cacia della temperatura più elevata nel portarli in soluzione.

Se, infine, si tempra l'acciaio portato a temperatura molto alta, esso assume l'aspetto della fig. 184, dove i granuli non disciolti si trovano immersi in una massa che possiede la struttura poliedrica della austenite. A piccoli ingrandimenti la matrice sembra omogenea, ma con un ingrandimento maggiore si può vedere nei granuli di austenite un secondo costituente che, secondo Bain e Jeffries, è martensite.

In queste condizioni l'acciaio ha una durezza Brinell di circa 600. Questa è un po' minore di quella dell'acciaio all'i % di carbonio; ma la sua tenacità e la capacità di taglio sono maggiori. La tenacità è caratteristica dell'austenite, mentre la capacità di taglio dipende dalla martensite, e in parte forse anche dai granuli duri di costituente bianco.

Se si rinviene un acciaio temprato scaldandolo fra 500-600°, l'austenite sparisce, sostituita da una martensite (fig. 185) estremamente fine e più dura: la durezza Brinell sale a circa 650. Questa martensite non è fragile come quella che si ottiene da altri acciai, perché le condizioni della sua formazione vengono ad annullare tutte le tensioni interne dell'acciaio.

Ricuocendo al di là di 600°, la durezza diminuisce rapidamente, e a circa 760° si aggira intorno a 350, mentre la struttura martensitica è sostituita da un'altra che può chiamarsi troostitica. Portando il metallo a temperatura ancora più elevata, fino a poco sopra il punto critico superiore, e quindi lasciandolo raffreddare lentamente, la durezza Brinell diminuisce fino a 230. Sebbene non si riesca a distinguere la nuova struttura da quella troostitica precedente, il costituente strutturale che così si ottiene si chiama sorbite: questa rappresenta il termine finale della trasformazione dell'austenite ed è il costituente stabile degli acciai rapidi.

In quasi tutti i tipi di acciaio rapido si osservano al riscaldamento due punti critici, uno a circa 760° e un altro a circa 835°. Al raffreddamento essi risultano influenzati, oltre che dalla temperatura iniziale e dalla velocità di raffreddamento nella maniera di cui si è già parlato, anche dal tempo che l'acciaio è mantenuto alla temperatura dalla quale il raffreddamento viene iniziato.

Con un raffreddamento lento, quale può aversi nello stesso forno di riscaldo, e con una permanenza piuttosto lunga alla temperatura iniziale, si osserva che, mentre partendo da 900° si ha un solo effetto termico a circa 750°, partendo da 930°, oltre l'effetto termico a 750°, se ne presenta un altro fra 375° e 430°. Questo secondo cresce d'intensità col crescere della temperatura iniziale e della velocità di raffreddamento, e con una temperatura iniziale molto elevata e un raffreddamento rapido, quale può ottenersi, p. es., con l'aria soffiata o con un bagno di olio; entrambe le trasformazioni possono essere respinte al di sotto della temperatura ordinaria.

Se pertanto si tempra all'aria un acciaio rapido, si realizza un raffreddamento piuttosto lento il quale, specie nel caso di forti sezioni, porta a una struttura mista austenitica e martensitica. Per avere solamente austenite bisogna riscaldare quasi a fusione incipiente prima di temprare.

Le temperature alle quali gli acciai rapidi vengono riscaldati per la tempra oscillano fra 1230° e 1315° a seconda della composizione. La tempra può essere fatta all'aria, ma nelle migliori officine si fa in olio.

In un utensile che non sia stato molto rinvenuto dopo tempra, quando è messo in servizio l'austenite tende a trasformarsi in martensite nelle vicinanze dell'estremità tagliente; l'utensile perciò è più duro e lavora meglio dopo che ha cominciato a lavorare anziché prima.

Se però la velocità di taglio è troppo elevata, e il calore che si sviluppa per attrito porta l'estremità dell'utensile intorno agli 800°, la martensite comincia a trasformarsi rapidamente in troostite e l'utensile diventa presto inutilizzabile. A temperature più basse la trasformazione è più lenta: tra 550° e 650° essa dura già più di un'ora. E siccome in pratica si raccomanda di regolarsi in modo che fra due affilature successive corra l'intervallo di 1 ora e 1/2, bisogna far lavorare l'utensile con una velocità di taglio che porti alla scomposizione dell'austenite entro questo tempo.

Acciai al rame. - Per molto tempo si era creduto che il rame rendesse l'acciaio fragile a caldo e non saldabile; in seguito però si riconobbe che un buon acciaio può contenere sino all'1% di rame senza esserne danneggiato nelle proprietà, purché il tenore di zolfo non sia elevato. In questo caso si possono avere cricche di laminazione. L'acciaio con 0,2-0,3% Cu presenta una notevole resistenza all'azione corrosiva degli agenti atmosferici, si ricopre subito di una pellicola bruno rossiccia scura, e questa si oppone all'ulteriore azione dell'atmosfera alla stessa maniera che farebbe uno strato di vernice. Inoltre le vernici, le coperture di ogni genere (p. es., zincatura), aderiscono molto meglio sull'acciaio al rame, mentre sull'acciaio comune si sgretolano, lasciando arrugginire la superficie sottostante.

Con soluzioni acide (acido solforico, acetico, ecc.), la perdita di peso dell'acciaio al rame, e quindi l'attacco, è da due a quattro volte minore che negli acciai comuni. Sott'acqua il metallo col rame si dimostra nettamente superiore quando è presente un acido (umico, carbonico, ecc.). Per l'acqua del mare viene raccomandato un acciaio con 1% Cu. Sotto l'azione dei gas caldi dei forni l'acciaio al rame si copre di uno strato di ossido e questo lo rende più resistente dell'acciaio comune.

Oltre l'acciaio al rame, una notevole resistenza agli agenti atmosferici la presenta pure il ferro Armco, il quale contiene pochissime impurezze. Recentemente in America è stato proposto il ferro puro con 0,4% Cu e 0,08% Mo (ferro Toncan).

Bibl.: L. Guillet, e A. Portevin, Précis de Métallographie, Microscopique, Parigi 1918; Mars, Die Spezialsthähle, 2ª ed., Stoccarda 1922; R. Schäfer, Die Werkzeugstähle und ihre Wärmebehandlung, Berlino 1922; Burnham, Special Steels, Londra 1923; Schäfer, Die Konstruktionstähle, Berlino 1923; A. S. S. T. Handbook (della American Soc. for Steel Treating), Cleveland (Ohio) 1923; Oberhoffer, Das technische Eisen, Berlino 1925; Camp e Francis, The Making, shaping and treating of steel, Pittsburg 1925; Rapaz, Die Edelstähle, Berlino 1925; R. Schäfer, Die Einsatzhärtung von Eisen und Stahl, Berlino 1926; S. A. E. Handbook (della Society of Automotive Engineers), New York 1926; Werkstoffhandbuch, Stahl und Eisen, Düsseldorf 1927.

L'acciaio nell'arte.

L'acciaio per la sua malleabilità si può battere e saldare, e anche tagliare e sbalzare a freddo: perciò se ne fecero sia prodotti che debbono avere carattere di solidità e durezza con netti contorni, sia piccoli e fini lavori d'ornamento. Fu usato soprattutto per armi d'ogni genere, per finimenti da cavallo e per le loro guarnizioni, per fornimenti di porte, di stipi e di serrature, candelieri, cassette da gioie e da denaro, posate, forbici e strumenti di punta e di taglio, ecc. Famoso in tutto l'Oriente era l'acciai0 delle lame di Damasco, che sembra si producessero intensamente in Persia oltre che in Siria, e che furono trasmesse gelosamente di generazione in generazione anche presso popoli non musulmani. Gli Arabi ebbero in Ispagna centri tradizionalmente famosi per la tempera dell'acciaio a Bilbilis e a Toledo, e anche la tradizione letteraria ci parla degli acciai con decorazioni d'oro di Murcia, dell'acciaio sopraffino delle lame di Siviglia, della delicatezza di certi oggetti che se ne fabbricavano (p. es., l'impugnatura incrostata in avorio della spada a due mani di Boabdil ultimo re di Granata, e quella della daga dello stesso re, pure ornata di avorio decorato di arabeschi incisi). Tale industria rimase nelle mani degli Arabi anche dopo la conquista cristiana; ma l'arte di produrre oggetti d'acciaio finemente ornati si diffuse poi anche in Italia e in Germania, e successivamente in Francia, dove ebbero fama Cursinet per le sue ageminature (v.) e Jean Berain per i disegni di decorazioni incise su armature. Nell'ultimo quarto del sec. XVIII, comparve il gioiello d'acciaio in Inghilterra, nel Belgio e in Francia, spesso combinato coi cammei ceramici di Wedgwood a figure bianche in rilievo su fondo azzurro, e fu adoperato per ogni sorta di ninnoli e di ornamenti, specialmente per bottoni, tra cui alcuni finissimi. In Italia si è avuto un solo cultore degno di esser nominato, Niccola Farnesi, orefice e cesellatore lucchese (1836-1904): la moda decadde alla metà del sec. XIX. D'acciaio si fecero anche lastre per incisione, che venivano spogliate del carbonio alla superficie mediante un soprariscaldamento, così da rendere il metallo più malleabile. Le tecniche usate eran quelle dell'acquaforte (v.), della mezzatinta (v.) o dell'incisione a contorno (v. incisione). Tale genere d'incisione, che sembra sia stato adottato per la prima volta da J.B. Grateloup, incisore francese del '700, si diffuse specialmente in Inghilterra sul principio dell'800; William Say lo adoperò per la mezzatinta; ma per l'eccessiva durezza del tratto e per la difficoltà dei ritocchi non ebbe una lunga durata, poichè, diffondendosi il sistema dell'acciaiatura galvanica delle lastre di rame, veniva a mancare la ragione di ricercare la freschezza perenne delle lastre d'acciaio. Dopo il 1865, se ne mantenne l'uso e ancora se ne mantiene, specie in Inghilterra e in America, per la stampa dei francobolli e dei biglietti di banca (per questi esso risale in America al 1810).

Bibl.: G. Lehnert, Illustrierte Gesch. d. Kunstgewerbes, Berlino, s. a.; A. M. Hind, A short Hist. of Engraving a. Etching, Londra 1911.

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