ACCESSIONE

Enciclopedia Italiana (1929)

ACCESSIONE (fr. accession; sp. accesión; ted. Accession, Verbindung; ingl. accession)

Fulvio Maroi

Diritto romano. - In un senso generico accessio (il suo contrario è decessio) vale aumento, incremento del patrimonio per effetto di ciò che si aggiunge materialmente o legalmente a una cosa o ad un diritto o ad una universitas (peculio, hereditas), senza, peraltro, che l'aggiunta di tale nuovo elemento sia necessaria per la perfectio della cosa o del diritto. Spesso, anzi, vien designato col termine accessio (come nota il Bonfante, Corso di diritto romano, II, 11, Roma 1928, p. 71, n.1) questo elemento che si aggiunge alla cosa senza fondersi con essa in unità, venendo a corrispondere a un dipresso al nostro concetto di pertinenza accessio tipica, in questo senso, è l'instrumentum. Tale lata accezione è frequente nel campo dei diritti di obbligazione e di eredità: accessiones sono la fideiussione, il costituto di debito (Dig., 45,1, 91, § 4), l'adpromissio, il pegno e l'ipoteca (Dig., 43, 3, 43); il peculio è considerato accessione del servo (Dig., 38, 8,1, 2); è qualificata accessione la facoltà che ha il possessore di aggiungere al suo possesso quello del suo autore.

Ma in altro senso qui si vuol parlare dell'accessio: cioè nel senso di attrazione di una cosa nell'orbita di un'altra, sì da perdere la sua invidualità fisica e la sua indipendenza giuridica; talché si parla in questo caso, con preferenza, da alcuni autori, di congiunzione o di unificazione come sinonimo di accessione. Quando, perciò, una cosa, di altri o di nessuno, si venga a trovare nel rapporto di cosa accessoria rispetto ad altra principale, ne consegue, per effetto della loro congiunzione, che la cosa accessoria diviene parte o elemento costitutivo della cosa principale, e il proprietario di questa è proprietario del tutto. Un tale fenomeno è descritto nei seguenti termini dal giureconsulto Paolo: Mea res per praevalentiam alienam rem trahit meamque efficit (Dig., 6,1, 23, § 4). Sotto questo rispetto, quindi, l'accessione ci si presenta come un modo di acquisto della proprietà, per effetto della proprietà di un'altra cosa: anzi, - osserviamo col Bonfante (op. cit., II, 11, p. 68; Istituzioni di diritto rom., 8a ed., Milano 1925, p. 251; cfr. altresì Guarnieri-Citati, Reviviscenza e quiescenza nel diritto romano, Messina 1927, p. 35, n. 2) - essa ci appare l'espressione più genuina del carattere autonomo, assorbente, sovrano, della originaria proprietà romana; ci rappresenta l'attrazione materialistica che questa esercita su tutto ciò che rientra nel suo ambito sovrano, e la repulsione a tollerare entro la sua sfera diritti stranieri; l'insofferenza, insomma, di limiti nel suo potere di espansione, che è la più spiccata caratteristica della proprietà quiritaria. La congiunzione e la conseguente attrazione della cosa accessoria nell'unità materialistica e nell'orbita giuridica della cosa principale può dipendere da caso fortuito, o dalla volontà di un solo dei due proprietarî, o di un terzo. Se deriva, invece, dall'accordo dei proprietarî delle cose congiunte, la cosa risultante diventa comune (et erit communi dividundo actio: Dig., 41,1, 7, § 8; Inst., 2,1, 27).

Ciò premesso, esaminiamo brevemente le condizioni e i requisiti dell'accessione, che valgano a distinguere questo istituto da altri istituti affini. Due sono i requisiti principali: la congiunzione di due cose, l'esistenza fra di esse di un rapporto di accessorio a principale. Condizione essenziale, quindi, dell'accessione è che una cosa si congiunga o, meglio, s'incorpori nell'altra, sì da diventarne parte costitutiva, perdendo la sua individualità. L'intensità dell'assorbimento può esser varia, secondo che si tratti di unione organica o meccanica; ma nell'un caso e nell'altro l'accessione genera dominio. Invero, se l'unione delle due cose si verifica in modo così intimo e organico da non potersi restituire alla loro pristina essenza (in pristinam causam), in modo, insomma, da costituire un corpo semplice, un ἡνωμένον, si produce un acquisto definitivo del tutto a favore del proprietario della cosa principale; la proprietà sulla cosa accessoria, divenuta parte o elemento costitutivo della cosa principale, si estingue definitivamente (Inst., II,1, 26), si consuma (Dig., 6,1, 23, 5). Vero è che da alcuni giuristi si parla in questo caso, più che di acquisto di una proprietà nuova, d'incremento della proprietà esistente, ma tale dottrina non tiene conto del fatto che nell'accessione non si ha un incremento proveniente da cause interne, ma una congiunzione bene identificabile, specialmente per il momento del suo verificarsi, di elementi che provengono dal di fuori (Bonfante, op. cit., II, 2, p. 68 segg.). Ma anche nel caso di unione puramente meccanica, che abbia per risultato un corpo composto (ex cohaerentibus o ex contingetibus), un συνημμένον, si verifica acquisto della proprietà sul tutto da parte del proprietario della cosa principale, sempre che ricorra il requisito che la cosa accessoria sia divenuta parte o elemento costitutivo della principale, senza, peraltro, che l'acquisto della proprietà della cosa intiera significhi acquisto dei singoli elementi che la costituiscono (cementa, tigna). Che se poi, riguardo alle parti aggiunte, convenga parlare più di una proprietà interinale, per effetto di un acquisto risolubile mediante l'esperimento dell'actio ad exhibendum (com'è opinione del Bonfante), o di una proprietà del prior dominus, quiescente nell'intervallo (opinione da ultimo ripresa dal Guarnieri-Citati) è questione teorica che può rimanere qui, senza danno, irresoluta. Vero è che una parte della dottrina non vede nella unione puramente meccanica (detta anche accessione impropria) perdita e acquisto di proprietà, e in conseguenza restringe il concetto di accessione al solo caso in cui una delle due cose sia divenuta parte integrante dell'altra, e la separazione non possa venire senza modificazioni essenziali; ma ciò è contro le risultanze della più sicura esegesi e contro lo stesso linguaggio delle fonti.

Più gravi sono le divergenze per determinare quale sia da considerarsi cosa principale o accessoria; su questo punto verte la controversia tra sabiniani e proculeiani, avendo gli uni riguardo alla cosa prevalente per mole (maior pars), gli altri alla qualitas. Nel diritto giustinianeo è passata l'opinione dei proculeiani, e pertanto cosa principale è considerata quella che determina l'essenza, che rappresenta la funzione economico-sociale del tutto (Bonfante, Scialoia), con la conseguenza che, quando si tratti di congiunzione di cose omogenee, poiché non c'è possibilità di stabilire quale sia la principale e quale l'accessoria, non si verifica acquisto di proprietà sulla cosa intera (Dig., 41,1, 27, 2).

Se non che è impresa quasi disperata voler ad ogni costo rintracciare un tipo unico e generale di accessione nelle fonti romane. Procedendo, però, per esclusione, possiamo intanto stabilire che dall'accessione in senso tecnico restano fuori i frutti e i parti degli animali, perché la loro esistenza s'inizia col fatto della separazione. Non si riportano ugualmente sotto il concetto di accessione né l'acquisto dei prodotti delle miniere, poiché con esso si attua soltanto l'esercizio del diritto di proprietà, né l'acquisto del tesoro, poiché si ha in questo caso, a favore di chi lo scopre, acquisto per invenzione. Ma più ancora c'interessa rilevare che non si riassumono per diritto romano, sotto il concetto di accessione, gl'istituti della specificazione, della confusione o commistione. Non la specificazione (che è data dalla trasformazione di una materia prima in una nuova species), perché vien meno il fenomeno proprio della accessione, che consiste nell'assorbimento di una cosa nella unità materiale dell'altra, che resta nel tutto, conservando la sua indivualità, mentre nella specificazione la cosa risultante è una nuova creazione, in cui le cose precedenti scompaiono. Non la confusione o commistione (cioè la mescolanza di cose liquide o solide), perché nessuna delle cose mescolate si può considerare assorbita dalla principale, tutte restando in un rapporto di uguaglianza. Infine, neppure gl'incrementi fluviali, nelle quattro tradizionali figure dell'avulsio, dell'alluvio, dell'insula in flumine nata, dell'alveus derelictus, si possono agevolmente riassumere sotto il concetto di accessione; il ius alluvionum nel pensiero dei giureconsulti (e degli stessi scrittori non giuridici) è trattato come un istituto a sé: non diversa è l'opinione dei moderni pandettisti (Windscheid, Fadda, Bonfante). Invero, tranne il caso dell'avulsio, nelle altre figure o manca del tutto ogni traccia di adesione (l'isola nata nel fiume è separata per mezzo delle acque dal fondo rivierasco), o manca ogni relazione fra la cosa accessoria e la principale (così nell'alveus derelictus, e nell'isola emersa). In ogni caso, la cosa che si unisce è sempre una res nullius. Più correttamente esse, quindi, si ricomprendono sotto la figura del ius alluvionum o degl'incrementi fluviali come istituto autonomo.

Le varie ipotesi che possono, pertanto, per diritto romano, ricomprendersi sotto la figura dell'accessione, si distinguono in due categorie:

a) accessione di cosa mobile a mobile;

b) accessione di cosa mobile a immobile.

Alla prima categoria appartengono la ferruminatio, la plumbatura, la scriptura, la pictura, la textura.

I casi più importanti di accessione di cosa mobile a immobile sono invece: la implantatio, la satio, l'inaedificatio.

In questi casi di accessione occorre, però, tener presente che per il diritto giustinianeo è dovuto risarcimento a chi perde la sua cosa per congiunzione. Il diritto antico negava ogni diritto a risarcimento, perché, operando iure l'accessione, non si poteva considerare danneggiato chi ne subiva le conseguenze economiche. Durante l'epoca classica si distingue il caso del proprietario, che non avendo operato egli la congiunzione, perde per effetto di essa la proprietà della cosa sua, dal caso in cui il proprietario che perde ha egli stesso operato la congiunzione. Nel primo caso gli si accorda un'actio in factum (cioè un'azione di arricchimento), quando la proprietà della cosa congiunta è definitivamente perduta e quindi il proprietario non può più agìre per separarla e rivendicarla (Dig., 6,1, 23, 5). In casi speciali (pictura e implantatio), gli è data altresì un'utilis in rem actio. Questi mezzi di attacco sono offerti a chi perde, nel caso che il possesso della cosa risultante dalla congiunzione sia presso colui che guadagna. A chi abbia, invece, in suo possesso la cosa, giova, in qualunque caso, la exceptio doli (Dig., 6, 1, 23, 4). Infine colui che perde la cosa propria per effetto della congiunzione da lui operata con una cosa appartenente ad altri, se possegga ed è in buona fede, ha diritto alla ritenzione e all'exceptio doli; se non possegga, non gli è accordata azione alcuna (Dig., 12, 6, 33); se è in mala fede, non ha tutela, anzi il congiuntore di mala fede può essere tenuto con l'actio legis Aquiliae. Nel caso dell'inaedificatio, il proprietario del tignum, in compenso dell'azione ad exhibendum che gli è negata, può rivalersi mediante lactio de tigno iuncto, che è data in duplum.

Nel diritto giustinianeo, il doppio del valore che il proprietario consegue, vale come pena e come risarcimento, ed esclude per conseguenza la rivendicazione.

Diritto moderno. - Il concetto romano di accessione si trasforma e si allarga per influenza del diritto germanico, che, mentre è favorevole ad una più ampia protezione del lavoro, che diviene mezzo per acquistare diritti (Salvioli, Storia del diritto italiano, 8a ed., Torino 1921, p. 532), ignora la regola superficies solo cedit. Così si afferma, in opposizione al principio romano dell'acquisto dei frutti per effetto della percezione, che il lavoro dà diritto al raccolto; così, tanto nelle regioni romane quanto nelle longobardiche, si avverte la tendenza a considerare l'area (sedimen) distinta dall'edifizio e gli alberi indipendentemente dal terreno (Leicht, Diritto privato nei documenti preirneriani, Roma 1914, p. 165). Ma tale tendenza non distrugge il principio romano che l'inaedificatio spetta al proprietario del suolo, il che spiega come i principî romani dell'accessione in materia di costruzione e semina informano la legislazione statutaria (Pertile, Storia del diritto italiano, IV, Torino 1898, p. 211). Più grave è la lotta che sostengono i principî romani relativi agl'incrementi fluviali di fronte all'influenza dei diritti di regalia sulle acque. Decisiva fu in questo campo l'autorità della scuola dei postglossatori: di Bartolo, soprattutto, al quale si deve il più antico e più importante trattato delle accessioni fluviali. Così avvenne che in Italia fin dal sec. XII i principî del diritto romano in questa materia ebbero in gran parte il sopravvento, là dove in Francia ciò fu possibile solo dopo le leggi abolitive della feudalità. Come scrive il De Crescenzio (Accessione in Encicl. giuridica italiana, I, p. 231), "l'argomento dell'acquisto del dominio per accessione fu totalmente sottratto all'imperio del diritto feudale".

Il contenuto più vasto, in confronto del diritto romano, che ebbe a ricevere l'istituto dell'accessione per opera degl'interpreti, e che si estese fino a comprendervi ogni frutto naturale o civile della cosa, o quanto vi si unisce per natura o arte, è accolto nel codice Napoleone (art. 546) e quindi nel nostro codice.

Il legislatore italiano del 1865, come si rileva dalla relazione ministeriale del Pisanelli, nel disciplinare l'accessione, si è ispirato al principio che essa sia da considerare uno sviluppo della proprietà preesistente, più che un modo di acquisto. In ciò il nostro codice si allontana dal codice francese, che nell'articolo 712 comprende l'accessione fra i modi di acquisto della proprietà, mentre il corrispondente art. 710 del nostro codice non ne fa menzione. L'art. 442 del cod. civile si esprime, infatti, in questi termini: "La proprietà di una cosa, sia mobile sia immobile, attribuisce diritto su quanto essa produce o vi si unisce naturalmente o con l'arte: questo diritto si chiama diritto di accessione". E successivamente l'art. 444 dispone: "I frutti naturali e i frutti civili appartengono per diritto di accessione al proprietario della cosa che li produce". Sotto il concetto dell'accessione si comprendono così due diversi aspetti dell'istituto, che solo una concezione molto ampia e inadeguata, come nota il De Ruggiero (Istituzioni di diritto civ., 4a ed., I, Messina 1926, § 54) può far raccogliere sotto un'unica formula, cioè il diritto su ciò che la cosa produce, e su ciò che si aggiunge o s'incorpora alla cosa. Sotto un unico termine si associano due istituti diversi: l'accessione per produzione e l'accessione per congiunzione. Ma la prima è impropriamente detta accessione. L'acquisto dei frutti a favore del proprietario della cosa fruttifera non si verifica, invero, iure accessionis, ma iure proprietatis: i frutti si acquistano non in quanto essi accedono alla cosa madre, ma in quanto se ne separano: solo fino a che il frutto è pendente si ha un incremento della cosa madre, ma, quando sia separato, si ha una proprietà nuova. Inoltre, il concetto di accessione per produzione non è applicabile al caso in cui l'acquisto dei frutti sia giustificato da un diritto reale di godimento (artt. 480, 521, 1561 cod. civ.) o da un diritto personale o di credito (art. 1891 cod. civ.) o da un rapporto di natura possessoria (art. 703 cod. civ.).

Deve quindi restringersi la nostra esposizione al solo caso di accessione per congiunzione. Nell'accessione in senso proprio vale il principio: accessorium sequitur principale (art. 446 cod. civ.): si ha un caso di attrazione reale, l'attrazione per praevalentiam, per cui la proprietà della cosa principale assorbe quella dell'oggetto accessorio. Le condizioni, quindi, dell'accessione sono: a) che si tratti di cose le quali appartengono a proprietarî diversi, o si trovino nel rapporto di accessorio a principale; b) che tali cose, per cause naturali o per opera di uno solo dei proprietarî (se per effetto di accordo esula il concetto di accessione), siano venute a congiungersi in modo da costituire un tutto unico, per cui la separazione non sia possibile (inseparabilità materiale), o non sia socialmente conveniente (inseparabilità economica). Verificandosi tali condizioni, si ha un mutamento circa il rapporto di pertinenza della cosa accessoria al suo proprietario (cioè circa la causa proprietatis), e questo mutamento consiste o nell'attribuire ai varî proprietarî un diritto di comproprietà sul tutto (come nei casi di confusione o commistione: artt. 472, 473 cod. civ.), o nell'attribuire in proprietà la cosa accessoria al proprietario della principale, salvo indennità al proprietario che perde la sua cosa. Sono rari i casi in cui non si attribuisce compenso, e sono di regola quelli in cui l'unione è opera di forze naturali: in tal caso non c'è fondamento di arricchimento ingiusto. Vario è poi, in diritto nostro, il criterio per decidere quale fra le due cose congiunte sia principale e quale accessoria. Possono valere le seguenti presunzioni di legge: la cosa mobile è sempre accessoria rispetto all'immobile (unica eccezione è quella dell'art. 542 cod. civ.); l'immobile per destinazione è accessorio rispetto all'immobile per natura; fra due cose mobili è decisiva la destinazione o funzione economico-sociale del tutto; solo quando questo criterio non valga a decidere, la legge tien conto in qualche caso del valore o del volume (artt. 465 e 467 cod. civ.).

Seguendo la ripartizione del codice, il diritto di accessione per congiunzione si distingue in accessione immobiliare e mobiliare.

L'accessione su ciò che si unisce o s'incorpora alla cosa immobile, può esser dovuta all'opera dell'uomo (accessione artificiale) o ad una causa naturale (accessione naturale). Casi di accessioni artificiali sono: la costruzione e la piantagione. Abbiamo visto che per diritto romano valgono i principî: superficies solo cedit, plantae quae terra coalescunt solo cedunt (Gai, II, 32, 73); il rigore di questi principî, mantenutisi inviolati anche nel diritto giustinianeo (cfr. tuttavia in senso contrario Riccobono in Annali Seminario giur. dell'Univ. di Palermo, 1917, p. 508 segg.), è, invece, per diritto nostro, attenuato dall'art. 448 cod. civ., il quale pone la regola che le costruzioni, piantagioni e altre opere fatte sopra e sotto il suolo si presumono fatte dal proprietario a sue spese e con materiali proprî: contro tale presunzione è ammessa la prova del contrario. Oggi, quindi, è possibile una proprietà superficiaria distinta da quella del suolo, il che non era concepibile per diritto romano: ne è prova il fatto che è ammessa nel nostro diritto la proprietà di piani separati di una casa (artt. 562 e segg. cod. civ. estesi ai territori della Venezia Giulia e Tridentina con decreto 1 settembre 1920, n. 1283, in deroga alla legislazione austriaca ivi vigente), e che è ammessa (ciò è frequente in talune provincie d'Italia) una proprietà degli alberi (specialmente olivi) distinta da quella del suolo.

Tre sono le ipotesi che fa la legge (artt. 449-451 cod. civ.):

1) Costruzioni, piantagioni e opere fatte dal proprietario del fondo con materiali altrui. Se questi sono inseparabilmente congiunti, se ne verifica acquisto definitivo a favore del proprietario del suolo, che è obbligato, però, a pagarne il valore (se è in mala fede, è tenuto pure al risarcimento dei danni). È stato detto che si ha in questo caso una specie di espropriazione: perciò, anche se l'edificio rovini, o i materiali incorporati riprendano per qualsiasi causa la loro primitiva autonomia, il proprietario non può rivendicarli (controverso).

2) Costruzioni, piantagioni e opere fatte sul fondo altrui dal proprietario dei materiali. Se questi è in buona fede (ed è in buona fede se ritiene che il fondo gli appartenga), si opera l'accessione con l'obbligo da parte del proprietario del fondo di pagare o il valore dei materiali o l'aumento di valore recato al fondo, cioè la minor somma fra lo speso e il migliorato. Ma se chi ha eseguito la costruzione o le piantagioni, sa che il suolo non è suo, può esser costretto dal proprietario del fondo a levarle, ed eventualmente obbligato anche al risarcimento dei danni. È data, però, al proprietario del fondo facoltà di ritenerle, valendosi così del diritto di accessione, con l'obbligo di pagarne il valore in uno dei modi accennati.

3) Costruzioni, piantagioni e opere fatte da un terzo sul fondo altrui e con materiali altrui. Il proprietario dei materiali non ha diritto di rivendicarli, salvo che siano separabili, ma ha diritto di essere indennizzato o dal terzo che fece uso dei suoi materiali, o dal proprietario del fondo che abbia preferito ritenerli iure accessionis.

Una deroga al principio quod inaedificatur solo cedit si ha nell'art. 452 cod. civ., ed è giustificata per la protezione dovuta alla buona fede. È il caso di chi, costruendo un edificio sul proprio terreno, ignorandone i precisi confini, abbia occupato una porzione del fondo contiguo, e ciò sia avvenuto a saputa e senza opposizione del vicino. Il giudice può in questo caso attribuire la proprietà del fondo al costruttore (si ha qui, secondo qualche autore, un caso di acquisto della proprietà per sentenza del giudice), il quale è, però, tenuto a pagare al proprietario il doppio valore della porzione occupata, oltre al risarcimento dei danni.

Un caso speciale di accessione immobiliare per unione è quello previsto dall'art. 462 cod. civ.: la proprietà dei colombi, conigli, pesci, di una colombaia, conigliera o peschiera (che per l'art. 413 cod. civ. si considerano immobili per destinazione) si acquista al proprietario della colombaia, conigliera o peschiera nelle quali essi siano spontaneamente passati; l'azione di rivendicazione è ammessa solo quando vi siano stati attirati con frode.

La categoria delle accessioni immobiliari naturali è costituita essenzialmente d'incrementi fluviali: dalle quattro tradizionali figure, l'alluvione, l'avulsione, l'isola nata nel fiume, l'alveo abbandonato. La forza dell'acqua costituisce il veicolo di accessione; sono quindi da ritenersi escluse dalla disciplina legislativa le cosiddette alluvioni artificiali. Il nostro legislatore (tranne il caso d'isole nate in fiume navigabile), fedele alle idee romane, riconosce l'acquisto per accessione di tali incrementì a favore dei proprietari dei fondi accresciuti o limitrofi (è controverso però se ciò avvenga come conseguenza del preteso principio che l'alveo dei fiumi o torrenti, che pur sono demaniali, appartenga fino alla linea mediana ai proprietarî rivieraschi, e sia solo soggetto ad una servitù di uso pubblico per il deflusso delle acque: in questo senso cfr. Dusi, Istituzioni di diritto civile, Napoli 1921,1, p. 360). Cosicché anche oggi è vero, come per il diritto romano, che i fiumi pubblici sono come i magistrati del censo, i quali convertono da pubblico in privato e da privato in pubblico il terreno.

L'unione di terra o l'incremento che si forma successivamente e impercettibilmente nei fondi posti lungo le rive dei fiumi e torrenti, siano o no, atti alla navigazione o al trasporto (art. 453 cod. civ.), si chiama alluvione (incrementum latens). Il terreno alluvionale (alluvione propria) e quello abbandonato (che emerge per l'insensibile ritirarsi dell'acqua dall'una riva verso l'altra (alluvione impropria) appartengono al proprietario frontista al cui fondo il terreno di nuova formazione aderisce, senza obbligo di indennità verso alcuno; solo trattandosi di corsi d'acqua atti alla navigazione o al trasporto, il proprietario è tenuto all'obbligo della servitù di marciapiede (art. 453, capoverso, cod. civile). Non si applica, invece, l'acquisto per accessione, alle formazioni alluvionali che si verificano nei terreni bagnati dalle acque del mare, dei laghi, degli stagni.

A differenza del diritto romano, non si ha accesione nel caso dell'avulsione (incrementum patens). Questa si verifica quando una parte considerevole e riconoscibile di terra, per violenza delle acque, è staccata da un fondo e trasportata verso quello inferiore o verso l'opposta riva (art. 456 cod. civ.). Invero il proprietario del fondo a cui la parte staccata aderisce non l'acquista per effetto di accessione, in quanto la legge riconosce al proprietario del terreno staccato la facoltà di rivendicarlo entro l'anno dall'avulsione, o anche dopo questo termine, se il proprietario del fondo, cui si unì la parte staccata, non ne abbia ancora preso possesso. L'acquisto, quindi, a favore del proprietario frontista o di quello del fondo inferiore non si verifica per effetto di accessione, ma dalla presa di possesso, la quale però non è efficace se siasi compiuta prima del decorso dell'anno.

Quanto alle isole fluviali, eccettuato il caso delle isole che si formano nei fiumi o torrenti navigabili e fluitabili, le quali appartengono allo stato (art. 457 cod. civ.), tutte le altre, sia che si formino per lento deposito dei materiali trasportati dalla corrente, sia per l'emersione di una parte dell'alveo, appartengono per diritto di accessione ai proprietarî dei fondi rivieraschi di una sola riva o di entrambe le rive, secondo che sia tutta da una parte o resti divisa dalla linea mediana del fiume. La porzione dell'isola spettante ai proprietarî della stessa sponda è determinata calando delle perpendicolari sulla linea mediana del fiume dai punti estremi delle linee di confine dei loro fondi (art. 458, capoverso, cod. civile).

Non si verifica acquisto per accessione, quando si tratti d'isola formatasi per avulsione (cioè costituita da una porzione di terra staccata da una delle rive per la violenza della cotrente, o per effetto dell'intersecarsi di bracci del fiume in fondi privati e del loro ricongiungersi al ramo principale); non muta in questi casi la causa proprietatis.

Si chiama alveo abbandonato il letto che il fiume ha abbandonato per formarsene un altro: esso dovrebbe considerarsi bene patrimoniale dello stato. Questi però vi rinunzia sotto certe condizioni a favore dei proprietarî rivieraschi (Guarnieri-Citati, in Rivista di diritto civile, 1927, p. 221), e fra essi l'alveo si divide, seguendo lo stesso sistema di mediane e perpendicolari che vale per l'isola nata nel fiume (art. 461 cod. civ.).

In materia mobiliare l'importanza dell'acquisto per accessione è di molto attenuata nel diritto moderno, dal principio che il possesso dei mobili vale come titolo per i terzi di buona fede (sui precedenti storici e sulla portata di questo principio cfr. Segrè in Add. II al vol. della Prescr. nel Trattato di dir. civ. del Baudry-Lacantinerie); l'ambito di applicazione dell'accessione mobiliare è quindi fuori dell'ipotesi prevista dall'art. 707 cod. civile. In questa materia è da tener presente quanto lo stesso legislatore avverte: cioè che le disposizioni da lui dettate debbono servir di guida al giudice per i casi non preveduti; che inoltre l'interprete deve lasciarsi guidare dai principî dell'equità. Non sarebbe invero possibile, in questa materia, stabilire con criterî rigidi quale sia la cosa che debba attrarre l'altra, in quale considerazione debba tenersi il lavoro rispetto alla materia, e così via. Il legislatore disciplina tre casi principali di accessione mobiliare: l'unione, la mescolanza, la specificazione.

Nell'unione, che è costituita da qualsiasi forma di aggiunzione meccanica o chimica di una cosa mobile ad un'altra, se le cose unite costituiscono un sol tutto inseparabile, il tutto è acquisito al proprietario della cosa principale, salvo indennità al proprietario della cosa accessoria (art. 464 cod. civ.)

Anche l'acquisto della proprietà per mescolanza (questa è data dall'unione fra loro di corpi solidi o liquidi: confusione nel primo caso, commistione nel secondo) presuppone l'inseparabilità della miscela; ma ciò non basta: poiché, se si tratta di cose che stanno tra di loro in rapporto di uguaglianza, la miscela appartiene ai varî antichi proprietarî in proporzione della materia di ciascuno: la proprietà si trasforma in una comunione di proprietà (art. 471 cod. civile). Occorre che una delle materie sia da considerarsi principale o di valore molto superiore all'altra; solo in questo caso si ha acquisto per accessione del risultato della mescolanza a favore del proprietario della cosa prevalente, salvo sempre l'obbligo d'indennizzare il proprietario perdente del valore della sua materia (art. 472 cod. civile).

Quanto alla specificazione (unione del lavoro con la materia altrui che ne risulta trasformata), il nostro legislatore non ha seguìto l'indirizzo giustinianeo, ha invece accolta la teoria sabiniana, non senza, peraltro, disconoscere l'alto valore della dottrina dei proculeiani. Secondo il nostro diritto, infatti, il proprietario della materia trasformata o elaborata da altri senza il suo consenso conserva la proprietà della nuova species; il lavoro si considera accessorio rispetto alla materia, salvo l'obbligo del proprietario di pagare il prezzo della mano d'opera (art. 468 cod. civ.); però, nel caso in cui la mano d'opera sia tanto pregevole da superare il valore della materia, il lavoro diventa cosa principale, e lo specificante fa sua l'opera che per praevalentiam attrae la materia aliena, salvo indennizzo del prezzo della materia (art. 470 cod. civ.).

Sul diritto di accessione immobiliare e mobiliare nei rapporti fra comproprietarî cfr. Ramponi, Il diritto di accessione relativamente alle innovazioni nella cosa comune, in Rivista di diritto agrario 1926, p. 480 segg.

Bibl.: Per il diritto romano la più ampia e recente esposizione della materia si ha in P. Bonfante, Corso di diritto romano, II, 2, Roma 1928, p. 68 segg.; cfr. altresì C. Ferrini, Pandette, Milano § 29 segg.; C. Fadda, Teoria della proprietà, Napoli 1908, p. 49 segg.; G. Pacchioni, Corso di diritto romano, 2ª ed., II, Torino 1920, p. 388 segg.; E. Costa, Storia del diritto romano privato, 2ª ed., Torino 1925, p. 225 segg.; V. Arangio Ruiz, Istituzioni di diritto romano, 2ª ed., Napoli 1927, p. 174 segg.; Bechmann, Zur Lehre vom Eigenthumserwerb durch Accession, Kiel 1867. Per il diritto intermedio cfr. A. Pertile, Storia del diritto italiano, 2ª ed., IV, Torino 1898, p. 210 segg.; C. Calisse, Storia del diritto italiano, Firenze 2ª ed., 1903, II, p. 340 segg.; id., History of Italian law, Boston 1928, § 434, segg.; A. Solmi, Storia del diritto italiano, 2ª ed., Milano 1918, p. 448, 911; G. Salvioli, Storia del diritto italiano, 8ª ed., Torino 1921, § 561; M. Roberti, Svolgimento storico del diritto privato in Italia, Milano 1928, p. 276 seguenti. Per il diritto moderno cfr. De Crescenzio, Accessione in Enciclopedia giuridica italiana; D. Caporali, Accessione in Dizionario di diritto privato; F. S. Bianchi, Corso del codice civile italiano, 2ª ed., Torino 1900-1910, IX, parte 2ª e 3ª; B. Brugi, Della proprietà, 2ª ed., Torino 1924, II, p. 107; R. De Ruggiero, Istituzioni di diritto civile, 4ª ed., Messina 1926, § 54; Bonfante-Maroi in Windscheid, Diritto delle Pandette, Torino 1928, VI, p. 420 segg., contronote ψ e ω. Per i confronti fra il codice nostro e il codice francese cfr. Colin-Capitant, Cours de droit civil français, 4ª ed., Parigi 1923, I, p. 857 segg.; Planiol-Ripert-Picard, Traité de droit civ. français, Parigi 1926, p. 250 segg.

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