Academici

Enciclopedia Dantesca (1970)

Academici

Giorgio Stabile

Usato come sostantivo (dal latino academicus, greco ἀκαδημικός), indica i filosofi appartenenti all'Accademia platonica e, in genere, tutti quelli che ne professarono la dottrina. D. li cita in Cv IV VI 14-16 nel corso della dossografia etica dei §§ 13-16; Altri [filosofi] furono, e cominciamento ebbero da Socrate e poi dal suo successore Platone, che, agguardando più sottilmente, e veggendo che ne le nostre operazioni si potea peccare e peccavasi nel troppo e nel poco, dissero che la nostra operazione sanza coperchio e sanza difetto, misurata col mezzo per nostra elezione preso, ch'è virtù, era quel fine che al presente si ragiona; e chiamaronlo ‛ operazione con virtù '. E questi furono Academici chiamati, sì come fue Platone e Speusippo suo nepote: chiamati per luogo così dove Plato studiava, cioè Academia... Veramente Aristotile... e Zenocrate Calcedonio, suo compagnone, [e per lo studio loro], e per lo 'ngegno [singulare] e quasi divino che la natura in Aristotile messo avea, questo fine conoscendo per lo modo socratico quasi e academico, limaro e a perfezione la filosofia morale redussero, e massimamente Aristotile... E però che la perfezione di questa moralitade per Aristotile terminata fue, lo nome de li Academici si spense.

Lo schema narrativo, anche se in parte diversamente ragionato, è quello di Cicerone Accad. post. 14 " Socrates mihi videtur... primus... avocavisse philosophiam et ad vitam communem adduxisse, ut de virtutibus et de vitiis omninoque de bonis rebus et malis quaereret... Platonis autem auctoritate, qui varius et multiplex et copiosus fuit, una et consentiens duobus vocabulis philosophiae forma instituta est Academicorum et Peripateticorum, qui rebus congruentes nominibus differebant. Nam cum Speusippum sororis filium Plato philosophiae quasi heredem reliquisset, duo autem praestantissimo studio atque doctrina, Xenocratem Calchedonium et Aristotelem Stagiritem, qui erant cum Aristotele Peripatetici dicti sunt... illi autem quia Platonis instituto in Academia... coetus erant et sermones habere soliti, e loci vocabulo nomen habuerunt ".

Quella di cui parla D., in realtà, è la vetus Academia, sorta con lo stesso Platone e che ebbe come primi scolarchi il nipote Speusippo (347-339 a.C.) e Senocrate (339-314 a.C.) e che, secondo la bipartizione ciceroniana (Orat. III 67, Acad. post. I 12, Fin. V III 7) ripresa da Agostino (Civ. XIX 1, ma cfr. anche i capp. 2 - 4, 18), veniva distinta dalla nova, iniziatasi con Arcesilao (m. 241 a.C.). Le poche notizie, topiche del resto (per la denominazione A., vedi Academia, per Speusippo vedi l'omonima voce), vengono disposte da D. entro una linea evolutiva di storia dell'etica che tende a rappresentare Aristotele come il suo culmine, come il praeceptor morum (Mn III 13), di ‛ ingenium paene divinum ' (Cic. Div. I XXV 53), " divinus magis quam humanus " (Averroè, prologo alla Physica). Da ciò il risalto dato alla loro dottrina morale - che in effetti fu una delle caratteristiche dei primi A. - ma presentata con un linguaggio marcatamente aristotelico (cfr. Aristotele Eth. II 5-6, 1106b 20 ss.).

Ma sulla ‛ medietà ' della virtù secondo gli A. aveva parlato lo stesso Cicerone (Brutus 40 " Cum omnis virtus sit, ut vestra, Brute; vetus Academia dixit, mediocritas, uterque horum medium quiddam volebat sequi "), e Gellio (IX 5): " Speusippus vetusque omnis Academia voluptatem et dolorem duo mala esse dicunt opposita inter sese, bonum tamen esse, quod utriusque medium foret ". Così pure, della coincidenza tra scuola peripatetica e antica accademia, specie nella morale, aveva detto sempre Cicerone (Acad. post. I 4): " nihil enim inter Peripateticos et illam veterem Academiam differebat. Abundantia quadam ingenii praestabat... Aristoteles, sed idem fons erat utrisque et eadem rerum expetendarum fugiendarum partitio " (cfr. anche Fin. V VIII 21, Off. III IV 20). Ciò che D. tralascia è l'altrettanto topica attribuzione di scetticismo rivolta agli A. nuovi e di cui restava celebre la confutazione offerta da Agostino nel Contra Academicos, nel tentativo di una giustificazione razionale della nozione di verità (v. per questo Giovanni di Salisbury Policraticus VII 2 ss.).