SUSA, 1

Enciclopedia dell' Arte Antica (1997)

SUSA, 1° (v. vol. VII, p. 567)

P. Amiet
R. Boucharlat

p. 567). - Dalle origini fino al periodo achemenide. - L'esplorazione di S. e della sua regione fu iniziata nel 1850-51 dall'inglese Loftus e proseguita dal 1884 al 1886 da Marcel e Jane Dieulafoy, che si dedicarono essenzialmente alle testimonianze del periodo achemenide. A partire dal 1897, la Délégation en Perse fondata da J. de Morgan ha condotto un'esplorazione sistematica, sin dalle origini preistoriche. I lavori sono stati diretti successivamente da J. de Morgan, R. de Mecquenem e, dopo la seconda guerra mondiale, da R. Ghirshman e infine da J. Perrot, fino al 1978.

L'antica Susiana, corrispondente all'odierna provincia iraniana del Khuzestān, è una pianura alluvionale, prolungamento di quella mesopotamica, che occupa un'interruzione del fronte occidentale dell'altopiano iranico, a Ν del Golfo Persico. Per questa ragione, da sempre vi hanno convissuto due popolazioni: genti della Mesopotamia, più numerose, e genti originarie dell'altopiano.

La storia di S. è scandita dalle alterne fortune di queste due popolazioni, sostenute dai loro rispettivi entroterra. Caratterizzata da un clima torrido in estate, la Susiana è bagnata da alcuni fiumi, Karkhā, Diz e Kārun, che ne hanno reso possibile l'irrigazione a partire dal VI millennio a.C. La regione a E del Karkhā fu occupata a partire da quest'epoca da coltivatori neolitici, raggruppati in piccoli villaggi. Verso il 5000 a.C. la presenza nel sito di Tepe J̌owi di vasi dipinti identici a quelli di Eridu, nel Sud della Mesopotamia, rivela l'integrazione della regione alla Mesopotamia. Mille anni dopo, invece, S. fu fondata sulle rive dello Śawur, affluente minore del Karkhā, da una popolazione dalle chiare connotazioni montanare, evidenti nella magnifica ceramica dipinta, nettamente distinta dalla contemporanea ceramica mesopotamica della fine del periodo di 'Ubayd. La stilizzazione marcata corrisponde a una tradizione specificamente preistorica di pittori dal potente talento creativo, che respingono il realismo e lo stile narrativo, temono di rappresentare il volto umano e amano l'immagine dello stambecco dalle corna smisurate, animale di montagna per eccellenza. I primi Susiani fecero venire dal centro dell'altopiano una quantità di rame unica per quest'epoca, che fu come tesaurizzata sotto forma di asce, specchi e piccoli utensili, nelle tombe raggruppate in un cimitero. L'abitato si estendeva sul suolo vergine, ai piedi delle collinette costituite più tardi dall'acropoli e dal quartiere abitativo ricoperto dal Palazzo di Dario. Presto venne edificata un'enorme terrazza a gradoni lunga più di 80 m e alta 10, che avrebbe rappresentato il nucleo dell'acropoli del periodo storico. Su questa terrazza dovevano trovarsi gli edifici, oggi scomparsi, utilizzati da un'amministrazione capace di coordinare le attività della comunità, e che utilizzava per la gestione dei suoi magazzini sigilli a stampo con immagini molto significative: in essi compare, infatti, stilizzata secondo le norme preistoriche, una figura che per il suo aspetto e il suo comportamento può rappresentare l'antenato dei re di tipo sumerico del periodo storico.

Il secondo periodo della storia di S. fu caratterizzato dall'abbandono della terrazza, che in parte crollò, e dall'integrazione del paese al mondo mesopotamico, nel momento della elaborazione della cultura che possiamo definire proto-sumerica e quindi potenzialmente già storica. La città di Uruk, in cui fu creata la scrittura, ne costituisce il riferimento archeologico, e la Susiana rappresenta in quest'epoca un secondo paese di Sumer. Evento principale del periodo fu la creazione di un'amministrazione statale propriamente urbana, la cui contabilità provocò la nascita della scrittura. Si iniziò con il materializzare le cifre mediante piccoli oggetti d'argilla che sostituivano i ciottoli utilizzati in molte delle società arcaiche per contare. Questi oggetti erano; tenuti raggruppati entro sfere d'argilla cave, e scaturì l'idea di riprodurli sulla superficie di queste ultime per mezzo di tacche, i primi segni grafici. In seguito questi piccoli oggetti, che chiamiamo calculi, furono rimpiazzati dalle sole tacche, eseguite non più sulle sfere ma su piccoli pani o tavolette d'argilla, su cui si tracciava, ancora molto raramente, un segno convenzionale per precisare la natura del conto. Questi documenti, sia le sfere che le tavolette, erano sigillati con un sigillo oramai cilindrico, che permetteva di comporre delle scene più ampie di quelle sugli antichi sigilli a stampo.

Così nacquero, in Susiana come a Sumer, un'arte e un repertorio nuovi, antenati diretti di quelli del periodo storico. Il soggetto principale era costituito dall'uomo nelle sue occupazioni professionali, con un intento di realismo sia narrativo sia ideale, nonostante la stilizzazione a volte marcata, cosicché è possibile considerare quest'arte come il riflesso di un «umanesimo». Come a Uruk, il capo dello stato che la nuova organizzazione comportava aveva l'aspetto di un re-sacerdote, insieme condottiero militare e celebrante nelle cerimonie di culto. Queste ultime erano temi preferiti a Uruk, mentre a S. si evocavano principalmente la caccia e l'allevamento, i lavori dei campi e soprattutto la deposizione dei raccolti nei granai, la fabbricazione del pane, la tessitura e infine la guerra. Contemporaneamente prese avvio la statuaria, con affascinanti immagini di oranti e di devoti e con piccoli vasi teriomorfi, mentre gli artigiani del metallo si impadronivano della tecnica della cera persa, sperimentando le leghe.

Come i Sumeri, anche i Susiani si lanciarono alla conquista di mercati lontani, nel cuore dell'altopiano, come Godin Tepe in Media e Tepe Siyalk. Le genti di montagna nomadi di Sud-Est, invece, non sembrano averli accolti; al contrario, discesero nella pianura e distrussero l'organizzazione della civiltà di tipo sumerico, che qui intorno alla fine del IV millennio si spense, continuando invece a svilupparsi in Mesopotamia.

Il terzo periodo della storia di S. fu dunque l'antitesi del precedente, poiché i montanari dell'altopiano del Fārs assunsero in questo momento la loro identità storica che chiamiamo proto-elamita, con la fondazione della loro capitale ad Anšan. Si annessero la Susiana, largamente spopolata in quanto tornata al nomadismo. S. fu ridotta ai circa 12 ha della sua acropoli, prima di estendersi a E in un sobborgo, nel luogo che ora chiamiamo «Città Reale». La città adottò la scrittura creata dalle popolazioni di montagna per esprimere la loro lingua, completamente diversa da quella di Sumer. Parimenti, un'arte originale esprimeva la nuova personalità, per certi versi più arcaica. Gli animali erano preferiti agli uomini, di cui imitavano le attività in scene scherzose, evocatrici di favole. Ma accanto ad animali fattori o barcaioli, ne troviamo altri che portano montagne, come gli Atlanti, che in periodo storico maturo personificano il dominio degli dei. Possiamo perciò ritenere che concezioni mitologiche assai elaborate siano alla base di questo repertorio, noto essenzialmente tramite i sigilli a cilindro che rivelano un'arte caratterizzata da un nuovo senso del movimento e del modellato scultoreo. Quest'arte è illustrata inoltre da alcune statuette in marmo bianco, che furono nascoste nei depositi di fondazione di costruzioni scomparse, nell'acropoli, insieme a oggetti più antichi, piamente conservati secondo una tradizione rispettata a lungo anche in seguito. L'arte rivelata da queste produzioni e la nuova scrittura, non decifrata ma senza dubbio non sumerica, sono attestate anche ad Anšan, poiché l'entità culturale proto-elamita prefigurava l'Elam storico ed era fondamentalmente bipartita, comprendendo il Fārs, da dove si irradiava verso E, e la Susiana. S. conobbe in questo periodo una grande prosperità, attestata da centinaia di documenti economici, ma l'urbanizzazione eccessiva provocò verisimilmente la rapida estinzione di questa cultura.

Mentre Anšan era abbandonata intorno al 2700 a.C., S. fu nuovamente annessa alla civiltà mesopotamica, divenendo una modesta città-stato di tipo sumerico, corrispondente ormai alle tre principali collinette dell'acropoli, dell'apadāna e della «Città Reale» che si prolungava verso S nel Maschio, per una misura complessiva di c.a 1250 X 800 m. Come in Mesopotamia, i devoti continuavano a pregare nei templi dell'acropoli, consacrando le loro statue stilizzate secondo gli stessi canoni. La lavorazione del bitume, sottoprodotto del petrolio, dette vita a un'arte originale, mentre erano importati e imitati oggetti quali i vasi di clorite, caratteristici della civiltà transelamita dell'Iran sud-orientale.

S. fu ugualmente annessa all'impero dei Semiti di Accad dal 2340 al 2150 c.a, come attestato dagli archivi e dai sigilli. Successivamente, intorno al 2100 a.C., il principe Puzur-Inšušinak approfittò della caduta di Accad per creare un «impero» che comprendeva le alture elamitiche e la pianura susiana. Questa dualità era espressa dalle due lingue utilizzate: l'accadico, parlato a S., e l'elamita, la lingua delle genti di montagna, per la quale fu creata una scrittura lineare non ancora decifrata. L'arte continuava a dipendere strettamente dai modelli neo-sumerici, come esemplifica la grande statua della dea susiana su un trono di leoni, simile a Ištar. Questo stato prefigurava quello che fu creato un secolo dopo dai re elamiti di Simaški, dopo che ebbero vinto e distrutto il grande impero sumerico di Ur, sotto il quale erano stati costruiti i due principali templi, del dio protettore di Susa, Inšušinak, e della sua paredra, Ninkhursag susiana.

Terminò così un lungo periodo di dipendenza dalla Mesopotamia, grazie alla restaurazione di un potente stato elamita bipartito, come il suo modello proto-elamita, in cui le genti di montagna del paese di Elam o «Paese Alto» propriamente detto, con Anšan, la loro capitale risorta, dominavano anche sulla pianura susiana, divenuta elamita per effetto della sua annessione. Ma la popolazione di S. parlava la stessa lingua semitica di quella della Mesopotamia e onorava gli stessi dèi. Sono gli archivi economici di S. a rivelare questa situazione: in essi infatti i cittadini portano nomi semitici mentre i pastori nomadi e i principi portano nomi elamiti.

L'inizio del II millennio fu un'epoca di grande prosperità, in cui i re di Simaški intervenivano costantemente nel gioco politico delle nazioni orientali. Sfortunatamente le loro costruzioni sono del tutto scomparse. Conosciamo solo le tombe, coperte da un sarcofago costituito da una vasca di terracotta, con corredi comprendenti vasi di lusso intagliati nel bitume indurito con un degrassante, decorati in bassorilievo o con animali la cui testa aggetta in altorilievo. Notevoli erano le coppe munite di tre piedi a forma di stambecco inginocchiato.

Nello stesso periodo, la metallistica susiana aveva raggiunto un alto livello. Accanto ad armi e utensili funzionali, gli artigiani eseguivano armi votive, che rappresentavano in realtà insegne di dignità, conferite dal sovrano ai suoi funzionari, come indicano diversi sigilli che mostrano uno di questi ultimi mentre riceve un'ascia lavorata a forma di testa di un drago che vomita la lama. Asce di questo tipo sono state trovate a Susa e nel Luristān, dove devono essere giunte portate dagli inviati del principe della città, di nome Attakhušu. Un testo di quest'ultimo riferisce che egli eresse a S. una «stele di giustizia», cioè un «codice», poco prima del grande Hammurabi di Babilonia.

Alla fine del XX sec. a.C. i re di Simaški presero il titolo più importante di «re di Anšan e di Susa», poi il titolo imperiale di sukkalmakh, associando a sé dei principi sottomessi secondo un complesso cursus honorum. Poco più tardi, un quartiere nuovo fu costruito sul terreno vergine, a Ν della «Città Reale», che si ingrandì in questo periodo. Esso è stato scavato da R. Ghirshman, ed era in origine (livello XV) modesto, ma con una bella casa dotata di una cappella domestica. In seguito (livello XIV) l'aristocrazia susiana fece costruire nella stessa area le sue residenze sontuose. La casa di Rabibi, ciambellano reale, è la più significativa, con la sua corte di rappresentanza e il portico della sala di ricevimento (simile alla sala del trono dei palazzi mesopotamici) al centro del muro di fondo. Questa sala era lunga c.a 20 m, e i suoi muri erano rafforzati da quattro pilastri, su cui si impostavano gli archi trasversali che sostenevano la volta. Lungo i lati erano disposti dei sedili, interrotti da un camino a muro per il riscaldamento invernale. I morti erano sepolti in tombe di famiglia costruite sotto il pavimento delle abitazioni e coperte a volta. Successivamente, nel XV sec. a.C., si diffuse il costume di porre a fianco della loro testa un ritratto eseguito in terra cruda dipinta, con un eccezionale senso di realismo individuale. Allo stesso periodo risale una stele che raffigura la dea susiana in modo simile alla Ištar babilonese, ma con barba e quindi androgina, e con l'asta del proprio emblema poggiata sul piede, secondo una tradizione che fu ripresa mille anni più tardi dagli arcieri persiani.

Dopo un periodo mal conosciuto, i re dell'Elam ripresero il prestigioso titolo di «re di Anzan (invece di Anšan) e di Susa». Il più grande sovrano del loro casato, Untaš- Napiriša, della seconda metà del XIV sec. a.C., costruì a una trentina di km da S., a Čoqā Zanbil, una città santa, le cui opere d'arte furono in seguito portate a S., dove sono state ritrovate. Di queste, la più significativa è una stele alta più di 2,60 m, sulla sommità della quale era raffigurato il re in preghiera di fronte a Inšušinak, dio-protettore di S., seduto come il protettore di Anzan su un serpente mostruoso. Al di sotto, il re era rappresentato tra la sua sposa Napir-Asu e una sacerdotessa, nel tempio. La decorazione esterna di questo era rappresentata dalle dee-pesce personificanti le acque celesti e terrestri, e da alcuni geni-muflone, custodi dell'albero sacro. La statua in bronzo della regina rivela una padronanza della metallurgia unica in Oriente. Di interesse ancora maggiore è un tavolo sacrificale in bronzo, che dovette essere fuso in uno stampo complesso, per prevedere i fori destinati al sangue delle vittime, condizionati dalle sinuosità di due serpenti.

Nel XII sec. a.C., l'espansione elamita raggiunse il suo apogeo sotto la dinastia fondata da Šutruk-Nakhkhunte. Questo re conquistò la Babilonia e ne riportò un ricchissimo bottino: stele di Accad, codice di Hammurabi, ecc.; su una stele cassita l'effigie del re fu cancellata e sostituita da quella del temibile vincitore elamita, riconoscibile per la sua capigliatura a ciotola e per la treccia. Quest'ultima si ritrova sulle figure di re accompagnati dalle regine, sui mattoni smaltati verdi e gialli che decoravano l'interno di un tempio costruito dai due figli del conquistatore, Kutir-Nakhkhunte e Šilkhak-Inšušinak. Questi principi costruirono un altro tempio il cui muro esterno in mattoni a stampo era decorato con dee-benevole e con uomini- toro, custodi delle palme. L'impianto di questi templi ci è sconosciuto, ma ci è giunto un modello di santuario in bronzo, contenuto in un blocco di calce inserito nella muratura di una tomba. Chiamato sit-šamši «(cerimonia del) levar del sole», si presenta in modo simile a un «alto luogo» cananeo a cielo aperto, con due officianti nudi in mezzo agli strumenti di culto, costituiti da alcune stele, una vasca per l'acqua con bacini, un bosco sacro accanto a due edifìci.

Alla fine del XII sec. a.C., i Babilonesi si presero la rivincita e distrussero totalmente Susa. Anche se subito ricostruita, la sua storia ci sfugge per tutto il periodo fino alla fine dell'VIII sec. a.C., quando il re Šutur-Nakhkhunte costruì sull'acropoli un piccolo tempio quadrato decorato di piastrelle smaltate perforate, che serravano dei pomelli a forma di protomi di animali e di mostri. L'ultimo principe che prese il titolo di «re di Anzan e di Susa», intorno al 650 a.C., Adda-Khamiti-Inšušinak, eresse una stele che lo raffigurava con il capo coperto da un elmo con visiera e adornato da un braccialetto stilizzato, affine a quelli dei nomadi del Luristān.

Poco dopo, nel 646 a.C., la città fu distrutta, assieme alla monarchia elamita, dagli eserciti di Assurbanipal. Tuttavia dopo la morte di quest'ultimo la città fu restaurata e ospitò un'amministrazione elamita i cui archivi rivelano la coesistenza pacifica con gli immigrati persiani. I sigilli impressi sulle tavolette illustrano quella che possiamo chiamare sia l'arte dell'«ultimo Elam», sia la «prima arte dei Persiani», caratterizzata da un senso del movimento avvertibile nelle scene di caccia a cavallo. Quest'arte doveva essere ancora viva e apprezzata ai tempi di Ciro. Spettò a Dario, dopo la sua vittoria del 521 a.C., trasformare completamente S. facendone la sua capitale amministrativa e dando impulso alla nascita di un'arte imperiale completamente nuova.

Bibl.: Sui primi scavi, v. la raccolta dei Mémoires de la Délégation en Perse, a partire dal 1900, divenuti poi Mémoires de la Délégation Archéologique en Iran·, L. Vanden Berghe, Archéologie de l'Iran Ancien, Leida 1959, p. 71 ss.; R. Ghirshman, Suse au début du Ile millénaire avant notre ère et un sanctuaire iranien dans les monts des Zagros, in CRAI, 1965, pp. 375-382; P. Amiet, Elam, Auvers-sur-Oise 1966. - Sugli scavi recenti: Cahiers de la D.A.F.I. (Délégation Archéologique Française en Iran), a partire dal 1971; Actes de la Rencontre Internationale de Suse (Iran) du 23 au 28 août 1977. La séquence archéologique de Suse et du Sud-Ouest de l'Iran antérieurement à la période achéménide, in Paléorient, IV, 1978, pp. 133-244; E. Carter, M. Stolper, Elam. Surveys of Political History and Archaeology, University of California Press 1984; P. Amiet, Musée du Louvre. Suse. 6000 ans d'histoire, Parigi 1988; M. J. Steve, H. Gasche, Le tell de l'Apadana avant les Achéménides. Contribution à la topographie de Suse, in F. Vallat (ed.), Contribution à l'histoire de l'Iran. Mélanges offerts à J. Perrot, Parigi 1990, pp. 15-60; A. Spycket, Ville Royale de Suse, VI. Les figurines de Suse, I. Les figurines humaines, IVe-IIe millénaires av. J.C., Parigi 1992; K. Addi, Sad-o-si sāl ḥaffāri dar Šuš («Centotrenta anni di scavi a Susa»), in Mirāṯẖ-e Farhangi, XII, 1994, pp. 87-106; M. Kaboli, Šuš va mirās-e bastāni-ye dašt-e Šušan («Susa e le antiche vestigia della piana di Šušan»), ibid., pp. 119-138.

(P.Amiet)

Dagli Achemenidi ai Sasanidi. - L'estensione dell'impero indusse Dario I a creare una capitale a S., tra la Mesopotamia, a O, e il Fārs, culla della monarchia achemenide, dove il sovrano aveva abbandonato Pasargade a favore di Persepoli. S. era stata capitale dal prestigio antico, ma la sua importanza era ormai da diversi secoli notevolmente attenuata. Dario si insediò in una città poco densamente abitata e decise di rimodellare completamente il sito. I suoi architetti delimitarono la città imperiale racchiudendo i tre tell principali, che formano una losanga di un centinaio di ettari. Il limite era marcato da un terrapieno di 15 m di altezza, ma mancavano un vero impianto di fortificazione e un fossato, a dimostrare lo stato di pace di cui l'impero!godeva. Ci è nota soltanto la porta orientale. Nell'interno, la parte Ν era quella dedicata agli edifici regali, mentre l'area restante era sgombra da costruzioni - principesche, domestiche o artigianali. I livelli posteriori non possono essere considerati i soli responsabili della scomparsa di eventuali strutture; si dovrà pertanto ammettere che la città era pressoché priva di costruzioni permanenti, in contrasto con il quartiere regale, la cui grandiosità era destinata a impressionare il visitatore.

Il quartiere regale copre una superficie di 15 ha, corrispondenti al tell dell'apadāna, cui sono da aggiungere almeno i Propilei, costruzione che sorge sul fianco orientale della Città Reale. Il palazzo, centro del potere politico, simboleggia la potenza del re, sottolineato dall'ampiezza e dall'imponenza delle costruzioni (l'apadāna supera i 20 m di altezza), ma anche il carattere eterogeneo dell'impero. Questo «eclettismo positivo», nozione che opporremo alla valutazione negativa che fino agli anni '60 è pesata sull'arte achemenide, si manifesta nelle planimetrie, nelle forme architettoniche, nella decorazione e nei materiali impiegati, originatisi in ambiente iranico, ma fortemente influenzati dalle altre provincie dell'impero, Ionia, Siria- Fenicia, Babilonia, Egitto, e realizzati proprio da artigiani provenienti da questi paesi diversi. Di ciò ci informano le tavolette di fondazione trilingui (babilonese, elamico, antico-persiano) rinvenute nel corso degli scavi tra cui due versioni integre riportate alla luce nel 1971.

L'accesso alla Città Reale avviene attraverso i Propilei, edificio quadrato di 24 m di lato in mattoni crudi, comprendente due portici collocati ai due lati opposti di una sala centrale tetrastila. Il percorso prosegue tramite un ponte che conduce alla Porta di Dario, costruzione rettangolare di 40 X 28 m, con sala centrale a quattro colonne su basi quadrate. Queste riportano iscrizioni di Serse, il quale dichiara di aver portato a compimento l'opera di suo padre Dario. Quest'ultimo è rappresentato da una statua di grandezza superiore alla naturale situata nel passaggio occidentale. Compresa la testa, che è aṇḍata perduta, la statua doveva raggiungere un'altezza di 3,5 m, inclusa la base. La scultura raffigura il sovrano secondo il modello egizio della statua-pilastro, ma con veste persiana, su cui compaiono una triplice iscrizione cuneiforme (babilonese, elamico, antico-persiano) e un'iscrizione geroglifica dalla quale sappiamo che la statua fu eseguita in Egitto, da dove fu successivamente trasportata a Susa. Sulla base rettangolare, all'interno di cartigli di tipo egizio, sono rappresentati i ventiquattro «paesi» (satrapie) dell'impero.

La parte Ν del complesso palaziale è proiettata in avanti, separata dal palazzo propriamente detto. L'apadāna, costruzione quadrata di 109 m di lato, è la sala di ricevimento dei re persiani. Questo tipo di edificio ipostilo deriva dalle più antiche sale a colonne dell'Iran nordoccidentale, successivamente della Media (Vili-VII sec. a.C.), quali furono poi impiegate su vasta scala, con pianta rettangolare, a Pasargade. A S., come a Persepoli, la sala centrale (58 m di lato) è quadrata, con sei file di sei colonne, circondata da tre portici a due file di sei colonne ciascuno. Se la planimetria è di tradizione iranica, nella composizione delle colonne, interamente in pietra, gli architetti fecero confluire elementi di origini diverse: fusti scanalati di tipo ionico sostenenti elementi compositi, imposta a doppia protome taurina, come in Mesopotamia e in Urartu, al di sopra di volute ioniche e di un capitello palmiforme di tipo egizio. Nella sala, le basi constano di un duplice plinto quadrato, secondo un modello ionico già applicato a Pasargade, mentre nei portici troviamo basi campaniformi scanalate sormontate da ovoli. Entrambi i tipi di base sostengono tori di tipo ionico.

A S, il palazzo (246 X 155 m) presenta un impianto planimetrico che ricorda quello dei palazzi assiri (soprattutto Ninive). Organizzato intorno a quattro corti, esso comprendeva gli appartamenti regali e magazzini che con ogni probabilità erano dotati di un secondo piano, come suggeriscono la loro disposizione; e la loro forma stretta e allungata. Le corti erano decorate da mattonelle smaltate policrome; le composizioni più notevoli - il fregio degli arcieri e quello dei leoni passanti, oggi al Louvre - provengono dalla grande corte orientale. Tradizione elamita del II e del I millennio a.C., la tecnica dei pannelli di mattonelle a rilievo era stata portata a notevole perfezione nei palazzi neo-babilonesi della Mesopotamia (Babilonia, VI sec. a.C.).

Questo palazzo, in parte incendiato accidentalmente intorno alla metà del V sec. a.C., fu ricostruito da Artaserse II agli inizi del IV secolo. Nello stesso tempo, il sovrano edificò un piccolo palazzo extra moenia, a O del fiume Šawur. Il suo interesse risiede principalmente nelle pitture (a secco), testimonianza unica di quest'arte, che rappresentano personaggi in movimento sullo sfondo di una decorazione vegetale stilizzata (i colori utilizzati sono rosso vermiglio, carminio, blu cobalto, verde e nero, su fondo bianco), e nei frammenti di ortostati in pietra a metà della grandezza naturale. Questi rilievi, insieme ad altri pezzi rinvenuti fuori contesto a S del sito di S. (nel c.d. Maschio, Donjon), costituiscono la sola testimonianza di questo tipo di decorazione, del tutto assente nel Palazzo di Dario, ma ampiamente documentata a Persepoli dove, al contrario, furono impiegate in modo assai limitato le mattonelle smaltate.

Stando a Erodoto, i Persiani non avevano templi né idoli; anche qualora questi edifici siano esistiti, non ve ne sono esempi a S., e la costruzione designata un tempo come Āyadanā («casa degli dei») è attualmente interpretata come un edificio civile e di epoca post-achemenide.

A S. non si conoscono necropoli achemenidi, eccezion fatta per due tombe, con copertura a volta in mattoni e con inumazione in sarcofago di bronzo a forma di vasca da bagno. Una di esse era vuota; nell'altra, i ricchi corredi - coppe e gioielli in metalli preziosi - rappresentano l'unica testimonianza sull'oreficeria e sulla gioielleria dell'epoca, precedentemente nota principalmente da reperti fortuiti.

Conquistata da Alessandro in maniera pacifica nel dicembre del 330 a.C., a differenza di Persepoli S. non fu distrutta. Il condottiero vi insediò una guarnigione e dei veterani, che avrebbero costituito la base della popolazione ellenizzata della città per i successivi quattro secoli. Una dozzina di iscrizioni in greco, tra cui due basi di colonne che riprendono il tipo achemenide, testimoniano che la pòlis aveva istituzioni greche e i monumenti corrispondenti (templi, bouleutèrion, ginnasio). Nessuno di questi è stato ritrovato, né tanto meno il centro amministrativo, presumibilmente collocato nell'estremità S della città. Divenuta semplice capitale di satrapia, S. ha un ricco quartiere occidentalizzato nella parte N, a E del Palazzo di Dario. Di quest'ultimo, rapidamente deteriorato per mancanza di manutenzione, alcune parti furono suddivise e conobbero una modesta rioccupazione. Il quartiere delle ville presenta una fisionomia propriamente urbanistica; le abitazioni, dalla buona muratura in mattoni crudi, superano i 20 m di lunghezza, sono decorate da mosaici e presentano coperture di tipo greco (tegole e coprigiunti, antefisse e acroterî in terracotta). A S. non è stato trovato alcun vaso greco di pregio artistico, ma vi è attestata la ceramica comune a vernice nera, forse imitazione locale. Altrettanto numerose sono le figurine femminili e le rappresentazioni di cavalieri con kausìa. Una serie di sculture a tutto tondo in pietra va senza dubbio attribuita alla tradizione greca, sebbene non sia possibile precisare se si tratti di lavorazione locale o di importazione (la seconda ipotesi è forse la più verisimile).

A partire da quest'epoca, il quarto tell, quello della Città degli Artigiani, a E, finora quasi inutilizzato, viene occupato dalla necropoli e dalle botteghe per la produzione di ceramica e mattoni e, successivamente, vetro. Le prime tombe non sono in muratura, ma del tipo a pozzo con nicchie o camere nelle quali i bambini erano sepolti all'interno di giare e gli adulti semplicemente deposti, insieme a un corredo di figurine, vasi di ceramica e utensili di metallo.

I due livelli (VI e V) di epoca partica della Città Reale (II sec. a.C.-II sec. d.C.) rispecchiano l'organizzazione d'epoca seleucide, con abitazioni di grandi dimensioni. La città sembra densamente abitata, a giudicare dalla quantità dei materiali di quest'epoca. Allo stesso modo, le necropoli sono numerose e le tombe più elaborate. Si riconoscono due tipi principali di tombe monumentali: 1) tombe a pozzo di accesso a camere contenenti numerosi defunti, l'ultimo dei quali deposto in un sarcofago ovale o di forma antropoide, con coperchio recante la rappresentazione di un viso umano stilizzato, che ricorda i sarcofagi fenici; 2) tombe a camera accessibile tramite una scala, con muri e copertura a volta in mattoni. Il metodo di inumazione è affine a quello d'epoca seleucide, senza alcuna traccia di riti zoroastriani. Dal vallone che separa questo tell da quello della Città Reale proviene un bassorilievo iscritto, attribuito all'ultimo sovrano partico Artabano IV (talvolta designato come V, c.a 215 d.C.), che riceve l'omaggio di un vassallo. Nella rappresentazione non si riscontra ormai più nulla di greco e la lingua utilizzata è il partico (lingua iranica scritta in caratteri aramaici). Intorno agli inizi della nostra èra, al contrario, l'arte rivela ancora un carattere composito, greco-iranico con caratteristiche più marcatamente ellenizzanti (p.es. testa femminile in marmo bianco), ma testimonia anche la convivenza delle due distinte tradizioni; la testa femminile con corona merlata è nettamente ellenizzante, ma si possono citare piccole sculture coeve che mostrano il costume iranico con pantaloni sbuffanti o ancora una testa maschile barbata che si iscrive nella tradizione partica documentata dai bassorilievi coevi dalle montagne presso S. o dalla produzione della Mesopotamia.

L'epoca sasanide (224-642 d.C.) corrisponde a S. a una lenta decadenza, sebbene la fine del periodo segni una rinascita, che proseguirà nel periodo tra il VI e il IX sec. d.C. La documentazione archeologica di S. - materiali, tombe (affini ai tipi partici) e architettura - riguarda soprattutto il III e il IV secolo. Nella città, che non è più capitale provinciale, le costruzioni sono più rare che in epoca partica; si segnala tuttavia un grande edificio in mattoni crudi misuranti oltre 40 cm di lato, situato nel quartiere della Città Reale (livello IV). Preceduta da una grande corte pavimentata a piastrelle e accessibile tramite un portico probabilmente a quattro colonne, la costruzione comprende una sala centrale a pianta quadrata (14 m di lato), con due file di sei colonne, circondata da sale di forma allungata su tre lati. E interessante notare che le basi delle colonne rinvenute sono tutte basi campaniformi achemenidi di reimpiego, asportate da diversi edifici preesistenti, come mostrano le loro dimensioni leggermente differenti le une dalle altre. Un grande affresco raffigurante una scena di caccia a cervidi è stato rinvenuto, caduto dalla parete, nella sala centrale, una delle rare testimonianze della pittura murale sasanide in Iran. L'edificio, datato al IV sec. d.C., fu distrutto, insieme all'intero quartiere, intorno alla metà dello stesso secolo.

Sicuramente di importazione sono gli oggetti suntuari ritrovati in diversi settori della città, quali una coppa in vetro intagliato e una coppa a navicella d'argento, decorata nella parte centrale da un uccello inserito in un medaglione dorato. Non si conservano sculture e bassorilievi, fatta eccezione per una stele, forse cristiana, che mostra un orante sotto un'arcata. Croci di tipo orientale in argento o disegnate su giare attestano l'esistenza di una comunità cristiana a S., abitata anche da ebrei. La perdita d'importanza della città tra il IV e il VI-VII sec. fu probabilmente causata dalla politica reale che creò due altri grandi centri in prossimità di Susa. Fu solo allora che la città ritrovò una vera prosperità destinata a durare diversi secoli.

Bibl.: L'évolution des sociétés complexes du sud-ouest de l'Iran. Actes du séminaire CNRS/NSF de Bellevaux, in Paléorient, XI, 1985, pp. 5-130; R. Boucharlat, Suse à l'époque sasanide, in Mesopotamia, XXII, 1987, pp. 357-366; P. Amiet, Musée du Louvre. Suse. 6000 ans d'histoire, Parigi 1988, pp. 121-145; R. Boucharlat e altri, in ArcheologiaParis, 138, 1989, pp. 56-75; R. Boucharlat, La fin des palais achéménides de Suse: une mort naturelle, in F. Vallat (ed.), Contribution à l'histoire de l'Iran. Mélanges offerts à Jean Perrot, Parigi 1990, pp. 225-233; id., Suse et la Susiane à l'époque achéménide. Données archéologiques, in H. Sancisi-Weerdenburg, A. Kuhrt (ed.), Achemenid History VI, Leida 1990, pp. 149-175; P. O. Harper, J. Aruz, F. Allon (ed.), The Royal City of Susa. Ancient Near Eastern Treasures in the Louvre (cat.), New York 1992; R. Boucharlat, Continuités à Suse au 1er millénaire avant J C., in H. Sancisi-Weerdenburg, A. Kuhrt, M. C. Root (ed.), Achaemenid History VIII, Leida 1994, pp. 217-228.

(R. Boucharlat)