Lògica

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logica


lògica (ant. lòica) s. f. [dal lat. logĭca, gr. λογική (sottint. τέχνη «arte»), dall’agg. λογικός: v. logico1]. – 1. Nel pensiero greco classico, la scienza del logos, ossia del pensiero in quanto viene espresso; in partic., in Aristotele, teoria della connessione tra proposizioni (cioè del sillogismo, argomentazione che consta di due premesse e di una conclusione), che si generalizza in seguito come la teoria o l’indagine relative alle condizioni di validità dei procedimenti di inferenza di un giudizio da un altro; l. dei termini, l. delle proposizioni, denominazioni dei sistemi logici nei quali sono considerati come variabili i termini (cioè nomi e verbi) o, rispettivam., le proposizioni stesse. Accanto al significato tradizionale di teoria dell’inferenza, il termine acquista successivamente quello generale di indagine relativa alle forme astratte del pensiero: l. formale, espressione con cui si designa la logica con l’intento di sottolinearne il carattere formale, ossia il fatto che essa prescinde dai contenuti per esaminare soltanto le forme dell’inferenza. Nel criticismo kantiano, l. trascendentale, la disciplina filosofica che tratta dell’origine, estensione e validità degli elementi a priori della conoscenza; nel pensiero hegeliano, caduta la distinzione tra ontologia e logica, quest’ultima attiene alla realtà pensata e diventa metafisica. In tempi più recenti (ma già a partire dagli studî matematici di Leibniz) la logica si configura come l. simbolica, poiché nei suoi procedimenti è introdotto un linguaggio simbolico al fine di evitare le ambiguità del linguaggio ordinario. In partic., l. matematica, la logica simbolica in quanto il valore delle proposizioni è quantificato e sottoposto a un calcolo di tipo algebrico; l. intensionale, nella quale i significati delle proposizioni o dei termini si riferiscono ai connotati che li caratterizzano; l. estensionale, di immediata interpretazione insiemistica, nella quale il significato degli enunciati è denotato dal loro valore di verità («vero» o «falso»), e in base alla quale possono essere definite regole di calcolo (calcolo logico) che permettono di eseguire operazioni (operazioni logiche) tra enunciati; l. degli enunciati, la parte della logica che studia le condizioni di validità dell’inferenza unicamente in base al significato dei connettivi, cioè di espressioni come «e», «o», «non», «se ... allora», ecc.; l. dei predicati, la parte della logica che studia le condizioni di validità dell’inferenza anche in base al significato dei quantificatori, cioè di espressioni come «tutti», «qualche», ecc. Per gli sviluppi attuali delle teorie logiche e le locuz. relative (l. intuizionista, l. polivalente, l. modale, ecc.), v. ai singoli aggettivi. 2. Trattato di logica, o quella parte del sistema di un filosofo che espone i principî della logica: la l. di Aristotele; la l. di John Stuart Mill. 3. a. Nell’uso com ., l’arte di condurre il ragionamento, l’argomentazione, il discorso in modo che le idee siano tra loro connesse e si sviluppino con razionale procedimento l’una dall’altra; quindi, giustezza di ragionamento: condurre una dimostrazione con logica, con l. perfetta, serrata, sottile, severa, inesorabile; discorso pieno di l., o privo di l., senza l.; procedimento a filo di logica; e in quanto il ragionamento si estrinseca nelle azioni: condotta, comportamento, risoluzione privi di logica. Per la l. deontica, v. deontico. b. Più genericam., modo di ragionare: bella l. la tua!; ha una l. tutta sua particolare. c. fig. La ragione che è alla base di un determinato comportamento e che lo giustifica (anche con riferimento ad atti pubblici e a decisioni o scelte politiche). Con altro uso fig., la l. dei fatti, degli avvenimenti, il modo con cui essi sono concatenati, procedendo di necessità l’uno dall’altro; analogam., la l. della storia, la l. interna d’un sistema linguistico, e simili. d. In informatica, l’insieme dei principî scelti per la progettazione di un sistema di elaborazione automatica di dati.