Ipèrbole

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iperbole


ipèrbole s. f. [dal lat. hyperbŏle, gr. ὑπερβολή, da ὑπερβάλλω «gettare oltre» (il greco aveva già tutti e due i sign.)]. – 1. In retorica, figura consistente nell’esagerare per eccesso (è un secolo che aspetto!; te l’ho detto, te l’ho ripetuto mille volte), o per difetto (berrei volentieri un goccio di vino); nel linguaggio poet., si può ottenere attraverso un tropo o una similitudine in cui il termine di paragone è volutamente esagerato: Uno spirto celeste, un vivo sole Fu quel ch’i’vidi (Petrarca). Per estens., come sinon. (non com.) di esagerazione: lo dico senz’ombra di iperbole. 2. In geometria, curva piana appartenente alla famiglia delle coniche (v. conica), che si ottiene cioè come sezione di un cono circolare con un piano: consta di due parti separate (rami) prolungantisi all’infinito nella direzione di due rette distinte (dette asintoti), ed è il luogo dei punti del piano per i quali la differenza, presa in valore assoluto, delle distanze da due punti dati (fuochi) è costante (tale differenza è necessariamente inferiore alla distanza tra i fuochi).