Impressionismo

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impressionismo


s. m. [dal fr. impressionnisme]. – 1. Corrente artistica, la più vitale e rinnovatrice della pittura nel sec. 19°, che deriva il suo nome dall’epiteto spregiativo (impressionnistes, e questo dal titolo di un quadro di C. Monet, Impression: soleil levant) lanciato dal critico L. Leroy contro un gruppo di pittori che, in aperta polemica con la pittura accademica e il gusto ufficiale, avevano esposto (1874) le loro opere a Parigi nello studio del fotografo Nadar; i suoi rappresentanti (P.-A. Renoir, C. Monet, É. Manet, C. Pissarro, P. Cézanne, É. Degas, ecc.), in nome di un naturalismo diretto e autentico, rifiutano ogni nozione acquisita dell’oggetto e si affidano all’immediata impressione del vero, tendendo perciò a cogliere gli effetti di luce come i soli che colpiscano immediatamente l’occhio dell’artista e, ripudiando la pittura nel chiuso dello studio, affermano la necessità di dipingere all’aria aperta (en plein air) e di usare una maniera estremamente rapida e sciolta, capace di fermare nel quadro l’istante dell’impressione. 2. estens. a. In letteratura, rappresentazione del reale o di stati d’animo ottenuta mediante notazioni rapide, vivaci, quasi a tocchi, appunto, di colore, di un gusto accentuatamente visivo, e anche sintatticamente sciolte, quasi staccate. In partic., il termine è usato per qualificare quella forma di prosa lirica e quel gusto per il «frammento», per il «taccuino», che, nei primi decennî del sec. 20°, furono proprî degli scrittori della Voce (A. Soffici, il primo Papini, ecc.). b. In musica, corrente, della quale fa parte essenzialmente C.-A. Debussy (1862-1918), caratterizzata dall’aspirazione a liberarsi dalle forme preesistenti, dalla prevalenza degli elementi armonici e timbrici sui melodici, e dalla preferenza che viene data alla dissolvenza, alla sfumatura.