Ambròṡia

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ambrosia


ambròṡia s. f. [dal lat. ambrosia, gr. ἀμβροσία, der. di ἄμβροτος «immortale»]. – 1. a. Nelle credenze mitologiche antiche, cibo dell’immortalità, di cui si nutrivano gli dei omerici (così come il nettare ne era la bevanda; ma secondo alcuni poeti, come Alcmane e Saffo, era essa stessa una bevanda): Pasco la mente d’un sì nobil cibo Ch’a. e nettar non invidio a Giove (Petrarca). Era anche un unguento destinato a medicare ferite e preservare i cadaveri dalla corruzione; si riteneva che gli dei se ne aspergessero e che avesse il potere di rendere immortali uomini o cose su cui fosse versata: la bionda Ebe ... la vaga opra fatale Rorò d’a.; e fu quel velo eterno (Foscolo). b. Per estens., nell’uso poet., unguento, sostanza profumata, e la fragranza stessa che ne emana: All’agitarti, lente Cascan le trecce, nitide Per a. recente (Foscolo). Fig., dolcezza, soavità: La mantuana a. e ’l venosino Miel gl’impetrò [al sonetto] da le tiburti muse Torquato (Carducci). 2. a. Genere di piante della famiglia composite, caratterizzate dai capolini maschili con involucro di una sola serie di brattee, saldate insieme, e capolini femminili con un solo fiore: alle specie mediterranee appartiene Ambrosia maritima, comunem. detta ambrosia, erba annua usata in medicina come tonico stomachico e nei disturbi isterici. b. Altro nome del chenopodio (Chenopodium ambrosioides). 3. Produzione fungina che si forma nelle gallerie scavate nel legno da insetti scolitidi i quali l’utilizzano come alimento: è costituita in parte dal micelio e in parte dagli organi riproduttivi di alcuni basidiomiceti, ascomiceti e deuteromiceti.