Avecvous.fr è on-line dalle prime ore del 27 gennaio.

Racconta le storie di Armand e Dominique, di Lona e Manuel, di Pierre e Sandrine, attraverso la loro viva voce, perché – spiega il sito – oramai i cittadini francesi chiedono un punto di vista diverso, non riconoscendosi più nelle parole autoreferenziali dei candidati alla presidenza della Repubblica. Sulla pagina non compaiono loghi o simboli di forze politiche, ma è sufficiente recarsi nella sezione Mentions légales per leggere che l’iniziativa è stata promossa dal partito del presidente in carica Emmanuel Macron, La République en Marche! (LaREM): non l’atteso annuncio della candidatura per un secondo mandato – che dovrebbe arrivare entro il 20 febbraio –, ma comunque un chiaro indizio sulle imminenti mosse dell’attuale inquilino dell’Eliseo.

A poco più di due mesi dal voto, con il primo turno fissato al 10 aprile e il secondo quattordici giorni dopo tra i due candidati più suffragati, la campagna per le presidenziali francesi è entrata dunque nel vivo. Come previsto e come da tradizione, in tanti sono pronti a presentarsi ai nastri di partenza, talvolta mossi più dall’ambizione di conquistare la scena – o ancora dalla volontà di offrire una testimonianza ‘identitaria’ sull’esistenza del loro partito – che da reali aspettative di elezione. Quali che siano le motivazioni alla base delle scelte, la proliferazione degli aspiranti presidenti segnala come il panorama politico sia caratterizzato da un’accentuata frammentazione, questa volta tanto a sinistra quanto a destra.

Pur rimanendo la situazione abbastanza fluida, appare quasi certo che Macron sarà uno dei due sfidanti del secondo turno, forte di un consenso che – secondo i più recenti sondaggi – dovrebbe attestarsi sul 24% e consentirgli di chiudere agevolmente in vantaggio il primo round elettorale. Altrettanto probabile è che il variegato fronte della gauche sia poi fuori dai giochi ancor prima che inizi la partita, attraversato da fratture che impediscono di fare sintesi e di convergere su una figura condivisa. Al momento, il candidato accreditato del maggior numero di consensi sarebbe Jean-Luc Mélenchon, deputato e leader della sinistra radicale di La France insoumise, che secondo le rilevazioni si attesterebbe sul 9,5-10% dei voti; il parlamentare europeo ed esponente dei Verdi Yannick Jadot non supererebbe invece il 5%, mentre la sindaca di Parigi e candidata socialista Anne Hidalgo sarebbe ferma al 3-3,5% delle preferenze, le stesse che i sondaggi dell’Institut français d’opinion publique (IFOP) attribuiscono al candidato comunista Fabien Roussel. Il tutto senza contare Nathalie Arthaud di Lotta operaia, Philippe Poutou del Nuovo partito anticapitalista e il marxista Anasse Kazib, il cui seguito appare numericamente poco consistente, mentre l’ex ministro dell’Economia Arnaud Montebourg ha annunciato il 19 gennaio il suo ritiro dalla corsa presidenziale. In tale frastagliato panorama, neppure le «primarie popolari» – lanciate da un gruppo di attivisti per fare appello all’unità della sinistra – hanno sortito gli effetti sperati, nonostante il successo sul fronte dell’adesione con oltre 462.000 iscritti on-line e più di 378.000 partecipanti tra il 27 e il 30 gennaio. Il voto ha premiato come candidata preferita l’ex ministra della Giustizia Christiane Taubira, ufficialmente in campo da poche settimane e accreditata oggi del 4-4,5% dei voti, ma per il momento né Jadot, né Mélenchon, né Hidalgo – giunti rispettivamente secondo, terzo e quinta nella consultazione – sembrano intenzionati a rinunciare alla corsa presidenziale.

Per quanto meno atomizzato, anche il fronte della droite annovera – nelle sue varie gradazioni e sfumature – diversi candidati alla più prestigiosa carica della Repubblica. Nel campo dell’estrema destra, complice anche un parziale appannamento della figura di Marine Le Pen, per diverse settimane l’attenzione è stata monopolizzata dall’ex editorialista di Le Figaro Eric Zemmour, che lo scorso 5 dicembre ha lanciato la sua creatura politica Reconquête!: un nome chiaramente evocativo, che rimanda al periodo della Reconquista spagnola e alla cacciata degli arabi dalla Penisola Iberica, in linea con l’accesa retorica anti-islam e anti-immigrazione che ha finora animato gran parte delle uscite pubbliche del candidato. Le frasi ad effetto non mancano, dallo slogan napoleonico «Impossible n’est pas français» («Impossibile non è francese») all’autoidentificazione come «piccolo granello di sabbia che ha fatto inceppare la macchina» delle presidenziali, che senza la sua partecipazione sarebbero state una mera formalità. Le accuse di misoginia? Bollate come ‘ridicole’, perché sono state le tante donne di famiglia a forgiare il suo carattere. Gli appellativi di ‘fascista’ e ‘razzista’? Insensati per le sue radici di «ebreo berbero arrivato dall’altra sponda del Mediterraneo», che non considera «inferiore il diverso solo perché diverso», ma vuole esclusivamente difendere «i valori francesi, il Paese, la patria». I nemici che lo contrastano? Tanti, dai suoi avversari che desiderano la sua ‘morte politica’, ai giornalisti che auspicano la sua ‘morte sociale’, agli jihadisti che lo vogliono ‘morto e basta’. L’impressione però è che Zemmour – dopo un ingresso travolgente nell’agone politico – sia oggi vittima delle sue stesse polemiche, e che le periodiche provocazioni lanciate per orientare su di sé i riflettori non sortiscano più lo stesso effetto: al momento, il leader di Reconquête! si colloca stabilmente al quarto posto nella corsa presidenziale con il 13,5% dei consensi, dietro a due donne che si contenderanno fino all’ultimo voto l’accesso al secondo turno.

Per ora, i sondaggi premiano la candidata del Rassemblement national (RN) Marine Le Pen, che negli ultimi mesi sembra aver accantonato alcune delle sue posizioni più oltranziste – ad esempio sull’Unione Europea (UE) – per assumere un profilo più ‘istituzionale’: il che le è costato l’avvicinamento ‘eccellente’ di sua nipote Marion Maréchal a Zemmour, qualche defezione nei ranghi del partito e l’accusa implicita dei fuoriusciti di essere oramai un ingranaggio del sistema. Se però da una parte è indubbio che la candidatura di Zemmour ha intaccato il consenso potenziale di Le Pen, dall’altra il radicamento di RN tra le classi popolari continua a essere estremamente solido, mentre il noto polemista non sfonda tra gli operai. Come inoltre riportato su The New York Times da Constant Méheut, l’estremismo del fondatore di Reconquête! potrebbe alla lunga persino giocare a vantaggio di Le Pen, contribuendo sia a ‘normalizzare’ la sua linea politica che a conquistare elettori per il secondo turno, provenienti prevalentemente dal bacino di quella borghesia conservatrice di destra attratta da Zemmour ma restia ad affidarsi a una figura populista. Per raggiungere l’obiettivo, la leader di RN dovrà però battere la concorrenza di Valérie Pécresse, candidata della destra gollista di Les Républicains (LR), presidente del Consiglio regionale dell’Île de France, già consulente di Jacques Chirac e ministra nel governo di François Fillon durante la presidenza Sarkozy. Uscita dal partito dopo la débâcle delle Europee del 2019 invocando un suo radicale rinnovamento, Pécresse – rientrata alla vigilia del congresso per la scelta del candidato alle presidenziali – si è orientata su un programma economico di stampo liberista, sollecitando tagli alla spesa pubblica improduttiva e promettendo una radicale semplificazione amministrativa, senza però disdegnare – ha evidenziato in un suo ritratto Michele Barbero su Foreign policy – alcune venature di «gaullismo sociale», come l’aumento dei salari per 12 milioni di lavoratori. Sul fronte dell’immigrazione e della sicurezza, la candidata di LR si è invece mostrata sostenitrice della ‘linea dura’, attestandosi su posizioni che non paiono troppo lontane da quelle della destra identitaria. In lei – rileva sempre Barbero – paiono dunque coesistere le varie anime della destra francese, dallo spirito liberale a quello sociale, dall’impronta conservatrice a quella identitaria: se questo le consentirà di crescere ulteriormente nei consensi – attualmente è data al 16,5% – e di superare Marine Le Pen (17,5-18%) saranno le prossime settimane a dirlo.

Questo dunque l’assortito panorama delle candidature alle presidenziali francesi, a cui presto si aggiungerà ufficialmente anche quella di Macron. Da parte sua, il presidente è consapevole di trovarsi in una posizione molto diversa da quella del 2017, quando riuscì a conquistare l’Eliseo presentandosi come novità dirompente nella palude della politica francese; sa di non essere più l’enfant prodige che – complice un sistema ingessato – poteva lanciare le sue istanze riformatrici, occupare il centro e attrarre consensi da destra e da sinistra, pur sostenendo di essere semplicemente «en marche» e di non voler andare «ni à droite, ni à gauche». Lo spostamento del baricentro della competizione a destra sembra suggerire al presidente di guardare con più convinzione dall’altra parte, a un elettorato di sinistra preoccupato da derive pericolose e al tempo stesso conscio del rischio di dispersione del voto con una gauche così frammentata. Tuttavia, tale riposizionamento – rilevava a novembre lo studioso Pawel Zerka – non sarebbe comunque facile: prima che il Covid-19 assorbisse tutte le energie mettendo di fatto in stand-by molte iniziative, Macron aveva infatti lanciato una serie di riforme – come quella sulle pensioni – che lo avevano reso impopolare a sinistra, e la modifica dell’imposta sulle grandi fortune gli era valsa l’appellativo di ‘presidente dei ricchi’.

Nelle ultime settimane, l’inquilino dell’Eliseo ha fatto leva sulla ritrovata attrattività di Parigi sul fronte degli investimenti stranieri, difendendo così le riforme del quinquennio presidenziale; inoltre, il rimbalzo del PIL del 7% dopo un 2020 drammatico sembra deporre a favore dell’efficacia delle decisioni economiche adottate durante la pandemia. Attualmente poi, proprio mentre la campagna elettorale si avvia verso la fase decisiva, la Francia si trova a esercitare la presidenza di turno del Consiglio UE: una coincidenza temporale indubbiamente favorevole a Macron, che in ambito europeo è capace di muoversi con consumata abilità.

Se saprà giocare bene le proprie carte, il presidente potrebbe ottenere quella conferma all’Eliseo che in Francia manca dai tempi di Chirac. Lo slogan «Avec vous» – vale a dire «Con voi» – dovrà però assumere sostanza e concretezza nelle prossime settimane, contrastando quel «Sans moi» ‒ «Senza di me» – che pure è diventato un trend topic nei giorni scorsi tra gli oppositori di Macron.

Immagine: Manifesto strappato di Emmanuel Macron per le elezioni presidenziali del 2022, Mulhouse, Francia (19 dicembre 2021). Crediti: NeydtStock / Shutterstock.com

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