ZUCCHERO

Enciclopedia Italiana (1937)

ZUCCHERO (fr. sucre; sp. azúcar; ted. Zucker; ingl. sugar)

Oscar MASI
Giuseppe GULMINELLI
Ario BONELLI

Da una soluzione acquosa assai concentrata di zucchero raffinato precipitando con alcool concentrato si ottiene lo zucchero chimicamente puro, il saccarosio. Il saccarosio cristallizza in prismi monoclini (peso specif. 1,58 circa a 17°,5); assai solubile nell'acqua (100 gr. di acqua sciolgono a 15° 198 gr. di zucchero), poco solubile nell'alcool; il saccarosio ha in soluzione un potere rotatorio specifico

Se perfettamente secco si colora leggermente verso i 100°, fonde a 160°; scaldato ulteriormente si trasforma verso 200° in una massa bruna amorfa che non cristallizza, il caramello; a temperature superiori si ha sviluppo di gas e di prodotti parzialmente condensabili; il residuo è formato da carbone che brucia al contatto dell'aria.

Il saccarosio è tra gli zuccheri il più diffuso in natura; è presente in alcuni frutti (ananas 11%, fragole 6,3%, albicocche 1%, banane 5%, mele 1,5%), in alcuni semi (di frumento, di avena, di pisello), nei tuberi di patate, nel succo di molti vegetali, nel legno di acero, oltre che nella canna da zucchero, nel sorgo e nella barbabietola, che lo contengono in tale percentuale da permetterne l'estrazione in scala industriale.

La formula strutturale del saccarosio è la seguente:

Dato che il gruppo aldeidico del glucosio e quello chetonico del fruttosio sono bloccati, il saccarosio non dà in soluzione acquosa le reazioni caratteristiche degli zuccheri dovute a questi gruppi: non riduce il liquido di Fehling; non si combina con la fenilidrazina; non dà per ossidazione l'acido monobasico corrispondente; non è direttamente fermentiscibile.

La sintesi che di questo disaccaride si è potuta realizzare per via chimica (Pictet, 1928) ha confermato la giustezza della formula.

Il saccarosio, come tutti i disaccaridi, viene idrolizzato e cioè scisso nei due monosaccaridi mediante aggiunta di una molecola d'acqua da acidi o alcali diluiti e da fermenti ed enzimi (invertasi) che si trovano nelle barbabietole, in varî microorganismi, nel succo enterico.

Il potere rotatorio destrogiro originale della soluzione di saccarosio diventa levogiro, cioè è invertito, in quanto che il fruttosio,

è più levogiro di quanto non sia destrogiro il glucosio,

L'idrolisi per il saccarosio prende perciò il nome di inversione.

L'inversione si può seguire al polarimetro: bisogna ricordare però che il glucosio, in misura maggiore, e il fruttosio, in misura minore, presentano il fenomeno della mutarotazione o polirotazione: possono esistere in due forme (α e β) che differiscono per la disposizione sterica del gruppo −HOH intorno al primo atomo di carbonio; queste due forme, cui compete un diverso grado di asimmetria e quindi un diverso potere rotatorio, si trasformano l'una nell'altra finché si raggiunge uno stato d'equilibrio determinato dalle condizioni d'ambiente e della natura del solvente.

Il glucosio all'atto della formazione (αglucosio) devia a destra il piano di polarizzazione della luce più di quanto non faccia quando ha raggiunto l'assestamento molecolare definitivo, onde l'inversione del potere rotatorio dovuto alla comparsa del fruttosio si verifica più tardi di quanto non importi la rapidità della scissione del disaccaride; l'inversione è quindi più rapida in realtà di quanto si deduca dall'osservazione polarimetrica. L'inversione è accompagnata da contrazione di volume: una soluzione al 25%, ad esempio, si riduce del 5,38%.

L'inversione dello zucchero è favorita da un ambiente acido, anzi è proporzionale alla quantità di ioni idrogeno presenti, sicché la velocità di scissione può servire a misurare il grado di dissociazione e cioè la forza degli acidi.

La determinazione quantitativa del saccarosio si fa per via polarimetrica, determinando il potere rotatorio della soluzione di saccarosio, che è proporzionale alla concentrazione della soluzione; da apposite tabelle o, come in alcuni polarimetri (saccarimetri), direttamente dalle graduazioni dello strumento si può ricavare la quantità di zucchero contenuta nelle soluzioni che si esaminano.

Un altro metodo è fondato sulla determinazione del peso specifico della soluzione zuccherina da cui si risale mediante tavole numeriche alla concentrazione. La determinazione quantitativa del saccarosio si può anche eseguire mediante il liquido di Fehling (soluzione alcalina di ossido rameico contenente anche acido tartarico) per cui occorre eseguire prima l'inversione dello zucchero con acido cloridrico diluito. Il saccarosio infatti non può ridurre direttamente l'ossido rameico mentre la riduzione è effettuata dal glucosio che proviene dalla sua scissione; dal peso di ossido rameoso rosso precipitato si può calcolare facilmente la quantità di glucosio e quindi di saccarosio presente.

Il saccarosio si combina con alcune basi formando saccarati (di Ca, Sr, Ba, Pb) che hanno importanza per l'industria poiché sulla formazione di questi sono fondati varî processi per l'estrazione dello zucchero dal melasso.

Fabbricazione dello zucchero.

Lo zucchero è fabbricato su larghissima scala industriale, estraendolo dalla canna da zucchero (v.) e dalla barbabietola (v.). La canna da zucchero, che fornisce i due terzi della produzione mondiale, è ormai coltivata solo eccezionalmente fuori della zona tropicale; la barbabietola è coltivata in Europa e negli altri paesi delle zone temperate. Dall'acero (v.) e dal sorgo zuccherino si ottengono quantità relativamente modeste di zucchero, per la massima parte sotto forma di sciroppo.

Sia nella canna sia nella bietola lo zucchero si trova disciolto nel succo cellulare. Esso può essere estratto con due processi molto diversi: a) per spremitura, rompendo le pareti cellulari e sottoponendo i tessuti a forte pressione per spremerne il succo; b) per diffusione, immergendo i tessuti tagliati a fette sottili in una soluzione zuccherina diluita, convenientemente riscaldata: per osmosi lo zucchero passa attraverso la parete cellulare nel liquido esterno, mentre l'acqua si diffonde da questo liquido nel succo cellulare. Ripetendo l'operazione con soluzioni sempre più diluite e finalmente con acqua pura si arriva a estrarre la massima parte dello zucchero. Il processo per spremitura è il più antico ed è sempre il solo usato per la lavorazione della canna, con macchinario costituito da grandi molini a cilindri. Il processo per diffusione è quello normalmente usato per la lavorazione della bietola.

Sia con l'uno sia con l'altro processo si ottiene un sugo greggio che, insieme con lo zucchero, contiene sostanze pectiche, albuminoidi e coloranti, nonché fosfati, acidi organici e altre sostanze che ostacolano la cristallizzazione dello zucchero. Nel loro complesso esse vengono chiamate non-zucchero. Tali sostanze vengono in parte coagulate e precipitate con speciali trattamenti e poi eliminate per filtrazione; dopo di che il sugo depurato viene concentrato e se ne ricava per cristallizzazione lo zucchero greggio e uno sciroppo detto melasso, che non è suscettibile di ulteriore cristallizzazione e ordinariamente è utilizzato per la fabbricazione dell'alcool, del lievito per panificazione, ecc.; talvolta però se ne estrae lo zucchero con processi speciali.

Lo zucchero greggio viene poi sottoposto alla raffinazione per ottenere i vari tipi di zucchero del commercio.

Per la storia della fabbricazione dello zucchero, v. canna da zucchero; barbabietola.

Misura dello zucchero nelle soluzioni zuccherine. - Il peso dello zucchero contenuto in un determinato volume di una soluzione zuccherina si può determinare approssimativamente determinando il peso specifico di questa. In pratica si usa l'areometro (v.) e precisamente quel modello speciale chiamato saccarometro, ideato dal Balling, la cui graduazione è stata corretta dal Brix. Se la soluzione è pura, i gradi Brix corrispondono ai grammi di saccarosio contenuti in 100 gr. di soluzione. Come si è detto, nei sughi di canna o di bietola insieme con il saccarosio è presente il non-zucchero: il saccarometro dà quindi la percentuale apparente delle sostanze disciolte, dalla quale, con apposite tabelle, si deduce la percentuale reale ossia la "sostanza secca" della soluzione. I saccarometri sono tarati a una determinata temperatura (17,°5, oppure 15° o 20°); apposite tabelle dànno la correzione che bisogna applicare quando la lettura è fatta a temperatura diversa da quella di taratura.

La percentuale di saccarosio contenuta nei sughi si determina negli zuccherifici col polarimetro (v.); ordinariamente coi modelli semplificati detti saccarimetri. Si ha in tal modo la cosiddetta polarizzazione.

Il rapporto fra polarizzazione e sostanza secca si chiama "quoziente di purezza" o brevemente "purezza".

Resa dello zucchero greggio. - È la percentuale di zucchero raffinato che si può ottenere dallo zucchero greggio; viene calcolata in base alla percentuale dello zucchero, delle ceneri e dell'umidità. Gli zuccheri con resa inferiore al 94% si dicono a "bassa resa".

Fabbricazione dalla bietola.

Il processo di fabbricazione dello zucchero greggio si divide in tre fasi: 1. diffusione; 2. depurazione; 3. concentrazione e cristallizzazione.

Nella prima fase le bietole, tagliate in fettucce, vengono immesse in una serie di recipienti chiamati diffusori, attraversati da una corrente d'acqua a 70-90°, che ne esce allo stato di sugo greggio. Nella seconda fase si eliminano per quanto è possibile dal sugo greggio le sostanze che impediscono la cristallizzazione dello zucchero, trattandolo con calce, in modo che assuma una reazione nettamente alcalina, poi saturandolo con anidride carbonica e filtrandolo. Nella terza fase il sugo depurato viene concentrato per evaporazione finché si ottiene un liquido sciropposo in seno al quale si formano in abbondanza i cristalli di zucchero. Dopo raffreddamento parziale, la massa viene sottoposta alla centrifugazione; si separano così i cristalli dal liquido sciropposo che viene nuovamente sottoposto a concentrazione, cristallizzazione e centrifugazione finché non dà più cristalli ed esce dalla fabbricazione come melasso. Le fettucce esaurite, che sono dette polpe e contengono una piccola quantità di zucchero (0,5%), vengono utilizzate come mangime per il bestiame.

Il processo di estrazione dello zucchero che, nelle grandi linee, appare semplice, in realtà è molto complicato. La fase di depurazione è costituita da diverse operazioni (defecazione, saturazione e solfitazione), alternate con riscaldamenti, filtrazioni, ecc. La fase di concentrazione richiede l'eliminazione per evaporazione di grandi quantità di acqua, e ha quindi una grande importanza ai fini dell'economia dell'intero processo: viene compiuta in speciali apparecchi a multiplo effetto, che permettono l'utilizzazione completa dei vapori di scappamento delle motrici e l'impiego delle acque di condensa calde che vengono usate per l'alimentazione dei generatori di vapore.

Consegna delle bietole. - Contratti di fornitura. - I coltivatori consegnano regolarmente le bietole secondo le indicazioni date dalla fabbrica, la quale tiene depositi per non oltre 48 ore di lavoro, per evitare che le bietole nei silo ammuffiscano o si guastino, perdendo zucchero e diventando di più difficile lavorazione.

All'ingresso dello zuccherificio si pesano le bietole e se ne prendono campioni per determinarne prima la tara dovuta alla terra e all'eventuale insufficiente scollettatura e poi, sulle bietole scollettate e pulite, lo zucchero, in modo da stabilire la quantità di saccarosio che ogni coltivatore consegna e che deve essere pagato in base al prezzo che gli industriali realizzeranno con la vendita dello zucchero. Esiste un contratto nazionale stipulato fra la Associazione nazionale bieticultori e il Consorzio nazionale produttori zucchero che fissa la superficie che gli agricoltori devono coltivare, la quantità di bietole da consegnare, la scollettatura, le modalità per la consegna in fabbrica, per la tara e l'analisi, e per i pagamenti, e stabilisce il prezzo. Il prezzo di una tonn. di bietole, della polarizzazione media di 14%, è uguale al 56% del prezzo di vendita di un quintale di zucchero cristallino reso franco vagone fabbrica. I gradi superiori alla polarizzazione base del 14% ricevono un premio proporzionale. Ai coltivatori vengono anche pagati dei compensi di trasporto dai campi allo zuccherificio per quintale di bietole consegnate e per chilometro percorso; tali compensi possono arrivare fino a un massimo di L. 3,30 per quintale di bietole; in modo che il totale ricavo della vendita dello zucchero va per circa il 65% agli agricoltori e per il 35% agl'industriali, prescindendo dalla tassa governativa.

I coltivatori hanno diritto di ritirare kg. 50 di polpe al 6% di sostanza secca ogni 100 kg. di bietole consegnate; kg. 35 sono gratuiti, gli altri 15 vengono pagati in base al prezzo del fieno di medica.

Diffusione. - Le bietole che arrivano allo zuccherificio vengono scaricate in silo e di qui, facendole trascinare da una corrente d'acqua nelle canalette e poi sollevandole con una ruota elevatrice oppure con pompe speciali, vengono portate alle lavatrici; dopo lavate cadono su una griglia inclinata oppure su una griglia a scosse che lascia sgocciolare l'acqua e poi nelle cassette a fondo forato di un elevatore che le versa entro bilance automatiche, dalle quali si scaricano nelle tagliatrici. Ridotte in fettucce di 2-3 mm. di spessore, cadono su un trasportatore a nastro di tessuto di gomma o di acciaio, più spesso in un trasportatore a rastrelli, che le porta alla batteria di diffusione. Una batteria è composta da 12- 14 e più elementi. L'acqua entra dal diffusore di coda (contenente le fettucce più sfruttate) ed esce da quello di testa (contenente fettucce vergini) come sugo greggio.

Dai diffusori le fettucce esaurite o polpe vengono scaricate entro canali in pendenza, che li guidano verso macchine di sollevamento: eliche ad asse inclinato, elevatori a tazze, o pompe centrifughe (le eliche servono anche per una leggiera spremitura). Agli elevatori seguono le eliche o i trasportatori che distribuiscono le polpe nelle presse che le spremono; dopo di che esse vengono consegnate ai consumatori oppure conservate nei silo lattici, talvolta anche essiccate.

Il sugo greggio dalla batteria di diffusione va ai depolpatori, nei quali si libera dei ritagli di fettucce che trascina, e poi alle casse di misura, in generale due per ogni batteria di diffusione. La sua temperatura, con la diffusione comune, è di 33-38°; prima di mandarlo alla defecazione lo si fa, quindi, passare dentro un riscaldatore, che lo porta a 80-90°; quando invece lo si fa circolare ripetutamente sul diffusore di testa attraverso riscaldatori e nelle fabbriche che lavorano col processo di scottatura e spremitura, il sugo esce a 70-90° e viene mandato direttamente alla defecazione.

Questa fase della fabbricazione è illustrata nel diagramma della figura 1.

Altri processi di estrazione dello zucchero. - In Italia vi è uno zuccherificio che estrae lo zucchero con un procedimento di scottatura e spremitura delle fettucce; ricava meno zucchero % bietole, ma produce polpe zuccherate che essicate contengono 30÷35% di zucchero; non ha acque di scarico. Vi sono altri cinque zuccherifici che impiegano questo processo, ma invece di essicare le fettucce parzialmente esaurite le mandano in una comune diffusione, dove l'esaurimento viene spinto più a fondo che nella sola comune diffusione.

Recentemente si è anche tentato di introdurre un procedimento di estrazione dello zucchero dalle fettucce previamente essicate; da queste si ottiene poi per diffusione un sugo a 45÷50 Brix, più puro del consueto sugo di diffusione e che dopo una depurazione molto semplificata, viene mandato direttamente alla cottura. In condizioni normali tale procedimento non presenta vantaggi economici rispetto al procedimento comune; si deve sempre fare in un breve periodo, quello della massima ricchezza delle bietole, l'operazione più importante e dispendiosa che in questo caso è l'essicazione delle fettucee.

Silo per le bietole. - Sono costruiti in muratura o in cemento armato; hanno sponde alte circa un metro sul piano stradale, fondo a due piani inclinati di circa il 50% verso la canaletta centrale. I silo si fanno larghi m. 4÷6, profondi m. 3÷5 e lunghi m. 50÷100, in modo che ognuno basti per 12÷15 ore di lavoro; sono per lo più in numero di cinque; fra essi corrono le strade per i veicoli comuni e i binarî per i carri ferroviarî.

Trasporto delle bietole dai silo alla lavatrice. - Le bietole immagazzinate nei silo vengono trasportate alla lavatrice facendole cadere nell'acqua che scorre entro le canalette; l'acqua deve essere circa 8÷10 volte il peso delle bietole da trasportare e viene condotta in testa ai silo con tubi o canali aperti; essa proviene in gran parte dallo scarico del condensatore barometrico; se questa è troppo calda si aggiunge acqua fredda; nelle località dove l'acqua è scarsa si riutilizza parecchie volte l'acqua che serve per il trasporto dopo aver lasciate sedimentare in bacini la terra, le foglie e le codette che essa contiene. L'acqua con le bietole in sospensione arriva a una ruota elevatrice (fig. 2) o a una pompa mammut che eleva il miscuglio fino al bordo superiore della lavatrice; dispositivi acconci separano l'acqua dalle bietole prima che esse cadano nella lavatrice; l'acqua subisce una depurazione meccanica per toglierle le codette e le erbe che tiene in sospensione e poi torna ai silo e in parte va al rifiuto.

Lavatrice. - Le lavatrici possono essere orizzontali o verticali (figg. 3, 4) e devono essere atte a separare i corpi estranei, sia pesanti sia leggieri: sassi, pezzi di ferro e di legno, erbe, ecc. Nella lavatrice le bietole sono mosse da bracci che le sbattono in acqua pulita, talvolta proveniente dal condensatore barometrico. Al pari delle macchine di sollevamento, la lavatrice deve danneggiare il meno possibile le bietole e rompere poche codette.

Bilancia automatica. - Pesa 35 q. di bietole per volta, scaricandole dentro le tagliatrici.

Tagliatrici. - Sono in genere a disco (fig. 5) con diametro 1500÷2000 millimetri rotante intorno a un albero verticale alla velocità di 90÷60 giri al 1′; ve ne sono anche a tamburo rotante su un albero orizzontale. I coltelli lunghi fino a 412 mm. vengono fissati sulle apposite cassette smontabili che trovano posto in alveoli ricavati sul disco (fig. 6): ogni disco porta da 12 a 22 cassette. Le bietole vengono compresse contro i coltelli dal peso della massa che si trova entro la tramoggia, oppure da un dispositivo speciale.

Sopra il disco rotante la tramoggia della tagliatrice porta degli arresti che impediscono alle bietole di girare col disco, e dei boccaporti che servono per estrarre le cassette quando si devono cambiare i coltelli e per asportare eventuali corpi estranei che fossero mescolati alle bietole e che li deteriorerebbero.

I coltelli sono di varî tipi: fresati o stampati; questi ultimi sono i più usati perché costano poco, sono di facile affilatura e dànno un taglio netto fornendo ottime fettucce: lunghe, di forma regolare. Se le bietole sono legnose si invia sopra il disco un getto di vapore che pulisce i coltelli e facilita il taglio.

Diffusori. - Sono recipienti cilindrici (fig. 7) e possono essere a scarico centrale o laterale; i primi terminano superiormente e inferiormente con due coni tronchi, e hanno sulle basi minori le bocche di carico e scarico con i relativi boccaporti; i secondi hanno invece il fondo piano e il boccaporto di scarico posto lateralmente. Sul fondo piano o tronco conico trovasi un falso fondo di lamiera forata che sostiene le fettucce e permette una buona distribuzione del liquido di liscivazione su tutta la superficie del diffusore. Si dà ora la preferenza a diffusori bassi e larghi con rapporto fra diametro e altezza di 1 ÷ 1,25, che permettono di lavorare rapidamente anche fettucce molto sottili. I diffusori sono riuniti in batterie di 1016 disposti su due file parallele; la loro capacità è in relazione alla quantità di bietole da lavorare; possono essere da 40 hl. per q. 5000 di bietole in 24 ore, fino a 100 ÷ 120 q. per q. 12 ÷ 14.000; in generale per fabbriche di oltre 12.000 q. si preferisce impiantare due o tre batterie, perché i diffusori troppo grandi possono dare qualche difficoltà se le fettucce non sono ben tagliate o la velocità del lavoro subisce qualche interruzione.

Una batteria di diffusione è provvista di quattro tubazioni unite ai diffusori con altrettante valvole: la tubazione dell'acqua di pressione, dell'estrazione del sugo, della circolazione che mette in comunicazione ogni diffusore col successivo, e dell'acqua di lavaggio; occorre anche una tubazione per il riscaldamento, che si fa nei tubi di passaggio da un diffusore al successivo inserendo iniettori di vapore o riscaldatori.

La diffusione si eseguisce mandando una corrente di acqua calda a 50-60° nel diffusore di coda che oramai contiene solo polpe, ossia fettucce esaurite di gran parte del loro zucchero; l'acqua passa da un diffusore al successivo arricchendosi di zucchero perché incontra fettucce sempre più ricche, finché arriva al diffusore appena riempito di fettucce nel quale raggiunge la massima ricchezza zuccherina compatibile con la sua quantità e con la ricchezza delle fettucce e si chiama allora sugo; quando il diffusore di testa è pieno si estrae una certa quantità di sugo (in generale 105 ÷ 115 hl. per 100 kg. di fettucce contenute nel diffusore); finita l'estrazione si scarica il diffusore di coda e si riempie di sugo il diffusore che nel frattempo sarà stato caricato di fettucce. Il liquido che passa da un diffusore al successivo viene scaldato fino alla temperatura di 75-80°, e qualche volta di più, secondo la qualità delle bietole.

Nella diffusione lo zucchero contenuto nelle cellule mortificate col calore passa rapidamente nella soluzione che circonda le fettucce, attraverso le pareti cellulari e gli spazî intercellulari secondo le leggi di diffusione fra soluzioni che si trovano a diretto contatto; la velocità della diffusione dipende dalla grandezza della superficie di contatto, dalle densità dei liquidi e dalle temperature.

Oltre lo zucchero passano in soluzione altre sostanze che costituiscono poi il non-zucchero dei sughi; è molto importante che il lavoro sia condotto in modo che la quantità di tali non-zuccheri nei sughi sia la minore possibile; ciò si ottiene specialmente col lavoro rapido. Occorre che le fettucce siano ben tagliate, che la sezione di passaggio delle griglie sia molto ampia e che sia ampia quella delle tubazioni, che si abbia una sufficiente pressione dell'acqua che entra nel diffusore di coda e che le casse di misura del sugo abbiano il bordo superiore più basso della bocca superiore dei diffusori e infine che siano allontanati aria o gas che possono accumularsi nelle parti superiori dei diffusori ostacolando la circolazione.

È necessario che l'acqua impiegata nella diffusione sia pulita e dolce, l'acqua impura peggiora la qualità del sugo perché le sostanze che contiene non sono in generale eliminabili durante la depurazione del sugo.

Il modo di condurre la diffusione deve essere tale da ottenere nelle date circostanze i migliori risultati: il massimo di lavoro, il massimo esaurimento delle polpe, la minima quantità di sugo estratto e la massima purezza di questo. Su ciò influiscono: prima di tutto la qualità delle fettucce e la temperatura; per ridurre al minimo l'estrazione del sugo occorre costipare quanto più possibile le fettucce nei diffusori. L'esaurimento delle polpe si spingerà più o meno tenendo conto della quantità di bietole che si devono lavorare con una data diffusione; si esaurirà di più se la diffusione è relativamente grande; si può esaurire di più anche aumentando l'estrazione, ma si avrà poi un maggior consumo di combustibile nelle fasi successive della lavorazione e un maggior carico per i reparti dopo la diffusione. In generale si perde nelle polpe e nelle acque di scarico 0,50 ÷ 0,70% di bietole.

Talvolta per azione di microrganismi si ha distruzione di zucchero nella diffusione e formazione di gas che ostacolano il lavoro; in generale però curando bene il taglio delle fettucce ed elevando opportunamente la temperatura ci si libera facilmente dagli inconvenienti.

Diffusione continua. - Oltre alle comuni batterie di diffusori, per l'estrazione dello zucchero dalle fettucce, si usano apparecchi di diffusione continua. Ne esistono da tempo molti tipi. Il più recente consta di un cilindro orizzontale, di 3 ÷ 4 m. di diametro e 18 ÷ 22 m. di lunghezza, girevole su rulli e senza organi mobili interni, ma diviso in celle di forma tale che nella rotazione le fettucce avanzano lentamente in senso contrario al sugo.

Tutti questi apparecchi portano alla soppressione delle acque di scarico, vantaggio molto importante specialmente per le località lontane da corsi d'acqua di notevole portata che permettano di convogliarvi le acque di rifiuto dello zuccherificio senza sottoporle a costosi trattamenti. Ciò nonostante la diffusione continua non è riuscita a imporsi a quella comune, perché dà sughi più diluiti e il costo dell'impianto e della manutenzione è più elevato, per i molti organi meccanici in movimento che gli apparecchi comprendono.

Spremitura delle polpe. - Le presse da polpe sono di varî tipi e possono servire alcune per spremere poco, cioè fino al 6 ÷ 7% di sostanza secca, le polpe da consegnare ai coltivatori o da immagazzinare nei silo, oppure per spremere fino al 15 ÷ 18% di sostanza secca le polpe che devono essere essiccate. Quasi tutti gli zuccherifici fanno l'essiccazione di una parte delle polpe e hanno quindi i due tipi di presse che possono essere ad asse verticale od orizzontale (figg. 9, 10).

Quantità delle polpe. - Le polpe sono 60 ÷ 65% di bietole, se calcolate al 6 ÷ 7% di sostanza secca a seconda della quantità del legnoso delle bietole e dell'esaurimento.

Polpe insilate. - L'insilamento delle polpe viene fatto in grandi vasche larghe 8 ÷ 10 m. e lunghe anche alcune diecine di m., profonde m. 1 ÷ 1,50, il cui fondo in lieve pendio e le pareti inclinate fortemente sono rivestiti per lo più da mattoni non murati ma semplicemente accostati per dare modo alle acque di scolo di filtrare e perdersi nel terreno. Spesso nella parte più bassa delle vasche esiste un pozzetto collettore delle acque di scolo che viene vuotato periodicamente da apposita pompa.

Le polpe dalle presse vengono trasportate e scaricate negli appositi silo a mezzo di opportuni trasportatori meccanici a nastro o a pettine.

Per effetto dei batterî e delle numerose spore che le bietole trasportano dal terreno e che i lavaggi non sono sufficienti a eliminare, già durante la diffusione, specialmente se questa viene operata a temperature non molto alte, si sviluppano delle fermentazioni a reazione prevalentemente acida. Specialmente le spore delle varie specie batteriche, che non sono state uccise dalla temperatura cui sono state sottoposte durante la diffusione, trovano le condizioni particolarmente favorevoli per una rapida ripresa della loro attività. Così la massa delle polpe, che durante le operazioni di pressatura e scarico si è mantenuta a una temperatura che non discende mai sotto i 25° gradi e spesso vi si mantiene sensibilmente superiore, è presto invasa dopo poche ore dall'insilamento da una flora batterica la più varia, nella quale predominano fermenti lattici acetici e butirrici, ai quali ultimi è soprattutto dovuto l'odore sgradevole che emana dalle polpe insilate.

Vi si trovano spesso anche dei saccaromiceti e molte forme di decomposizione organica.

Per effetto di tali fermentezioni, su cui predominano, come abbiamo detto, quelle a sfondo acido, fino a sviluppare un'acidità totale pari a 3 ÷ 4 gr. per litro di acido solforico, tutta la massa delle polpe si riscalda fortemente negli strati interni fino a temperature di 40° e anche più, assumendo un colore paglierino, mentre negli strati superficiali si asciuga in parte con colore bruno.

Le polpe, così insilate, costituenti una pasta semifluida, si mantengono per tutto l'inverno e i primi mesi di primavera e sono vendute come mangime

Allo scopo di far sviluppare nelle polpe una fermentazione prevalentemente lattica che le renderebbe più salubri e più appetite dal bestiame, è stato consigliato di insemenzare nei silo, fin dall'inizio dell'insilamento dei fermenti lattici, ma la cosa all'atto pratico si rende tanto dispendiosa, per la necessaria preparazione di grandi quantità di mosti lattici con i quali si dovrebbero irrorare le polpe, da annullare ogni vantaggio.

Essiccazione delle polpe. - Si fa in molti zuccherifici e la sua convenienza dipende dalla quantità di polpe fresche che è possibile collocare presso i coltivatori; nelle zone dove è molto diffuso l'allevamento del bestiame tutte le polpe si vendono a un prezzo tale che non conviene essiccarle; in altri se ne essicca una parte per evitare che il prezzo delle polpe fresche scenda troppo. In generale si essicca la quantità per la quale basta il calore dei gas perduti dalle caldaie, i quali, anziché essere espulsi attraverso il camino sono usati negli essiccatoi. Solo la fabbrica che produce polpe zuccherate ha un impianto di essiccazione a focolari indipendenti per l'essiccazione di tutto il prodotto. Generalmente gli essiccatoi sono a tamburo (fig. 11), costituiti da un cilindro girevole intorno all'asse orizzontale, contenente internamente dei setti di lamiera che obbligano le polpe a percorrere un cammino a zig-zag e a venire così in intimo contatto con i gas caldi che percorrono nello stesso senso l'interno del tamburo.

Le polpe devono essere soltanto essiccate ma non bruciacchiate, per non perdere parte dei loro costituenti, primo fra tutti lo zucchero; le polpe secche della diffusione comune contengono 2 ÷ 4% di zucchero, 8 ÷ 12% di acqua; se ne producono 4 - 5% bietole. Se sono poco essiccate si riscaldano nei magazzini per fenomeni di fermentazione e la temperatura può elevarsi tanto da carbonizzarle; basta qualche nucleo di polpe umide perché possa fermentare e scaldarsi l'intero cumulo, se il focolare d'origine non viene prontamente scoperto ed eliminato.

Depurazione del sugo greggio. - Il sugo greggio è un liquido scuro che contiene presso a poco le stesse sostanze presenti nelle bietole, a eccezione di quelle legnose, e trattiene in sospensione ritagli fini di fettucce che non sono stati arrestati dai depolpatori. Portato alla temperatura di 70-90° nei riscaldatori, esso viene depurato aggiungendovi in due o tre riprese piccole quantità di calce (defecazione) e precipitando l'eccesso di calce con anidride carbonica (saturazione o carbonatazione) e parzialmente con anidride solforosa (solfitazione); si ottengono dei precipitati che si separano con successive filtrazioni, la prima a pressione elevata, le altre a bassa pressione. Si ottiene così il sugo leggiero che viene riscaldato fino all'ebollizione e viene passato poi alle operazioni del successivo processo di concentrazione.

Il sugo leggiero è un liquido leggermente colorato in giallo, limpido, brillante, di alcalinità giusta. Gli eventuali suoi difetti si fanno sentire nelle successive operazioni: nell'evaporazione e nella cottura, specialmente del secondo prodotto, e nella centrifugazione di questo.

Per completare la depurazione si usano talvolta idrosolfito di sodio e potassio, alcali caustici, allumina. Recentemente si è introdotto l'uso di carboni attivi per depurare e decolorare il sugo leggiero in vista della produzione diretta dal sugo denso di zuccheri di pregio commerciale.

Ormai non si riscalda più il sugo dentro i saturatori né in altri apparecchi (casse di aspetto, filtri meccanici, ecc.). Tutti i riscaldamenti si fanno in riscaldatori appositamente impiantati, di disegno tale da assicurare una buona utilizzazione dei vapori e rendere facile la pulizia.

Nella fig. 8 è illustrato uno schema di depurazione con defecazione a umido. Il sugo greggio va nel defecatore 1, nel quale si mescola con latte di calce (nella defecazione a secco si usa invece calce viva). Il sugo defecato passa nell'apparecchio di prima saturazione 2, nel quale si mescola all'anidride carbonica proveniente da un forno a calce e compressa da un compressore; viene filtrato dal filtro 3 e dal filtro pressa 4, nel quale viene mandato da una pompa; un'altra pompa lo manda nel riscaldatore 5 e, dopo essere stato nuovamente filtrato nel filtro 6, è sottoposto alla solfitazione nell'apparecchio 7, con anidride solforosa proveniente da un forno da zolfo; poi subisce la seconda saturazione nell'apparecchio di saturazione 8 in cui si fa arrivare prima latte di calce, è filtrato nel filtro 9 e, spinto da una pompa, traversa il riscaldatore 10, è filtrato nel filtro a sacchi 11, passa al bollitore 12 e, dopo essere stato nuovamente filtrato nel filtro a sacchi 13, è inviato mediante una pompa nel riscaldatore 14, di dove passa poi al processo di concentrazione. La prima porzione dell'acqua di lavaggio delle torte dei filtri si mescola al sugo (quella dei filtri 6 e 11 al sugo del saturatore 2, quella del filtro 13 al sugo del saturatore 8); il resto serve a preparare il latte di calce.

Defecazione. - Si compie a umido con latte di calce a circa 20° Bé oppure a secco con calce viva, in appositi recipienti provvisti di bracci girevoli.

La defecazione a umido si fa aggiungendo al sugo il latte di calce preparato a parte in tamburi rotanti di m. 1÷1,2 di diametro e m. 5 di lunghezza, nei quali entrano a un'estremità calce viva e acqua di lavaggio dei filtri pressa e - se questa è insufficiente - acqua comune; all'altra estremità si trovano filtri che trattengono i ciottoli, i pezzetti di carbone e la sabbia che possono trovarsi nella calce. Il latte di calce viene poi pompato in un mescolatore posto al di sopra delle casse di defecazione, alle quali arriva dopo essere passato attraverso un misuratore automatico.

Nella defecazione a secco, la calce viva in pezzi viene aggiunta al sugo con dispositivi che rendono graduale il contatto fra sugo e calce (per evitare surriscaldamenti del sugo) e permettono di scaricare facilmente i ciottoli.

Parte della calce (il 0,3% a 80° nei sughi usuali) si scioglie; il resto rimane in sospensione nel sugo. L'azione della calce è non poco complessa e ancora non del tutto conosciuta. Essa neutralizza anzitutto l'acidità del sugo greggio, formando sali insolubili con parte degli acidi organici e inorganici; poi precipita quelle sostanze che sono insolubili in ambiente alcalino e principalmente le colloidali; le basi alcaline che erano combinate con gli acidi così precipitati, una volta messe in libertà, si combinano con quegli acidi che con la calce non dànno composti insolubili. Invece, le basi organiche e l'ammoniaca restano libere nel sugo. Fra i non-zuccheri restano in soluzione quei colloidi che precipitano solo in soluzione acida (essi finiscono nel melasso, dal quale si possono precipitare acidificando). I precipitati che si formano - e principalmente il carbonato di calcio - contribuiscono alla depurazione con un'azione meccanica, in quanto nella saturazione trascinano le sostanze sospese nel sugo, formando una melma facilmente filtrabile.

Recentemente si sono fatti alcuni progressi per quanto riguarda la conoscenza delle condizioni nelle quali la depurazione riesce più efficace. Si è manifestata una tendenza verso la riduzione della quantità di calce impiegata: un tempo se ne impiegava il 2,5 ÷ 3% del peso delle bietole; ora se ne impiega 1,6 ÷ 2,2% e anche meno.

In molti zuccherifici si usa fare una predefecazione, aggiungendo al sugo greggio, freddo o caldo, il 0,20 ÷ 0,25% di calce. Si ha così un precipitato o un floculato che contiene gli albuminoidi e, essendo difficilmente filtrabile ma abbastanza stabile, si lascia nel sugo al quale poi si aggiunge il resto della calce. Pare che un buon metodo sia quello di aggiungere gradualmente tutta la calce impiegando un certo tempo; in questo modo si otterrebbe un ottimo precipitato, ben filtrabile e lavabile.

Sulla durata della defecazione le opinioni sono discordi: in generale il mescolamento dura 5 ÷ 10 minuti. La temperatura si tiene a circa 80°.

Talvolta la defecazione si compie in modo continuo, in apparecchi speciali nei quali passa la corrente di sugo proveniente dalle casse di misura, ricevendo continuamente l'aggiunta della quantità voluta di calce viva. In questo modo il sugo fra l'entrata e l'uscita viene gradualmente a contatto con quantità crescenti di calce e si ha un'ottima defecazione pur usando poca calce.

Saturazione o carbonatazione. - Si compie con anidride carbonica, dentro casse cilindriche o parallelepipede (fig. 12), alte 7 e più metri, nelle quali il sugo si fa arrivare a meno di metà altezza per evitare che si versi fuori la schiuma che si forma durante il passaggio del gas. Le casse sono in generale tre e hanno un volume totale di 60 ÷ 70 hl. per ogni 1000 q. di bietole lavorate. Il sugo defecato arriva al fondo delle casse, al pari del gas, il quale viene distribuito e frazionato da appositi dispositivi per rendere più intimo il contatto col liquido. Il gas è fornito dal forno da calce; entra nelle casse alla pressione di 4 ÷ 5 m. d'acqua col 30% circa di anidride carbonica e ne esce col 15%, passando nell'atmosfera da appositi sfiatatoi. Se ne fanno passare 4 ÷ 5 mc. al minuto per ogni 1000 q. di bietole. Il forno da calce ne fornisce una quantità superiore al bisogno e quindi le fabbriche non hanno interesse a utilizzarlo meglio.

Con la carbonatazione si completa la precipitazione dei non-zuccheri, si rendono più compatti i floculi formatisi nella defecazione e si ha altresì la formazione di carbonato di calcio cristallino il quale facilita la successiva filtrazione.

Le pompe che aspirano il gas dal forno e lo spingono entro i saturatori sono in generale a stantuffo, comandate a vapore oppure a trasmissione; ma si usano anche compressori centrifughi accoppiati con motori elettrici, che sono meno ingombranti e, se provvisti di opportuni regolatori, hanno un consumo di energia poco maggiore di quelli a stantuffo.

Durante l'introduzione del gas nel saturatore si segue l'operazione da vetri di spia e prelevando campioni. La fine della saturazione si controlla con apposite carte sensibili oppure titolando il filtrato. In generale questo deve avere in fine o,08 ÷ 0, 10% di calce, impiegando come indicatore la fenolftaleina. Se la saturazione si spingesse oltre questo limite, tornerebbe a sciogliersi una parte dei non-zuccheri già precipitati.

Oltre la carbonatazione discontinua in casse separate, si usa in alcune fabbriche quella continua che si fa in una sola cassa seguita da altra più piccola di regolazione; il sugo defecato entra in modo continuo e ugualmente esce il carbonatato. Però vi è una maggiore difficoltà che nel processo discontinuo a ottenere una carbonatazione sempre regolare, perché non si hanno correnti uniformi di sugo e di gas. Si è pure sperimentata la saturazione in un tubo lungo una trentina di metri e con diametro 200 ÷ 300 mm., nel quale entrano dal basso sugo defecato e gas e dall'alto escono sugo carbonatato e gas esaurito. La carbonatazione fatta sotto pressione, di 5 ÷ 6 metri d'acqua, non sembra consenta sensibili vantaggi.

Filtrazione. - Il sugo carbonatato viene mandato in filtri pressa (fig. 13) con pompe a stantuffo o meglio centrifughe che dànno all'entrata dei filtri una pressione di circa 3 kg./cmq. I filtri sono di ghisa, con telai pieni a superficie scanalata, sui quali si appoggiano le tele, e telai vuoti entro i quali entra il sugo e si accumulano le melme in "torte" di circa 30 mm. di spessore; il sugo filtra attraverso le tele (in generale due sovrapposte), percorre le scanalature dei telai pieni ed esce limpido in basso. Le camere e i telai, quadrati, hanno da 600 ÷ 1000 mm. di lato e sono in numero di 30 ÷ 40 per filtro. I filtri pressa sono in numero di 5 ÷ 10 per fabbrica; occorrono mq. 30 ÷ 40 di superficie per mille q. di bietole lavorate al giorno. Le tele impiegate per i filtri pressa sono in generale di iuta o di canapa; se i sughi sono ben filtrabili le tele possono essere cambiate ogni 12 ÷ 15 giorni, si lavano in apposite macchine e se ancora in buono stato si riadoperano.

Quando il filtro è pieno di melma s'interrompe l'entrata del sugo e si fa il lavaggio delle torte con acqua calda. La melma contiene il 50÷55% di sugo e se questo è al 13 ÷ 14% di zucchero, la melma contiene il 6,5 ÷ 8% di zucchero. In generale l'acqua di lavaggio entra da una parte della torta ed esce dalla parte opposta; se le melme sono uniformi e compatte l'acqua le attraversa regolarmente e le esaurisce di gran parte dello zucchero che contengono; in generale si lava fino a un contenuto di 1% di zucchero. Si calcola che, con 1,60 ÷ 1,80 di calce % bietole alla diffusione si hanno circa kg. 10 di melme % bietole. L'acqua impiegata per il lavaggio è circa 10% bietole; la prima porzione che filtra si manda insieme col sugo, il resto si usa per preparare il latte di calce. Le fabbriche con defecazione a secco fanno un lavaggio sistematico per diminuire la quantità di sugo diluito che in tal caso si unisce al sugo comune.

Finito il lavaggio si apre il filtro e si fanno cadere le melme in carrelli che le trasportano asciutte; oppure in eliche spappolatrici dalle quali il fango va per pendenza a unirsi all'acqua di rifiuto, oppure per pendenza o con pompe è inviato in bacini di decantazione.

Si usano ora anche filtri pressa che restano chiusi durante lo scarico delle melme, che si fa meccanicamente; e filtri rotativi a vuoto preceduti da decantatori: il sugo limpido si manda in filtri meccanici successivi, il precipitato addensatosi sul fondo, ai filtri rotativi. Si sono sperimentati anche idroestrattori a parete forata e ad alta velocità, ma senza buoni risultati. Le melme che contengono tutto il non-zucchero precipitato costituiscono un discreto concime e un buon emendamento per terreni acidi; si impiegano però poco e solo in prossimità della fabbrica per le difficoltà di trasporto e spandimento.

Seconda saturazione. - Il sugo filtrato si riscalda e si filtra di nuovo in filtri a sacchi di tela di cotone; è necessario che tutto il precipitato formato nella prima carbonatazione sia eliminato perché si scioglierebbe in parte nella seconda carbonatazione, nella quale si riduce l'alcalinità fino a 0,015 ÷ 0,025, peggiorando la qualità del sugo e aumentandone la colorazione. Al sugo ben limpido che arriva nelle casse di seconda carbonatazione si deve aggiungere 0,20 ÷ o,40 di calce sotto forma di latte. L'esperienza insegna fino a quale alcalinità si deve spingere la seconda carbonatazione, che in generale è anche l'ultima; bisogna che essa sia tale che il sugo dopo concentrazione abbia ancora un'alcalinità di 0,04 ÷ 0,06; se l'alcalinità diminuisce durante l'evaporazione bisogna stare più alti alla seconda saturazione o aggiungere soda.

Il sugo di seconda saturazione (e quello di terza, quando la si fa, con gas carbonico o solforoso) viene scaldato e filtrato in filtri analoghi a quelli posti dopo i filtri pressa, e cioè aperti, a piccolissima pressione, con tele di cotone; quando essi sono pieni di fango si scaricano nel sugo di prima carbonatazione, si lavano le tele con sugo bollente e si rimettono in lavoro, finché non si renda necessario cambiare le tele per lavarle. Talvolta s'inserisce fra la 1ª e 2ª carbonatazione una saturazione con gas solforoso per aumentare la depurazione e soprattutto la decolorazione del sugo.

I filtri a sacco, divisi in generale in tre gruppi, hanno una superficie totale di 40 ÷ 50 mq. per ogni 1000 q. di bietole lavorate nelle 24 ore.

Concentrazione, cristallizzazione e centrifugazione. - Il sugo leggiero, che ha 13-16° Brix (11,5 ÷ 14,5% di zucchero) e una purezza di 89-91, deve essere concentrato per farne cristallizzare lo zucchero. Tale concentrazione si compie in apparecchi di evaporazione in due stadî: il primo, fino a 60-65° Brix, viene chiamato evaporazione; il secondo, fino a 92-93° Brix, viene chiamato cottura.

Dall'evaporazione si ottiene un sugo denso, torbido e più colorato del sugo leggiero, che viene reso limpido e brillante filtrandolo, dopo averlo riscaldato; occorrendo, è anche riportato al punto giusto di alcalinità. Nella cottura, che si fa nel vuoto, questo sugo viene portato al di là del suo punto di saturazione in zucchero (che varia secondo la purezza e la temperatura); in seno a esso si formano allora dei cristalli che si fanno diventare più grandi concentrando ulteriormente la massa e introducendo continuamente altro sugo denso. Si ottiene così la cosiddetta massacotta e cioè uno sciroppo che tiene in sospensione circa il 55% di cristalli di zucchero.

La massacotta viene fatta raffreddare nei mescolatori e poi scaricata entro distributori dai quali passa alle centrifughe. In queste ultime si separa lo zucchero greggio di primo prodotto dallo sciroppo, che ha 74÷75 di purezza ed è detto scolo povero.

Lo zucchero greggio di primo prodotto è costituito da cristalli più o meno grandi, ricoperti da un leggiero strato di sciroppo: ha colore giallo-paglierino ed è leggermente alcalino. Generalmente viene mandato alla raffinazione. Talvolta però lo si lava con vapore entro le centrifughe; in tal modo se ne ottiene lo zucchero cristallino o zucchero bianco, che, raffreddato, essiccato e abburattato, viene messo in commercio tal quale. Nel lavaggio dei cristalli con vapore o con acqua calda si ottiene il cosiddetto scolo ricco che ha 80÷84 di purezza e viene cotto insieme con il sugo denso.

Gli scoli ottenuti nella centrifugazione della massacotta di primo prodotto vengono di nuovo cotti e fatti cristallizzare. Essi possono essere un po' torbidi e possono contenere piccoli cristalli in sospensione: è necessario quindi diluirli, scaldarli e filtrarli per portarli a densità uniforme, inferiore al loro punto di saturazione e renderli limpidi e brillanti. Talvolta prima della filtrazione se ne corregge l'alcalinità. Con la cottura se ne ottiene una seconda massacotta, con purezza 75-80, che appunto perché meno pura e più vischiosa, contiene cristalli più piccoli di quella di primo prodotto.

La seconda massacotta, dopo essere stata raffreddata, viene centrifugata. Se ne ottiene lo zucchero di secondo prodotto e uno scolo finale detto melasso, con purezza 58÷60. Lo zucchero di secondo prodotto è di colore giallo-bruno e, in generale, non imbiancabile direttamente. Normalmente viene mandato alla raffinazione; ma, se la fabbrica produce zucchero bianco, viene sciolto in sugo leggiero e ricotto insieme con il sugo denso.

La fig. 15 riproduce un diagramma di lavorazione. Il sugo leggiero percorre i diversi corpi dell'evaporatore a quadruplo effetto 1, 2, 3 e 4; il sugo denso che ne esce, ripreso da una pompa ed eventualmente riscaldato nel riscaldatore 5, viene filtrato nel filtro a sacchi 6, poi passa nell'apparecchio di cottura del primo prodotto 7. La massacotta che se ne ottiene passa nel mescolatore 8, dove si raffredda, e poi nella centrifuga 9, nella quale si separa lo zucchero di primo prodotto che va alla raffinazione. Lo scolo povero viene mandato da una pompa nell'apparecchio di seconda cottura 10. Da questo la massacotta passa al mescolatore 11 e alla centrifuga 12, nella quale lo zucchero di secondo prodotto viene separato dal melasso.

Evaporazione. - Nell'impianto di evaporazione si devono togliere al sugo circa 90 kg. di acqua per 100 di bietole. In generale il sugo leggiero che deriva dal greggio più, l'acqua di lavaggio dei filtri pressa è 120 ÷ 140 chilogrammi per un quintale di bietole.

Se gli apparecchi sono razionali e ben proporzionati e se si parte da sughi ben depurati, non si formano nuove sostanze coloranti: la maggiore intensità della colorazione è dovuta soltanto alla concentrazione del sugo.

L'impianto di evaporazione è costituito da 3 a 5 apparecchi (fig. 14) o corpi disposti in serie. Il primo corpo è riscaldato con vapore di scappamento delle macchine, completato dalla quantità necessaria di vapore diretto; il secondo corpo è scaldato col vapore che si forma nel primo e così di seguito; i vapori che si formano nell'ultimo corpo vanno al condensatore. Parte del vapore che si forma in ciascun corpo viene impiegata per i riscaldamenti e la cottura; sicché solo una frazione passa nel corpo successivo. Generalmente si riscalda con vapore di primo corpo il sugo leggiero prima che entri negli apparecchi di evaporazione, con vapore di secondo corpo il bollitore e gli apparecchi di cottura; con vapore di terzo corpo le batterie di diffusione, se queste sono munite di riscaldatori, e si completa il riscaldamento del sugo greggio. Per conseguenza, in un impianto ben disposto il vapore che dall'ultimo corpo va al condensatore è in quantità piccolissima.

Nei varî corpi si liberano dal sugo gas ammoniacali non condensabili, che è necessario eliminare accuratamente perché altrimenti abbassano rapidamente il potere evaporante. Si devono inoltre: tenere basso il livello del sugo nei singoli corpi, regolare l'entrata del sugo, la concentrazione del sugo denso e le pressioni.

Attualmente s'impiantano apparecchi di evaporazione soltanto verticali, di varie forme secondo i risultati dell'esperienza; la lunghezza dei tubi nei quali bolle il sugo, che era dapprima di m. 1,20 ÷ 1,30 è arrivata fino a m. 7; si tende ora a stare fra m. 2,50 e 3,50 per evitare di perdere troppa parte del salto di temperatura per imprimere il movimento al sugo.

I tubi sono di acciaio, di ottone o di rame; i primi sono più economici, resistono meglio ai gas ammoniacali, ma si deteriorano più presto durante l'inattività degli apparecchi.

I tubi si fanno di piccolo diametro per avere poco volume di sugo e forte velocità di questo; in alcuni tipi di evaporatori il sugo passa una volta sola nei tubi; in generale vi sono però all'interno o all'esterno dell'apparecchio tubi di grande diametro che riportano in basso il sugo dal quale si è liberato il vapore.

La superficie di riscaldamento di un impianto di evaporazione è di mq. 150÷250 per ogni 1000 q. di bietole lavorate in 24 ore.

Non hanno finora trovato applicazione negli zuccherifici i compressori meccanici di vapore per il loro basso rendimento che aumenterebbe rapidamente la quantità di vapore di scappamento fino a superare quella utilizzabile. Si usa invece in qualche fabbrica comprimere lo scappamento con un iniettore, nel quale si fa passare il complemento di vapore diretto ad alta pressione, per elevare di alcuni metri d'acqua la pressione nel primo corpo lasciando invariata quella di scappamento delle macchine sovente sovraccaricate.

Condensazione del vapore. - Dall'ultimo corpo dell'evaporazione a vuoto va al condensatore una quantità generalmente molto piccola di vapore, kg. 2 ÷ 5% bietole; quantità molto più grandi (12 ÷ 15% bietole) vanno al condensatore dagli apparecchi di cottura; altre porzioni provengono infine dall'eliminazione dei gas, che non possono essere condensati, dai riscaldatori e dagli evaporatori sotto vuoto.

L'acqua impiegata per la condensazione, in Italia, ha la temperatura esterna di 22-26°; se ne impiega la quantità necessaria perché allo scarico abbia 45-52°, ossia circa kg. 20 per kg. di vapore da condensare; di questo necessitano 20 kg. % bietole: occorrono quindi kg. 400 di acqua % bietole, ossia per q. 1000 di bietole al giorno, litri 4, 5 al secondo.

Filtrazione e correzione dell'alcalinità del sugo denso. - Il sugo torbido che esce dagli evaporatori viene riscaldato fino a 80-90° e poi filtrato in filtri chiusi, con tele di cotone, sotto una pressione di 4÷5 m. d'acqua. Sovente, prima del riscaldamento, si corregge l'alcalinità del sugo denso, aggiungendo latte di calce, soda o barite - se è troppo bassa - e saturando, con gas carbonico o meglio solforoso, se è invece elevata.

Talvolta si filtra anche il sugo mezzo denso inserendo filtri chiusi fra il terzo e quarto corpo dell'evaporazione a vuoto o fra il secondo e terzo di quelli a pressione. Il sugo denso deve essere ben limpido, brillante e poco colorato, per poterne ottenere facile cottura e zuccheri belli; tali qualità derivano non già dai trattamenti che gli si fanno e che hanno efficacia ben limitata, ma dalla perfetta depurazione dei sughi leggieri dai quali proviene.

Cottura. - Gli apparecchi di cottura (fig. 16), riscaldati con vapore di sugo con temperatura 100-115°, bollono sotto vuoto con temperatura nell'interno della massacotta di 70-80°, sono analoghi agli evaporatori, ma adatti alla sostanza da concentrare che non è più un liquido ma una massa densa che deve tuttavia avere un movimento sufficiente per mantenere uniforme la temperatura e la sovrasaturazione. Anche qui si sono generalizzati gli apparecchi verticali, con fasci tubulari sospesi costituiti di tubi da 90 ÷ 100 mm. di diametro, lunghi 1,00 ÷ 1,30, oppure con camere sospese costituite di anelli cavi cilindrici concentrici alti m. 1 ÷ 2.

Gli apparecchi di cottura sono muniti di tutti gli accessori occorrenti per regolare entrata, sugo e vapore, concentrazione, temperature e per vedere la massa in movimento; hanno il fondo conico provvisto di ampia valvola per essere scaricati rapidamente e alla sommità un'ampia valvola che li collega alla tubazione del vuoto.

Per cuocere tutto il sugo denso che si produce, si dà agli apparecchi di cottura un volume totale di hl. 70 ÷ 100, con una superficie riscaldata di mq. 30 ÷ 40 per ogni 1000 q. di bietole lavorate in 24 ore. I singoli apparecchi normalmente hanno una superficie di mq. 80 ÷ 180 e dànno 200÷500 q. di massacotta per ogni operazione. Non sono mai in numero minore di tre (due per il primo prodotto e uno per il secondo) e sovente anche molti di più, per ridurre al minimo le variazioni dei prelievi di vapore dall'evaporazione.

La cottura viene condotta ancora in modo empirico, ma basato su una lunga pratica; i numerosi apparecchi inventati finora per regolarla in base a rilevazioni oggettive sono utili, ma non sufficienti a condurre il lavoro da parte di chi non è esperto.

Quando l'apparecchio è quasi pieno si fa la stretta della massacotta, ossia si cessa di introdurre sugo e si concentra fino a 7 ÷ 9% di acqua; poi si scarica nei mescolatori, si pulisce l'apparecchio con vapore e si ricomincia una nuova operazione.

Quando si fa zucchero bianco, si cuoce insieme col sugo denso anche lo scolo ricco. Spesso alla massacotta di primo prodotto si aggiunge alla fine, dopo averla stretta a 7 ÷ 8% di acqua, dello scolo povero proveniente dalla centrifugazione delle massecotte precedenti; in tal modo la massacotta si mantiene più fluida, si abbassa di purezza e dà poi uno scolo che cotto di nuovo dà una massacotta di secondo prodotto il cui scolo può essere esaurito fino a melasso.

Mescolatori. - Sono recipienti orizzontali cilindrici o semicilindrici (in generale uno per ogni apparecchio di cottura; figg. 17 e 18) con diametro di m. 1,5 ÷ 3, lunghezza m. 6 ÷ 10 capaci di contenere ciascuno una cotta, muniti di un albero centrale che ruota a 1 ÷ 3 giri al minuto e porta dei bracci all'estremità dei quali è disposto a elica un nastro di ferro; tutto ciò deve dare un buon rimescolamento. Nei mescolatori la massacotta, costituita di circa 55% di cristalli e 45% di sciroppo, si raffredda alquanto; perché non si addensi troppo si aggiunge ancora scolo povero. Dai mescolatori essa poi si scarica entro distributori, muniti anch'essi di dispositivi per il mescolamento, posti sopra le centrifughe.

Centrifughe. - Le centrifughe, che un tempo si facevano appoggiate inferiormente e solo a trasmissione, sono ora in generale sospese e comandate in alto con cinghia, con ruota Pelton, con motore elettrico o con turbina a vapore, accoppiati con giunti adatti. Questa disposizione permette una grande apertura sul fondo, la quale rimane chiusa durante il carico e la rotazione con una campana metallica, che si alza lungo l'albero dopo l'arresto e permette un rapido scarico dello zucchero. Si sono anche proposte centrifughe continue come alimentazione di massacotta e scarico di zucchero; ma migliori risultati hanno dato finora le semicontinue nelle quali manca la campana di chiusura del fondo e vi è invece a metà altezza del paniere un disco fissato all'albero, il quale durante il carico - che viene fatto con la centrifuga in movimento - impedisce alla massacotta di cadere nell'apertura di fondo; è sufficiente ridurre la velocità perché lo zucchero si scarichi.

Le centrifughe che sono riunite in tanti gruppi quanti sono i tipi di massacotta, hanno diametri di m. 1 ÷ 1,50 per carichi di kg. 250 ÷ 500 di massacotta, velocità periferica di m. 55 ÷ 60 al 1″; hanno la parete cilindrica forata, all'interno della quale si colloca una tela metallica a maglie larghe, poi contro questa una lastra di rame o ottone sottile forata che lascia passare lo scolo ma non i cristalli. Per ogni 1000 q. di bietole lavorate nelle 24 ore occorrono: per il primo prodotto mq. o,6 ÷ 1 se si produce zucchero greggio; mq. 1 ÷ 1,5 se si produce cristallino; per il secondo prodotto mq. 0,6 ÷ 1. Lo zucchero cade dalle centrifughe in eliche o più spesso in trasportatori a scosse che lo convogliano a elevatori i quali lo innalzano all'ultimo piano dove viene insaccato.

Lo zucchero greggio di primo prodotto si conserva bene in sacchi entro i quali viene immagazzinato per essere mandato alla raffinazione. Talvolta lo si immagazzina alla rinfusa.

Fabbricazione dello zucchero bianco (cristallino). - Per questa lavorazione le centrifughe devono avere, oltre la campana di chiusura del fondo, anche il coperchio, un tubo per introdurvi vapore a 3 ÷ 5 kg./cmq. e un dispositivo per separare lo scolo povero a 74 ÷ 75 di purezza che esce prima dell'apertura del vapore, da quello ricco a 80 ÷ 84 di purezza, che si ricava durante la lavatura dei cristalli. Questa lavatura si fa talvolta con acqua ma occorre in tal caso essiccare il cristallino ottenuto.

Lo zucchero cristallino se prodotto con copertura di vapore deve essere raffreddato prima dell'insaccamento; si impiegano in generale cilindri metallici, diametro m. 1 ÷ 1,50, lunghi m. 5 ÷ 7, rotanti a 15 ÷ 12 giri, muniti all'interno di palette che mettono i cristalli a contatto con una corrente d'aria che percorre il cilindro in senso contrario allo zucchero. Talvolta si usano essiccatoi a torre. Dopo il raffreddatore-asciugatore si colloca un buratto che elimina grumi, croste, corpi estranei.

Secondo prodotto. - Per la cottura s'impiegano apparecchi analoghi a quelli del primo prodotto (volume complessivo hl. 50 ÷ 70, superficie riscaldata mq. 20 ÷ 30 per 1000 q. di bietole lavorate nelle 24 ore) e l'operazione si conduce pressoché nello stesso modo; soltanto si fanno cristalli più piccoli e la concentrazione è più lenta perché la massa ha purezza minore ed è più vischiosa; si comincia la cotta con sugo denso, oppure con scolo ricco quando si fa cristallino, e dopo fatti i cristalli si continua con scolo povero; talvolta s'introduce fin da principio solo scolo povero nel quale quando è raggiunta una lieve sovrasaturazione s'introduce come esca una quantità sufficiente di cristalli di cotte precedenti; l'importante è di giungere a una massacotta con purezza 75 ÷ 80 che dia un vero melasso (cioè uno scolo di purezza non superiore a 60) e si centrifughi facilmente. Quando la cotta è finita ha 8 ÷ 10% di acqua; si scarica in mescolatori refrigeranti dove è mantenuta in movimento fino a che raggiunge la temperatura di 40-45°; come già durante la cottura anche qui bisogna evitare che la sovrasaturazione dello sciroppo oltrepassi un certo limite, ciò che si ottiene aggiungendo l'acqua necessaria calcolata in base all'analisi dello sciroppo stesso, verso la fine del raffreddamento lo sciroppo deve avere una sovrasaturazione pressoché nulla.

Anche i mescolatori per questa massacotta sono in generale orizzontali cilindrici o semicilindrici; finora ci si contentava quasi sempre del raffreddamento provocato dall'aria ambiente a contatto con le pareti del mescolatore e con la superficie superiore della massacotta, e che dura 2 ÷ 3 giorni; in queste condizioni occorre una capacità di mescolatori di hl. 200-220 per 1000 q. di bietole lavorate nelle 24 ore. Per ciò vanno sempre più diffondendosi mescolatori analoghi ai precedenti ma con raffreddamento interno ad acqua, che si fa circolare entro tubi fissi o girevoli o entro eliche cave, ecc.; con essi, che devono avere dispositivi per un più intenso mescolamento perché la massa abbia sempre temperatura uniforme, il raffreddamento dura 18 ÷ 20 ore; si riduce di almeno la metà il numero degl'ingombranti mescolatori e diminuisce la quantità di zucchero in circolazione. La massacotta raffreddata si centrifuga in macchine analoghe a quelle usate per il primo prodotto.

Utilizzazione del melasso. - Il melasso è l'ultimo scolo della fabbricazione e contiene, oltre a una certa quantità di zucchero, tutto il non-zucchero del sugo leggiero. Ha purezza reale di 58 ÷ 61 e contiene 45 ÷ 50% di zucchero e 30 ÷ 33% di non-zucchero del quale 9 ÷ 12% di ceneri e 19 ÷ 22% di sostanze organiche (1,7 ÷ 2,3% di azoto totale); è leggermente alcalino e se proviene da bietole sane e da regolare lavorazione, esente da invertito. Se ne produce più o meno secondo la purezza del sugo leggiero, la ricchezza zuccherina delle bietole e secondo che si produce zucchero bianco o greggio; in generale 4 ÷ 5% bietole.

Si immagazzina in grandi serbatoi di ferro e si spedisce in vagoni serbatoi o in autobotti. Costituisce la materia prima per la fabbricazione di quasi tutto il lievito da pane; si utilizza pure per fabbricare acido lattico, acido citrico, ecc., e per moschicidi. In piccolissime quantità si usa anche nell'alimentazione del bestiame, mescolandolo diluito a foraggi scadenti. La quantità che resta si impiega per produrre alcool. Talvolta se ne estrae lo zucchero negli zuccherifici stessi, con i procedimenti alla calce o alla barite i quali però non sono remunerativi se il prezzo dello zucchero è basso.

Processo alla calce. - Si fonda sulla proprietà che ha lo zucchero di formare con la calce, a bassa temperatura, saccarato tricalcico il quale a caldo si decompone in monosaccarato, mettendo in libertà la calce. Il saccarato tricalcico viene quindi usato per la defecazione del sugo greggio; lo zucchero che esso contiene, rimesso in libertà nella successiva saturazione, torna a percorrere l'intero ciclo di lavorazione.

Il melasso viene diluito fino a 6 ÷ 7% di zucchero, poi fatto circolare entro il refrigerante congiunto con l'apparecchio di reazione, fino a che la soluzione raggiunge la temperatura di 10-12°; si comincia la introduzione della calce in polvere finissima, sempre continuando la circolazione per togliere il calore che si forma durante la reazione; la polvere che entra dall'alto viene ventilata sopra un sottile strato di liquido in forte movimento; si forma saccarato tricalcico insolubile a freddo. Finita la reazione si filtra rapidamente in filtri presse o rotativi, si scarica il saccarato in mescolatori dove viene spappolato con sugo leggiero a 80° C. e mandato alla defecazione. Per produrre saccarato di elevata purezza, nei filtri rotativi si lavano le torte con acqua di calce; nei filtri presse essendo impossibile lavare con acqua si ricorre all'espediente di riempire solo parzialmente i filtri con saccarato greggio e di completarli con saccarato della filtrazione precedente spappolato in acqua fredda; si arriva così a purezze del sugo di 92 ÷ 93 e a ricavare come estrattibile l'85% dello zucchero contenuto nel melasso; il 6% va perduto nelle varie operazioni e il 9% torna a produrre melasso.

L'acqua madre che esce dai filtri è così diluita che non può essere utilizzata per l'estrazione del salino potassico (v. oltre). L'impianto richiede acqua fredda a 4-5°, per la diluizione e il raffreddamento durante la reazione; a questo scopo si usa un impianto refrigerante ad ammoniaca da 700 ÷ 800 frigorie-ora per q. di melasso lavorato al giorno. La quantità di calce viva necessaria corrisponde all'80 ÷ 100% zucchero nel melasso lavorato. Deve provenire da calcare puro, essere ben cotta e ridotta in polvere impalpabile. Questo si ottiene con un mulino a palle seguito da un separatore ad aria che dà polvere che passa dal vaglio da 3000 maglie per cmq.

Il processo alla calce è il più semplice; però deve essere applicato durante la campagna delle bietole.

In Italia esiste un solo impianto di dezuccherazione con la calce, a Pontelagoscuro, impianto che però viene attivato solamente quando la lavorazione riesce remunerativa.

Processo alla barite. - In questo processo la dezuccherazione avviene mescolando intimamente e rapidamente melasso non diluito e soluzione di barite a 36° Bé; si ottiene saccarato bibaritico, pressoché insolubile in eccesso di barite, che viene poi scomposto con anidride carbonica.

La reazione fra zucchero e idrato di bario avviene in vasche speciali a fondo filtrante. La temperatura di reazione è fra 64° e 70° C. Si forma una massa porosa di saccarato bibaritico dalla quale si lascia scolare l'acqua madre; indi si lava con acqua di barite.

Il saccarato, sospeso in acqua o in sugo leggiero, passa alla saturazione con anidride carbonica per decomporre il saccarato, indi alla filtrazione per separare il carbonato di bario: si ottiene un sugo a 20 ÷ 30 Brix, di purezza da 92 a 96 a seconda della più o meno buona formazione del saccarato.

Le acque madri contengono della barite che si ricupera anch'essa per carbonatazione e filtrazione. Si ottiene così un liquido a 14 Brix che va concentrato a multiplo effetto e indi bruciato in un forno a suola per ricuperare i sali potassici: si ottiene cosi il cosiddetto salino potassico.

Il carbonato di bario viene essiccato e trasformato in ossido per trattamento al forno elettrico. L'ossido sciolto in acqua dà la barite necessaria per la lavorazione.

La resa in zucchero e le perdite sono analoghe a quelle che si hanno nella dezuccherazione con la calce. Per ogni q. di melasso lavorato occorrono da 35 a 40 kg. di ossido di bario, con un consumo da 50 a 60 kWh di energia elettrica, e si ha una perdita di 5 a 8 kg. di carbonato.

I risultati possono variare molto secondo la purezza dell'ossido e la qualità del melasso; per ottenere buoni risultati è necessario condurre la lavorazione con grande cura e precisione in tutti i suoi particolari.

In Italia il processo alla barite è applicato a Legnago in un impianto che può lavorare q. 1500 al giorno, sia durante la campagna sia nel successivo periodo di raffinazione; durante la campagna si lavorano insieme il sugo che si ottiene scomponendo il saccarato di bario col sugo denso di zuccherificio; durante la raffinazione si inserisce il sugo di baritazione nello schema della raffineria.

Perdite di zucchero nella lavorazione. - Nella fabbricazione dello zucchero vi sono sempre delle perdite. Un primo gruppo dipende dal fatto che le polpe, le acque di scarico della diffusione, le melme dei filtri e le acque dei condensatori barometrici contengono piccole percentuali di zucchero. Un secondo gruppo dipende da distruzione di zucchero durante l'evaporazione e la cottura, da spandimenti di sughi dai rubinetti, dalle guarnizioni, ecc. Le perdite sono tanto minori quanto più la lavorazione è regolare e rapida, ossia quanto più la fabbrica è efficiente sia dal lato meccanico sia chimico. In generale la perdita totale è di kg. 1 ÷ 1,5 di zucchero per 100 kg. di bietole.

Il controllo chimico negli zuccherifici è molto accurato, sia per quanto riguarda l'andamento della lavorazione sia per l'accertamento delle perdite. Si è già detto che le bietole vengono campionate e analizzate al loro ingresso in fabbrica; ma questo accertamento, che viene soprattutto compiuto ai fini della liquidazione del prezzo ai fornitori, è ripetuto con accuratezza sulle bietole passate alla lavorazione, pesando queste e analizzando le fettucce che vengono campionate a intervalli regolari. La differenza fra la quantità di zucchero introdotto con le bietole e quello ricavato nei prodotti finali, zucchero e melasso, costituisce la perdita di lavorazione. Tale perdita è sempre maggiore della somma delle perdite determinate con l'analisi delle polpe, delle acque e delle melme, che generalmente è del 0,7-i %. Vi sono quindi delle perdite indeterminate, che non possono essere tutte attribuite al secondo gruppo di cause sopra elencate, ma dipendono in gran parte da deficiente campionamento e da imperfezione delle analisi e in parte da muse non ancora sufficientemente chiarite.

A titolo di esempio, si riportano le perdite con una diffusione a scarico laterale. Perdite totali 1,20% bietole; delle quali o,72% determinate e 0,48% indeterminate. Le perdite determinate erano così divise: nelle polpe scaricate, o,46 (polpe kg. 95 con il 0,48% di zucchero); nelle acque scaricate, o, 18 (acque kg. 130 con il 0, 14%); nelle melme dei filtri, 0,08 (acque kg. 10 con il o,8%); nelle acque di scarico del condensatore, la perdita era zero.

Smaltimento dei rifiuti. - Negli zuccherifici si hanno rifiuti di tre specie: 1. melma dei filtri, in ragione di kg. 9 ÷ 12 per 100 kg. di bietole; 2. acqua della diffusione e della spremitura delle polpe, in ragione di 130 ÷ 180 litri per 100 kg. di bietole: contiene in sospensione ritagli di polpe e, in soluzione, 0,3 ÷ o,5% di zucchero e altrettanto di non-zucchero; 3. acqua che ha servito al trasporto e al lavaggio delle bietole, in ragione di 500 ÷ 700 litri per 100 kg. di bietole: contiene in sospensione terra e ritagli di erba sfuggiti alla depurazione meccanica. In uno zuccherificio di media grandezza queste acque di rifiuto sono 100 ÷ 120 litri al minuto secondo. Esse sarebbero di per sé innocue; però, quando sono immesse in piccoli corsi d'acqua, causano la morte dei pesci perché le sostanze in soluzione, fermentando, privano l'acqua di ossigeno e anche perché si sviluppano dei funghi che poi vanno in putrefazione, generando idrogeno solforato.

Gli zuccherifici che sorgono in prossimità di grandi corsi d'acqua riuniscono tutte le acque di rifiuto e le pompano nei fiumi dove si diluiscono immediatamente, tanto che dopo poche centinaia di metri non se ne nota più la presenza. In questi casi è sufficiente spappolare bene le melme dei filtri pressa e depurare meccanicamente le acque della diffusione, delle polpe e del trasporto bietole.

Se invece si dispone soltanto di piccoli corsi d'acqua, si smaltiscono separatamente i tre rifiuti. La melma dei filtri viene ammucchiata, trasportandola con carrelli a mano oppure con funicolari, formandone in pochi anni notevoli cumuli; oppure si spappola in poca acqua e si manda per gravità o per mezzo di pompe a riempire cave o bacini appositamente preparati che, una volta pieni, vengono messi in coltivazione. L'acqua della diffusione e della spremitura delle polpe viene generalmente immagazzinata in grandi bacini di alcuni ettari di superficie, dove una parte si perde per evaporazione e per imbibizione del terreno; quella che rimane viene immessa nei corsi d'acqua durante l'inverno, quando la temperatura è scesa sotto i 5-10° e sono cessate le fermentazioni. L'acqua del trasporto e del lavaggio delle bietole viene decantata in bacini, poi immessa nei corsi d'acqua.

Sono stati proposti varî procedimenti biologici e chimici per depurare tutte le acque di rifiuto; ma si sono dimostrati di dubbia efficacia, molto complicati e costosi.

Fabbricazione dalla canna.

Differisce da quella della bietola principalmente per il metodo di estrazione dello zucchero che si fa qui per spremitura anziché per diffusione; è pure un po' diversa la depurazione del sugo ottenuto perché esso contiene sempre zucchero invertito e può essere trattato con calce solo in piccola quantità in modo che essa non sia mai in eccesso.

La canna (fig. 19) si raccoglie quando è ben matura; si taglia al piede e si cima perché alla sommità è sempre in prevalenza lo zucchero invertito. Si trasporta con carri comuni o più spesso con ferrovie a scartamento ridotto; dai carri viene scaricata direttamente su trasportatori a nastro che la portano allo sfibratore costituito di due cilindri fortemente scanalati che ruotano in senso inverso a distanza regolabile. All'uscita dallo sfibratore la canna viene convogliata successivamente ai varî (tre, quattro, cinque) gruppi di molini a tre cilindri a piccole scanalature che la spremono per farne uscire il sugo (figg. 20, 21). Fra i due cilindri inferiori di ogni gruppo si trova la bagassiera che guida la bagassa (canna più o meno finemente spezzata) dal primo al secondo cilindro; essa poggia contro il primo cilindro, è curva parallelamente al cilindro superiore e regolabile. Uno dei cilindri inferiori di ogni gruppo è a distanza regolabile dall'altro; i supporti del cilindro superiore dello sfibratore e dei mulini poggiano su stantuffi idraulici, perché la pressione su di essi non oltrepassi un dato limite.

Per esaurire meglio la bagassa, fra un gruppo e l'altro di molini la si irrora con sugo povero degli ultimi molini oppure con acqua. In totale si impiega il 15 ÷ 20% di acqua.

Dopo l'ultima spremitura la bagassa, che contiene circa 50% d'acqua, viene bruciata sotto le caldaie, in focolari speciali. La bagassa contiene più o meno zucchero a seconda della spremitura, dell'imbibizione e della qualità della canna, che ha più o meno sostanza legnosa (10 ÷ 13%); essa può bastare o no a produrre tutto il vapore necessario per lo zuccherificio; specialmente se si produce zucchero bianco, occorre un supplemento di combustibile, che può essere costituito da legna o da altro materiale.

Si è tentata, anche per la canna, l'estrazione per diffusione dopo averla tagliata; ma la bagassa che si ottiene è troppo umida per servire come combustibile, ciò che costituisce un inconveniente piuttosto grave nei paesi tropicali dove è difficile procurarsi altrimenti del combustibile.

Il sugo spremuto, opaco, schiumoso, di colore dal grigio al verde curpo, è acido, viene depurato meccanicamente dai ritagli di bagassa che contiene, misurato, riscaldato, solfitato con gas di forno da zolfo; vi si aggiunge poco latte di calce fino a neutralità; poi il sugo viene riscaldato e decantato; la parte superiore del liquido va ai filtri meccanici, insieme col filtrato dei filtri pressa, nei quali si manda il sugo melmoso della parte inferiore. Quasi sempre dopo i filtri meccanici si scalda il sugo alla ebollizione nei chiarificatori per eliminarne le sostanze che si coagulano, salgono alla superficie e debordano con la schiuma.

Il sugo depurato si concentra nell'evaporazione e si manda negli apparecchi di cottura; la massacotta si centrifuga; il tutto analogamente a quanto si fa per il sugo da bietole.

Le perdite di zucchero nella lavorazione sono analoghe a quelle degli zuccherifici di bietole.

Il melasso di canna è molto diverso da quello di bietole; contiene meno saccarosio e invece molti zuccheri riduttori provenienti dalla canna e formatisi durante la lavorazione. Approssimativamente il melasso di canna ha la seguente composizione: acqua 24 ÷ 26%, saccarosio 32 ÷ 35%, zucchero invertito 22 ÷ 25%, non-zucchero 18 ÷ 20% di cui 5 ÷ 6% ceneri.

Si impiega nell'alimentazione del bestiame e per produrre alcool e bevande alcooliche (rum, ecc.).

L'Italia ha la sua unica fabbrica di zucchero di canna in Somalia, al Villaggio duca degli Abruzzi, costruita nel 1926 per iniziativa del Duca degli Abruzzi; la fabbrica lavora giornalmente q. 3500 di canna in due periodi dell'anno producendo q. 40 ÷ 50.000 di zucchero cristallino e greggio. Alla fabbrica è annessa una distilleria che lavora tutto il melasso per la produzione di alcool fino e industriale.

Raffinazione dello zucchero.

Lo zucchero greggio può essere affinato per semplice lavaggio con acqua calda o con vapore nelle centrifughe degli zuccherifici: in tal modo si ottiene, come si è visto, lo zucchero cristallino.

Se invece l'affinazione si compie a parte, ridisciogliendo i cristalli in acqua pura, decolorandola e purificando la soluzione con carbone assorbente (v. carbone, VIII, 959), poi filtrandola, concentrandola, facendola cristallizzare e centrifugando la massacotta (fig. 22), si ottengono diversi tipi di zucchero raffinato: zucchero in pani, quadretti, zucchero pilé, zucchero semolato.

Gli zuccheri semolato e pilé si possono ottenere con macehinario analogo a quello in uso per lo zucchero cristallino. La diffusione sempre maggiore del loro consumo e l'adozione dei carboni attivi in luogo del carbone animale (che richiede costosi impianti per il trattamento degli sciroppi e la rivivificazione del carbone stesso) hanno contribuito al rapido aumento della percentuale di zucchero raffinato che viene prodotto direttamemente dalle fabbriche durante la campagna. Sono ormai parecchi gli zuccherifici che producono soltanto zucchero raffinato, mentre altri, provvisti di impianti meno completi, raffinano solo una parte della loro produzione. Gli altri tipi di zucchero raffinato, cioè quadretti, cubetti, pani, ecc., in generale sono prodotti soltanto dalle raffinerie propriamente dette, le quali, però, producono anch'esse semolato e pilé.

Fabbricazione dello zucchero semolato e pilé negli zuccherifici. - Nelle fabbriche si affina lo zucchero nelle centrifughe stesse che servono a separare i cristalli della massacotta dallo sciroppo. Il lavaggio si fa con acqua o, più raramente, con vapore; l'acqua alla pressione di 4-5 atmosfere arriva a polverizzatori posti nell'interno delle centrifughe, che la lanciano in nebbia sullo strato di zucchero: essa diluisce lo sciroppo che avvolge i cristalli ed esce alla periferia; l'operazione dura 1 ÷ 2 minuti fino a che lo scolo diventa di color chiaro, ossia fino a che i cristalli sonti tutti lavati e lo zucchero si presenta sufficientemente bianco. Esso poi viene sciolto in acqua a 90-95°; la soluzione a 60 ÷ 65 Brix viene addizionata di carbone attivo in polvere (0,07 ÷ 0,10 kg. per q. raffinato prodotto), poi filtrata in filtri meccanici con pressione di m. o,30 ÷ 5; si filtra una seconda volta per avere la sicurezza di trattenere eventuali tracce di carbone sfuggite alla prima filtrazione e si manda alla cottura che, per l'elevatissima purezza dello sciroppo, si fa molto rapidamente in ore 1,30 ÷ 2,30; la massacotta molto densa viene diluita con scolo della cotta precedente e dà zucchero pilé o semolato di prima qualità. Negli apparecchi di cottura si aggiunge un po' di azzurro oltremare; nelle centrifughe dopo separato il primo scolo e prima di fare la copertura con vapore, si lava con poca acqua aggiunta di oltremare. Lo scolo che si ottiene viene diluito a 60 ÷ 65 Brix, con aggiunta di carbone decolorante, filtrato e cotto per fare semolato che si mescola col primo; lo scolo di questa seconda massacotta si manda insieme col sugo denso.

Lo zucchero semolato che si produce con le comuni centrifughe da cristallino contiene 1,5 ÷ 2% di umidità e deve essere accuratamente asciugato in essiccatoi a tamburo o a caduta con controcorrente d'aria poi abburattato per eliminare eventuali cristalli grossi, grumi, ecc., e infine insaccato in ottimi sacchi di iuta; eventuali blocchi separati nel buratto vengono passati a un mulino e il macinato rimandato al buratto.

Lo zucchero pilé che si ottiene dalle soluzioni più pure e facendo cristalli più piccoli di quelli del semolato, si produce in centrifughe a movimento inferiore, perché è necessario che la bocca superiore resti libera per estrarne, dopo sollevato il coperchio, i blocchi anulari di zucchero con spessore cm. 5 ÷ 8; questi vengono accatastati per circa 24 ore al piano superiore della raffineria e quando sono raffreddati e asciutti, passati a un frantoio che li riduce in pezzi più o meno grandi che si insaccano. Per produrre 1000 q. di raffinato occorrono due mescolatori da 20 hl. per fare la soluzione e l'aggiunta di carbone, circa mq. 240 di superficie dei filtri mecmnici, due apparecchi di cottura da 100 q. di massacotta e mq. 90 di superficie, due mescolatori, sei centrifughe, pompe, casse, raffreddatore, ecc.

Lavorazione nelle raffinerie. - Le operazioni fondamentali della raffinazione dello zucchero nelle raffinerie sono quelle stesse descritte sopra; però nelle raffinerie non è possibile rimandare nel ciclo della fabbricazione comune gli ultimi scoli di raffinazione e quelli che si ottengono affinando con acqua gli zuccheri greggi; questi scoli vanno lavorati da soli a produrre massecotte che dànno zuccheri da trattare come quelli provenienti dalle fabbriche; in modo che in definitiva le raffinerie ricevono zuccheri greggi di primo e secondo prodotto e produeono raffinati e melasso.

Lo schema di lavorazione è complesso e per essere economico deve tener conto della qualità dei greggi da cui si parte e dei prodotti che si vogliono ottenere e prevedere una accurata classificazione degli scoli secondo la loro purezza. Le operazioni da compiere: soluzioni, decolorazioni, cristallizzazioni, centrifugazioni, ecc., sono semplici, ma per compierle occorre un imponente macchinario, specialmente in vista della varietà e della perfetta presentazione, anche come imballaggi, dei prodotti definitivi. Gli zuccheri superiori che escono dalle raffinerie devono essere bianchissimi, brillanti, essere a cristalli piccoli o grandi, secondo le esigenze della più difficile clientela. Nella raffinazione si ha una perdita di circa 1% di zucchero e un consumo di carbone fossile di kg. 22 ÷ 40 per q. di raffinato prodotto. Le raffinerie sorte prima che si fabbricassero i carboni attivi, hanno impianti di decolorazione a nero animale che come esercizio sono più economici; quelle che sono state ingrandite hanno aggiunto filtrazioni a carbone attivo.

Nelle raffinerie, con le soluzioni più pure e incolori si producono pani e quadretti; con gli scoli di questi, pilé e semolato. I ritagli dei pani, dei quadretti, del pilé, ecc., servono a preparare zucchero impalpabile. Un sottoprodotto delle raffinerie è lo zucchero biondo o Macfie il cui consumo, però, va continuamente riducendosi (attualmente non raggiunge il o,5% del totale).

Trattamento col carbone assorbente. - Il nero animale agisce fisicamente, assorbendo le sostanze coloranti e la calce; assorbe anche zucchero, il quale però si riscioglie in gran parte durante il lavaggio che si fa quando il carbone ha esaurita la sua capacità assorbente.

Dei sali organici, a eccezione degli ossalati, citrati e acetati alcalini che sono poco assorbiti, alcuni vengono trattenuti ma poi asportati col lavaggio. I sali inorganici dell'acido fosforico, solforico e carbonico vengono abbastanza assorbiti, quelli dell'acido nitrico poco e i cloruri affatto.

Con l'assorbimento delle sostanze coloranti e dei non-zuccheri organici, le soluzioni zuccherine risultano decolorate e aumentate di purezza. Col lavaggio lo zucchero e una parte delle sostanze assorbite tornano in soluzione e l'effetto dell'assorbimento va perduto; le ultime acque di lavaggio devono essere perciò impiegate a sciogliere gli zuccheri non direttamente affinabili. Il carbone che resta carico delle sostanze assorbite deve essere rivivificato per impiegarlo poi nuovamente; la calce se allo stato di carbonato viene asportata acidificando, se di solfato scaldando dopo aggiunta di soda; le sostanze organiche si distruggono con la fermentazione oppure trattando il nero con soda caustica, poi calcinando in forni speciali; con la calcinazione si eliminano anche le sostanze coloranti. La rivivificazione deve essere fatta in modo che il carbone non venga deteriorato; per l'acidificazione si deve impiegare solo l'acido cloridrico, necessario per scomporre il carbonato di calcio, perché non venga attaccato il fosfato del nero; la calcinazione si deve fare fuori del contatto dell'aria per non perdere carbone.

Il consumo del nero è del 5 ÷ 10% zucchero raffinato. Esso viene impiegato in filtri cilindrici di ferro con diametro m. o,5 ÷ 1 e altezza metri 4 - 8, provvisti sopra e sotto di boccaporti per il riempimento e lo scarico del carbone. Sul fondo è posta una lamiera forata e sopra questa una tela per trattenere le particelle di nero; nel coperchio sono le entrate per vapore, acqua e soluzioni da decolorare.

Appena riempiti i filtri di carbone, si fa entrare il vapore per scaldarlo e per eliminare i gas che riempiono i suoi pori e elevarne la capacità decolorante; poi si fa entrare la soluzione che riempie il filtro ed esce, dapprima torbida per particelle di carbone che tiene in sospensione, poi limpida; la prima parte viene ritornata in lavoro. I filtri possono lavorare ciascuno a sé oppure in batterie di due, tre, quattro e più; si fa passare prima la soluzione più pura, poi, dopo un certo tempo, successivamente quelle meno pure, fino a esaurire del tutto il potere assorbente del nero. Infine si lava con acqua, si scarica il carbone e lo si rivivifica.

Fabbricazione dei coni o pani. - I coni o pani si fabbricano riempiendo di massacotta appositi stampi conici, che dopo parecchie ore di deposito in camera calda a non meno di 40%, si raffreddano, se ne torniscono i fondi e si caricano entro apposite centrifughe che hanno 16 ÷ 32 forme adatte a riceverli e possono girare a due velocità; alla velocità di 380 giri si aggiunge scolo prima meno, poi più puro e incolore; quando lo scolo esce di color chiaro si sospende il lavaggio, si porta la centrifuga alla velocità di 600 giri continuando finché esce scolo. Alla fine i coni hanno 2 ÷ 2,5 di umidità; si sformano, scaldando il vertice del cono con vapore, si torniscono e si asciugano in essiccatoi a camere comuni o a vuoto; poi si imballano.

Fabbricazione dei quadretti. - I quadretti sono prismetti piatti e possono essere prodotti in due modi: per compressione di cristalli già centrifugati analoghi a quelli del semolato, oppure versando la massacotta in appositi stampi e centrifugando come per i pani. Nel primo caso si produce nelle comuni centrifughe un semolato con cristalli più o meno grossi, e lo si scarica con 1,2 ÷ 2,5% di acqua; esso viene poi compresso con apposite macchine in parallelepipedi 24 × 140 mm. (o di diverse dimensioni secondo quelle che devono risultare per i quadretti); questi vengono essiccati in essiccatoi e poi tagliati in quadretti.

La preparazione in stampi si fa in varî modi, partendo però sempre dalla massacotta e versandola, come per i coni, in apposite forme, che poi vengono centrifugate a due velocità per espellere lo scolo e lavare i cristalli col solito metodo delle soluzioni zuccherine sature sempre più pure; si ottengono lastre: prismatiche piatte di zucchero, con umidità 1,5 ÷ 2,5 che dopo asciugate in essiccatoi, vengono tagliate nei due sensi ortogonali, ottenendo prima delle stecche con sezione avente le dimensioni dei due lati maggiori dei quadretti, poi i quadretti dello spessoie voluto.

Fabbricazione dello zucchero impalpabile. - L'impalpabile si ricava dai ritagli dei coni, quadretti, pilé, ecc., che vengono dapprima rotti in un mulino, poi polverizzati in altro mulino; ciò che si ottiene si setaccia in buratti, rimandando nel mulino polverizzatore le parti non abbastanza fine.

Fabbricazione dello zucchero biondo (Macfie). - Il Macfie si ottiene turbinando, senza alcuna copertura di acqua o vapore, massecotte preparate con gli ultimi scoli di raffineria.

Lo zucchero Macfie contiene 95-96% circa di saccarosio, 1% di zucchero invertito, acqua, sali e piccole quantità di prodotti colorati. Ha un colore paglierino e un sapore assai gradevole.

Produzione e commercio.

Fino al principio del secolo XIX lo zucchero era un prodotto di lusso. Veniva estratto esclusivamente dalla canna e la sua produzione lasciava larghi profitti aìle colonie spagnole, francesi, inglesi e portoghesi delle Indie occidentali e dell'America Latina che ne rifornivano l'Europa e l'America Settentrionale.

Il blocco continentale fece sorgere l'industria europea dello zucchero di bietola che - superata la crisi seguita alla caduta di Napoleone - ebbe un largo sviluppo grazie all'adozione di varietà più redditizie di bietola e di processi perfezionati di fabbricazione e grazie alla forte protezione che le concessero quasi tutti i governi, anche in vista dei benefici che la bietola recava all'agricoltura. Lo zucchero di canna fu relegato in una posizione secondaria e Cuba e gli altri paesi produttori attraversarono una lunga e profonda crisi. Al principio ded sec. XX la produzione mondiale di zucchero era valutata a circa 9.000.000 tonn., delle quali circa 6.000.000 estiatti dalle barbabietole e 3.000.000 dalla canna.

Ma la coltura della canna da zucchero si riprese e, favorita dalla contrazione della produzione europea di zucchero di barbabietola, che fu una delle conseguenze della guerra mondiale, ebbe anzi un enorme incremento, non solo a Cuba, ma anche a Giava, nelle isole Hawaii, nelle Filippine e in altri paesi tropicali, dal clima favorevole e dalla mano d'opera a buon mercato. Tale sviluppo si deve all'abbassamento del costo di produzione, grazie all'introduzione di nuove varietà di canna, e ai miglioramenti nei metodi di coltivazione - che hanno permesso di raggiungere e sorpassare, specialmente a Giava, la produzione di 100 qli. di zucchero per ettaro - e alla creazione, con larghissimi mezzi finanziarî forniti dagli Stati Uniti e dall'Europa, di grandi impianti di estrazione con macchinario moderno. In poco più di trent'anni la produzione dello zucchero di canna salì a circa 16.000.000 di tonn. mentre quella dello zucchero di bietola saliva solo a 9.000.000 circa.

Ma i paesi produttori di zucchero di bietola hanno reagito rafforzando la protezione alla propria industria. Negli ultimi anni, anzi, è divenuta generale la tendenza a produrre entro i confini nazionali tutto lo zucchero necessario al consumo, sottraendo il mercato alla concorrenza dei paesi che si trovano in condizione di produrre più a buon mercato. Indice di questa tendenza è stato l'incremento dato dall'Inghilterra, con l'aiuto finanziario dello stato, alla propria produzione di zucchero di bietola. Così la coltura della barbabietole, che già era passata negli Stati Uniti e nel Canada, più recentemente è stata introdotta in Argentina, nell'Uruguay, nel Cile, nel Giappone, in Manciuria, nell'Asia Minore, in Persia, in Australia, ecc.

La protezione doganale nei principali stati ha subito frequenti ritocchi negli ultimi anni. Si riportano i dati del 1914 in confronto a quelli del 1930, espressi in lire oro per quintale di zucchero raffinato:

Attualmente in Italia il prezzo di vendita è fissato in L. 200 per quintale, base cristallino, merce resa franco destino; lo zucchero estero arriva ai porti italiani a prezzi variabili da L. 80 a L. 90 per quintale.

Va osservato però che, sebbene siano così bassi sul mercato internazionale, i prezzi sul mercato interno di altri paesi europei, grandi produttori di zucchero di barbabietola, come per es., la Germania, non sono inferiori a quelli italiani, oppure inferiori solo di 10-20 lire come in Cecoslovacchia e in Francia. Alcuni paesi, che assicurano alla propria industria con una forte protezione doganale il mercato interno, vendono all'estero sottocosto quello che sopravanza.

Ristretto così il mercato internazionale, malgrado le misure prese dai paesi esportatori per eliminare la concorrenza con accordi internazionali e per limitare la produzione, lo zucchero da esportazione è diventato uno dei prodotti alimentari a più basso costo. Questo ribasso, continuato fino al 1936, ha determinato gravi crisi in alcuni dei paesi tropicali che hanno fondato sullo zucchero la propria economia, ma ha pure avuto qualche altro effetto; per es., ha favorito l'impianto di nuove industrie che, partendo dallo zucchero, producono con processi biologici diversi prodotti chimici.

Lo zucchero, oltre al dazio doganale, è sottoposto generalmente anche a imposte di consumo, che naturalmente gravano anche su quello prodotto all'interno del paese e ne elevano enormemente il prezzo di vendita al pubblico. Nel diagramma della fig. 23 si vede come è andato distribuito in Italia dal 1915 al 1936 il prezzo di vendita fra tassa governativa e prezzo in partenza dello zuccherificio.

Le tabelle qui sotto riportate ci dànno rispettivamente il consumo di zucchero nei principali paesi del mondo per abitante nel 1931; la spesa per abitante per consumo di zucchero, espressa in lire italiane, nello stesso anno; infine, nella terza tabella, la produzione per ettaro di barbabietole e di zucchero (1925-1934). Nelle pagine 1044-45 è riportata la produzione mondiale di zucchero.

Si rileva che, se il consumo varia molto, la spesa per abitante è abbastanza uniforme.

In Italia il consumo per abitante che era di kg. 7,68 nel 1924 è salito fino a kg. 8,72 nel 1928 e disceso fino a kg. 6,89 nel 1933.

Industria italiana. - In Italia il primo zuccherificio fu aperto nel 1869 a Casteldaccio, presso Anagni, allora appartenente allo Stato pontificio; il secondo sorse a Cesa nel 1870; ma sia l'uno sia l'altro furono chiusi dopo pochi anni di vita stentata. Un terzo fu costruito nel 1872 a Rieti. Ma la vera industria saccarifera sorse nel periodo intorno al '900, in cui furono impiantate 22 fabbriche; successivamente fino al principio della guerra mondiale sorsero altri 9 zuccherifici; dopo la guerra e fino al 1923 altri 2; nel 1924 altri 16 e uno nel 1930; l'ultimo, assai importante, è sorto nel 1936 a Littoria. Alcuni degli attuali zuccherifici sono stati sostituiti, in zone adatte, ad altri che ebbero vita effimera perché sorti in località dove la coltivazione della bietola non era redditizia. Tutti sono stati poi ingranditi fino a raddoppiarne o triplicarne la potenzialità iniziale.

Gli zuccherifici ora in attività sono in tutto 52 e lavorano giornalmente circa 600.000 q. di bietole, producendo circa 70.000 q. di zucchero, greggio e raffinato: essendo il consumo totale del regno e delle colonie di circa 3.400.000 quintali di zucchero, se tutte le fabbriche producessero una quantità proporzionata alla singola potenzialità ne risulterebbe una lavorazione annuale di giorni 50 circa; una campagna normale dovendo essere di 70-80 giorni la potenzialità complessiva di tutti gli zuccherifici è di q. 5.000.000. La potenzialità media di tutti gli zuccherifici è di q. 12.000 circa di bietole al giorno; vi sono 14 fabbriche sotto gli 8000 q.; 15 fra gli 8 e i 12 mila; 11 fra i 12 e 16 mila; 10 sopra i 16 mila; la più piccola lavora q. 4500, la più grande 26.000.

La lavorazione delle bietole s'inizia a fine luglio o ai primi di agosto e finisce dal 15 al 30 settembre; le bietole maturano in generale verso il 25-31 luglio e devono venire lavorate prima che le piogge autunnali provochino una nuova vegetazione con emissione di nuove foglie e forte diminuzione del contenuto di zucchero; normalmente la lavorazione non dovrebbe prolungarsi oltre il 15 ottobre.

Circa due terzi dello zucchero si produce raffinato nelle raffinerie annesse alle fabbriche; il resto viene raffinato in appositi stabilimenti (Sampierdarena e Pontelagoscuro).

L'Italia si è già da molti anni completamente liberata da ogni dipendenza dall'estero per i progetti di zuccherifici, per la costruzione del macchinario, per la condotta della lavorazione. Le fabbriche italiane sono fra le meglio attrezzate e condotte con i più moderni criterî tecnici ed economici; hanno personale di ogni grado perfettamente preparato a contribuire alla pari con gli stranieri al continuo progresso di questa importantissima industria.

Anche per quanto riguarda la barbabietola da zucchero si sono realizzati in Italia serî progressi. La percentuale media di zucchero, che nel decennio 1914-23 era di 14,01, nel decennio 1924-33 è stata di 15,69, con un minimo di 13,78 nel 1924 e un massimo di 17,47 nel 1931 (v. diagramma fig. 24). Recentemente l'Italia è arrivata a produrre anche tutto il seme necessario pei le proprie coltivazioni, seme che prima veniva importato dall'estero. (V. tavv. CLIX-CLXII).

Bibl.: H. Claassen, Fabbricazione dello zucchero, trad. it. dalla sesta ed. tedesca, 1931; H. C. Prinsen Geerlings, Cane sugar and its manufacture, 2ª ed., Londra 1925.