VULCI

Enciclopedia dell' Arte Antica (1966)

Vedi VULCI dell'anno: 1966 - 1997

VULCI (Vulci; Οὐόλκοι)

M. Torelli

Città etrusca sulla riva destra del fiume Fiora (antico Armentae), a circa 12 km in linea d'aria dal mare Tirreno ed oltre 100 km a settentrione di Roma.

1) Fonti. - Le fonti letterarie relative a V. sono assai scarse e lo stesso nome etrusco (Velx-?) è incerto. La ricordano infatti i geografi (Plin., Nat. hist., iii, 51, 52; Ptolem., iii, 1, 43-49; Steph. Byz., s. v. ῎Ολκιον) e, indirettamente, Arnobio (Adv. nat., vi, 7): le congetture dei filologi moderni, a partire dal Müller, integrano con l'etnico [Volc]-entes un importante passo di Festo (536, 16-18) riguardante i due fratelli Vibenna, sulla base delle testimonianze della vulcente Tomba François. Nulla ci è tramandato dagli storici. Sappiamo che era citata da Polibio (in Steph. Byz., loc. cit.), mentre l'unica notizia storica certa deriva dai Fasti Trionfali, che registrano al 1° febbraio del 280 a. C. un trionfo di T. Coruncanio [de V]ulsiniensibus et Vulcientib(us) (Inscr. It., xiii, 1, p. 73). Il fatto è sconosciuto alle fonti letterarie, che ricordano solo azioni belliche di Coruncanio in Etruria (Appian., Samn., x, 2; Zonaras, viii, 4; cfr. Liv., Per., xi); forse come conseguenza di questi fatti militari va intesa la successiva (273 a. C.) deduzione di Cosa, molto probabilmente il porto di V. (v. cosa). Altra importante testimonianza epigrafica e monumentale è quella offerta dal rilievo del Laterano, da Cerveteri, con la rappresentazione delle personificazioni delle città etrusche: tra queste è quella dei Volcentani, una figura femminile seduta, forse la dea poliadica di V., o, secondo alcuni, la Spes.

2) Storia. - Data la scarsezza delle fonti letterarie, la storia di V. va ricostruita sulla base di dati archeologici.

La zona dell'agro vulcente presenta tracce di occupazione fin dall'epoca eneolitica: le sepolture "a forno" rinvenute a Ponte San Pietro presso Ischia di Castro hanno restituito materiali attribuibili al classico orizzonte eneolitico della cultura Rinaldone-Gaudo. Mentre le culture appenninica e protovillanoviana risultano solo marginalmente attestate, la cultura villanoviana di V. appare di altissimo livello, soprattutto nella nuova necropoli dell'Osteria, ove è ben rappresentata anche la facies più arcaica. Si segnalano il forte sviluppo della bronzistica ed i vivaci contatti culturali, sia con le zone più vicine e più direttamente interessate alla sfera vulcente come Bisenzio, Statonia, Sovana e, sotto certi rispetti, Chiusi, sia con terre più lontane come la Sardegna. L'aspetto più antico dell'orientalizzante vulcente testimonia una sensibile stasi: V., nonostante l'alto livello della metallotecnica, sembra alquanto lontana dal generale progresso dell'Etruria meridionale ed anche delle più settentrionali Marsiliana e Vetulonia, coltivando forme meno evolute e dimostrando una minore ricchezza, sia materiale che di fermenti culturali. Le forme ceramiche non hanno sviluppi particolarmente vivaci, sono ignorate le favolose ricchezze delle deposizioni vetuloniesi, ceretane, prenestine: anche il bucchero più fine e più sottile manca. Con l'ultimo quarto del VII sec. a. C., le necropoli accennano ad una ripresa, che allo scadere del secolo si fa vieppiù sensibile. L'orientalizzante recente etrusco vede in V. addirittura uno dei centri di più fervida elaborazione culturale, di cui fanno fede la grande ricchezza e il numero delle tombe. Nel VI sec. a. C. e nella prima parte del V, si colloca il periodo di maggiore potenza della città, che deve aver esteso la sua egemonia non solo nella sua sfera d'influenza dell'alta valle del Fiora e dei colli affacciantisi al settentrione del lago di Bolsena, ma anche in terre più remote, se rettamente si interpreta il significato dell'affresco storico della Tomba François. Si ricorda al riguardo che si è anche voluto attribuire a V. un posto preminente nella penetrazione etrusca in Campania (Heurgon). Comunque, quale che fosse la sfera di egemonia della città, l'opulenza di V. appare veramente straordinaria: il numero e la qualità dei vasi attici deposti nei corredi, l'importanza e il livello della industria artistica della ceramica e del bronzo, l'incremento demografico manifestato dall'aumento vertiginoso del numero delle tombe, sono tutti elementi che confermano tale opulenza, che dura senza interruzioni fino alla metà del V sec. a. C. Poco dopo il 450 a. C., V. viene investita da quella generale crisi produttiva, sia economica che artistica, che interessa più o meno contemporaneamente tutte le città dell'Etruria e giunge fino al pieno IV sec. a. C. La ripresa del IV sec. è brillante. Nei grandi ipogei gentilizi, in qualche caso decorati di pitture, si colgono i segni di una nuova agiatezza: le forme di cui questa agiatezza si riveste sono quelle comuni a tutte le principali città dell'Etruria, che hanno per matrice le città greche d'Italia e di Sicilia. Il conflitto sfortunato con Roma non sembra influenzare, almeno in un primo momento, l'autonomia e il benessere della città; ma la deduzione della colonia di Cosa (273 a. C.), che toglie a V. parte del territorio e lo sbocco sul mare e, successivamente, la guerra annibalica, causeranno tra il III e il II sec. a. C. un progressivo impoverimento della metropoli etrusca, che in seguito alla guerra sociale (cui non sappiamo se abbia partecipato) diverrà un modesto municipio ascritto alla tribù Sabatina e retto da quattuorviri. I resti romani della città e le rare tombe della necropoli testimoniano, per l'età imperiale, una crescente decadenza: la ridotta importanza del centro in epoca tarda risulta chiaramente dal silenzio su V. della Tabula Peutingeriana. Il cristianesimo, che appare attestato a partire dal IV sec. d. C., installa a V. una sede vescovile, che nell'VIII sec., con il generale abbandono della zona, si trasferisce a Montalto di Castro.

3) Territorio. - Da un punto di vista geografico, il vulcente si presenta come un territorio di colline d'origine vulcanica, con frequenti altipiani soggetti a forte erosione da parte dei piccoli corsi di acqua del bacino del Fiora e dell'Arrone. La città e le necropoli di V. si sono installate su altipiani di questo tipo, sui quali però si è distesa una pesante coltre travertinosa, che ha coperto il banco tufaceo quasi dovunque. I limiti del territorio vulcente sono lungi dall'essere fissati: possiamo comunque dire che era genericamente compreso fra l'Argentario, la valle dell'Arrone e le alture ad O del lago di Bolsena. In esso erano compresi gli importanti centri di Forum Aurelium (Montalto di Castro?), Cosa e Ischia di Castro, e i pagi di Pescia Romana, Cellere e Canino, meno sicuramente il piccolo centro di Poggio Buco; sotto l'alterna influenza culturale (non sappiamo se anche politica) di V., sono stati varî ed importanti centri come Saturnia, Sovana e Bisenzio. Da un punto di vista archeologico, si segnalano, fra le altre, le necropoli di Pescia Romana e di Ischia di Castro con tombe in tutto identiche a quelle vulcenti (a "cassone" e a camera), che hanno restituito materiali assai simili a quelli delle necropoli tardo-orientalizzanti, arcaiche e classiche di V.; una necropoli romana di età imperiale di una certa estensione è stata esplorata alle pendici orientali del Monte Canino. In tutto il territorio, infine, sono dislocate varie ville e fattorie romane. Ancora poco conosciuta è la rete viaria dell'agro vulcente: due grandi strade attraversano il territorio da N a S - l'Aurelia lungo la costa e quella che il Bartoccini chiama Aurelia vetus nell'entroterra mentre altre vie collegano V. con il mare e con l'interno (Tuscania, Bolsena e centri minori).

4) Storia degli scavi. - Già nel sec. XIV la zona della città etrusca e romana era conosciuta con il nome antico e nel sec. XV Annio da Viterbo la identificava correttamente. Dopo la scoperta dei Fasti Trionfali e le monumentali opere del Cluverio, il problema dell'identificazione veniva impostato su basi scientifiche, finché nel 1778 il Turriozzi (Notizie della città di Tuscania) compiva l'ultimo passo, riconoscendo V. nelle rovine sul pianoro alla destra del Fiora, che la tradizione popolare chiamava, con evidente corruzione del nome antico, "Pian de' Voci". Un'identificazione erronea del sito con Vetulonia, diffusasi intorno al 1830 in conseguenza degli scavi Bonaparte, veniva poco dopo confutata dalla scoperta della iscrizione latina C.I.L., xi, 2928, che menziona l'ordo et populus Vulcentium. I primi scavi di cui si abbia memoria sono quelli del Cardinal Pallotta al Ponte della Badia nel 1783 (materiali al Vaticano), seguiti da altre ricerche di F. Prada nel 1787. Nel primo venticinquennio del XIX sec., V. fu oggetto di sistematiche spoliazioni; nel 1825 vi si condussero esplorazioni autorizzate dal governo pontificio in località Polledrara e Ponte della Badia ad opera del Feoli (oggetti a Napoli, Parigi e Vaticano) ed in località Camposcala (Osteria) per iniziativa dei fratelli Candelori (oggetti a Monaco). A partire dal 1828 e fino al 1840, le necropoli orientali furono scavate con i fondi del feudatario della zona, Luciano Bonaparte, a chiaro scopo di lucro e con sistemi assolutamente banditeschi: si legga nel Dennis l'impressionante racconto di un'esperienza personale con un soprastante, a commento adeguato delle tristi parole di severo monito e di condanna del Gerhard. Le ricerche, che hanno colmato di ceramiche attiche molti musei d'Europa (principalmente Monaco, Berlino, Würzburg, Parigi e Londra), hanno tuttavia dato grande impulso agli studî sulla pittura vascolare, di cui resta monumentale testimonianza nel Rapporto volcente del Gerhard (v.). Alla morte del Bonaparte e della di lui moglie, il feudo passò ai Torlonia, che proseguirono gli scavi sotto la direzione del dotto francese N. de Vergers e dello ingegner A. François (v.), che nel 1857 scoprivano la celebre Tomba François. Dopo la tragica morte dei due francesi, le esplorazioni si interruppero per riprendere tra il 1879 e il 1889 a cura del Marcelliani e dello Gsell, estendendosi a tutto il territorio della necropoli (materiali a Villa Giulia, a Firenze, nel Museo Torlonia e in varî musei europei). Dopo le ricerche, fortunatamente pubblicate, dello Gsell, si hanno solo rinvenimenti sporadici nel 1895 (materiali a Firenze) e nel 1915-20 (materiali a Villa Giulia), nonché una piccola campagna nel 1928-29 diretta da R. Mengarelli con il finanziamento di U. Ferraguti (materiali a Villa Giulia). Nel 1957, a cura di R. Bartoccini, ha inizio lo scavo della città e della necropoli settentrionale, scavo però interrotto nel 1960 (materiali a Villa Giulia e a Vulci). Nel 1961-63 una società privata ha ottenuto una concessione di scavo ed ha effettuato ricerche nella necropoli dell'Osteria, mettendo alla luce circa un centinaio di tombe (oggetti divisi tra Villa Giulia e collezioni private). È prossima la creazione nel Castello della Badia di un Museo Nazionale Vulcente.

5) La città. - L'abitato si estendeva su di un pianoro tufaceo, di forma grossolanamente rettangolare allungata nel senso N-S, precipite soprattutto nei suoi lati orientale e settentrionale; all'estrentità nord-occidentale si innesta una lunga e stretta lingua di terra dall'andamento E-O e dalle pareti per tre lati scoscese, che si è voluto identificare con l'acropoli. La cinta muraria, probabilmente databile al IV sec. a. C., è nota in più punti ed è costruita a grossi blocchi di tufo con frequenti bugnature e rinforzi in nenfro e selce. A quanto sembra, era limitata ai tratti meno difesi dalla natura: si conoscono i resti di due porte, una ad E ed una a N, a semplice apertura, probabilmente voltata. Dell'ossatura stradale è stato messo in luce il ripido decumano con alcuni degli edifici che vi si affacciavano: nella sua parte orientale si conosce un piccolo sacello dedicato ad Ercole, con due fasi distinte, una ellenistica del III sec. a. C. ed una imperiale del II sec. d. C., mentre nella zona centrale, accanto ad alcune taberne, si addensano importanti edifici pubblici. All'incrocio di una strada che sembra salire all'acropoli, sono stati scoperti, sul lato S, un ninfeo, i resti di un portico ed un miliario iscritto, ancora in situ, con l'indicazione di un Aurelio Cotta console e di una distanza di almeno 70 miglia, che il Bartoccini data alla fine del III sec. a. C. ed identifica col cippo di una presunta via Aurelia vetus. Sull'altro lato del decumano, abbiamo un grande edificio, probabilmente templare, al centro di un vasto recinto ed una terma tardo-repubblicana, costruita a blocchetti di pietra, con pavimenti a mosaico geometrico bianco e nero; tale terma, dagli ambienti disposti assialmente, è ricca di cisterne sotterranee coperte a vòlta ed era servita da un acquedotto, il cui speco attraversa il Fiora appoggiandosi al Ponte della Badia. Poco o nulla sappiamo degli scavi effettuati nella città durante il secolo scorso: sappiamo che furono scoperti numerosi edifici pubblici, tra i quali il Foro, le terme (forse le stesse scoperte negli ultimi anni) e un tempio ionico le cui colonne con rispettivi capitelli si conservano nella villa Guglielmi di Montalto.

Subito al di fuori della porta settentrionale è stata scavata (1958) una interessante stipe votiva, da connettersi con il culto di una vicina polla sorgiva, che ha restituito numerosissimi ex voto (parti anatomiche, puttini seduti o in fasce, giovinetti, imlnagini di culto di Giove, Giano ed Ercole), associati a monete del I sec. a. C. - I sec. d. C., fino ad età domizianea, quando la stipe venne sigillata. Entro il perimetro delle mura sono ancora i resti di un edificio absidato di epoca tarda, mentre all'esterno delle mura sono noti due ponti ed un edificio di incerta destinazione a circa 4 km a S-E della città sul fiume Timone, che ha restituito antefisse con teste sileniche e di menade databili agli inizî del V sec. a. C. I due ponti attraversano il fiume Fiora e sono da riconnettere con l'antica rete stradale del territorio di Vulci. Il Ponte della Badia è una imponente costruzione della prima metà del I sec. a. C. (Frank, von Gerkan) a tre arcate, delle quali quella orientale è cieca e quella centrale misura m 19,75 di luce, in nenfro e travertino con pilastri di tufo a mo' di contrafforti. Il Ponte Rotto, chiarito nei suoi elementi costitutivi dagli ultimi scavi, è più a S del Ponte della Badia: era un ponte (oggi distrutto) degli inizî del I sec. d. C. a cinque arcate di m 12 di luce poggianti su pilastri a ferro da stiro e sopportava la cosiddetta via Aurelia vetus.

6) Le necropoli. - Le necropoli sono assai estese e dense: già il Dennis, ai suoi tempi, calcolava in circa 15.000 le tombe scoperte, scavate o saccheggiate. Disgraziatamente non se ne possiede una pianta, sia pur sommaria, d'insieme. Le necropoli come già il Canina aveva delineato, sono sostanzialmente due: una, quella orientale, comprendente più nuclei sviluppatisi parallelamente attorno a tre vie di comunicazione N-E e S-E, parte dal Ponte della Badia e, attraverso Cavalupo e Ponte Rotto, giunge alla Polledrara estendendosi dal ciglio delle rupi sulla riva sinistra del Fiora verso l'interno, ove si trova anche la celebre Cuccumella; ed una seconda, quella settentrionale, sulla riva destra del fiume nella tenuta di Camposcala, con centro nell'odierna località Osteria.

Lo sviluppo della necropoli orientale, come si è detto, non può essere considerato in forma unitaria, in quanto articolato in rapporto a tre centri principali, corrispondenti ciascuno a tre distinte necropoli della prima Età del Ferro: Polledrara, Ponte Rotto e Cavalupo. Questi sepolcreti villanoviani, scavati dal Marcelliani e dallo Gsell, constavano di tombe a pozzo scavate nel calcare tenero locale ("murcio") e presentano le consuete particolarità della deposizione in custodie di tufo o di nenfro ovvero in buche o pozzetti scavati entro più grandi pozzi. Il villanoviano evoluto è abbastanza ben rappresentato, ma è meglio noto dai corredi del sepolcreto settentrionale. Successivamente le necropoli, dislocate sui costoni di Cavalupo e della Polledrara e al centro del pianoro di Ponte Rotto presso la Cuccumella, si sviluppano con numerosissime tombe a fossa che attorniano i nuclei originali costituiti dalle tombe a pozzo, come risulta dalle relazioni degli scavi Marcelliani. Il bucchero è assente e per tutta la fase successiva l'impasto locale bruno o nerastro si affiancherà alle ceramiche più fini d'importazione. Particolare sviluppo ha la ceramica cosiddetta italogeometrica, che si trova anche esportata in altri centri etruschi. (Per il VI e V sec. a. C. dovettero sorgere in V. officine di bronzisti, la cui identificazione è ancora oggetto di ricerca e di discussione: v. bibliografia).

Allo scadere del VII sec. a, C., la necropoli si estende nella piana, raggiungendo una densità e una ampiezza ineguagliate; lo sviluppo è praticamente costante fino al V sec. inoltrato. Il tipo di tomba predominante, caratteristico della zona vulcente, è quello della tomba "a cassone". Le camere, contenenti in genere una sola deposizione, hanno un bancone all'ingiro, sul quale era deposto il defunto, e gran parte del corredo sulla sinistra; non di rado il soffitto ha la vòlta a botte, né mancano casi di pareti di fondo ricurve. In queste tombe abbonda la ceramica etrusco-corinzia prima, ed attica delle due tecniche, poi: le ceramiche corinzie, come quelle protocorinzie, non sono particolarmente frequenti e, secondo Helbig, compaiono anche in qualche tomba a fossa. Tipica dei "cassoni" è la scultura, in genere raffigurante animali o mostri, come leoni, pantere, centauri (v. Voi. iii, fig. 565), sfingi, cavalli marini montati da esseri umani, posti all'inizio del dròmos o ai lati della porta della camera (Hus) e non in cima a pilastri in guisa di segnacoli delle tombe come si pensava in passato. Sono infine noti i casi di lastroni decorati, di tipo tarquiniese, usati come chiusura delle porte d'ingresso della tomba. Lo sviluppo della necropoli va da S a N. Alla prima parte di questa fase va attribuita la maggiore delle tombe della Polledrara ed una delle più importanti di V. in senso assoluto: la Tomba di Iside. Nonostante i forti sospetti che gravano sull'omogeneità del corredo e sul reale aspetto di alcuni pezzi, il valore dell'associazione nel suo complesso rimane tuttora indiscusso. Nella tomba, di cui si sa soltanto che aveva un'anticamera e due stanze (e, presumibilmente, più deposizioni), furono raccolti numerosi oggetti di importazione, tra i quali: una statuetta in gesso minerale (simile all'alabastro) raffigurante una donna riccamente vestita e con le mani protese (v. Vol. iii, fig. 568); scarabei forse di Psammetico I (663-609 a. C.) o Psammetico III (593-588); alàbastra configurati in alabastro di fabbricazione greco-orientale e cinque uova di struzzo, decorate probabilmente in Etruria; oggetti di produzione locale, tra i quali fanno spicco un busto in lamina di bronzo, di esegesi oscura prima di un recente restauro, e la celebre hydrìa della Polledrara, singolare vaso di fabbrica locale, ma di ispirazione fondamentalmente tardo-corinzia, in argilla grigiastra lucida decorata da motivi geometrici e fregi mitologici dipinti dopo la cottura. La tomba costituirebbe un caposaldo del tardo orientalizzante e daterebbe agli anni intorno alla fine del VII sec. e agli inizî del VI sec. a. C.: i molti dubbî sulla composizione del corredo e soprattutto la probabilità che nella tomba ci fossero più deposizioni scaglionate nel tempo rendono ardua l'interpretazione dei dati offerti da questo complesso. Alla stessa fase, ma ad epoca alquanto posteriore, si attribuisce un altro importante e singolarissimo monumento: la Cuccumella. Saccheggiato e deturpato a più riprese nel secolo scorso, venne ripulito nel 1927 con buoni risultati; questi ultimi lavori però non furono completati e quindi la nostra conoscenza del monumento risulta ancora frammentaria e parziale, come dimostra il fatto che non si disponga di una pianta complessiva dei resti scavati. Per quanto ci è dato sapere, esso era composto da un tumulo alto intorno ai 18 m, dal diametro di 65 m circa, delimitato da un recinto circolare di lastre di nenfro infisse nella roccia tagliata tutta intorno alla circonferenza per un'altezza di 5 m circa: al di sopra di queste lastre correva un coronamento a forma di toro completato, a quanto pare, da un'iscrizione. Al centro del recinto, al termine di un lungo dròmos, si apriva un'area apparentemente scoperta scavata nella roccia e completata in alto da blocchi (nel lato dell'ingresso disposti a scalinata, in parte proseguita nei due lati adiacenti); ai lati si aprono due camerette coperte a falsa vòlta ogivale e nel fondo si susseguono altre due camere munite di banchine. A lato dell'ultima camera era una ripida rampa che conduceva verso il centro del tumulo, ove sono scavate complicate gallerie sotterranee.

Nel IV sec. a. C., e fino all'età romana, la necropoli si sviluppa verso le ripe scoscese dominanti la riva destra del Fiora, ove si dispongono, su ben tre terrazze, le tombe. La tipologia di queste tombe è alquanto varia. Il tipo più antico è quello detto "a T", con lungo dròmos terminante in un grande vestibolo coperto, prolungato in un tablino, sul quale si aprono le numerose stanze: il complesso simula perfettamente l'aspetto della casa etrusca all'interno, con atrio, tablino e stanze secondarie, con le ricche coperture a tetto spiovente e travatura, e con finte porte sagomate (sec. IV-III a. C.). Un tipo più tardo (III-II sec. a. C.) è quello cosiddetto "a corridoio": si tratta di tombe con numerosissime camere a forma di cellette, aperte simmetricamente sui lati di un lunghissimo corridoio terminante in una vasta sala, nelle cui pareti si aprono altre camere. Queste tombe contenevano soltanto sarcofagi. Un tipo più raro, contemporaneo alle tombe "a T", è quello a grande sala unica con uno o più pilastri centrali e loculi nelle pareti, analogo quindi alle Tombe ceretane dei Rilievi e delle Iscrizioni. Una particolarità di molte di queste tombe, specie in epoca più tarda (III-II sec. a. C.), è quella dei frontoncini delle edicole sepolcrali nei dròmoi, decorate a rilievo con mostri infernali o, più frequentemente, con due figure semisdraiate tratte dalla simbolistica e dal repertorio dionisiaci (v. Vol. iii, fig. 917). Le tombe dal IV sec. a. C. in poi, fino all'età romana avanzata, sono munite di segnacolo in forma di arula o di casetta, ovvero, come in epoca più tarda, da un semplice cippo di nenfro, posto all'imboccatura del dròmos, o presso la porta o, ancora, sulla superficie del terreno in corrispondenza della sepoltura. Di tutte queste tombe meritano un cenno particolare le tombe François, dei Tutes, dei Tarnas o dei Tori, dei Due Ingressi, e delle Iscrizioni.

La Tomba François, o dei Saties (scoperta nel 1857) è del tipo "a T", ma si distingue dalle altre per la maggiore complessità della sua architettura e soprattutto per la sua decorazione pittorica, veramente eccezionale. La tomba, sita in località Ponte Rotto, è resa accessibile da un profondissimo dròmos lungo ben 27 m, nel quale si aprivano tre camerette per deposizioni più tardive (una con facciata ad edicola). Attraverso una porta con la consueta ornamentazione dell'architrave terminante a becco di civetta, si accedeva ad un'anticamera rettangolare disposta nel senso della lunghezza; sul lato opposto a quello con la porta d'ingresso si apre il cosiddetto tablino, di forma pressocché quadrata. L'anticamera ha il soffitto imitante la travatura displuviata lignea, mentre il tablino esibisce una copertura a finte travi e al centro una lastra con rappresentazione a bassorilievo del volto di Caronte. Sull'anticamera si aprono tre camere sulla destra e altrettante sulla sinistra; in fondo al tablino è la stanza principale con tetto a spioventi e pareti decorate a finta incrostazione marmorea. La tomba, con deposizioni in gran parte su banchina, fu rinvenuta apparentemente intatta ed ha restituito moltissime oreficerie e, sembra, anche una grande anfora attica databile al 450-40 a. C. (a Bruxelles); la durata dell'uso della tomba è stata calcolata (Messerschmidt) in circa 250 anni. Le celebri pitture (in proprietà Torlonia, Roma, Villa Albani) erano sulle pareti dell'anticamera e del tablino. Nell'anticamera abbiamo, da destra verso sinistra, ai lati della porta di accesso alle sei stanze laterali: Sisifo e Anfiarao; la coppia dei proprietarî della tomba, Thanchvil Verati e Vel Saties (quest'ultimo con un nano, Arnza, in atto forse di compiere una cerimonia di auspicio); un personaggio della saga etrusca, Marce Camitlnas, che uccide un Cneve Tarchunies Rumach (Cneus Tarquinius Romanus); Eteocle e Polinice; Nestore e Fenice; Aiace mentre strappa dall'altare Cassandra. Le lunghe pareti laterali del tablino presentano invece scene storiche o mitologiche più complesse. Sulla sinistra è la notissima scena del sacrificio dei prigionieri troiani alla presenza dell'ombra di Patroclo e di due dèmoni etruschi della morte (v. Vol. iv, pag. 48 e Tav. a colori); sulla destra è invece raffigurata una scena della saga storica etrusca con un combattimento tra eroi, probabilmente vulcenti (Larth Ulthes, Rasce, ed Avle Vipinas), e personaggi, sempre soccombenti, designati con un etnico (un Laris Papathnas volsiniese, v. Vol. vi, fig. 1048, un Pesna Arcmsnas sovanese ed un terzo, di incerta lettura, forse falisco), mentre Macstrna (identificato con il Servio Tullio della leggenda romana) libera l'altro eroe etrusco Caile Vipinas dai legami che lo avvincono. La scena (sulla quale si è molto affaticata la critica storica) è di difficile esegesi; malsicuro è inoltre il congiungimento, ormai abituale, tra questa rappresentazione e quella, adiacente nell'anticamera, di Marce Camitlnas. Al di sopra della rappresentazione corre un meandro in prospettiva, mentre, nell'anticamera, tra il meandro e le scene figurate, è un fregio continuo con belve, reali e fantastiche, assaltanti cerbiatti e cavarlli; infine, a dividere i campi pittorici dal soffitto, al di sopra di un fregio ad ovuli o a nastro, vi è una cornice convessa dipinta a squamette nella quale campeggiano, al centro, teste femminili fra ornati floreali. L'importante documento di pittura etrusca, che risente molto, sia nello stile che nell'iconografia, di prototipi italioti, viene comunemente datato alla fine del IV sec. a. C.

Molto simile per pianta e per forme architettoniche alla Tomba François (dalla quale dista pochi passi) è la Tomba dei Tutes, del III sec. a. C., priva però di pitture. Fortissime analogie con la Tomba dei Tutes ha l'altro vicino ipogeo gentilizio dei Tarnas (detto anche dei Tori), forse lievemente posteriore. La pianta è ugualmente "a T", con tre camere all'estremità di ciascun braccio; simili pure sono i soffitti dell'anticamera, del tablino e della stanza di fondo. Essa però si distingue per una maggiore ampiezza e per la presenza di ben dieci sarcofagi (uno dei quali poggia su due supporti a protome taurina che hanno dato nome alla tomba). Di pianta singolare è la non lontana Tomba dei due Inglesi, nella quale un unico dròmos dà adito a due tombe distinte composte di uno stretto vestibolo, un'anticamera (delle quali una simulante il soffitto di un atrio displuviato), ed una stanza contenente due sarcofagi. Particolare interessante, l'anticamera della tomba di destra aveva le pareti costellate di chiodi per appendere gli oggetti del corredo. Quanto all'appartenenza della tomba, si può affermare che almeno quella di sinistra era di proprietà dei Tetnies. Molto più irregolare la Tomba delle Iscrizioni (fine del IV sec. a. C.), con lunghissimo dròmos ed una grande camera sulla quale si aprono sei piccole camere di forma trapezoidale: in una di queste era un sarcofago in frammenti con rappresentazioni di amazzonomachia assieme a due vasi falisci (fine IV-inizî III sec. a. C.).

Lungo la strada che passa attraverso Ponte Rotto e Cavalupo si sviluppa la necropoli romana, con tombe del tipo a corridoio, sia scavate nel tufo che costruite in opera incerta (II-I sec. a. C.) e con piccole tombe ad incinerazione con iscrizioni e rilievi (I sec. a. C. - I sec. d. C.), tra i quali fa spicco il noto rilievo del quattuorviro G. Settimio ora a Copenaghen (70 a. C.).

Sulla riva destra del fiume, nel grande poggio che dal Ponte della Badia si estende da E ad O, di fronte al lato settentrionale della città, si colloca un'altra necropoli, meno vasta, ma non meno importante della precedente. Il centro è costituito da una ricca necropoli villanoviana, dalla quale proviene il corredo di una tomba di facies piuttosto arcaica con fibule a disco, contenente un bronzetto sardo. Da questa stessa necropoli pare provenga un oggetto di recentissimo recupero, un'urna cineraria a capanna in lamina bronzea decorata a puntini e borchiette: il pezzo, ancora inedito, data al villanoviano evoluto (VIII sec. a. C.) ed è una testimonianza tangibile dell'altissimo livello della bronzistica tirrenica della prima Età del Ferro. Il sepolcreto segue uno sviluppo simile a quello della necropoli settentrionale, con tombe a fossa, a cassone e a camera. Ad epoca tardo-orientalizzante va attribuita un'importante tomba (Tomba del Sole e della Luna) con otto camere dai soffitti decorati (uno con travicelli a ventaglio), della quale purtroppo è andato perduto l'intero corredo; sempre da questa necropoli proviene, sporadica, un'interessante coppa di grandi proporzioni, decorata da un pittore di tradizione greco-orientale della fine del VII sec. a. C. Il VI sec. a. C. è ben rappresentato da numerosissime tombe a cassone, in gran parte di scavo recente; tra queste spiccano due sepolture, delle quali una ha restituito un numero eccezionale di vasi corinzî, ionici, etrusco-corinzî ed una bellissima anfora panatenaica (all'Antiquarium di V.); l'altra, numerosissimi vasi pontici. In questa zona sono venute alla luce anche le famose sculture del Centauro e del Cavaliere su Ippocampo (Roma, Villa Giulia).

Tra le tombe, assai abbondanti, di età tardo-classica ed ellenistica bisogna ricordare la Tomba Campanari (III sec. a. C.), una grande camera con colonna centrale dal ricco capitello a fogliami e protomi femminili. La camera aveva affreschi piuttosto rovinati raffiguranti scene di vita oltremondana, in cui sono rappresentati 20 personaggi; le pitture sono purtroppo andate distrutte poco dopo la loro scoperta nel secolo scorso, in seguito ad un maldestro tentativo di distacco. Nella stessa zona era un'altra tomba dipinta, di cui possediamo solo un disegno d'insieme, assai poco significativo: sappiamo solo che vi comparivano due sole figure. All'epoca tardo-antica si riferisce infine una catacomba con qualche dipinto, in cui si sono rinvenute monete del IV sec. d. C.

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