VITTORIO VENETO

Enciclopedia Italiana (1937)

VITTORIO VENETO (A. T., 24-25-26)

Vittorio MOSCHINI
Ugo CAVALLERO
Elio Migliorini

VENETO Città della provincia di Treviso, posta in posizione ridente presso il versante meridionale delle Prealpi Bellunesi, nell'alta pianura veneta, su terreno leggermente ondulato (m. 144 alla stazione ferroviaria), là dove il Meschio, superata una stretta, si apre la via del piano. L'abitato, di forma allungata, si estende da NNO. a SSE. per circa 3 km., dapprima lungo e stretto (Serravalle), per espandersi poi presso la riva destra del Meschio. Topograficamente, la città si divide in tre parti, che vennero riunite in unica amministrazione solo nel 1866 (quando il territorio venne a far parte del regno d'Italia), assumendo il nome augurale di Vittorio Emanuele II. A N. si trova Serravalle, che conserva ancora molti palazzi antichi, resti di fortificazioni ed ha come via principale un tratto dell'antica strada d'Alemagna. La parte centrale, d'origine recente, è costituita dalla Piazza Vittorio Emanuele con il Palazzo municipale ed altri edifici pubblici, mentre a S., un po' più in basso (m. 142 contro 149 di Serravalle) si trova Ceneda, formata da alcune vie che s'incrociano tra il Meschio e il torrente Cervada, ora notevole centro commerciale e industriale. Nel vasto comune (82,6 kmq.), abitano 24.234 ab. (16.325 nel 1881 e 21.421 nel 1911), di cui quasi 14 mila a Vittorio, 5 mila in dimore isolate e altrettanti in 12 frazioni minori.

Monumenti. - Possiede molte notevoli opere d'arte, specialmente nel borgo di Serravalle, che conserva anche parte delle mura dell'antico castello, il gotico Palazzo del comune, diverse case gotiche e del Rinascimento. Nel civico ospedale v'è una piccola raccolta, contenente tra l'altro una Madonna sansovinesca, e nell'annessa chiesetta di S. Lorenzo affreschi del primo '400. Nella chiesa di S. Giovanni Battista sono dipinti di Iacopo da Valenza e di Francesco da Milano; in quella di S. Giustina il sepolcro di Rizzardo VI da Camino, eseguito poco dopo la sua morte (1335), con statue e altre sculture di scuola veneta. Nel duomo di Serravalle è sopra tutto importante la pala eseguita da Tiziano per l'altar maggiore (1542-47). Nella chiesa di S. Andrea del Bigonzo sono molti affreschi votivi, alcuni dei quali di un pittore Antonello (1485). A Ceneda è da ricordare il vecchio Palazzo comunale con importanti affreschi dell'Amalteo. La settecentesca cattedrale, con facciata moderna, contiene dipinti di Iacopo da Valenza, Pier Antonio Novelli, ecc., e altresì oreficerie e libri miniati, come il breviario e il messale donati dal cardinale Marino Grimani nel 1533. In S. Maria del Meschio si ammira l'Annunciazione, capolavoro di Andrea Previtali.

Bibl.: D. M. Federici, Memorie trevigiane, ecc., Venezia 1803; L. Crico, Lettere sulle belle arti trivigiane, Treviso 1833; I. Marson, Guida di Vittorio e suo distretto, ivi e Vittorio (1889); F. Troyer, Vittorio, Milano 1893 (supplemento del Secolo); Crowe-Cavalcaselle, A history of painting in North Italy, ediz. Borenius, Londra 1912; G. B. Cervellini, Il monumento caminese di Serravalle, in Boll. d'arte, IX (1929-30), pp. 456-77.

La battaglia di Vittorio Veneto.

Combattuta dal 24 ottobre al 3 novemure 1918 fra la quasi totalità delle forze italiane, al comando del generale A. Diaz, e la quasi totalità delle forze austro-ungariche, agli ordini dell'imperatore Carlo I (capo di Stato maggiore, generale v. Arz).

I precedenti della battaglia. - Dopo la vittoria del giugno (v. guerra mondiale), ristabilito il fronte, ripresi agli Austriaci i pochi punti rimasti in loro mano (sull'Altipiano di Asiago, nel settore del Grappa) e riconquistata la zona tra Sile e Piave Nuovo, s'imponeva per gl'Italiani una sosta nelle operazioni per riparare al logorqmento sofferto, riordinare e completare le unità. Si pensò intanto a riorganizzare l'azione offensiva sull'Altipiano d'Asiago, già sospesa ma non abbandonata a cagione dell'attacco austriaco. Questa offensiva era stata predisposta in collaborazione con i comandi delle forze alleate sul fronte italiano, dislocate appunto sull'Altipiano; l'azione non doveva essere fine a sé stessa, ma era concepita come preludio ad altra azione decisiva da inquadrarsi, con criterio di relativa contemporaneità, in una grande offensiva degli Alleati su tutti i fronti. Su tale concetto era pienamente concorde l'Alto Comando alleato, il quale fin dal 27 giugno preannunciava lo sforzo decisivo delle forze dell'Intesa per il settembre, quando cioè l'arrivo, già in corso, delle forze americane avesse dato agli Alleati la decisiva superiorità sul fronte occidentale (franco-britannico). Ma questa previsione si chiarì presto fallace; l'Alto Comando alleato comunicava il 6 agosto che il ritmo di affluenza delle forze americane non era tale "che potesse permettere di sperare nel 1918 una decisione integrale della guerra e neppure di rinforzare abbastanza il fronte per intraprendere un'offensiva generale". In tale situazione lo sforzo degl'Italiani, assai costoso dato anche il terreno su cui si doveva operare, sarebbe rimasto fine a sé stesso, mentre li avrebbe indeboliti ed esposti, in condizioni di diminuita efficienza, ad una violenta reazione austro-tedesca, ch'era da ritenersi possibile ancora prima dell'autunno, tenuto conto della facilità per gli Austro-Tedeschi di fare un rapido concentramento sul fronte italiano. Tuttavia la preparazione del progettato attacco fu mantenuta ed estesa anche alla regione del Pasubio per prendere spazio nella zona del Col Santo, ed il Comando Supremo si tenne pronto a sfruttare ogni possibile situazione favorevole. Per uscire dall'incertezza, un colloquio ebbe luogo alla fine di agosto fra il generale Diaz e il maresciallo Foch presso il Gran Quartiere Generale alleato; quivi la situazione fu esaminata a fondo e le linee dominanti di essa risultarono così determinate:

a) doversi proseguire nell'azione di logoramento già iniziata dalle forze alleate sul fronte occidentale;

b) necessità di prepararsi per le operazioni del 1919, dalle quali il maresciallo Foch dichiarò di attendere la risoluzione;

c) "il maresciallo pure mantenendo il suo concetto di generica opportunità di attaccare al più presto sul nostro fronte, ammise la convenienza che l'esercito italiano mantenesse pel momento contegno aggressivo, tenendosi pronto a sfruttare possibile situazione propizia" (lettera del generale Diaz al presidente del Consiglio).

Gli atti successivi degl'Italiani furono coerenti a queste vedute. Sopravvenuto l'inatteso cedimento del fronte bulgaro, l'occasione propizia si delineava. La decisione del Comando Supremo di passare all'attacco risolutivo in direzione di Vittorio Veneto fu presa il 25 settembre, due giorni prima che fosse nota la richiesta d'armistizio da parte della Bulgaria. Si noti che nel colloquio Diaz-Foch dell'offensiva alleata sul fronte bulgaro non s'era fatta parola; ché quel settore interalleato non faceva capo a Foch ma al ministro della Guerra francese, paradossale situazione che certo non giovò al tempestivo coordinamento degli sforzi nell'interesse comune.

Il progetto operativo. - Le ragioni che guidarono alla scelta della nuova direzione d'attacco furono: 1. che ormai non si trattava più di creare una base di partenza per nuove operizioni, ma bisognava proporsi di compiere uno sforzo decisivo; 2. che a questo fine l'offensiva sull'Altipiano di Asiago si presentava invecchiata nella sua concezione e doveva essere arcinota al nemico; 3. che occorreva perciò scegliere altra direzione che consentisse di arrecare al nemico un minimo di sorpresa e che, per essere risolutiva, uscisse dal quadro delle avanzate frontali e metodiche e permettesse lo sviluppo della manovra.

Così il progetto operativo italiano si differenziò nettamente dal metodo seguito dagli Alleati durante la guerra, perché alla pressione esercitata uniformemente su tutto il fronte con alternative di colpi di mazza picchiati or qua or là, sostituì lo sfondamento in un'unica direzione capace di scardinare, per il solo fatto della rottura in quel punto, tutto lo schieramento avversario. Concetto informatore: abbandono dell'offensiva progettata sull'Altipiano; sfondamento attraverso il Piave, mirando a spezzare la giunzione tra le armate austriache 5ª e 6ª (v. cartina); successivo avvolgimento della 6ª armata avversaria, recidendo a tergo la sua principale comunicazione Vittorio-Sacile; di qui occupazione delle alture di Valdobbiadene e puntata su Feltre per concorrere da tergo alla caduta del Grappa e minacciare lo schieramento nemico dell'Altipiano; sfruttamento di tutte le possibili ripercussioni di questa manovra.

Direzione principale dello sforzo: Ponte della Priula, Conegliano, Vittorio.

I primi ordini per il concentramento delle artiglierie furono diramati lo stesso giorno 25 settembre; il preavviso verbale al comandante dell'8ª armata, gen. Caviglia, cui toccava lo sforzo principale, fu dato nel pomeriggio del 26; la consegna al medesimo del progetto operativo con ordine di prepararne l'esecuzione, e la discussione delle modalità esecutive, ebbero luogo al Comando Supremo il 29, alla presenza del generale Diaz.

Stabilite così le linee strategiche dell'operazione, fissato il settore d'attacco (dal lato nord del Montello alle Grave di Papadopoli comprese) e provveduto al necessario rinforzo di questo (questo solo settore venne a disporre di 605 batterie dei varî calibri, di cui 460 assegnate di rinforzo), il progetto operativo di base doveva ricevere un'elaborazione ulteriore prima di essere tradotto in ordine d'operazione, specie per quanto riguardava le armate laterali. Già il progetto aveva preveduto di estendere a destra il fronte dell'8ª armata assegnandole l'XI corpo della 3ª (Grave di Papadopoli); sennonché, essendosi poi deciso di far concorrere all'azione anche il XXVII corpo - ala sinistra dell'8ª armata - il fronte di questa armata diveniva troppo ampio; e fu necessario creare, alle ali dell'8ª armata, due nuovi raggruppamenti tattici, 10ª, e 12ª armata, di ciascuno dei quali fece parte una modesta aliquota di truppe alleate che il Comando Supremo volle chiamare all'onore della battaglia finale, e il comando di quei raggruppamenti fu affidato ai due comandanti alleati sul fronte italiano, il generale conte di Cavan e il generale Graziani. Questi comandanti ricevettero preavviso verbale il giorno 6 ottobre, conferma scritta il 7; le due piccole armate risultarono costituite il 12 e funzionarono a partire dal 14.

La segretezza, nei limiti praticamente possibili, fu ottenuta fra l'altro: facendo credere che la preparazione italiana mirasse a fronteggiare una controffensiva nemica attraverso il Piave, prevista come reazione all'attacco italiano sull'Altipiano; tacendo alle armate che cedevano truppe e mezzi la destinazione di questi, e indicando soltanto le stazioni di carico; dislocando le nuove unità affluite sul fronte d'attacco a portata dell'Altipiano, come se destinate ad operare su questo, il che le poneva a circa una tappa dai luoghi dello schieramento previsto per l'azione, dunque a portata favorevole; facendo gli spostamenti di notte; circondando il progetto d'azione del massimo riserbo e tacendolo per circa due settimane persino al governo. L'aviazione, magnifica di slancio e di sacrificio, seppe assicurarsi e conservare per tutto il periodo di preparazione il dominio del cielo, cosicché il nemico, nell'assoluta assenza di diserzioni da parte italiana, non poté avere alcuna diretta notizia dei movimenti.

L'ordine di operazione reca la data del 14 ottobre e riproduce fedelmente le linee del progetto operativo, confermando scopo, obiettivi, fronte di sfondamento e direttrice principale d'avanzata. L'8ª armata ha il compito noto:

"Raggiungere con la massima celerità la regione a nord di Vittorio per intercettare la principale arteria di rifornimento della 6ª armata nemica (Vittorio-Sacile); precludere la ritirata alle truppe avversarie della conca di Valmareno; sbarrare le provenienze da Ponte nelle Alpi; poi, in secondo tempo, a sinistra e al centro avanzare verso la convalle bellunese (occupazione di Ponte nelle Alpi) tenendo il contatto a sinistra con la 12ª armata; a destra formare fianco difensivo sulla Livenza".

La 10ª armata (conte di Cavan) operante a destra dell'8ª e facente parte del fronte di rottura, doveva:

"Avanzare alla Livenza con la sinistra a nord di Sacile... e con la destra a Porto Buffolè; sino alla Livenza il generale conte di Cavan riceverà istruzioni dal comandante dell'8ª armata; raggiunta questa linea passerà alla diretta dipendenza del Comando Supremo".

Questo per l'attacco principale. A destra l'8ª armata avrà dunque, nel movimento verso nord, il suo fianco destro protetto dalla 10ª armata che da essa dipende tatticamente; e la 3ª armata ha ordine di assecondare il movimento della 10ª. A sinistra dell'8ª armata opera la 12ª, impegnando in primo tempo il nemico schierato sulle alture di Valdobbiadene, salvo avanzare poi in secondo tempo, quando il Comando Supremo lo ordinerà, a cavallo del Piave verso Feltre, mentre la 4ª armata deve tenersi pronta ad assecondare il movimento della 12ª con obiettivo il fronte Primolano-Arten secondo ordine che gli sarà dato dal Comando Supremo.

La 6ª armata, schierata sull'Altipiano e impoverita di forze e di mezzi a vantaggio dell'azione principale, ha ordine di tenersi pronta "a fronteggiare una possibile reazione nemica sull'Altipiano come pure a sfruttare ogni favorevole situazione".

Il Comando Supremo aveva previsto che l'azione potesse avere inizio il 18 ottobre o poco dopo; sennonché le persistenti cattive condizioni del Piave imposero di prevedere una data più lontana, che venne fissata, sentito il comando dell'8ª armata, al giorno 24. Il ritardo dolse gravemente al Comando Supremo, ché il precipitare degli avvenimenti politici rendeva sempre più urgente l'inizio dell'offensiva; e si ritenne altresì ch'esso avrebbe almeno in parte compromesso quella segretezza che nei limiti pratici si era potuta realizzare. Di qui la decisione di conferire alla 4ª armata, che fin dal giorno 12 aveva avuto ordine di tenersi pronta ad avanzare, il compito di precedere col proprio attacco l'azione dell'8ª.

Di fatto, come si seppe in seguito, la segretezza non fu compromessa dal ritardo e la sorpresa fu ottenuta, giacché risulta dalla documentazione ufficiale austriaca che fino al 24 un attacco italiano sul Piave non era atteso e che solo il giorno 25 il comando della 6ª armata austriaca ne diede notizia al superiore comando, Boroević. Sorpresa dunque completa. Tuttavia, la previdenza del Comando Supremo italiano fu logica ed illuminata. Con l'attacco della 4ª armata si sarebbe avuto una sostituzione almeno parziale della sorpresa, cioè l'assorbimento delle riserve nemiche del Bellunese, con conseguente alleggerimento della successiva azione dell'8ª armata.

Pertanto, per rinforzare l'azione della 4ª, il Comando Supremo, valutata la situazione generale, affrontò il rischio di impoverire fino all'estremo le armate 7ª e 6ª e tolse da queste, e perfino dalla 3ª, ben 118 batterie di vario calibro che furono fatte affluire d'urgenza sul nuovo fronte. La preparazione materiale della 4ª armata fu breve (per vero gli studî erano fatti sin dall'estate), ma la situazione non consentiva indugi. L'ordine dato il giorno 18 alla 4ª armata, integrazione dell'ordine d'operazione del 14, venne fuso con questo, per ragioni di puro coordinamento, in un ordine unico del 21 e fu previsto l'intervallo di un giorno fra l'attacco della 4ª armata e quello dell'8ª. Nel fatto questo intervallo, ridotto a malincuore a questo minimo per non sottostare a nuove sorprese del Piave, fu proprio dal Piave stesso prolungato a tre giorni (24, 25 e 26).

La battaglia. - Deve mettersi in evidenza l'azione della 4ª armata, il cui sforzo, di fronte a un nemico tenacemente abbarbicato al terreno e ben deciso a resistere, fu durissimo e sanguinoso; il M. Pertica fu preso, perduto, ripreso il giorno 25; così l'Asolone il 26; le truppe dell'armata progredirono perciò in quei primi giorni scarsamente, ma inflissero al nemico perdite enormi, e il previsto assorbimento delle riserve nemiche dislocate in quel settore fu uno dei risultati più apprezzabili di quello sforzo e del sacrificio ch'esso costò. L'azione dell'8ª armata e lo sviluppo della successiva manovra in direzione di Vittorio ne riuscirono certamente facilitati, e, favorirono a loro volta la successiva avanzata della 4ª armata, come il Comando Supremo aveva preveduto. Il concorso della 4ª armata alla vittoria finale dell'Italia fu dunque assai cospicuo ed è per essa alto titolo di gloria. Sul resto del fronte le linee maestre della battaglia sono bene descritte in una relazione sintetica compilata dal comando dell'8ªarmata e trasmessa al Comando Supremo all'indomani stesso della vittoria.

"Occorreva forzare il Piave con forti masse, poi punta e rapidamente su Vittorio per tagliare le retrovie della 6ª armata nemica e separarla dalla 5ª. Lo svolgimento della battaglia corrispose in tutto alle previsioni e gli avvenimenti si svolsero, nell'ambito del piano stabilito, secondo le manovre preordinate, non affidate alla fortuna degli eventi, ma guidate e condotte dalla volontà dei capi.

"Nella prima fase: a sinistra il XXVII corpo, come si prevedeva, non poté forzare il fiume con passaggi proprî. Lanciò allora le sue truppe ai ponti delle grandi unità laterali; rotti anche questi dalla violenza della corrente e dalle artiglierie nemiche si trovò al mattino del 27 con due soli reggimenti sulla sinistra separati dal resto del corpo d'armata.

"Il XXII corpo al centro riuscì a gittare due ponti; distrutti e travolti, li rifece, e all'alba aveva sulla sponda sinistra la 1ª divisione d'assalto e parte della 57ª divisione. Queste truppe, in unione alla brigata Cuneo del XXVII corpo, si slanciarono sulle linee nemiche, le conquistarono, ma dovettero fermarsi, costituendo testa di ponte nella piana di Sernaglia, perché col giorno i ponti furono completamente stroncati e fu impossibile far passare al di là nuove forze per alimentare l'azione.

"A destra l'VIII corpo era inchiodato sulla destra del fiume dai tiri implacabili delle mitragliatrici e precisi concentramenti delle artiglierie e più di tutto dalla violenza della corrente.

"All'estrema destra la 10ª armata, più favorita dalla natura del fiume alle Grave di Papadopoli, era riuscita a costituire testa di ponte, ma non poteva oltre proseguire perché alle spalle delle prime truppe i ponti furono rotti dal nemico e dalla corrente.

"All'estrema sinistra poche e valorose truppe della 12ª armata erano riuscite a passare e si mantenevano tenacemente nei pressi di Valdobbiadene. In questa situazione il comando dell'8ª Armata ordina al XVIII corpo di passare il fiume alle Grave di Papadopoli (10ª armata) e di puntare su Susegana per aprire la strada all'VIII corpo. La dislocazione del XVIII corpo era già stata fatta in previsione di questa eventualità.

"Per tutto il giorno 27 le truppe che costituivano le tre teste di ponte di Valdobbiadene, di Sernaglia e di Cima d'Olmo, flagellate dalla pioggia, tagliate fuori dalle acque torbide e impetuose del fiume in piena, si batterono con indomabile tenacia opponendosi con disperata energia ai violenti ritorni offensivi del nemico.

"Nella notte fra il 27 e il 28 si rinnovarono i tentativi per gittare i ponti sul fronte di tutta l'armata. Essi furono vani davanti al XXVII e VIII corpo, riuscirono in parte davanti al XXII che poté rinforzare le truppe di testa di ponte di Sernaglia con nuovi battaglioni.

"La 10ª armata poté ampliare la sua occupazione sulla riva sinistra sebbene i suoi ponti fossero saltuariamente interrotti dalla corrente, ma il XVIII corpo non poté iniziare il passaggio se non nella notte sul 28 e a mezzogiorno solo la brigata Como e parte della Bisagno erano al di là del Piave. La felice scelta della direzione d'attacco unita allo slancio delle truppe (brigata Como) diede il tracollo alla resistenza nemica. Nel pomeriggio l'ostinata difesa davanti all'VIII corpo era crollata. Da questo momento il passaggio del Piave poteva dirsi forzato. Nella notte sul 29 i ponti furono nuovamente e definitivamente gittati. Nuovi battaglioni passarono: le teste di ponte da prima isolate si unirono, si trasformarono in una striscia continua densa di combattenti e di cannoni. Da essa partì sulle prime ore del 29 la marcia di sfondamento.

"Mentre il XXVII corpo, conquistate le alture di Valdobbiadene, scalava, con la destra della 12ª armata, le montagne del Cesen e dell'Orsaria, il XXII, superato il cordone collinoso che sovrasta la pianura di Sernaglia, dilagava in Valmareno e risaliva verso Refrontolo. L'VIII corpo, finalmente libero, marciava su Vittorio, secondato a destra dal XVIII corpo e più a sud dalla 10ª armata in marcia anch'essa verso il Monticano.

"È questa la giornata decisiva che ci portò al raggiungimento dell'obiettivo essenziale, non solo per l'azione delle truppe fino allora impegnate, ma per tutto il nostro esercito.

"Perduto Vittorio incomincia la disfatta nemica....".

Così la manovra italiana si è svolta esattamente secondo le linee stabilite dal Comando Supremo. Il passaggio del Piave poté dirsi forzato quando, mercé la manovra del XVIII corpo opportunamente ordinata dal gen. Caviglia ed eseguita, le truppe dell'8ª armata ebbero libero il passaggio al Ponte della Priula; da quel momento e da quel punto ha inizio la rottura della giunzione fra le armata austriache 5ª e 6ª e l'avanzata nella direzione di Conegliano e di Vittorio.

Ed ecco, nella documentazione avversaria di quegli stessi giorni, l'effetto della manovra italiana: si tratta di un telegramma del comandante la 6ª armata austriaca al maresciallo Boroević, che comandava il fronte dal Brenta al mare (Gruppo Belluno di fronte al Grappa, 6ª e 5ª armata):

"Dal Comando 6ª armata al Gruppo d'armate Boroević, 28 ottobre 1918, ore 4,10 ant.:

"In seguito all'irruzione del nemico nel settore del XVI corpo (ala destra della 5ª armata di fronte alle Grave di Papadopoli; a destra del XVI corpo era la armata col suo XXIV) la situazione della 6ª armata è diventata molto seria. Secondo una comunicazione dell'armata dell'Isonzo, la 29ª divisione (ala destra di quel XVI corpo) non sarebbe in grado di far fronte ad un nuovo attacco nemico. Qualora continuino gli attacchi nemici si dovrà tener conto della probabilità che tali attacchi avvengano in direzione nord. Qualora non si riesca a contenere l'attacco nemico, i collegamenti della 6ª armata saranno interrotti e la situazione di questa diverrà insostenibile (si paventa dunque come catastrofica la rottura della giunzione tra la 6ª armata e la 5ª). Si domanda quindi che la 44ª divisione e le altre forze che risultassero eventualmente disponibili passino alla dipendenza di questo comando. Si intende riunire tutto ciò che è disponibile (44ª div., 44ª div. Schützen, reparti disponibili della 36ª, 13ª brigata d'art.) sotto un unico comando, nella zona ad est di Conegliano, per respingere con un contrattacco il nemico, nel caso che continui i suoi attacchi verso nord".

Vale quanto dire che, non appena delineatasi la minaccia italiana lungo la direttrice di manovra stabilita, l'avversario ha previsto come inevitabile la rottura della giunzione fra le sue armate 5ª e 6ª, e la 6ª si è sentita perduta. Ma la rottura di quella giunzione e l'avvolgimento della 6ª erano appunto lo scopo primo che si erano proposti gl'Italiani.

Conseguenze della vittoria italiana. - Si possono sintetizzare con le parole scritte il 7 novembre 1919 dal generale Ludendorff al conte Lerchenfeld: "Nell'ottobre 1918 ancora una volta sulla fronte italiana rintronò il colpo mortale. A Vittorio Veneto l'Austria non aveva perduto una battaglia, ma aveva perduto la guerra e sé stessa, trascinando anche la Germania nella propria rovina. Senza la battaglia distruttrice di Vittorio Veneto noi avremmo potuto, in unione d'armi con la monarchia austro-ungarica, continuare la resistenza disperata per tutto l'inverno...".

Tale era stata anche la previsione dell'Alto Comando alleato (v. colloquio Diaz-Foch della fine di agosto 1918), il quale aveva predisposto un vasto attacco in Lorena da iniziarsi il 14 novembre. Ma le condizioni dell'armistizio Badoglio avevano assicurato all'Intesa, per iniziativa del Comando Supremo italiano, la possibilità di valersi delle ferrovie, intatte, del Trentino e della Pusteria per agire da sud contro la Germania; e questa sentì il pericolo dell'accerchiamento. Nonostante le contrarie previsioni dell'Alto Comando alleato, l'armistizio tedesco seguì a soli sette giorni da quello di Villa Giusti. Lo sforzo vittorioso dell'Italia aveva conchiuso la guerra mondiale. (v. anche guerra mondiale).